Salve salve salve a
tutti! Finalmente, oggi non ho più febbre, ma dato che ancora non sto bene, mi
tocca stare a casa... così ho deciso di mettermi al lavoro prima, ed ecco il
nuovo capitolo pronto qualche ora in anticipo!
Ci troviamo nel vero lasso di tempo in cui è ambientata la storia, ossia
nell’estate del 1938. Rosalie ha quindici anni, Daniel diciassette e le cose
sono cambiate. C’è stato un evento, nel passato, che ha cambiato completamente
le relazioni di alcuni dei personaggi. In questo capitolo, ci introduciamo un
po’ anche nel passato, grazia a un flash-back di Rose.
Ok, a questo punto vi lascio al
capitolo, che spero sia di vostro gradimento. Lasciatemi una recensione, mi
raccomando! ^^
CAP. 1: LE FIAMME DELL’OSCURITA’
Un
leggero alito di vento, talmente debole da risultare quasi dolce all’olfatto,
forse perché portatore di ricordi lontani, misti al profumo dei fiori
dell’ormai tramontata primavera. Quell’alba chiara, delicata, riflessa nel
fiume limpido che serpeggiava quieto tra le campagne, l’aria intrisa di ogni
sensazione che riportava alla mente immagini definite di frammenti di passato,
luminosi, ben lontani da quel tempo in cui la guerra aveva avvolto il paesaggio
nell’oscurità.
E
tra le foglie degli alberi, quel fruscio lieve, che ricopriva la pelle di
brividi piacevoli, portando con sé la consapevolezza che rendeva certi d’essere
veramente a casa.
Sospirò,
il suo fiato si sciolse nell’aria frizzante di quella mattina, rischiarata da
un alone di riflessi rosati. Tra il cinguettio dei passerotti,
seduta sul ramo ruvido di quell’albero accanto al quale era cresciuta, Rosalie
scrutava l’orizzonte, inseguendo un punto lontano che, probabilmente, nemmeno
lei era certa di conoscere. La brezza le mosse appena i biondissimi capelli,
facendoli volteggiare tra le foglie.
Sorrise,
accarezzando con una mano il tronco rugoso, rendendosi conto che l’estate, a
Resembool, non era mai stata così bella. Eppure, eppure, eppure, mancava
qualcosa.
Rosalie
adorava svegliarsi presto per gustarsi in pace il sorgere del sole, senza
essere costantemente disturbata dai borbottii del padre, che ancora si
rifiutava di far colazione con i cereali perché andavano immersi nel latte,
condizione che a lui proprio non andava giù.
Certe
volte, Rose avrebbe scommesso sul fatto che chiunque, vedendoli insieme,
avrebbe giudicato lei più matura, nonostante non contasse più di quindici
anni.. Probabilmente, sarebbero persino arrivati a pensare che Edward fosse il
suo sconsiderato e infantile fratello maggiore, ma sicuramente non suo padre.
Sembrava così giovane.
- Rose!
Si
voltò, un ciuffo di capelli le sfiorò il viso, accarezzando le sue labbra piene
e rosee, insinuandosi tra loro. Lo scostò con un gesto della mano, e i capelli
miele tornarono a posarsi sulla canotta viola, ricamata con una fascia in pizzo
sulla scollatura.
Assottigliano
gli occhi, riconobbe tra le foglie dell’albero la figura del fratello, che
avanzava lentamente verso di lei, con le mai affondate nelle tasche e stampata
in viso un’espressione pressoché annoiata.
- Sapevo di trovarti qui.
- Immaginavo che saresti arrivato.
- Cosa pensavi che avrei fatto quando non ti
ho trovata nel letto?
- Non lo so, una festa?
La
sua voce toccò una nota d’ironia un po’ troppo aggressiva. Daniel le rispose
con un mugugno.
- Mmh.
- Perché sei entrato in camera mia?
- Perché rispondi a una mia domanda con
un’altra domanda?
- Lo hai appena fatto anche tu, no?
- Umph.
- Forza, rispondimi.
- Eri troppo silenziosa, così sono venuto a
controllare se qualcosa non andava, avevo paura che stessi male. Ma appena sono
entrato, ho notato che la stanza era vuota, il letto rifatto.
- Sorpresa!
- Hai dormito fuori, di nuovo, Rose?
- È importante?
- Può darsi. Perché sei così scontrosa
stamattina?
Rosalie
sospirò, saltando giù dal ramo e atterrando con i piedi nudi sull’erba umida.
Gli occhi color del cielo si posarono su quelli oro del fratello,
successivamente tornarono all’orizzonte, dove ormai il sole era sorto
completamente.
- Perché mi hai disturbata.
- Sempre più acida, eh?
- Scusa, Dan. Sono solo un po’ nervosa. È
solo che... lui ha sempre da ridire su ogni cosa.
- Lui? lui chi?
- Lui, papà.
Daniel
alzò gli occhi al cielo, avanzando di un paio di passi e spostando con la mano
un ramo dispettoso che avrebbe altrimenti ostacolato il suo cammino.
- Dannazione, Rosalie. Avete litigato
ancora?
- Può darsi.
- Che hai fatto stavolta?
- Perché dovrei essere stata io a iniziare?
- Ah, chissà. Forse perché è sempre così?
- Taci, stupido. Tu eri da Yumi, - come al
solito - cosa ne vuoi sapere?
- Che c’entra nostra cugina, adesso?
- Ha. Hahaha.
Rise
la ragazza, seria, gettando i capelli di lato. Daniel la fissò irritato,
afferrando tra le mani l’orologio d’argento, tenuto fino a quel momento
affondato nella tasca posteriore dei pantaloni.
- Cugina.
Sussurrò
Rosalie, chiaramente allusiva, quasi volesse inserire tra virgolette quella
semplice parola. Il ragazzo dagli occhi d’oro finse di non capire, rimanendo
muto alla debole affermazione della sorella. Rosalie, dal canto suo, tamburellò
le dita sottili sulla coscia, ricoperta appena dai pantaloncini neri,
cortissimi. Fissò l’orologio tra le mani del fratello e si mordicchiò un
labbro, inseguendo nella sua mente le parole giuste da rivolgere. Ad
un tratto, Daniel riprese la parola.
- Perché avete litigato?
- La solita storia, Dan. La solita storia.
Daniel
abbassò il capo, gettando nuovamente in tasca l’orologio e stringendo i pugni,
sibilando tra i denti qualcosa che la ragazza non capì. Si lasciò
improvvisamente cadere a terra, atterrando sull’erba ruvida che graffiò i suoi
polsi scoperti.
La
ragazza, accigliata, lo raggiunse. Seduta accanto al fratello, lo osservava,
seguendo i lineamenti ombrosi del viso tesi in un’espressione mista tra il
rimorso e la rabbia. Istintivamente, l’abbracciò, posando il mento chiaro sulla
sua spalla, coperta da uno strato di cotone rosso.
- Che c’è?
Sbottò
Daniel, facendo slittare lo sguardo alle mani della sorellina, intrecciate al
suo collo e posate sulla spalla opposta a quella dove giaceva il suo viso.
- Scusa. Per come mi sono comportata. Mi
dispiace, sono un’idiota.
- Spiace anche a me che tu sia un’idiota.
- Sei sempre molto simpatico, sai?
Scherzò
Rosalie, sedendosi tra le sue gambe, precedentemente incrociate. Posò la
schiena al suo petto, scuotendo appena la testa per scostare alcune ciocche di
capelli dal viso. Daniel le accarezzò i fili mielati, sospirando appena e
sorridendo affettuosamente.
- Comunque, sicuramente più di te.
Ammise,
spostando il viso di lato, per poter ammirare l’orizzonte.
Rosalie
chiuse gli occhi, i quali avevano assunto la stessa fresca tonalità del cielo.
Un tepore dolciastro s’impadronì di lei, facendola sprofondare in un’oscurità
dai riflessi rosati. Stava talmente bene in quella posizione e sapeva che, tra
le braccia del suo fratellone, tutti i mali del mondo sembravano essersi
dissolti nel nulla.
Eppure,
c’era ancora qualcosa che si muoveva dentro di lei, qualcosa di graffiante, che
lasciava dei piccoli tagli nel suo cuore. Era una battaglia fastidiosa,
infinita, sentiva come se, dentro di lei, due combattenti si
battessero per uno stesso valore, ma nessuno fosse disposto a soccombere per
permettere all’altro di prendere il sopravvento, e vincere. Così, le lame dei
due guerrieri s’erano incrociate, squarciando ciò che di ingenuo restava nella
sua anima, lasciandola a bocca asciutta.
E
quella maledette voglia che l’attanagliava, il voler sapere tutto, sapere di
più, la stava divorando lentamente, a piccoli morsi amari, mentre delle fiamme
ardenti facevano razzia dei suoi pensieri.
Fuoco,
fuoco, fuoco.
Quelle
splendide fiamme che illuminavano la sua notte, l’ultimo ricordo che
s’inceneriva nella sua mente, un vento pungente che spezzava ogni scampolo di
memoria.
Eppure,
quelle fiamme erano ancora vive nella sua testa, così luminose e dorate che
nulla avrebbe mai potuto eguagliarle. Nemmeno la luce del sole riusciva a
riscaldarla come le memorie di quella sera, il suo cuore che galoppava verso un
futuro diverso, lontana da tutte quelle bugie che – ne era certa – erano legate
al passato.
Ma
la verità – dannata – era tornata, insospettabile, e l’orrore negli
occhi fluidi di Edward si era impossessato anche di lei, quasi obbligandola a
dimenticare quelle care fiamme, e la pagina di quel libro strappata anni prima.
“La
verità è davvero crudele” aveva ripetuto più volte suo padre, fin da quand’era
piccola, ma lei non era mai riuscita a cogliere il vero significato di
quell’affermazione. Incontrava sempre gli occhi di Edward, persi in un turbine
di ricordi – lo erano sempre, i suoi. E non l’avrebbe mai scordato, lo sguardo
vissuto di suo padre – che pareva così doloroso, o il sorriso di Winry, di una
dolcezza mista ad apprensione, o quasi... commozione? E così, la meccanica si
perdeva, osservando l’automail del marito.
Ecco
un altro quesito che, tra i suoi dubbi, non aveva trovato risposta.
Le
avevano più volte raccontato che quella gamba sinistra Edward l’aveva persa a
causa di una malattia, ma la cosa le puzzava terribilmente.
Il
dolore e il dispiacere con i quali suo padre osservava quella protesi era
troppo evidente per passare inosservato. O almeno, così era per lei. Si era
sempre chiesta se suo fratello, così riluttante com’era verso i suoi pensieri,
fosse davvero tanto ottuso da non accorgersi di nulla, o se sapesse invece
qualcosa di più, magari la verità che legava il passato della sua famiglia con
il mistero dell’alchimia.
- Dan, fratellone.
- Sì?
Bisbigliò
lui, scostando alcuni capelli della sorella che, fastidiosi, si erano posati
sulle sue labbra.
- Ti va di parlare?
- Parlare? Parlare di cosa?
- Uhm. Per prima cosa, promettimi che non
farai storie.
- Ok, Rose. Ok. Ma ora dimmi, te ne prego.
- Tu ricordi... quella faccenda legata...
all’alchimia, vero?
Daniel
arricciò le labbra, assottigliando le palpebre e distogliendo lo sguardo
dall’orizzonte, posandolo in un punto non ben definito nel cielo. Strappò
alcuni fili d’erba, lasciandoli poi liberi nell’aria, osservandoli sparire
lontano in una macchi verdeggiante.
- Certo.
fu
la sua debole risposta, la voce rotta dal risentimento.
- È per l’alchimia, che è iniziato tutto
questo.
- Già.
- Già.
- Sai, continuo a sospettare che papà ci
nasconda qualcosa.
- Lo pensavi anche quando avevi dieci anni.
- Lo so benissimo, sapientone.
- A quel tempo, andava tutto bene,
nonostante i tuoi dubbi.
- No, non è affatto così.
- Sì, invece. È andato tutto bene finché non
è tornato quello, ad è accaduto l’irreparabile
- Hey, non fargliene una colpa! Lui non ha
fatto proprio niente!
- Che cosa? ma non ricordi che...?
- Certo che me ne ricordo, che cosa credi,
idiota? Diamine, Daniel! Hiroki è...
- Uno stronzo. Un vero stronzo che non ah
neanche motivo di stare al mondo.
- No, non lo è, non lo è affatto!
- È stato lui a rovinare il tuo rapporto con
papà, se non ricordo male.
- Stava tentando di consolarmi!
- In quel modo?
- Per me è stato meraviglioso! Non puoi
entrare nella mia mente, Daniel!
- Sì, s’, certo. Solamente perché avevi una
cotta per lui.
Rosalie
premette le mani a terra, forzando abbastanza per darsi la spinta ed alzarsi in
piedi, così da allontanarsi dalla tenera presa del fratello, che in quel
momento risultava essere solamente un impedimento.
Daniel
scattò in piedi e afferrò saldamente il polso della biondina, che stava già
tentando la fuga attraverso i prati fioriti. La strattonò forse troppo
sgarbatamente verso di lui, così da poterla guardare negli occhi.
Solo
allora si accorse che le iridi cobalto erano solcate da grosse lacrime,
trattenute con forza, ma pronte a sciogliersi da un momento all’altro. Avvertì
una fitta al cuore.
- Rosalie...
- Che vuoi? Perché non mi lasci andare?!
- Perché stai piangendo, stupida?
- Non sto piangendo! E ora lasciami!
Gridò,
scoppiando in lacrime e abbandonandosi tra le braccia di Daniel, che l’accolse,
sorpreso. Posò il mento sulla cima della sua testa, stringendola forte al
petto.
- Shh.
- Avevi detto che non saresti più tornato
sull’argomento. Lui non mi piace.
- Non l’ho fatto. Perché piangi?
- Ti ho detto che non sto piangendo!
Singhiozzò,
il ragazzo roteò gli occhi.
- Ok, Rose. Allora, perché “non stai
piangendo”?
- Idiota.
- E siamo a due oggi.
- Idiota.
- Tre.
- Devo continuare?
- No, no ho capito. Sono un idiota.
Rosalie
sorrise, e fu come se un raggio di sole le avesse illuminato il viso, facendo
risplendere le sue lacrime. Daniel spostò una leggera ciocca di capelli della
sorellina dietro l’orecchio, lasciando che un orecchino luccicasse sul suo lobo
destro.
- Perché non capisce?
- È per il tuo bene.
- Ma lui...
- Rose. Papà ha deciso tempo fa tutto ciò. E
scusami, ma condivido pienamente la sua scelta. Non giudicarmi male, ma non ho
alcuna voglia di rivedere quel bastardo di Hiroki. Né ora, né mai.
La
ragazza si sciolse dall’abbraccio e indietreggiò di qualche passo, posando le
mani a terra e rotolando sull’erba umida. L’ultima lacrima si perse tra le
gocce di rugiada. Sorrise, crogiolandosi al tiepido sole mattutino. Daniel,
scombussolato dagli improvvisi sbalzi d’umore della sorella, tornò a sedersi al
suolo.
- Tu, ragazza, mi devi spiegare un paio di
cose.
- Stavo per chiederti la stessa cosa.
- Rispondi prima a me, d’accordo?
- Ok, ok.
- Cos’è successo quella sera, due anni fa?
- Non lo so, dimmelo tu. Sei tu quello che
sa tutto.
- Rosalie.
- Ok,ti racconterò.
Affermò,
sedendosi accanto a lui. Sospirò, viaggiando con la mente fino a raggiungere
l’ultimo sbiadito – e bruciante – ricordo di quella notte di luna piena.
Rosalie
camminò per la via sterrata, saltando, di tanto in tanto, le piccole
pozzanghere grigiastre, ultime tracce dell’acquazzone estivo che aveva da poco
inondato con le sue forti piogge l’intera regione dell’est.
Con
le lacrime che premevano sugli occhi, intrisi di rabbia, s’avviò per le
stradine che contornavano la sua casa, fermamente decisa a trovare la sua
quercia preferita, salire su uno dei rami più alti e appollaiarsi lì, finche qualcuno –
del quale lei conosceva pienamente il volto – la raggiungesse e si scusasse in
ginocchio ai piedi dell’albero.
Certo,
era più che sicura che Edward non si sarebbe mai scomodato per andare a
raccattarla, né tantomeno per scusarsi. Molto più probabilmente, qualora si
fosse stancato di stare ad aspettarla, l’avrebbe raggiunta sul ramo, caricata
sulle spalle e trascinata a forza fino alla porta di casa.
E
forse – forse – anche fino in camera sua, dove sicuramente avrebbe mandato
Winry a parlarle e a cercare di calmarla, mentre lui sarebbe tornato ad
allenarsi – chissà poi per quale motivo un uomo come lui dovesse allenarsi
nelle arti marziali – tirando calci a destra e a manca, puntando alla semplice
aria pura, talvolta uscendo sene con dei sonori “muaahhhhh!”.
Ma
sinceramente tutto ciò a lei non importava, perché si sarebbe aggrappata
saldamente a quel ramo e non sarebbe più scesa senza prima aver ricevuto delle
scuse sincere, a costo di rimanere lì anche per tutta la notte.
Dopotutto,
non sarebbe stata nemmeno la prima volta che dormiva fuori casa. L’aveva fatto
persino la notte precedente, e la cosa, a Edward, sembrava non essere affatto
andata a genio.
Avevano
litigato di brutto per tutto il giorno, poi, all’improvviso, Rosalie aveva
afferrato la mantellina, si era girata di spalle e aveva annunciato,
spalancando la porta: << Adesso basta, mi hai stufata. Non sai quando è veramente ora di finirla!>> E così Edward, ferito
nell’orgoglio, le aveva sbattuto la porta alle spalle, concludendo con un
falsamente disinteressato: << Certo, certo, vai
pure! E non tornare! >>.
A
quel punto era fuggita via, pestando i piedi nell’erba secca dal sole,
dirigendosi a passo spedito verso il suo piccolo angolo di paradiso.
E
fu allora che, tra le foglie e i fiori colorati, notò una macchia dorata
saettare via e, un secondo dopo, la schiena di suo fratello sparire tra le
sterpaglie.
- Che cosa?
Chiese
Daniel, stupito, riferendosi al racconto della sorella. Rosalie sbuffò,
spazientita, odiava essere interrotta. Lanciò uno sguardo indecifrabile al
ragazzo, il quale, però, le pose un’ulteriore domanda.
- Tu eri lì?
- Sono arrivata in quel momento, ma non ho
visto né sentito nulla. Quando mi accorsi che quella sagoma era la tua, tu eri
già lontano.
- Umph. E poi?
- E poi... quello che successe dopo non l’ho
mai dimenticato. Dietro quell’erba alta, nascosto dalla semi-oscurita del
tramonto, c’era Hiroki.
Si
voltò nuovamente, chiedendosi per quale motivo Dan stesse ancora correndo a
quel modo, con lo sguardo basso, come era solito fare quand’era adirato, o
peggio, deluso. Scosse la testa, superando l’ombra sottile e grigiastra della
quercia, rendendosi conto che, per quanto egoista potesse sembrare, di suo
fratello, in quel frangente, non le importava proprio niente.
Si
aggrappò alla corteccia ruvida e scagliata, saltellando un paio di volte finché
non riuscì a puntare anche i piedi, pronta così a salire. Si arrampicò
abilmente e con un colpo di reni si ritrovò seduta sul ramo più spesso e
robusto della pianta.
Posò
la schiena al tronco, incrociando le braccia al petto, finché le ultime luci
del tramonto non scomparvero definitivamente all’orizzonte. Esalò un sospiro
tiepido, che si sciolse nell’aria mite dinnanzi a lei. Perché doveva essere
tutto così difficile? In fondo aveva solamente optato per una nottata
all’aperto. Certo, aveva passato la notte a chiacchierare con Hiroki del più e
del meno, ma la cosa non le era sembrata poi così grave. D’altra parte, quello
che con il tempo era diventato il suo migliore amico – o quello che era – aveva
ormai quindici anni, ed era abbastanza maturo e indipendente per prendersi le
proprie responsabilità e proteggerla da qualunque imprevisto.
Sicuramente,
come se a Resembool ci fossero tutti questi pericoli.
Forse,
però, era stato proprio quello il problema, magari suo padre aveva pensato che
lei e Hiro... no, assolutamente! Che idiozia! Arrossì al solo pensiero.
- Hahahahaha!
La
risata sguaiata di Daniel aveva spezzato il freddo silenzio che si era creato
dopo quell’affermazione, e Rosalie s’era imporporata nuovamente. Il ragazzo
dagli occhi dorati s’era avvicinato al suo viso e l’aveva squadrato
curiosamente.
- Rose... ma sul serio, ti piaceva
quell’idiota?
- No, santo cielo! Non mi piace e non mi è
mai piaciuto!
- Sei credibile quanto papà che dice d’aver
bevuto il latte.
- Hahaha! Ottimo paragone, fratellone.
Ridacchiò
serena, socchiudendo gli occhi.
- Grazie.
- Ora, se la pianti di interrompermi – e di
ridere – continuerò.
- D’accordo, d’accordo. Ma sbrigati, Rose.
Comincio ad avere fame.
Strappò
una foglia e la piazzò davanti al viso, così da poterne ammirare le venature,
per poi gettarla al vento, e vederla volteggiare lontano dal suo sguardo.
Ad
un tratto, sentì un lieve fruscio e un rumore secco, poi improvvisamente Hiroki
comparve davanti a lei, agile e leggero come un gatto. Rosalie, colta di
sorpresa, sussultò e ondeggiò, rischiando di cadere dal ramo.
Con
uno scatto, Hiroki l’aveva afferrata per la schiena e l’aveva stretta a sé,
comprimendola contro il suo petto.
Alla
tredicenne mancò un battito. S’imporporò violentemente, mentre un calore fin
troppo intenso invadeva ogni centimetro del suo corpo e un fresco aroma
maschile prendeva fieramente possesso delle sue narici. Una forza a lei
sconosciuta premeva sulla sua testa, come se volesse farle scoppiare le
orecchie. Le mancò anche il fiato, per un istante.
Solo
per un istante.
In
un attimo, si ritrovò nuovamente appoggiata al tronco, la nebbia nello sguardo
s’era dissolta, il cuore aveva ricominciato a battere, il respiro era tornato
regolare. Nascose il viso arrossato tra i capelli luminosi come raggi di sole,
boccheggiando. Cosa diavolo le era successo?
- Hey? Terra chiama Rosalie!
Aveva
esclamato Hiroki, vedendo l’amica persa nei meandri dei pensieri. Alzò lo
sguardo vitreo, incontrando quello di lui, del colore dolce del cioccolato e
tentennò a parlare, tentando di non arrossire nuovamente. Non era da lei essere
così intimidita.
- Rose?
La
chiamò nuovamente, sventolandole una mano davanti al viso. Lei si riscosse,
trovandosi faccia a faccia con Hiroki e i suoi capelli color della notte. Si
morse un labbro, rendendosi conto di non aver mai amato la notte quanto in quel
momento.
- Ahm, sì. Ci sono.
- Stai bene?
- Oh, sì. Sì. Sto benone.
Si
asciugò velocemente una lacrima che aveva rigato il suo volto qualche minuto
prima, ma fu bloccata dal ragazzo che fermò la sua mano e asciugò la goccia
lucente con una tenera carezza. Hiroki sorrise, specchiandosi negli occhi
celesti di lei.
- La cosa si fa sempre più interessante!
Scherzò
nuovamente Daniel, cercando però di allontanare il fastidioso ricordo del
ragazzo. Vide il volto di Rosalie farsi sempre più serio e indietreggiò
meccanicamente, colto da un’infondata paura che gli faceva immaginare la
sorella brandire pericolosamente una delle pesanti chiavi inglesi di Winry.
- Ok, ok.
Si
rassegnò, portando le braccia sopra la testa in segno di resa, sotto lo sguardo
fiammeggiante della biondina.
- Vai avanti, Rosalie. Non t’interromperò
più.
Rosalie
indietreggiò appena sul ramo, aderendo perfettamente con la schiena al tronco
solido, spinta da una forza a lei estranea, che la attirava senza pietà verso
Hiroki, ma allo stesso tempo la spingeva lontano contro la sua volontà, come
una calamita che incontra una sua simile allo stesso polo.
Trovava
tremendamente assurda quella situazione, così come lo era anche la complessità
dissolta nei suoi pensieri. Diamine, era solo Hiroki.
- Hey, Rose? Rose! Che ti prende?
- Oh, oh, niente, niente. Mi hai solo colta
di sorpresa. Non me l’aspettavo!
- Fifona!
- Hey, non iniziare una battaglia di
insulti che non puoi portare a termine. Hai per caso visto mio fratello?
Hiroki
si rabbuiò, improvvisamente. Distolse lo sguardo da lei, concentrandolo in quel
primo lontano bagliore lunare che stava spuntando da una nuvola. Rosalie
inclinò la testa di lato, studiando profondamente l’espressione – per lei
indecifrabile – dell’amico d’infanzia.
Perché
Hiroki non le rispondeva più? Aveva perso quel sorriso arrogante – eppure così
dolce, così affascinante – ed era diventato come più... distaccato. Che avesse
detto qualcosa di sbagliato?
- No.
Disse
lui, ad un tratto, con voce talmente ferma e decisa da far rabbrividire la
ragazza.
- Non l’ho visto.
Si
affrettò ad aggiungere, inghiottendo un boccone che doveva essere davvero
amaro, a giudicare dall’espressione enigmatica del suo viso. Velocemente,
Hiroki saltò giù dal ramo, atterrando perfettamente in piedi. Allungò una mano
verso Rosalie, che l’osservò senza capire.
- Forza.
La
rassicurò lui, recuperando il buon umore.
- Vieni giù e spiegami cosa ti è successo.
- ...cosa?
- Fidati di me, Rosalie. Poi, ti mostrerò
una cosa che adorerai sicuramente.
Rosalie
afferrò la mano che il ragazzo le tendeva e si lasciò trascinare giù. Si
sedettero a terra, una di fronte all’altro, mentre la luce lattea della luna
piena, ormai completamente libera, delineava i loro profili, regalando loro
magici riflessi argentei. La bionda raccontò tutto all’amico, a partire dalle
parole di suo padre, delle scenate che erano seguite e della sua fuga.
Inspiegabilmente, Hiroki parve divertito dal discorso.
- Sono così ridicola?
- No, no. ma tuo padre è assurdamente
geloso.
- ...eh? C-cosa?
Balbettò
la ragazza, arrossendo.
- No, non... voglio dire, non ce ne
sarebbe motivo!
- Tu dici?
- Ehm... sì, Hiro.
- Umph, come vuoi. Va meglio adesso?
- Insomma. Tu che volevi mostrarmi?
- Oh, ora vedrai. Ti piacerà, sicuramente!
Il
ragazzo dai capelli corvini si alzò dal suolo facendo forza sulle braccia e
girovagò nelle vicinanze, lo sguardo puntato sul prato ombroso. Ad un tratto si
chinò, raccogliendo qualcosa con facilità. Velocemente, corse di nuovo verso
Rosalie.
- Un fiore?
Domandò
lei, accigliata. Hiroki ridacchiò.
- Sì, Rose. È un fiore.
- E che dovrei farmene? È carino ma... a
me i fiori non piacciono molto.
- Tu tienilo lo stesso. Ecco, così, un po’
distante dal viso.
- Ok, come vuoi.
Biascicò,
diffidente. Inclinò la testa, scorgendo Hiroki infilarsi un paio di guanti
bianchi, aderenti, segnati sul dorso da uno strano simbolo. Non l’aveva mai
visto prima di quel momento, eppure quello strano cerchio le ricordava
terribilmente qualcosa. Il ragazzo sorrise, tirando il guanto destro e
facendolo schioccare sul polso.
- Sei pronta, Rosalie?
Lei
annuì. Un solo schiocco di dita, debole, seppur pronunciato, e dal guanto
destro si liberò una piccola scossa dai riflessi celesti. I petali del fiore
s’accesero improvvisamente, mentre una fiammella danzava languidamente tra le
mani della ragazza, che spalancò gli occhi, incredula, trattenendo il fiato.
Non era possibile, no, era impensabile. Eppure, quel fuoco sembrava così vero,
così caldo. Che fosse... che fosse magia?
No,
non lo era.
Tutto
tornò di botto alla sua mente, come un’implacabile onda che s’infrange sullo
scoglio più appuntito dell’oceano. Si rese conto, in quel momento, di conoscere
perfettamente la natura di quel calore che stava scemando piano piano,
gettando rossastre lingue fiammanti nell’oscurità.
- Ma questa è... è alchimia!
Nuovamente,
siamo alla conclusione del capitolo. Che ne pensate, allora? Qualcosa comincia
a incastrarsi, e la verità sull’alchimia comincia a venire a galla.
Ringrazio
tutte le persone che seguono la mia fanfiction e tutte quelle che hanno
recensito. Siete voi che mi date l’ispirazione! Grazieee!!
:D
Alla
prossima settimana!
Baci baci
MeggyElric___