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Autore: Dew_Drop    27/03/2011    3 recensioni
Dal primo capitolo,
"Un foulard verde raggomitolato in un angolo, timido nella bianca luce d'estate, che se ne stava a fissarmi dal suo nero nascondiglio"
Bristol, Inghilterra: Aiolia Iracà, un ragazzo come tanti, dovrà condividere l'esistenza terrena con un nuovo, scomodo coinquilino. La storia di come un fazzoletto di seta verde gli abbia cambiato la vita.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Foulard - Trattato sui Sensi > parte prima, de gustibus


Inizio col dire, "EFP, ma quanto mi sei mancato" **
Pronta a rituffarmi nel fantastico mondo delle fanfiction, tempo ed impegni permettendo U_U

Vi avviso già adesso, non potrò dedicarmi a lavori troppo impegnativi, ma vedrò di fare del mio meglio ** Questa è una trama che ho in testa da tempo e proprio ieri ho gettato l'amo al largo per ripescarla e porla sotto revisione *mode professoressa on*. Saranno giusto cinque capitoletti, forse sei. Spero con il cuore che vi piaccia e che io riesca a trasmettervi tutto l'amore che provo per Saint Seiya e per questa coppia che le giovani fan sbavose - lol - hanno creato.

Questa fic mi è stata ispirata dalla canzone di cui ho scritto un brano qui sotto *mostra con ditino* Vi invito ad ascoltarla **

Buona lettura **

Dew_


 

"In good old times, remember, my friend 
Moon was so bright and so close to us, sometimes 

We were still blind and deaf, what a bliss? 
Painting the world of our own, for our own eyes, now?"

Sonata Arctica - Shamandalie


 


FOULARD - trattato sui sensi

Parte prima - de gustibus

Sciolgo il nodo.

Lo faccio piano, con un cert'atteggiamento colpevole, come se alle mie dita proprio non interessino i pensieri che mi inquinano la mente. So che lui non vorrebbe, e ciò che sto facendo mi è dettato più dall'istinto che dalla razionalità. Alzo lo sguardo su mio padre mentre stringo nel pugno i lembi del foulard. Forse mi aspetto una sua reazione,
(che stupido che sei, Aiolia)
ma come previsto si limita a farmi un cenno verso la porta. Allora i miei occhi scivolano su quell'uscio che mai avrei voluto varcare.

Sto ancora accarezzando quel fazzoletto di seta quando le mie gambe hanno già mosso i primi passi.

Tre mesi prima

Artigliai con così tanta rabbia la cornice d'argento che per un istante ebbi quasi paura di incrinarla; e la stessa sensazione l'ebbe molto probabilmente mio padre, perché il suo sopracciglio destro si arcuò un poco in quell'espressione che odiavo. Era la tipica faccia di un genitore che sa di aver sbagliato, una di quelle che ti fanno sentire prepotentemente nel giusto. Ma più che nel giusto, in quel momento mi sentivo una bestia.

- No. Non puoi - gli soffiai addosso.

- Ma... 

- Quel biondo qui dentro non ci entra.

Mentalmente rettificai, biondino. Biondo ero io, perché "biondo" è un aggettivo superiore. Un ragazzo biondo è un ragazzo conteso. Invece Shaka Mudaliar era solo un biondino e nient'altro. Detestavo tutto di lui: l'atteggiamento, l'abbigliamento, il nome. E i capelli, troppo lunghi per un ragazzo, più luminosi dei miei. Il subconscio mi suggeriva che tutto sommato la mia fosse solamente invidia e non odio, ma il mio orgoglio aveva soffocato con arroganza tutte queste fastidiose vocine interiori. E le stava soffocando anche quel pomeriggio d'agosto, mentre l'afa oppressiva di Bristol boccheggiava sulle finestre spalancate della mia stanza.

- Te l'ho detto papà, io quello qui non lo voglio.

- Aiolia, sei grande ormai. Ti chiedo solo un po' di comprensione.

Lo sbirciai di traverso. - Comprensione per un cieco? Sai che proposta interessante...

Il sopracciglio di mio padre tremò pericolosamente. Si stava arrabbiando, e io
(ci godevo)
rimpiansi di aver parlato. Furono le mie stesse parole a darmi fastidio. Il perché non lo seppi mai, ma pur guardando in basso e torturandomi le dita per ingannare il silenzio che improvvisamente era calato attorno, sentivo che il mio interlocutore mi stava fissando. Ebbi quasi un fremito.

- Quel ragazzo è cieco dalla nascita, figliolo – mi disse.

- Questo non c'entra.

- Quello che voglio farti capire è che... con il tempo mi sono affezionato a lui. I Mudaliar sono sempre rimasti una famiglia di grandi musicisti, e Shaka, così come i suoi genitori, ha sempre coltivato la passione per la musica. Ora suo padre e sua madre sono passati a miglior vita, e nonostante lui abbia vent'anni ha bisogno d'essere seguito. Lo capisci, questo?

Negai con il capo. Mi sentii idiota, perché quel gesto mi parve più un brivido causato dal senso di colpa che un no vero e proprio. Sulle prime non dissi nulla.

La verità era che avevo paura. Solo quattro mesi prima avevo perso il mio fratello maggiore Aiolos. Lui sì che era un grande. Era stato lui a comprarmi tutti i poster del Bristol Rovers Football Club, era stato lui a regalarmi tutti i dischi dei leggendari fratelli Young. E quel dannato incidente d'auto se l'era portato via.

Non avevo voglia di avere un nuovo fratello. La verità era questa. Scarna, semplice, bastarda, ma sincera.

- Papà - incominciai in tono magro, senza alzare gli occhi, - io... non ne ho voglia. Lo sai.

Stavolta fu lui a concedersi qualche attimo di silenzio. Poi mi sfilò la cornice d'argento dalle mani, giocando d'astuzia su quel mio momento di fiacchezza, e la mise da parte, sul mobile vicino al letto. La foto di Aiolos ora mi sorrideva da lì.

- Significa accettare gli eventi. Lui vorrebbe la tua felicità, figliolo; non certo che spendessi la vita incollato ad una cornice d'argento -, e abbozzò un sorriso che io evitai di incrociare. Solo colsi la sua grossa mano spelacchiarmi i capelli biondi in un digiuno gesto d'affetto e la sponda del letto distendersi quando lui si alzò. Uscì senza aggiungere alcun'altra parola sulla questione.

La differenza era che io in quel momento non avevo nemmeno voglia di aggiungere un pensiero.


Mio padre andò a prenderlo alla stazione e io non andai con lui. Non avevo voglia di uscire, ecco perché.

Così lo aspettai direttamente a casa. Cercavo in tutti i modi di mascherare l'ansia per l'attesa, tanto che finii persino col prendere in mano un polveroso libro dei tempi che furono.

Avevo piantato la scuola circa un anno prima. Mi ero stancato di studiare già nei miei primi tre anni di carriera scolastica - ammesso e non concesso che la voglia di studiare mi sia ogni tanto venuta -, e i libri di testo che mio padre s'era pagato col sudore finirono ben presto sulla vetta del mio mobile costellato di adesivi. Solo mio fratello tentò di crocifiggermi sulla croce della routine da studente, ma quando non voglio sentir ragione, non ne sento e basta. E allora eccomi lì, ragazzo biondo con portamento da classico scansafatiche.

Ma quanto mi amavo.

I tentativi di ingannare l'ansia mi andarono a genio finché non sentii il rullare secco delle ruote sulla ghiaia. Non era necessario correre alla finestra per vedere, mi bastava la visione della Bmw nera che si arrestava sul vialetto per destinare al rogo tutte quelle mie maschere di tranquillità. Buttai sul mobile il libro di scienze e mi tuffai sul divano, agguantai il telecomando, no anzi, che stavo facendo?, rovistai sotto al tavolino di vetro, braccai un giornaletto qualunque, distesi i piedi sui cuscini, poco appropriato, sul bracciolo, gettai un braccio lungo lo schienale, aprii la rivista.

La sferzata delle pagine corrispose con lo zap! gelido della chiave nella serratura.

Angus Young aiutami tu.

Più passi. Due persone. Forse una con tre gambe.

(Aiolia ma dico?, sei impazzito? Da quando esiste gente con tre gambe?)

Mi sentivo così idiota a dover accettare questi miei ragionamenti assurdi, ma l'importante era tenere gli occhi fissi sulla rivista. Come gambe non erano male. E poi accidenti, non ero mai stato un grande ammiratore delle donne coi reggicalze, ma quelli lì rossi... abbinati alla mutandina color pesca...

Ancora oggi non credo che la vecchiaia si porterà via la gran figura

(di merda)

che feci quel giorno. Ripresi il totale controllo delle mie capacità deduttive solo quando buttai il giornaletto dietro al divano in un giostrare rabbioso di pagine translucide. Non era necessaria una laurea per capire che mio padre si era trattenuto dal mollare la mandibola in seguito a quel che s'era trovato davanti: suo figlio minore, rettifico Aiolia "il Biondo" Iracà, intento a spogliare con gli occhi le già seminude modelle di una rivista di intimo femminile. In realtà era solo un inserto, ma in ogni caso restava sempre il fatto che si trattava di un certo argomento. Avere vent'anni non autorizza a certi comportamenti, non quando si è figli di un avvocato noto in mezza Inghilterra.

Non feci alcuno sforzo a sfoderare un sorrisetto da bravo ragazzo, dato che quando serviva un alibi credibile ero un ottimo improvvisatore. Eppure, nonostante mi sforzassi di non farci caso, avvertii la sgradevole sensazione d'essere arrossito.

Dio non me ne voglia, ma per una volta ringraziai il cielo che Shaka Mudaliar fosse cieco.


Accadde questo il primo giorno che il biondino si presentò a casa mia. Era lì sull'uscio del salotto, occhi chiusi, espressione serafica ed imperturbabile, quel caldo pomeriggio d'agosto. Era lì e ci sarebbe rimasto per tre mesi. Ancora ricordo i suoi abiti di flanella bianchi, i suoi lunghi capelli d'oro, la sua immobilità. Mi sembrò uno di quegli adesivi attacca-stacca che se ne stanno fermi per anni sulla stessa pagina.

(Attacca-stacca Shaka Mudaliar! Sarà felice di visitare la carta translucida del paesaggio-bosco! Che ne dici di staccarlo e spostarlo nel paesaggio-spiaggia?)

Questi pensieri mi fecero quasi ridere, ma mi trattenni e mi limitai a quella mia espressione ebete cui ero ricorso per fronteggiare l'imbarazzo. Conoscevo il biondino da forse due anni, da quando mio padre aveva incominciato ad invitarlo a casa per pranzo. Questo perché così come file e file di ragazzi si affollano nei cinema, noi Iracà ci affollavamo - "mi facevano affollare", nel caso esista una forma passiva - nei teatri; e nei teatri di Bristol molto spesso si organizzavano serate di musica classica.

A onor di cronaca, Shaka Mudaliar era un pianista nato. Il fatto che fosse cieco non gli aveva proibito di mettere la dita sui tasti e di lasciarli lì per anni ed anni ancora. Odiavo ammetterlo, ma suonava da spaccare. So bene che il termine è più affibbiabile a musica di ben altro tipo, ma allora, invasato com'ero da AC/DC, Reverendo e compagnia bella, non potevo trovare altri termini per esprimere quanto in realtà apprezzassi il suo stile. Ma questo non l'avrei mai ammesso. Neanche buttato al rogo mi avrebbero sputato quest'altra verità.

Decisi di lasciare da parte i pensieri attacca-stacca quando mio padre mi invitò con un cenno della mano ad avvicinarmi. Scivolai via dal divano, quatto quatto, piccolo piccolo, e zampettai timidamente finché non mi trovai di fronte a lui. E di fronte a quell'altro. Sapevo che non poteva vedermi, ma per una ragione più profana del profano stesso la sensazione che mi spiasse mi punzecchiava i nervi. Mi metteva quasi suggestione.

- Shaka - incominciò mio padre, con quel suo bel tono d'avvocato d'altri tempi, - presumo tu ti ricordi di mio figlio Aiolia, uhm? - .

In tutta risposta lui accennò a un sorriso pallido e disse, in un tono che faceva invidia alla parola dei pesci: - Certo che sì - .

Mi sembrò già tanto che avesse detto quello. Per come lo conoscevo io, avevo già messo in conto le frasi senza senso con cui ogni tanto farciva le discussioni a tavola, sommando ad esse i "sì" e i "no" che precedevano quasi sempre un silenzio di tomba. Dove c'era lui c'era imbarazzo. Oh questo l'avevo capito bene. Decisi di tirare un nuovo sorrisetto che fosse il più credibile possibile, e mio padre, che aspettava solo un mio cenno di vita, sembrò appagato da questo mio sforzo.

- Perfetto ragazzo - buttò lì dopo quella breve e concisa (ri)presentazione, - allora posso lasciare a te la valigia, Aiolia? 

- S...sì - mi affrettai con cinque secondi di ritardo, pescando con lo sguardo una valigia rossa appoggiata contro lo stipite. - A me, sì.

Agguantai una delle cinghie del bagaglio e mi caricai tutto sulla spalla. In un primo momento gioii della speranza di poter salire da solo le scale, di mollare il fardello in qualche angolo della stanza degli ospiti e di scendere in meno di due minuti pronto ad arraffare le scarpe di tennis ed uscire di casa. Avrei scaricato a mio padre Shaka Mudaliar almeno fino a sera, che dico?, notte fonda. E invece no.

Quando mossi il primo passo verso il primo gradino, il biondino aveva già colto il mio movimento e si era voltato per seguirmi.

Perspicace.


- Attento a non fare movimenti bruschi - lo sentii dire quando feci per piantare il piede sulla scala, - ci sono dentro oggetti fragili.

Non so cosa mi passò per la testa, ma approfittando del fatto che mio padre era già in salotto ghiacciai Shaka Mudaliar con lo sguardo più truce che mai avessi mai dedicato a qualcuno in vita mia. Si era appena trasferito nel mio regno

(nostro, ormai)

e già si permetteva di correggermi? Il leone più anziano si tiene il proprio territorio, si sa; se poi ne arrivava uno giovane con l'intenzione di soppiantarlo, il re avrebbe rivendicato il suo status di sovrano. Mi fermai sul primo gradino con le dita aggrappate al corrimano come se impugnassero l'elsa della spada che avrei voluto sfoderare e piantargli in corpo.

- Mudaliar - lo ammonii in tono misurato, - non so se andremo mai d'accordo, e se hai intenzione di creare nuove leggi qui dentro, sappi che questa tua proposta di governo non può esistere. I bagagli li ho sempre portati io, per tutti gli ospiti che ha avuto mio padre, e non vedo perché dovrei farmi cadere proprio il tuo.

In tutta risposta ricevetti quel suo placido sorriso. La differenza fu che stavolta colsi anche un velo di ironia sul suo viso, e ciò mi convinse che sì, quel nuovo coinquilino mi avrebbe reso la vita ancor più difficile di quanto lo fosse già. Non diedi retta al suo silenzio e ripresi a salire i gradini a grandi balzi, con l'atteggiamento del leone che guizza sugli spuntoni di roccia per dominare il territorio dall'alto. Il mio giovane ed inesperto avversario politico sarebbe stato ancora in fondo, oh sì, incapace di muovere un solo passo se non accompagnato. D'altronde era cieco, e i ciechi hanno un pessimo rapporto con scale sconosciute. Shaka Mudaliar non era mai salito al primo piano di casa mia.

E invece il sorriso trionfante mi morì in faccia quando dalla vetta vidi il nuovo coinquilino a metà del percorso.

(Buttagli la valigia addosso, Aiolia, buttagliela addosso e vedrai che rotolerà già, lui e i suoi dannati capelli biondi)

Scartai quello sleale pensiero e lo aspettai in cima alle scale, mentre la mia mente voleva percorrere il corridoio, buttare da qualche parte il bagaglio e uscire di casa, tutto ancor prima che il biondino avesse varcato l'ultimo gradino. Ma il mio corpo rimaneva lì. La conseguenza era la scomoda sensazione d'essere stato plagiato persino nel modo di pensare. Stavo ancora combattendo tra ragione astratta e ragione fisica quando Shaka mi raggiunse; o meglio, tentò di farlo, perché in un battito di ciglia rischiò di scivolare quando poggiò male il piede sul pianerottolo.

Lo agguantai per il polso prima che potesse esibirsi nel triplo salto mortale giù per le scale. Il tuffo sarebbe stato da record se non l'avessi braccato in tempo. Dopo un momento di batticuore, tirò un sospiro e si issò completamente vicino a me:

- Grazie Iracà... Grazie.

Risposi con una smorfia che voleva bensì essere un abbozzato "di nulla", poi mi ricaricai il bagaglio sulla spalla. Fu in quel momento che Shaka Mudaliar mi prese a braccetto infilando il braccio attorno al mio con un'astuzia forse ereditata dai vent'anni da cieco, e mi sorrise candido quando avvertì il mio brivido contrario a quest'iniziativa.

- Se ti dà fastidio, dimmelo - mormorò in tono innocuo.

E io, tenendo per me un gorgoglio infastidito, scossi il capo dicendo: - No, tranquillo. Hai fatto bene.

In fondo al cuore nutrivo però l'insano pensiero che l'avessi salvato dalla caduta solo per non fargli vincere l'oro nelle Olimpiadi di Caduta Libera dalle Scale. Io non avevo mai vinto una medaglia d'oro, e lui non poteva permettersi in nessun modo di superarmi. Neanche in una gara di tuffo acrobatico.


Finalmente buttai la valigia sul letto della camera per gli ospiti. In quell'attimo mi resi conto di quanto i miei piani di abbandono nei confronti di Mudaliar fossero insensati. Non seppi descrivere il sentimento che mi convinse a restare a casa con lui quel pomeriggio, ma più avanti, in un futuro non troppo lontano, l'avrei definito affetto, quella razza di affetto quasi obbligato che si prova per chi è destinato a vivere con te. In ogni caso accantonai nella mente le scarpe da tennis e tutto il resto e rimasi lì con lui.

Per prima cosa disfammo il bagaglio. Shaka si era seduto sul letto e mi guardava

(Aiolia, ma allora sei proprio scemo. I ciechi non vedono!)

...sì, mi guardava senza muovere un muscolo. Sulle sue labbra color pesca si era allungato un sorriso deliziato. Era sereno ed io ero sereno per la sua serenità.

- Scusa se metto le mani tra le tue cose, ma...

- Tranquillo, Iracà. Grazie infinite, invece.

Gli scoccai un'occhiata e ripresi a frugare fra i suoi vestiti. Divisi i pantaloni dalle maglie e da tutto il resto disponendo gli abiti sul letto come se avessi indetto a casa mia un mercato dell'usato. A dire il vero non aveva con sé molto.

- Papà mi ha detto che puoi usare i miei vestiti, per il momento - mi affrettai, punto da questo ricordo, - e che tra qualche giorno, o non so, tra un po' andremo a fare compere per trovarti qualcosa di più appropriato. Tanto abbiamo la stessa taglia, anche se sono un poco più robusto non fa niente.

- Fa niente, hai ragione - mi rispose. Si alzò e piano piano, misurando i passi, riuscì a raggiungere il balcone. Per un attimo ebbi il timore che volesse ritentare il record di Caduta Libera, ma quando vidi che afferrava il cornicione e si limitava a crogiolarsi al sole, il mio animo tirò un sospiro di sollievo. Lo spiai ancora qualche secondo, poi ripresi con il mio lavoro.

Ed eccolo, che spuntava da sotto un guazzabuglio di camicie di flanella. Un foulard verde raggomitolato in un angolo, timido nella bianca luce d'estate, che se ne stava a fissarmi dal suo nero nascondiglio. Lo acciuffai senza tante grazie e me lo distesi davanti agli occhi. La morbida brezza di Bristol lo abbracciava in sinuosi movimenti.

- Mudaliar - dissi, e lui si voltò verso di me, avvertendo nel mio tono una nota di dubbio, - e questo dove lo metto?

- "Questo" sarebbe...?

- Un foulard. Un foulard di seta verde. Dove vuoi che te lo metta? 

- Non è mio.

Aggrottai le sopracciglia. - Ma era nel tuo bagaglio.

- Sì, ma non è mio. Non so come ci è finito dentro - E detto questo si rivolse ancora all'afa d'Inghilterra, lasciando che le dita della bella stagione gli pettinassero i capelli. Io rimasi dietro di lui come un ebete. Il foulard si dimenava come un infante capriccioso e io non sapevo dove accidenti piazzarlo. Buttarlo nell'armadio sarebbe stato volgare, schiacciarlo nell'angolo di qualche cassetto ancora peggio. Era seta, e la seta va trattata con un certo riguardo.

- Tienilo tu - disse d'un tratto Shaka Mudaliar, senza voltarsi. - Tienilo pure.

Sentivo che stava sorridendo. Nel suo tono colsi quasi una vena di cordialità. Decisi di non dir nulla e mi legai il fazzoletto attorno al collo. Non penso siano mai esistiti cowboys con foulard verdi, ma poco mi importava: sbirciando la mia immagine riflessa allo specchio vidi che non stavo nemmeno tanto male. Mi donava.

- Be', grazie - mi scappò dalle labbra, e rituffai le mani nel bagaglio per ignorare il formicolio alle dita. L'imbarazzo d'aver ringraziato il giovane leone che minacciava il mio terriotorio mi costò anche un molesto calore al volto.

Lui non poteva vederlo, di questo ero certo. Forse lo avvertì nel silenzio che seguì.

Ma preferivo non dare una risposta a questo mio dubbio.

Così Shaka Mudaliar e quel foulard verde entrarono nella mia vita.


Nel salotto di casa Iracà...

*Sorseggia tranquillamente del thè inglese* Very good u.ù Ecco a voi il primo capitolo di questo mio tentativo di trama. Spero d'aver aperto questo mio secondo sbarco su EFP attirando la vostra attenzione ** Come detto prima, è una storia che ho ripescato dai meandri della memoria. Mi piace l'idea che alcuni (mwahahah forse non solo due u.u") dei nostri amati Saints vengano inseriti in ambienti nuovi ed attuali, come mi piace sperimentare ambientazioni e comportamenti OOC. Spero che quest'idea piaccia anche a voi **

Il nostro Aiolia sopporterà il nuovo coinquilino? (checcari chessono ** *sbava sbava*) Vi lascio con questo interrogativo e con il primo capitolo ^^ Aggiornerò in settimana gente **

A presto °°

Dew_

Foulard_








   
 
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