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Autore: MeggyElric___    04/04/2011    5 recensioni
Il seguito della mia ormai conclusa GOLD IN THE BLUE, è ambiantata circa 18 anni dopo.
"Eppure, per quanto segreto e rinchiuso in antiche immagini, ecco che un lume dai riflessi saettanti torna a fare capolino nella mente, ultimo breve ma bruciante graffio a un cuore ormai dolorante.
E una luce, un sole che più non esiste, torna a splendere, come se non si fosse mai estinto. Ed ecco piombare su di lui, e sul suo respiro pesante e saggio, temprato da mille avventure, una pioggia battente colma di rimorsi e parole ormai spente, illuminati da un barlume che pareva troppo lontano per essere raggiunto, ma allo stesso tempo così vicino da poterlo sfiorare, allungando un braccio al cielo, come a tentare di catturare una stella.
Una luce senza tempo."
Spero davvero in un altro successo :) Buona lettura!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Winry Rockbell
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Salve salve salve a tutti! Finalmente, oggi non ho più febbre, ma dato che ancora non sto bene, mi tocca stare a casa... così ho deciso di mettermi al lavoro prima, ed ecco il nuovo capitolo pronto qualche ora in anticipo! 
Ci troviamo nel vero lasso di tempo in cui è ambientata la storia, ossia nell’estate del 1938. Rosalie ha quindici anni, Daniel diciassette e le cose sono cambiate. C’è stato un evento, nel passato, che ha cambiato completamente le relazioni di alcuni dei personaggi. In questo capitolo, ci introduciamo un po’ anche nel passato, grazia a un flash-back di Rose.

Ok, a questo punto vi lascio al capitolo, che spero sia di vostro gradimento. Lasciatemi una recensione, mi raccomando! ^^

 

 

CAP. 1: LE FIAMME DELL’OSCURITA’

Un leggero alito di vento, talmente debole da risultare quasi dolce all’olfatto, forse perché portatore di ricordi lontani, misti al profumo dei fiori dell’ormai tramontata primavera. Quell’alba chiara, delicata, riflessa nel fiume limpido che serpeggiava quieto tra le campagne, l’aria intrisa di ogni sensazione che riportava alla mente immagini definite di frammenti di passato, luminosi, ben lontani da quel tempo in cui la guerra aveva avvolto il paesaggio nell’oscurità.

E tra le foglie degli alberi, quel fruscio lieve, che ricopriva la pelle di brividi piacevoli, portando con sé la consapevolezza che rendeva certi d’essere veramente a casa.

Sospirò, il suo fiato si sciolse nell’aria frizzante di quella mattina, rischiarata da un alone di riflessi rosati.  Tra il cinguettio dei passerotti, seduta sul ramo ruvido di quell’albero accanto al quale era cresciuta, Rosalie scrutava l’orizzonte, inseguendo un punto lontano che, probabilmente, nemmeno lei era certa di conoscere. La brezza le mosse appena i biondissimi capelli, facendoli volteggiare tra le foglie.

Sorrise, accarezzando con una mano il tronco rugoso, rendendosi conto che l’estate, a Resembool, non era mai stata così bella. Eppure, eppure, eppure, mancava qualcosa.

Rosalie adorava svegliarsi presto per gustarsi in pace il sorgere del sole, senza essere costantemente disturbata dai borbottii del padre, che ancora si rifiutava di far colazione con i cereali perché andavano immersi nel latte, condizione che a lui proprio non andava giù.

Certe volte, Rose avrebbe scommesso sul fatto che chiunque, vedendoli insieme, avrebbe giudicato lei più matura, nonostante non contasse più di quindici anni.. Probabilmente, sarebbero persino arrivati a pensare che Edward fosse il suo sconsiderato e infantile fratello maggiore, ma sicuramente non suo padre. Sembrava così giovane.

-          Rose!

Si voltò, un ciuffo di capelli le sfiorò il viso, accarezzando le sue labbra piene e rosee, insinuandosi tra loro. Lo scostò con un gesto della mano, e i capelli miele tornarono a posarsi sulla canotta viola, ricamata con una fascia in pizzo sulla scollatura.

Assottigliano gli occhi, riconobbe tra le foglie dell’albero la figura del fratello, che avanzava lentamente verso di lei, con le mai affondate nelle tasche e stampata in viso un’espressione pressoché annoiata.

-          Sapevo di trovarti qui.

-          Immaginavo che saresti arrivato.

-          Cosa pensavi che avrei fatto quando non ti ho trovata nel letto?

-          Non lo so, una festa?

La sua voce toccò una nota d’ironia un po’ troppo aggressiva. Daniel le rispose con un mugugno.

-          Mmh.

-          Perché sei entrato in camera mia?

-          Perché rispondi a una mia domanda con un’altra domanda?

-          Lo hai appena fatto anche tu, no?

-          Umph.

-          Forza, rispondimi.

-          Eri troppo silenziosa, così sono venuto a controllare se qualcosa non andava, avevo paura che stessi male. Ma appena sono entrato, ho notato che la stanza era vuota, il letto rifatto.

-          Sorpresa!

-          Hai dormito fuori, di nuovo, Rose?

-          È importante?

-          Può darsi. Perché sei così scontrosa stamattina?

Rosalie sospirò, saltando giù dal ramo e atterrando con i piedi nudi sull’erba umida. Gli occhi color del cielo si posarono su quelli oro del fratello, successivamente tornarono all’orizzonte, dove ormai il sole era sorto completamente.

-          Perché mi hai disturbata.

-          Sempre più acida, eh?

-          Scusa, Dan. Sono solo un po’ nervosa. È solo che... lui ha sempre da ridire su ogni cosa.

-          Lui? lui chi?

-          Lui, papà.

Daniel alzò gli occhi al cielo, avanzando di un paio di passi e spostando con la mano un ramo dispettoso che avrebbe altrimenti ostacolato il suo cammino.

-          Dannazione, Rosalie. Avete litigato ancora?

-          Può darsi.

-          Che hai fatto stavolta?

-          Perché dovrei essere stata io a iniziare?

-          Ah, chissà. Forse perché è sempre così?

-          Taci, stupido. Tu eri da Yumi, - come al solito - cosa ne vuoi sapere?

-          Che c’entra nostra cugina, adesso?

-          Ha. Hahaha.

Rise la ragazza, seria, gettando i capelli di lato. Daniel la fissò irritato, afferrando tra le mani l’orologio d’argento, tenuto fino a quel momento affondato nella tasca posteriore dei pantaloni.

-          Cugina.

Sussurrò Rosalie, chiaramente allusiva, quasi volesse inserire tra virgolette quella semplice parola. Il ragazzo dagli occhi d’oro finse di non capire, rimanendo muto alla debole affermazione della sorella. Rosalie, dal canto suo, tamburellò le dita sottili sulla coscia, ricoperta appena dai pantaloncini neri, cortissimi. Fissò l’orologio tra le mani del fratello e si mordicchiò un labbro, inseguendo nella sua mente le parole giuste da rivolgere.  Ad un tratto, Daniel riprese la parola.

-          Perché avete litigato?

-          La solita storia, Dan. La solita storia.

Daniel abbassò il capo, gettando nuovamente in tasca l’orologio e stringendo i pugni, sibilando tra i denti qualcosa che la ragazza non capì. Si lasciò improvvisamente cadere a terra, atterrando sull’erba ruvida che graffiò i suoi polsi scoperti.

La ragazza, accigliata, lo raggiunse. Seduta accanto al fratello, lo osservava, seguendo i lineamenti ombrosi del viso tesi in un’espressione mista tra il rimorso e la rabbia. Istintivamente, l’abbracciò, posando il mento chiaro sulla sua spalla, coperta da uno strato di cotone rosso.

-          Che c’è?

Sbottò Daniel, facendo slittare lo sguardo alle mani della sorellina, intrecciate al suo collo e posate sulla spalla opposta a quella dove giaceva il suo viso.

-          Scusa. Per come mi sono comportata. Mi dispiace, sono un’idiota.

-          Spiace anche a me che tu sia un’idiota.

-          Sei sempre molto simpatico, sai?

Scherzò Rosalie, sedendosi tra le sue gambe, precedentemente incrociate. Posò la schiena al suo petto, scuotendo appena la testa per scostare alcune ciocche di capelli dal viso. Daniel le accarezzò i fili mielati, sospirando appena e sorridendo affettuosamente.

-          Comunque, sicuramente più di te.

Ammise, spostando il viso di lato, per poter ammirare l’orizzonte.

Rosalie chiuse gli occhi, i quali avevano assunto la stessa fresca tonalità del cielo. Un tepore dolciastro s’impadronì di lei, facendola sprofondare in un’oscurità dai riflessi rosati. Stava talmente bene in quella posizione e sapeva che, tra le braccia del suo fratellone, tutti i mali del mondo sembravano essersi dissolti nel nulla.

Eppure, c’era ancora qualcosa che si muoveva dentro di lei, qualcosa di graffiante, che lasciava dei piccoli tagli nel suo cuore. Era una battaglia fastidiosa, infinita, sentiva come se, dentro di lei, due combattenti  si battessero per uno stesso valore, ma nessuno fosse disposto a soccombere per permettere all’altro di prendere il sopravvento, e vincere. Così, le lame dei due guerrieri s’erano incrociate, squarciando ciò che di ingenuo restava nella sua anima, lasciandola a bocca asciutta.

E quella maledette voglia che l’attanagliava, il voler sapere tutto, sapere di più, la stava divorando lentamente, a piccoli morsi amari, mentre delle fiamme ardenti facevano razzia dei suoi pensieri.

Fuoco, fuoco, fuoco.

Quelle splendide fiamme che illuminavano la sua notte, l’ultimo ricordo che s’inceneriva nella sua mente, un vento pungente che spezzava ogni scampolo di memoria.

Eppure, quelle fiamme erano ancora vive nella sua testa, così luminose e dorate che nulla avrebbe mai potuto eguagliarle. Nemmeno la luce del sole riusciva a riscaldarla come le memorie di quella sera, il suo cuore che galoppava verso un futuro diverso, lontana da tutte quelle bugie che – ne era certa – erano legate al passato.

Ma la verità – dannata –  era tornata, insospettabile, e l’orrore negli occhi fluidi di Edward si era impossessato anche di lei, quasi obbligandola a dimenticare quelle care fiamme, e la pagina di quel libro strappata anni prima.

“La verità è davvero crudele” aveva ripetuto più volte suo padre, fin da quand’era piccola, ma lei non era mai riuscita a cogliere il vero significato di quell’affermazione. Incontrava sempre gli occhi di Edward, persi in un turbine di ricordi – lo erano sempre, i suoi. E non l’avrebbe mai scordato, lo sguardo vissuto di suo padre – che pareva così doloroso, o il sorriso di Winry, di una dolcezza mista ad apprensione, o quasi... commozione? E così, la meccanica si perdeva, osservando l’automail del marito.

Ecco un altro quesito che, tra i suoi dubbi, non aveva trovato risposta.

Le avevano più volte raccontato che quella gamba sinistra Edward l’aveva persa a causa di una malattia, ma la cosa le puzzava terribilmente.

Il dolore e il dispiacere con i quali suo padre osservava quella protesi era troppo evidente per passare inosservato. O almeno, così era per lei. Si era sempre chiesta se suo fratello, così riluttante com’era verso i suoi pensieri, fosse davvero tanto ottuso da non accorgersi di nulla, o se sapesse invece qualcosa di più, magari la verità che legava il passato della sua famiglia con il mistero dell’alchimia.

-          Dan, fratellone.

-          Sì?

Bisbigliò lui, scostando alcuni capelli della sorella che, fastidiosi, si erano posati sulle sue labbra.

-          Ti va di parlare?

-          Parlare? Parlare di cosa?

-          Uhm. Per prima cosa, promettimi che non farai storie.

-          Ok, Rose. Ok. Ma ora dimmi, te ne prego.

-          Tu ricordi... quella faccenda legata... all’alchimia, vero?

Daniel arricciò le labbra, assottigliando le palpebre e distogliendo lo sguardo dall’orizzonte, posandolo in un punto non ben definito nel cielo. Strappò alcuni fili d’erba, lasciandoli poi liberi nell’aria, osservandoli sparire lontano in una macchi verdeggiante.

-          Certo.

fu la sua debole risposta, la voce rotta dal risentimento.

-          È per l’alchimia, che è iniziato tutto questo.

-          Già.

-          Già.

-          Sai, continuo a sospettare che papà ci nasconda qualcosa.

-          Lo pensavi anche quando avevi dieci anni.

-          Lo so benissimo, sapientone.

-          A quel tempo, andava tutto bene, nonostante i tuoi dubbi.

-          No, non è affatto così.

-          Sì, invece. È andato tutto bene finché non è tornato quello, ad è accaduto l’irreparabile

-          Hey, non fargliene una colpa! Lui non ha fatto proprio niente!

-          Che cosa? ma non ricordi che...?

-          Certo che me ne ricordo, che cosa credi, idiota? Diamine, Daniel! Hiroki è...

-          Uno stronzo. Un vero stronzo che non ah neanche motivo di stare al mondo.

-          No, non lo è, non lo è affatto!

-          È stato lui a rovinare il tuo rapporto con papà, se non ricordo male.

-          Stava tentando di consolarmi!

-          In quel modo?

-          Per me è stato meraviglioso! Non puoi entrare nella mia mente, Daniel!

-          Sì, s’, certo. Solamente perché avevi una cotta per lui.

Rosalie premette le mani a terra, forzando abbastanza per darsi la spinta ed alzarsi in piedi, così da allontanarsi dalla tenera presa del fratello, che in quel momento risultava essere solamente un impedimento.

Daniel scattò in piedi e afferrò saldamente il polso della biondina, che stava già tentando la fuga attraverso i prati fioriti. La strattonò forse troppo sgarbatamente verso di lui, così da poterla guardare negli occhi.

Solo allora si accorse che le iridi cobalto erano solcate da grosse lacrime, trattenute con forza, ma pronte a sciogliersi da un momento all’altro. Avvertì una fitta al cuore.

-          Rosalie...

-          Che vuoi? Perché non mi lasci andare?!

-          Perché stai piangendo, stupida?

-          Non sto piangendo! E ora lasciami!

Gridò, scoppiando in lacrime e abbandonandosi tra le braccia di Daniel, che l’accolse, sorpreso. Posò il mento sulla cima della sua testa, stringendola forte al petto.

-          Shh.

-          Avevi detto che non saresti più tornato sull’argomento. Lui non mi piace.

-          Non l’ho fatto. Perché piangi?

-          Ti ho detto che non sto piangendo!

Singhiozzò, il ragazzo roteò gli occhi.

-          Ok, Rose. Allora, perché “non stai piangendo”?

-          Idiota.

-          E siamo a due oggi.

-          Idiota.

-          Tre.

-          Devo continuare?

-          No, no ho capito. Sono un idiota.

Rosalie sorrise, e fu come se un raggio di sole le avesse illuminato il viso, facendo risplendere le sue lacrime. Daniel spostò una leggera ciocca di capelli della sorellina dietro l’orecchio, lasciando che un orecchino luccicasse sul suo lobo destro.

-          Perché non capisce?

-          È per il tuo bene.

-          Ma lui...

-          Rose. Papà ha deciso tempo fa tutto ciò. E scusami, ma condivido pienamente la sua scelta. Non giudicarmi male, ma non ho alcuna voglia di rivedere quel bastardo di Hiroki. Né ora, né mai.

La ragazza si sciolse dall’abbraccio e indietreggiò di qualche passo, posando le mani a terra e rotolando sull’erba umida. L’ultima lacrima si perse tra le gocce di rugiada. Sorrise, crogiolandosi al tiepido sole mattutino. Daniel, scombussolato dagli improvvisi sbalzi d’umore della sorella, tornò a sedersi al suolo.

-          Tu, ragazza, mi devi spiegare un paio di cose.

-          Stavo per chiederti la stessa cosa.

-          Rispondi prima a me, d’accordo?

-          Ok, ok.

-          Cos’è successo quella sera, due anni fa?

-          Non lo so, dimmelo tu. Sei tu quello che sa tutto.

-          Rosalie.

-          Ok,ti racconterò.

Affermò, sedendosi accanto a lui. Sospirò, viaggiando con la mente fino a raggiungere l’ultimo sbiadito – e bruciante – ricordo di quella notte di luna piena.

 

Rosalie camminò per la via sterrata, saltando, di tanto in tanto, le piccole pozzanghere grigiastre, ultime tracce dell’acquazzone estivo che aveva da poco inondato con le sue forti piogge l’intera regione dell’est.

Con le lacrime che premevano sugli occhi, intrisi di rabbia, s’avviò per le stradine che contornavano la sua casa, fermamente decisa a trovare la sua quercia preferita, salire su uno dei rami più alti e appollaiarsi lì, finche qualcuno – del quale lei conosceva pienamente il volto – la raggiungesse e si scusasse in ginocchio ai piedi dell’albero.

Certo, era più che sicura che Edward non si sarebbe mai scomodato per andare a raccattarla, né tantomeno per scusarsi. Molto più probabilmente, qualora si fosse stancato di stare ad aspettarla, l’avrebbe raggiunta sul ramo, caricata sulle spalle e trascinata a forza fino alla porta di casa.

E forse – forse – anche fino in camera sua, dove sicuramente avrebbe mandato Winry a parlarle e a cercare di calmarla, mentre lui sarebbe tornato ad allenarsi – chissà poi per quale motivo un uomo come lui dovesse allenarsi nelle arti marziali – tirando calci a destra e a manca, puntando alla semplice aria pura, talvolta uscendo sene con dei sonori “muaahhhhh!”.

Ma sinceramente tutto ciò a lei non importava, perché si sarebbe aggrappata saldamente a quel ramo e non sarebbe più scesa senza prima aver ricevuto delle scuse sincere, a costo di rimanere lì anche per tutta la notte.

Dopotutto, non sarebbe stata nemmeno la prima volta che dormiva fuori casa. L’aveva fatto persino la notte precedente, e la cosa, a Edward, sembrava non essere affatto andata a genio.

Avevano litigato di brutto per tutto il giorno, poi, all’improvviso, Rosalie aveva afferrato la mantellina, si era girata di spalle e aveva annunciato, spalancando la porta: <<  Adesso basta, mi hai stufata. Non sai quando è veramente ora di finirla!>> E così Edward, ferito nell’orgoglio, le aveva sbattuto la porta alle spalle, concludendo con un falsamente disinteressato: << Certo, certo, vai pure! E non tornare! >>.

A quel punto era fuggita via, pestando i piedi nell’erba secca dal sole, dirigendosi a passo spedito verso il suo piccolo angolo di paradiso.

E fu allora che, tra le foglie e i fiori colorati, notò una macchia dorata saettare via e, un secondo dopo, la schiena di suo fratello sparire tra le sterpaglie.

 

-          Che cosa?

Chiese Daniel, stupito, riferendosi al racconto della sorella. Rosalie sbuffò, spazientita, odiava essere interrotta. Lanciò uno sguardo indecifrabile al ragazzo, il quale, però, le pose un’ulteriore domanda.

-          Tu eri lì?

-          Sono arrivata in quel momento, ma non ho visto né sentito nulla. Quando mi accorsi che quella sagoma era la tua, tu eri già lontano.

-          Umph. E poi?

-          E poi... quello che successe dopo non l’ho mai dimenticato. Dietro quell’erba alta, nascosto dalla semi-oscurita del tramonto, c’era Hiroki.

 

Si voltò nuovamente, chiedendosi per quale motivo Dan stesse ancora correndo a quel modo, con lo sguardo basso, come era solito fare quand’era adirato, o peggio, deluso. Scosse la testa, superando l’ombra sottile e grigiastra della quercia, rendendosi conto che, per quanto egoista potesse sembrare, di suo fratello, in quel frangente, non le importava proprio niente.

Si aggrappò alla corteccia ruvida e scagliata, saltellando un paio di volte finché non riuscì a puntare anche i piedi, pronta così a salire. Si arrampicò abilmente e con un colpo di reni si ritrovò seduta sul ramo più spesso e robusto della pianta.

Posò la schiena al tronco, incrociando le braccia al petto, finché le ultime luci del tramonto non scomparvero definitivamente all’orizzonte. Esalò un sospiro tiepido, che si sciolse nell’aria mite dinnanzi a lei. Perché doveva essere tutto così difficile? In fondo aveva solamente optato per una nottata all’aperto. Certo, aveva passato la notte a chiacchierare con Hiroki del più e del meno, ma la cosa non le era sembrata poi così grave. D’altra parte, quello che con il tempo era diventato il suo migliore amico – o quello che era – aveva ormai quindici anni, ed era abbastanza maturo e indipendente per prendersi le proprie responsabilità e proteggerla da qualunque imprevisto.

Sicuramente, come se a Resembool ci fossero tutti questi pericoli.

Forse, però, era stato proprio quello il problema, magari suo padre aveva pensato che lei e Hiro... no, assolutamente! Che idiozia! Arrossì al solo pensiero.

 

-          Hahahahaha!

La risata sguaiata di Daniel aveva spezzato il freddo silenzio che si era creato dopo quell’affermazione, e Rosalie s’era imporporata nuovamente. Il ragazzo dagli occhi dorati s’era avvicinato al suo viso e l’aveva squadrato curiosamente.

-          Rose... ma sul serio, ti piaceva quell’idiota?

-          No, santo cielo! Non mi piace e non mi è mai piaciuto!

-          Sei credibile quanto papà che dice d’aver bevuto il latte.

-          Hahaha! Ottimo paragone, fratellone.

Ridacchiò serena, socchiudendo gli occhi.

-          Grazie.

-          Ora, se la pianti di interrompermi – e di ridere – continuerò.

-          D’accordo, d’accordo. Ma sbrigati, Rose. Comincio ad avere fame.

 

Strappò una foglia e la piazzò davanti al viso, così da poterne ammirare le venature, per poi gettarla al vento, e vederla volteggiare lontano dal suo sguardo.

Ad un tratto, sentì un lieve fruscio e un rumore secco, poi improvvisamente Hiroki comparve davanti a lei, agile e leggero come un gatto. Rosalie, colta di sorpresa, sussultò e ondeggiò, rischiando di cadere dal ramo.

Con uno scatto, Hiroki l’aveva afferrata per la schiena e l’aveva stretta a sé, comprimendola contro il suo petto.

Alla tredicenne mancò un battito. S’imporporò violentemente, mentre un calore fin troppo intenso invadeva ogni centimetro del suo corpo e un fresco aroma maschile prendeva fieramente possesso delle sue narici. Una forza a lei sconosciuta premeva sulla sua testa, come se volesse farle scoppiare le orecchie. Le mancò anche il fiato, per un istante.

Solo per un istante.

In un attimo, si ritrovò nuovamente appoggiata al tronco, la nebbia nello sguardo s’era dissolta, il cuore aveva ricominciato a battere, il respiro era tornato regolare. Nascose il viso arrossato tra i capelli luminosi come raggi di sole, boccheggiando. Cosa diavolo le era successo?

-          Hey? Terra chiama Rosalie!

Aveva esclamato Hiroki, vedendo l’amica persa nei meandri dei pensieri. Alzò lo sguardo vitreo, incontrando quello di lui, del colore dolce del cioccolato e tentennò a parlare, tentando di non arrossire nuovamente. Non era da lei essere così intimidita.

-          Rose?

La chiamò nuovamente, sventolandole una mano davanti al viso. Lei si riscosse, trovandosi faccia a faccia con Hiroki e i suoi capelli color della notte. Si morse un labbro, rendendosi conto di non aver mai amato la notte quanto in quel momento.

-          Ahm, sì. Ci sono.

-          Stai bene?

-          Oh, sì. Sì. Sto benone.

Si asciugò velocemente una lacrima che aveva rigato il suo volto qualche minuto prima, ma fu bloccata dal ragazzo che fermò la sua mano e asciugò la goccia lucente con una tenera carezza. Hiroki sorrise, specchiandosi negli occhi celesti di lei.

 

-          La cosa si fa sempre più interessante!

Scherzò nuovamente Daniel, cercando però di allontanare il fastidioso ricordo del ragazzo. Vide il volto di Rosalie farsi sempre più serio e indietreggiò meccanicamente, colto da un’infondata paura che gli faceva immaginare la sorella brandire pericolosamente una delle pesanti chiavi inglesi di Winry.

-          Ok, ok.

Si rassegnò, portando le braccia sopra la testa in segno di resa, sotto lo sguardo fiammeggiante della biondina.

-          Vai avanti, Rosalie. Non t’interromperò più.

 

Rosalie indietreggiò appena sul ramo, aderendo perfettamente con la schiena al tronco solido, spinta da una forza a lei estranea, che la attirava senza pietà verso Hiroki, ma allo stesso tempo la spingeva lontano contro la sua volontà, come una calamita che incontra una sua simile allo stesso polo.

Trovava tremendamente assurda quella situazione, così come lo era anche la complessità dissolta nei suoi pensieri. Diamine, era solo Hiroki.

-          Hey, Rose? Rose! Che ti prende?

-          Oh, oh, niente, niente. Mi hai solo colta di sorpresa. Non me l’aspettavo!

-          Fifona!

-          Hey, non iniziare una battaglia di insulti che non puoi portare a termine. Hai per caso visto mio fratello?

Hiroki si rabbuiò, improvvisamente. Distolse lo sguardo da lei, concentrandolo in quel primo lontano bagliore lunare che stava spuntando da una nuvola. Rosalie inclinò la testa di lato, studiando profondamente l’espressione – per lei indecifrabile – dell’amico d’infanzia.

Perché Hiroki non le rispondeva più? Aveva perso quel sorriso arrogante – eppure così dolce, così affascinante – ed era diventato come più... distaccato. Che avesse detto qualcosa di sbagliato?

-          No.

Disse lui, ad un tratto, con voce talmente ferma e decisa da far rabbrividire la ragazza.

-          Non l’ho visto.

Si affrettò ad aggiungere, inghiottendo un boccone che doveva essere davvero amaro, a giudicare dall’espressione enigmatica del suo viso. Velocemente, Hiroki saltò giù dal ramo, atterrando perfettamente in piedi. Allungò una mano verso Rosalie, che l’osservò senza capire.

-          Forza.

La rassicurò lui, recuperando il buon umore.

-          Vieni giù e spiegami cosa ti è successo.

-          ...cosa?

-          Fidati di me, Rosalie. Poi, ti mostrerò una cosa che adorerai sicuramente.

Rosalie afferrò la mano che il ragazzo le tendeva e si lasciò trascinare giù. Si sedettero a terra, una di fronte all’altro, mentre la luce lattea della luna piena, ormai completamente libera, delineava i loro profili, regalando loro magici riflessi argentei. La bionda raccontò tutto all’amico, a partire dalle parole di suo padre, delle scenate che erano seguite e della sua fuga. Inspiegabilmente, Hiroki parve divertito dal discorso.

-          Sono così ridicola?

-          No, no. ma tuo padre è assurdamente geloso.

-          ...eh? C-cosa?

Balbettò la ragazza, arrossendo.

-          No, non... voglio dire, non ce ne sarebbe motivo!

-          Tu dici?

-          Ehm... sì, Hiro.

-          Umph, come vuoi. Va meglio adesso?

-          Insomma. Tu che volevi mostrarmi?

-          Oh, ora vedrai. Ti piacerà, sicuramente!

Il ragazzo dai capelli corvini si alzò dal suolo facendo forza sulle braccia e girovagò nelle vicinanze, lo sguardo puntato sul prato ombroso. Ad un tratto si chinò, raccogliendo qualcosa con facilità. Velocemente, corse di nuovo verso Rosalie.

-          Un fiore?

Domandò lei, accigliata. Hiroki ridacchiò.

-          Sì, Rose. È un fiore.

-          E che dovrei farmene? È carino ma... a me i fiori non piacciono molto.

-          Tu tienilo lo stesso. Ecco, così, un po’ distante dal viso.

-          Ok, come vuoi.

Biascicò, diffidente. Inclinò la testa, scorgendo Hiroki infilarsi un paio di guanti bianchi, aderenti, segnati sul dorso da uno strano simbolo. Non l’aveva mai visto prima di quel momento, eppure quello strano cerchio le ricordava terribilmente qualcosa. Il ragazzo sorrise, tirando il guanto destro e facendolo schioccare sul polso.

-          Sei pronta, Rosalie?

Lei annuì. Un solo schiocco di dita, debole, seppur pronunciato, e dal guanto destro si liberò una piccola scossa dai riflessi celesti. I petali del fiore s’accesero improvvisamente, mentre una fiammella danzava languidamente tra le mani della ragazza, che spalancò gli occhi, incredula, trattenendo il fiato. Non era possibile, no, era impensabile. Eppure, quel fuoco sembrava così vero, così caldo. Che fosse... che fosse magia?

No, non lo era.

Tutto tornò di botto alla sua mente, come un’implacabile onda che s’infrange sullo scoglio più appuntito dell’oceano. Si rese conto, in quel momento, di conoscere perfettamente la natura di quel calore che stava scemando piano piano, gettando rossastre lingue fiammanti nell’oscurità.

-          Ma questa è... è alchimia!

 

 

 

 

 

 

 

Nuovamente, siamo alla conclusione del capitolo. Che ne pensate, allora? Qualcosa comincia a incastrarsi, e la verità sull’alchimia comincia a venire a galla.

 

Ringrazio tutte le persone che seguono la mia fanfiction e tutte quelle che hanno recensito. Siete voi che mi date l’ispirazione! Grazieee!! :D

 

Alla prossima settimana!

Baci baci

MeggyElric___

 

   
 
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