Stanco di vedere le parole che muoiono,
stanco di vedere che le cose non cambiano…Stanco di dover restare all’erta
ancora, respirare l’aria come lama alla gola.
Corpo a Corpo (Subsonica)
Bright aveva
provato a ripetersi più e più volte nella testa ciò che aveva intenzione di
dire a Hannah; decidendo poi che un “Prendiamoci una pausa di riflessione,
Hannah” fosse la scelta migliore che potesse fare. C’era, però, una parte di
lui che si chiedeva se quel giro di parole non fosse
solo un misero tentativo di indorare un'amara pillola. Difficilmente qualcuno avrebbe potuto
riportare casi in cui queste 'riflessioni' non avessero portato ad una rottura
definitiva. Altro non era se non una frase di comodo per tenersi aperta la
porta di un eventuale riavvicinamento. Lui lo sapeva, ma già sapeva che
scegliendo una linea di azione più dura non sarebbe riuscito che a mettere
insieme due o tre sillabe…per poi rimanere inesorabilmente bloccato sul
nocciolo del discorso.
Eppure, ora che la aveva davanti non era in grado di
proferir verbo.
Lei pareva essere al settimo cielo nel vederlo dopo appena un fine settimana di
lontananza. Dove lo trovava il coraggio di lasciarla ora che aveva visto il suo
sorriso così radioso? Dopo che dalla finestra aveva osservato con quanto
entusiasmo giocava con Sam e si era ritrovato a pensare come sarebbe stato se
si fosse trattato di LORO figlio…
Inoltre non avrebbe sopportato di vederla felice con qualcuno che non fosse
lui. Sì, era egoistico…un desiderio egoistico e sincero.
In fondo poteva rinunciare almeno per un po’ a qualcosa che aveva fatto “tante,
tante volte” come gli aveva ricordato Ephram, no?
Se per lui ora fare l’amore era il modo per sentirsi il più vicino possibile
ciò non voleva dire che non esistessero altri modi per scoprirsi nell’intimo,
sempre più a fondo, pur senza violare il voto di Hannah.
Lei poteva insegnarglieli. Lei l’aveva già così migliorato da
quando era arrivata ad Everwood.
O almeno lui si sentiva una persona migliore da quando stava con la ragazza del
Minnesota.
Avrebbe concesso a questa relazione, che comunque già considerava la migliore
della sua giovane vita, ancora un po’ di tempo.
Non era tergiversare; diciamo piuttosto un’attenta analisi dei pro e dei contro
della sua storia con Hannah. Preferibile a prendere una decisione sull’onda
della delusione dell’ormone represso, no?
Tutto era ancora lontano dall’essere chiarito, ma cominciava a vederlo con un
po’ di freddezza, di razionalità. Sarebbe arrivato ad una decisione di cui non
si sarebbe pentito.
Ma non ora.
“Bright?”
lo chiamò ancora una volta Hannah, sempre più preoccupata.
“Niente. Non è niente. Sono solo stanco per il viaggio.” Le sorrise dolcemente
e la baciò. Un bacio leggero, a fior di labbra.
Vedendo che i piccioncini avevano finito di tubare, Sam corse a tirare la
manica di Bright, per trascinarlo in soggiorno.
“Vieni a giocare con noi?” Gli chiese, in tono quasi supplichevole.
“E’ stanco, Sam. Lasciagli il tempo per rimettersi in
sesto.” Intervenne Hannah, scompigliando i capelli biondi
del piccolo.
“Sì, lasciami due secondi per rimettermi in sesto…Intanto io ti porto sul campo
di battaglia, soldato.” Bright disse sollevando Samuel
sulla sua spalla, imitando il tono marziale della nonna, e ritrovandosi a
sorridere per l’argentina risata di Hannah.
C’era
tutto il tempo del mondo per pensare. Ora si sarebbe semplicemente goduto la
serata con loro.
Kyle Hunter,
di anni 14, quella mattina temeva di essere finito in un universo parallelo.
Uno dove quel musone pedante che era il suo insegnante di piano non gli stava
con il fiato sul collo, aspettando ogni suo più piccolo errore per
rinfacciargli la sua eccessiva fiducia nelle sue capacità, e le sue labbra
erano curvate in un sorriso sereno invece di essere serrate in un’espressione
quasi irritata dalla sua arroganza, come sempre.
Era forse un crimine credersi un genio del pianoforte quando
in effetti lo si era?
La
capacità di valutarsi da sé era una componente che, a suo parere, avrebbe
dovuto possedere ogni persona con un minimo di buon senso.
Nonostante tutto, però, Ephram gli piaceva. Non solo perché dopo aver saputo
che sua madre non poteva permettersi di pagare le lezioni non l’aveva sbattuto
fuori.
Era
soprattutto il suo non trattarlo come un bambino, nonostante la giovane età, che
Kyle apprezzava.
Divergevano spesso su parecchi argomenti, sia che riguardassero
l’esecuzione di un pezzo che il suo atteggiamento verso la musica e più in
generale verso la vita; questo però non impediva che loro discussioni le
opinioni avessero il medesimo peso. Non c’era uno che cercava di prevalere
sull’altro, anche se poi restavano spesso arroccati sulle proprie posizioni.
I suoi cenni
di assenso non erano come il “Sì, sì” accondiscendente di sua madre; lui teneva
seriamente in considerazione le sue parole.
Che non sorridesse quasi mai, poi, lo faceva sentire ancora più vicino a lui.
Non sapeva molto della vita del suo ‘mentore’.
Gli piaceva, però, immaginare che fosse stata simile alla sua. Che Ephram, per
essere com’era ora, dovesse aver avuto una vita che gli aveva regalato ben
poco.
Invece
ora che gli era successo? Se ne stava seduto vicino a lui con un sorriso ebete
disegnato sulle labbra, con due borse sotto gli occhi che la raccontavano lunga
sulla sua notte brava. Si era sbagliato. Ecco un altro studente del college per cui non esisteva niente di più importante di un party,
poco importava essere presentabili ed abbastanza lucidi per il lavoro il giorno
dopo.
Approfittò di una pausa per rimettere dentro lo zaino quanto aveva portato per
una sua valutazione; certo non voleva l’opinione di qualcuno per
cui le loro lezioni contavano così poco da presentarsi mezzo sbronzo.
“Hey, hey…” La
voce di Ephram lo fermò mentre stava riportando le
mani sul pianoforte. “Cosa mi nascondi lì dentro? E cos’era quel sorriso quando sono entrato? Uno dei quattro segni
dell’Apocalisse imminente?”
“Potrei chiederti lo stesso. Forse ti sei reso conto di
quanto sei scarso e non puoi che riderci su?” Kyle curvò le labbra in
segno di scherno.
“Ah ah ah.” Ephram ribatté “Ho solo avuto un buon fine
settimana.”
“Un party fa miracoli.” Replicò acido Kyle, sollevando
le sue esili spalle dando ad intendere che ormai la conversazione non era più di suo interesse. “Anche se non giova al tuo
aspetto.”
“Niente party e niente alcool.” Kyle lo guardò per niente
convinto. “Beh, se escludiamo qualche birra bevuta con il mio migliore amico. E
perdona il mio aspetto. Avevo dei corsi in mattinata,
e per preparare la tua lezione ho dovuto di nuovo fare una levataccia.” Ephram
rispose.
Il ragazzino dai corti capelli castani sbuffò “Ora recrimini? Cerchi di farmi
sentire in colpa?” Il sapere che l’altro si era svegliato all’alba solo per
lavorare sulla loro lezione gli faceva piacere ma allo
stesso tempo lo infastidiva che avesse tirato fuori il fatto così, palesemente
per farlo vergognare di quanto aveva pensato fino a poco prima.
“In colpa per cosa?” Chiese genuinamente interessato Ephram, ma non ricevendo
risposta lasciò correre “Era a titolo puramente informativo. Se cominciassi a
dubitare della serietà che metto in questo lavoro potremmo anche fare a meno di
vederci d’ora in poi. Sarebbe uno spreco di tempo e il tuo dev’essere
preziosissimo, vero?”
“Già.” Prese nuovamente il modulo dallo zaino.
“Tieni.”
“Che cos’è?” Ephram chiese, anche se leggendo l’intestazione già aveva capito
di che si trattasse. “Cioè, perché…”
“Il motivo per cui sorridevo quando sei entrato.” Ed
ora che in un modo poco ortodosso e piuttosto confuso si era chiarito con
Ephram l’ombra di un sorriso tornò nuovamente ad illuminargli il viso. “Ho
finito la domanda per la Juilliard!”
Ad Ephram dispiaceva un po’ smorzare l’entusiasmo del ragazzo, ma se ciò andava
fatto… “Hai già compilato un modulo d’iscrizione prima d’ora, vero?”
“Certo!” Kyle ribatté, voltandosi sdegnato verso il suo insegnante.
“Allora saprai che non si può scrivere a matita…” Ephram gli fece notare.
“Questa è solo una brutta, idiota…” Mugugnò, strappandogli il foglio di mano.
“Kyle…”
Ephram si alzò, per poggiare una mano sulla spalla del suo studente. Proprio
quando cominciava trovarlo meno irritante doveva mettersi sulla difensiva?
“…Vorrei tu evitassi di mettere tutto te stesso in un obbiettivo ristretto come
quello di entrare in una scuola. Non vorrei vederti vivere in funzione della
Juilliard. Perché così è stato per me, e ti posso assicurare che non è
piacevole…Specie se poi la vita decide di metterti i bastoni tra le ruote; e lo
fa più spesso di quanto uno possa pensare.”
“Grazie per queste perle di saggezza, maestro.” Kyle
schiaffeggiò la sua mano, togliendosela di dosso. “Solo perché tu non sei
entrato questo non significa che io non ce la farò.”
Si alzò dallo sgabello e si mise lo zaino in spalla. “Posso andare?”
“Certo.” Disse, vedendo la madre di Kyle sulla porta.
Il giovane scomparve presto dietro le porte dell’aula, mentre la donna parve
indugiare sull’entrata.
“Posso
fare qualcosa per lei signora?” Le chiese educatamente Ephram.
“Come se non facessi già abbastanza…” Rispose lei, abbassando gli occhi,
imbarazzata per non guadagnare nemmeno il necessario per le lezioni di piano
del figlio. “Davvero Ephram, non so come ringraziarti…” poi proseguì, spiegando
il malumore del suscettibile ragazzo prodigio “Ho cercato anche io di fargli lo
stesso discorso, milioni di volte. Lo si punge sul
vivo…”
“…perché il suo mondo E’ la musica. So com’è, mi creda. Mi rivedo molto in suo
figlio, sotto questo aspetto. Vorrei evitare che commettesse i miei stessi
sbagli.”
“Renderti utile con il tuo bagaglio di esperienze ed errori?” La signora gli sorrise. “E’ quello che cerchiamo incessantemente di
fare noi genitori…Ma voi finché non ci sbattete la testa non siete contenti,
eh?”
“Già.” Solo ora intuiva quando ciò potesse essere frustrante.
Desiderare che qualcuno evitasse le tue medesime
sofferenze, e vederlo andar loro incontro non potendo farci niente, perché come
aveva giustamente detto ora Tracy, spesso finché non ci si scotta non si crede
agli ammonimenti.
“Mamma, andiamo?” cantilenò Kyle dal corridoio.
“Sì, arrivo tesoro…” Assentì ottenendo un mugugno del figlio che assomigliava
molto ad un ‘non chiamarmi tesoro di fronte agli
altri…’
“ArrivederLa signora, è stato un piacere. A giovedì, Kyle.” Li salutò Ephram.
Kyle
lo osservò per qualche secondo come se gli stesse
crescendo una seconda testa. Voleva davvero recuperare la lezione persa per
motivi di salute?
“Se intendi entrare alla Juilliard non possiamo permetterci di perdere nemmeno
una lezione. Se avessi altri impegni possiamo fissare
il recupero per un altro giorno.”
“Sì, guarda…Dovrò mandare a casa quel fottio di persone che s’accalcano per
passare i loro pomeriggi con me…”
“Ti capisco, la popolarità non ha fatto che darmi problemi da quando mi sono
trasferito ad Everwood. Ma sono certo che riuscirai ad inventare una scusa per
farli tornare più tardi…” Ephram prese la sua borsa e le chiavi dell’aula.
“Non ti posso assicurare niente…mal che vada li porterò tutti a lezione.
Staranno un po’ stretti, ma per l’onore della mia compagnia è anche bene
soffrire un po’.” Ribatté Kyle in tono analogamente
canzonatorio. “Meglio che vada a casa a stilare una lista degli invitati. A
giovedì, Ephram.”
Bright
aspettava l’amico sul suo furgone, all’uscita della loro vecchia scuola. Aveva
visto andare via quel ragazzino di cui Ephram gli aveva tanto parlato e non
capiva come mai quest’ultimo ci stesse mettendo tanto, che avesse deciso di
tagliarsi le vene nel bagno?
No dai, tornati dal campeggio era parso piuttosto di buon
umore. Nella notte che avevano passato a discutere del più e del meno
svaligiando il frigorifero, perché secondo Bright era l’ora della ciboterapia
che consisteva nell’ingozzarsi fino ad essere satolli
svuotando la propria mente di qualunque pensiero che non fosse riempire il
proprio stomaco, non aveva accennato il minimo disagio.
Forse
non avrebbe dovuto uscirsene con quella domanda su suo padre. D’altronde Ephram
l’aveva stuzzicato chiedendogli se i suoi progetti per il futuro ruotassero
solo intorno a Hannah! Non aveva forse avuto tutte le ragioni del mondo per
credere che avessero cominciato qualche sorta di “Gioco delle domande scomode”?
Naturalmente gli aveva risposto che non aveva la benché minima idea di cosa
fare nemmeno di lì ad un anno, ma che d’altra parte non c’erano forse trentenni
nella stessa situazione?
“Allora noi abbiamo ancora qualche anno di margine, no?” Ephram gli aveva dato
uno scherzoso pugno sulla spalla prima di trasferire gran parte delle sue
leccornie nel piatto di Bright. Quest’ultimo non era affatto dispiaciuto di
poter mangiare un altro po’, in fondo l’insaziabilità del suo appetito aveva
fatto nascere le più disparate teorie da parte dell’esponenti
del gentil sesso di Everwood.
Piuttosto gli
spiaceva che il suo piano d’insegnare ad Ephram ad affogare i suoi dispiaceri
nel cibo non si fosse rivelato un successo, come invece era stato per i due
giorni in tenda.
Aveva sopravvalutato le proprietà taumaturgiche del cibo, ma poco male:
sbagliando si impara.
Di
rimando gli aveva allora sollecitato a raccontargli come andassero
le cose con suo padre.
“In fondo non
gli hai serbato rancore abbastanza a lungo?” Ecco l’infelice frase che aveva
spinto Ephram ad alzarsi sdegnato, mormorando un “Sì, d’altronde l’ha fatto per
il mio bene.” Carico di sarcasmo soprattutto
sull’ultima parola. “Poco conta che mi abbia impossibilitato
a scegliere della MIA vita, di MIO figlio, se per un fine superiore.” Il suo
tono di voce si era pericolosamente alzato.
“Sei troppo radicale. Cerca di non vedere solo il
bianco o il nero della situazione, ma anche le sfumature
amico…” Per un momento aveva avuto l’intenzione di rattoppare lo
strappo, ma ecco che la sua maledetta bocca creava un vero e proprio squarcio.
“Insomma, tuo padre non è un santo, ma non puoi dargli tutte le colpe di questo
mondo, no?”
“Sì, forse…” Ephram aveva sussurrato incerto, e con una punta di rabbia aveva
proseguito “Non…non posso dire di essere arrabbiato con lui come lo ero tre
mesi fa…ma vorrei che capisse…che capissi anche tu a
questo punto…ch-che non posso dimenticare in così breve tempo quello che mi ha
fatto. Tre mesi sarebbero un quarto di un anno potrebbero essere tanti per
qualcun altro, ma non per me…” E poi iniziò una filippica tanto lunga che
Bright si perse a pensare come mai i peperoni della sua pizza sapessero di
stantio e se era il caso di chiamare il responsabile della pizzeria. Ricordava
solo che si era conclusa con un “Datemi del tempo, dannazione.” Il suo amico che si alzava dallo sgabello di fronte
all’isola che separava il cucinotto dalla sala, e aveva sonoramente sbattuto la
porta dello sgabuzzino adibito da qualche tempo a sua camera da letto.
Altra
scoperta della nottata: d’ora in poi lasciare assolutamente il Dottor Brown
fuori delle loro discussioni, per quanto l’aleggiare della sua presenza potesse
essere ingombrante nella mente di Ephram era meglio aspettare che fosse meno
suscettibile sull’argomento.
Nonostante
non pensasse affatto che il ragazzo più giovane potesse ancora avercela con lui
dopo una buona dormita ristoratrice, aveva deciso di andarlo a prendere per una
serata a tema.
Quando quello spocchioso newyorkese avrebbe scoperto di che si trattava gli
sarebbe saltato al collo euforico per tanto riguardo, ne era certo.
Eccolo!
Stava uscendo, meditabondo e tanto concentrato nei suoi pensieri che Bright
dovette suonare il claxon per farsi notare. E quando Ephram salì a bordo
nemmeno lo ringraziò; si limitò invece a sbuffare credendo che l’entusiasmo di
Bright fosse dovuto alla scoperta di qualche nuova
festa cui lui, al contrario, non aveva la minima intenzione di andare.
Pensò di veder confermate le sue paure, quando vide il biondo sfregarsi le mani
e sorridere sornione, a mo’ di Stregatto. (A/N detto
anche gatto del Cheshire, insomma quello di “Alice nel paese delle meraviglie,
per intenderci)
“Non puoi
neanche immaginare cosa ti aspetti a casa, Ephram…” Dopo queste parole di
Abbott poi la vedeva male, molto ma molto male.
Non è che non potesse immaginare cosa l’aspettasse;
gli mancava il coraggio di chiedersi cosa mai potesse essere venuto in mente a
Bright per essere così entusiasta.
Quando
effettivamente tornarono a casa e lo scoprì...beh, si disse che aveva fatto
bene a non domandarsi di cosa si trattasse…perché tanto nemmeno nelle sue più
fervide fantasie avrebbe potuto immaginare tanto.
Intanto
da tutt’altra parte di Everwood, Hannah stava subendo un trattamento che
rasentava il disumano. Nuovamente Amy era in crisi per l’abbigliamento e
chiedeva consiglio a LEI!
Solo che era decisamente peggio della sera prima, perché qui per la sua amica
si trattava di non sfigurare al primo appuntamento con Reid.
Si doveva rasentare la perfezione.
La
questione era che Amy sapeva benissimo quali vestiti le stessero meglio; non
necessitava di alcun consiglio su come far rimanere un ragazzo a bocca aperta.
Ricordava bene il vestito delizioso che aveva scelto l’ultima sera che era
uscita con Ephram, ma non era certo così indelicata da proporglielo. Fatto sta
che ci vollero una dozzina di cambi d’abito, di scarpe e di vari accessori
prima che Amy trovasse un look che riteneva consono all’occasione.
Per fortuna Hannah era riuscita a convincerla che nel suo armadio c’era
sicuramente qualcosa di adatto all’occasione; non osava immaginare la nevrosi
che i continui ripensamenti dell’amica avrebbero provocato in un’inerme
commessa!
Aveva sparso vestiti per tutta la camera optato per
l’abito nero che aveva usato al matrimonio, era sobrio, ma aveva quella
scollatura che dava un non so che di provocante.
Per
togliersi il pensiero, scelse anche la stessa collana, borsa e scarpe.
“Ma, non farei meglio a comprare qualcosa di nuovo? Non posso presentarmi di
fronte a Reid…” Amy aveva provato a protestare, ma Hannah aveva subito
ribattuto “Reid non c’era al matrimonio, non ti ha visto ed eri bellissima.
Perché non dargli l’occasione di vedere quello che si è perso quella sera?” Detto
questo la trascinò quasi di peso al piano di sotto, dove Rose già le aspettava
con il necessario per il trucco.
“Mamma, non è…” La ragazza non riuscì nuovamente a finire la sua frase.
“Amy, sono
mesi che non esci con un ragazzo.” La madre le
accarezzò il viso. “Ti sei presa cura di me per tutta l’estate, rinunciando
anche al giusto tempo da dedicare a te stessa. Non mi è certo di peso aiutare
la mia bambina a farsi bella.” Le baciò la fronte, e
si mise al lavoro.
Il sudato risultato parve soddisfare Amy, o forse aveva scorto l’ora
sull’orologio del salotto e si era accorta che non c’era più tempo per
ulteriori modifiche.
Salutò il padre che stava tornando dal lavoro giusto in quel momento, e che non
fece in tempo a fermarla e a chiedersi dove stesse andando tutta così
agghindata, poiché fu immediatamente ‘sequestrato’ dalla moglie e da Hannah e
portato a godersi un buon DVD.
Appena incontrò Reid, davanti al cinema, si accorse di avere fatto un errore di
calcolo.
Di aver mal interpretato le sue intenzioni. Di nuovo. Non era stato abbastanza umiliante tre mesi prima quando si era convinta che Ephram
volesse riprendere la loro storia, no eh?
Non
tanto perché era arrivato con un ritardo epocale, lasciandola a raggelarsi lì
sul marciapiede senza nemmeno avvisare con una chiamata o un
sms, quanto piuttosto per il suo abbigliamento.
Ora si trovava di fronte all’avvenente studente di medicina, che probabilmente
era appena uscito dalla biblioteca con la mole di roba che aveva da studiare
per la sua facoltà. Indossava un semplice paio di jeans slavati ed una maglia
beige attillata, di quelle che amava tanto indossare anche Ephram.
Solo che a lui non stava ugualmente bene. Insomma, mentre sul suo ex lasciavano
ad intendere le linee degli addominali e dei pettorali appena accennate, su un
fisico palestrato come quello di Reid parevano solo una sciocca ostentazione.
Ma cosa diavolo stava pensando?
“Scusa, per il ritardo, stavo studiando e ho perso la nozione del tempo …” Poi
notando la fissità dello sguardo di Amy sulla sua figura proseguì “...questa
maglia deve decisamente essere di Ephram. In quel casino che è il nostro
appartamento ho preso la prima che mi capitava sottomano…Mi è andata male.” Reid quasi l’abbagliò con lo sfoggio della sua dentatura perfetta, ma Amy non trovò la forza di ricambiare il suo
sorriso.
Primo: doveva smetterla di pensare ad un altro mentre
usciva con Reid, anche se questi indossava una sua maglia.
Secondo: perché diavolo aveva voluto strafare; perché non si era vestita con un
semplice paio di jeans neri ed una maglia di ciniglia?
Anche il suo trucco era un pugno in un occhio all’idea di una serata tra amici…
Il “Sei bellissima.” Che le rivolse Reid non fece che
aumentare il suo sconforto. Come aveva potuto equivocare così alla grande?
Le veniva una gran voglia di piangere.
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Questo capitolo mi fa 'leggermente' schifo...Ho deciso di tagliarlo qui, perché non me ne veniva fuori niente di buono tirandolo avanti...