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Autore: saraviktoria    04/04/2011    0 recensioni
ok.. ormai per molti sono una mente malata, ma ho ritrovato questa storia che avevo iniziato quando andavo ancora a scuola, e adesso ho intenzione di finirla... una ragazza lasciata dal fidanzato spenderà tutte le sue energie per dimenticarlo e diventata più grande si trasferirà in America. lì conoscerà un bellissimo attore che le cambierà la vita....
ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno la storia e chi vorrà lasciarmi un piccolo commento, giusto per sapere cosa ne pensano
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jackson Rathbone, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prendo i bagagli dal nastro e mi guardo intorno. Sapevo che papà non sarebbe potuto venire a prendermi e mi aveva detto di prendere l’1 / o forse il 3 … non mi ricordo!! Mi avvicino al banco informazioni .                        “scusi, sa quale autobus devo prendere per Cles?” la signora mi guarda male, come se avessi parlato arabo “ehm … Cles … C-L-E-S …” e allora sembra capire. Si scusa un autobus fermo al di là del vetro. Ringrazio e mi affretto a salire.                                                                                              Controllando la cartina mi accorgo dovrò sopportare ancora più di due ore di impervie stradine di montagna. Arrivata a Cles mi avevano detto di chiedere per casa Kiel, ma me ne ricordo solo dopo aver girato venti minuti. Un’anziana signora mi indica un viale.                                                        “ … in fondo c’è un grande cancello, non si può sbagliare” sorride mentre mi allontano. Mi manca già la cadenza di casa, liquida e scorrevole senza ‘c’. Qui hanno tutti delle voci dure , spigolose.                                                                 Mi incammino , ma quando intravedo il cancello penso di aver bisogno di una sistemata. Vedo un bar sulla sinistra. Entro e ordino un caffè, poi vado in bagno e mi guardo allo specchio: sembro uno zombie. E nella fretta di fare bella figura prendo terra e matita dal beauty e …. Bum! La scatoletta della terra rovina per terra rompendosi e sparpagliando il contenuto dappertutto! Alzo gli occhi al cielo e raccolgo la plastica. Esco e torno sui miei passi. Arrivo davanti all’entrata e suono al citofono.
 “chi è?” chiede una donna.
 “ehm …” rispondo indecisa “sono Laure Kiel. C’è Stephan?” per tutta risposta il cancello si apre e vedo un ragazzo venirmi in contro correndo. Quando si avvicina lo osservo meglio: è alto e biondo, avrà su per giù la mia età. Tende la mano.
“sono Konradin Kraun Kiel  … KKK … e tu devi essere Laure ” gli stringo la mano cercando di sorridere. Poi mi fa segno di seguirlo e mi aiuta a portare i bagagli. Entriamo nel parco …
se si chiama Kiel dev’essere mio fratello, fratellastro per lo meno … e perché Kraun? Sarà il nome della moglie  di papà?
“saranno tutti contenti di averti a casa”  dice Konradin interrompendo i miei pensieri. Rimango un attimo interdetta
 “tutti chi, scusa?” chiedo. Qualcuno poteva anche prendersi la briga di dirmelo.
“che cosa sai?” chiede di rimando, preoccupato. Quando ammetto di non sapere praticamente niente, mi fa sedere su una panchina.
“allora … partiamo dall’inizio … mia mamma Rose e Stephan si sono sposati dodici anni fa. Io avevo cinque anni e ho preso anche il cognome del nuovo marito della mamma. Perciò non siamo fratelli di sangue” mi guarda contento. Per me non fa differenza
“nel frattempo sono nati due gemelli, Christian e Nathan e una bambina, che ora ha tre anni e si chiama Jolanda. Ah, e i gemelli hanno dieci anni” prosegue.
“cos’altro mi sono persa?”
“nient’altro credo. Ma dovresti chiedere a Stephan quando torna ”  “perché, dov’è?”
 “al lavoro, e dove se no? È un imprenditore, non lo sapevi?” annuisco e penso a cose più pratiche
“dove andate a scuola? Credo di aver girato praticamente tutto il paese, ma di scuole non ne ho viste”
“le scuole sono a valle. La piccola non va ancora a scuola, i gemelli sono all’ultimo anno delle elementari e io sono iscritto alla quarta liceo scientifico. Tu dove andavi a scuola? ”
“anche io alla scientifico. Potrei farmi mettere in classe con te, così almeno conoscerò qualcuno …” si alza e arriviamo a casa.
È una grande villa in mezzo a un parco, bianca con delle colonne ottocentesche. E ci sono anche i cavalli. Appena entrati ci viene incontro una giovane signora, seguita da una bambina trotterellante.
“cara, che bello averti qui. Io sono Rose.  Vieni …” lascio lì le valigie e la seguo. Mi porta a vedere tutta la casa. Al secondo piano apre la porta dell’ultima stanza
”e questa è la tua camera, spero ti piaccia” entro e lei se ne va.
Hanno già portato su le valigie, inizio a sistemare le mie cose. Sul fondo della valigia c’è l’album delle fotografie: io da piccola, le foto di classe delle elementari, le gite. In una delle ultime ci sei tu con la penna fra i denti, chino su un libro di scuola. Chiudo di scatto l’album, ci appoggio sopra la testa e inizio a piangere.
 Non la sento arrivare, ma ad un tratto mi trovo accanto la bimba mora di prima
“io sono Jolanda. Tu sei Laure ?  e perché piangi? Non vuoi stare qua?” mi asciugo le lacrime, la guardo e faccio un respiro profondo
“allora … si, io sono Laure. Poi … piango perché … perché sono contenta di essere qui. Sai che ho sempre desiderato avere una sorella più piccola?  ” lei ride e si allontana. Sospiro.
 “spero ci sia cascata”
“lei ti ha creduto, perché è piccola. Ma con me dovrai trovare una scusa più convincente”
“papà! ” gli salto addosso e lo abbraccio. Dopotutto fa parte della famiglia. E ora piango, ma di felicità. Non mi ricordavo di volergli così bene.
“ehi, ferma, se no mi metto a piangere anch’io. Come sta Solange?e Mark?  ” mi siedo e rispondo. Gli dico del nuovo lavoro da ricercatrice della mamma, di Mark che sta dando gli esami di ingegneria all’università per la seconda laurea, delle mie compagne di classe …
 “e allora cosa ci fai qui?” chiede ad un tratto papà. Mi ritrovo a parlargli di te. Di come ci siamo conosciuti, di quando ci siamo messi insieme alla festa di Jasmine, dei nostri cinque anni assieme …  e di come è finito tutto.
“capisco, ma non ti devi abbattere. Anch’io avevo riposto tutte le mie speranze nella storia con tua madre e non è andata come pensavo. Ma ho trovato la forza di mettere tutto da parte e ricominciare. E poi ho trovato Rose. Tu sei giovane ha quindici , no … sedici anni … ”
“diciassette, papà”
“ah, si giusto. Diciassette anni e tutto il diritto di rifarti una vita”
“per questo sono qui: per ricominciare. Ma adesso basta parlare di me. Raccontami qualcosa di te e della tua famiglia. Perché non ci hai mai detto niente? Konradin mi ha detto qualcosa e ho conosciuto la piccola Jolanda, ma …”
“ferma, Laure. Una domanda alla volta: Konradin mi ha detto che eri curiosa, ma non pensavo così tanto … comunque non vi abbiamo detto niente perché non sapevo come avreste preso l’idea di avere quattro fratelli. Poi la ‘piccola’ Jolanda si arrabbierà molto se la chiami così. È testarda e cocciuta come tuo fratello Mark”
 “e gli altri?”
 “Nathan e Christian sono due pesti, non passa un giorno senza che me ne combinino una. Meno male che c’è Konradin, è il più tranquillo ed è rimasto incantato da te … difficile non esserlo d’altronde …” bene, ora ho elementi sufficienti, manca solo una cosa
 “papà, mi devi iscrivere a scuola”
 “certo … classico?” prova senza troppa convinzione. Deve imparare a conoscermi, così come io dovrò conoscere lui e la sua nuova famiglia “quarta scientifico, come Konradin” lo correggo scuotendo la testa, poi ricomincio a sistemare i vestiti nell’armadio.
 “ah, un’altra cosa a cui dovrai abituarti … qui abbiamo i camerieri, perciò se vedi in giro qualcuno non ti spaventare. Ok?” annuisco e lui se ne va. Ma l’avvertimento di papà non è servito a molto. La mattina seguente sento la voce di una donna che mi chiama
“signorina Kiel, sveglia. È ora di andare a scuola”. Abituata a sentire il cellulare suonare alle sette, ci manca poco che mi metto a urlare. Spalanco gli occhi. Mi ricordo dove sono e , fatto il mio quadro mentale, mi alzo. Saluto la signora che è venuta a svegliarmi, lei sorride e se ne va. Tolgo il pigiama e mi sciacquo la faccia. Poi, in piedi davanti allo specchio, penso a cosa mettere. Dopo varie prove  opto per una camicia bianca, jeans e scarpe da tennis. Trucco leggero e zaino sulle spalle.
 Se sono riuscita a sopportare tutti gli snob di Firenze, qui non avrò problemi.  Scendo le scale e per poco non mi scontro con Konradin “scusa, stavo venendo a chiamarti. Sei pronta?” secondo te? Non glielo dice, mi limito a sorridere
“ehm … scusa, Konradin, ma come arriviamo a scuola?”
“beh, Stephan ha detto che hai il patentino per il 125, sa che ti piacciono le moto, e che questa è tua …” mi lancia un mazzo di chiavi. Risalta una chiave con l’impugnatura di plastica, la chiave di una moto.
 E infatti in garage c’è una Yamaha nera che mi aspetta.
“abbiamo preso anche questo ” mi porge un giubbotto
“ … ma dove vivi? Pensavi di andare a scuola così?” dice quando chiedo il perché di un giaccone così pesante. Metto il casco
“io devo passare da un amico a prendere un libro, devi andare da sola. Segui il viale fino alla piazza, poi prendi la tangenziale. Esci alla prima e segui per il centro, poi per le scuole. Il liceo è un edificio bianco e nuovo. Chiedi per la 4°. Non ti puoi sbagliare. Ah, attenta: hai le gomme da neve, ma a valle ci sarà un po’ di ghiaccio a cui non sei abituata. Vai piano” sale in moto e parte. Ripasso le istruzioni poi salgo anch’io e metto in moto. Esco dal cancello già aperto e percorro il viale. Passo davanti al bar e al piccolo negozio di alimentari. Vedo il cartello verde della tangenziale e giro a destra. Entrata sulla statale vedo la prima uscita dopo pochi chilometri e metto la freccia. Dopo l’uscita mi aspettavo come minimo un po’ di traffico, gente che va al lavoro in macchina nervosa. E invece niente. Solo una vecchia auto che se andasse un po’ più lenta andrebbe all’indietro e che supero senza problemi. C’è ghiaccio dappertutto, ma le gomme hanno una buona tenuta e non slitto. Seguo il cartello che indica le scuole, superando anche un asilo e un istituto professionale. Finalmente trovo l’edificio che mi ha descritto Konradin. Vedo un cancello aperto da cui entra un’altra moto e la seguo. Non mi accorgo però di due ragazzi che portano a mano i loro scooter a causa del ghiaccio. Li sento parlare quando gli passo davanti
“quello è matto. Vuole farsi male?” dice uno dei due. Sorrido sotto il casco e alzo una mano in segno di scusa, poi scendo lungo la rampa.
C’è una specie di cortile piastrellato con tutte le moto, e anche qualche auto. Cerco un posto e parcheggio. Metto catena e blocco, poi tolgo il casco.  Vedo i due ragazzi di prima chini sui loro motorini.
 Mi avvicino
 “scusate per prima, non vi avevo visto” alzano lo sguardo e mi squadrano. Dio che nervi quando i ragazzi fanno così, neanche fosse la prima ragazza che vedono! Uno sorride, l’altro è rimasto a bocca aperta. “no, scusa tu se eravamo in mezzo alla strada” dice il primo, più veloce.  L’altro si riprende e chiude la bocca
 “Marco” allunga la mano
 “Laure, piacere” gliela stringo
 “io sono Lorenzo”  si affretta a dire l’amico “bella moto” aggiunge. “grazie, sapete per caso dove posso trovare la 4 A ?” si illuminano
“certo, è la nostra classe. Vieni ” mi indicano una porta che sinceramente non avevo notato. La aprono e Marco rimane davanti al vetro.
Tira su i capelli appiattiti dal casco, poi sorride e mi fa segno precederlo. Saliamo le scale e arriviamo in un lungo corridoio, poi davanti a una classe con la porta aperta. Da dentro si sente rumore di chiacchiere.
Faccio un respiro profondo ed entro.
Sto ricominciando da capo e di te non mi importa niente.
No, non è vero, ma è comunque un buon inizio.
Subito mi intercetta Konradin. Chiede silenzio .
“lei è Laure Kiel, la nostra nuova compagna di classe” qualcuno mormora un saluto e due ragazze mi si avvicinano.
 “siamo Elisa e Stefania, piacere” stringo la mano a entrambe e iniziano a parlare. Dei ragazzi e delle ragazze, dei professori e delle lezioni. A quanto pare Konradin è uno dei più ‘ambiti’. Che idiozia. Come se i ragazzi fossero dei trofei.
 “ma tu e Konradin avete lo stesso cognome, siete parenti?” chiede ad un tratto Stefania.
 “fratellastri. Mio padre ha sposato sua madre” rispondo evitando la domanda successiva. Per fortuna arriva il prof, che mette fine a quella deprimente conversazione.
Entro in classe e mi avvicino alla cattedra, mentre l’insegnante prende il registro. Mi schiarisco la voce e lui alza la testa. Mi guarda sorpreso
 “e tu chi sei?” la classe ride e io vorrei sparire.
 Qui e subito. Sprofondare nel pavimento. E invece prendo coraggio e rispondo
“mi chiamo Laure Kiel, sono una nuova studentessa” gli altri studenti mormorano. Forse si stanno facendo la stessa domanda delle ragazze. Konradin risponde a qualcuno e la voce gira. 
Ma il professore è rimasto con la penna sospesa per aria, un po’ scettico “come hai detto che ti chiami?”
 “ehm … Laure Kiel, perché?”
 “e come lo scrivo?” chiede preoccupato.
A questo punto vorrei ridere anch’io, ma non rispondo. Mi limito a fare lo spelling. Scrive sotto la mia dettature, ignorando la classe che ride. Guardo Konradin e lui scuote la testa. Poi il prof mi manda a sedere, vicino a un ragazzo sconosciuto
“Mauro” si presenta con un cenno della testa.
“Laure, piacere di conoscerti”. Poi inizia la lezione. Scopro che l’insegnante non è molto sveglio. Sbaglia di continuo e si inceppa nei suoi stessi discorsi. Gli studenti lo correggono e ridono, ma si parla dei giochi di quando eravamo piccoli e nonostante tutto ascolto volentieri. A un certo punto mi vengono in mente i pomeriggi delle elementari, i nostri divertimenti, e alzo la  mano. Aspetto che Elisa finisca di parlare e chiedo la parola
“si, signorina ….?”
 “Kiel” suggerisce qualcuno
“ah, giusto, signorina Kiel, voleva dire qualcosa?”
“si, grazie. Mi sono appena ricordata di un gioco che facevamo da piccoli, non so se conoscete …” ma il resto della frase si perde fra le risate dei miei nuovi compagni di classe. Cos’ho fatto?guardo Konradin: non ride, anzi sembra piuttosto seccato. E con lui altri quattro o cinque ragazzi. Poi qualcuno si alza in piedi, in risposta alla sguardo stupito del prof
“non ha sentito la signorina Kiel? Si rihordava di un gioho …  ” e solo allora capisco. Che ho sbagliato tutto. Non sarei mai dovuta andare via da Firenze, non avrei mai dovuto iscrivermi a questa stupida scuola, in questo stupido paesino …
Mi alzo e con le lacrime agli occhi esco dalla classe. Corro senza neanche sapere dove sto andando. Trovo un angolo nascosto e mi siedo. Chiudo gli occhi, mi nascondo. Da tutti. Da tutti. Perché non mi integrerò mai, sarò sempre la ‘fiorentina’ , quella che parla senza ‘c’. suona la campanella, dev’essere intervallo. Sento movimento, mi passano davanti ragazzi e ragazze, poi sento una voce familiare. La voce si avvicina e Konradin e i suoi amici si fermano poco distante da dove mi trovo.
“inaudito! Non possono trattarla così!” dice qualcuno
“non possono dici, Marco? E allora perché lo stanno già facendo?” risponde Konradin.
“non ha una cadenza forte, è solo che quei deficienti dei nostri compagni non si divertono se non fanno stare male le persone, lo sai anche tu. Non aiuta il fatto che sia tua sorella … ma potremmo parlarne con i rappresentanti … ” risponde un altro.
 “no potremmo un bel niente, non hai visto che ridevano anche loro? Possiamo solo aspettare. Prima o poi si stancheranno” ribatte Marco “e Tonio ha ragione, il fatto che sia tua sorella non aiuta … quelli che ce l’hanno ancora con noi per la soffiata dell’anno scorso hanno trovato il modo di vendicarsi”
 “e cosa potevamo fare? Aspettare che qualcuno si facesse male? Lo sai anche tu che non volevamo metterli nei guai, ma le cose gli stavano sfuggendo di mano … ” interviene Konradin
“questo lo so io e lo sai tu. Ma gli altri? Quelli che non credevano che con quei petardi potevano ammazzare qualcuno? Per loro siamo solo spie” risponde una quarta voce.
“le spie più rispettate di tutto il liceo? Diciamo solo che te la volevano far pagare, quando parli tu tutti ti seguono, hai carisma e a qualcuno non sarà andato giù qualche torto … scommetto quello che vuoi che c’è dietro anche Rosini …” si allontanano.
Ma ormai ho deciso. Non parlo più, facile.
“e se ti chiedono qualcosa? Che fai, stai zitta?” si arrabbia papà. Quando siamo tornati da scuola è rimasto ad ascoltare il resoconto di Konradin e  la mia decisione.
“Stephan ha ragione” interviene Konradin “non dico che non abbia le tue ragioni, ma non puoi risolvere tutto così. Vedrai che ti lasceranno stare”
 
 
   
 
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