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Autore: Oscar_    06/04/2011    3 recensioni
Un lieve tramestio mi distrasse dall'osservare la foto, portando lo sguardo alle mie spalle. Ciò che vidi mi tormenta ancora oggi: C'era un ragazzo, seduto sulle rimanenze di ciò che era stato uno splendido letto a baldacchino con fregi dorati, che osservava il suolo come se ci fosse qualcosa d'estremamente interessante adagiato su di esso. Il suo sguardo era spento, la sua espressione assorta e sembrava perso in problemi lontani, troppo lontani perché io potessi coglierli.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Can’t do anymore

 
 
 
 
 
 
 




1.Shh, the noise could kill us
 
 
 
 
 
 
 


Il silenzio è ancora opprimente come quei giorni lontani, giorni che avrebbero dovuto portarmi fortuna e nuovi avvenimenti gioiosi, ma che mi portarono solamente a capire come ci si dovesse sentire centoquaranta anni fa.
La mia vita si è sempre svolta in un unico luogo, sperduto e amico solo di sé stesso, un piccolo paese lontano da tutto e tutti.
Il ricordo di quelle giornate passate a immaginare un presente diverso da quella monotonia, che adesso si è realizzato, ma come futuro, mi riportano alla mente milioni d’esempi su come io tentassi di passare il tempo. Creavo ricordi dove non ve n’erano, cercavo il mistero dove era tutto chiaro, e vedevo l’oscurità dovunque vi fosse luce. Avevo l’anima corrotta, diceva sempre il prete; ma io non mi sentivo affatto corrotto, anzi, mi sentivo più pulito di tutti gli altri abitanti, anche perché ero l’unico giovane di appena sedici anni presente in mezzo a quella masnada di adulti. Più piccolo di me c’era solo l’ultimo erede del casato reale Crystalline, rimasto orfano alla tenera età di sei anni; oramai ne aveva dodici, ma il tempo non cancella le tragedie, soleva dire mia madre. Infatti lei non ha mai superato la sua ossessione per i luoghi alti e ripidi ed è cascata da uno di quelli. Non ne parlo con freddezza, ma non è di lei che narrerò, fatevene una ragione.
Questa storia non è su un mio familiare, nemmeno su un mio conoscente, perché la verità è che non l’ho mai conosciuto davvero in tutto quel tempo, lui era sfuggente di natura.
Cominciò tutto perché col mio spirito d’avventura decisi d’avventurarmi alla tetra, e per nulla invitante, esplorazione d’una villa abbandonata. Essendo il mio paesino molto piccolo, non c’erano molti luoghi misteriosi o sinistri, e sulla villa di Rain Street aleggiavano abbastanza leggende di secondo ordine.
Nel tardo pomeriggio che chiudeva il mese di marzo, decisi di andare a conoscere la casa e a verificare le storielle sul suo conto. Armato di torcia e coraggio m’incamminai sul sentiero boschivo che mi avrebbe accompagnato fin laggiù. Era un luogo isolato e sempre in penombra, oscurato da pini e abeti in quantità, che non lasciavano filtrare nemmeno un caldo raggio solare. Mi maledissi per non aver preso una giacca più pesante.
L’ingresso principale era coperto di rampicanti e detriti vari, e sull’uscio giaceva un tappeto abbandonato che recava la scritta “Welcome here” a caratteri marroni che un tempo molto addietro erano stati bordeaux. Le finestre erano buie e non si scorgeva nulla dell’interno della casa. Decisi di cercare un secondo ingresso e mi misi a camminare attorno alla villa, rendendomi conto di quanto fosse grande. Un tempo doveva essere stata veramente molto bella, prima di cadere in rovina in quel modo patetico. In fondo avrebbero benissimo potuto ristrutturarla un poco per farla tornare al suo splendore originale.
Mentre ragionavo su come si potesse ridipingere la facciata anteriore mi sentii osservato. Mi bloccai in mezzo alle frasche e rimasi in ascolto d’eventuali rumori che confermassero la mia impressione. Nulla. Solo il dolce canto dei merli sui rami dei pini. Scossi la testa e sospirai.
Finalmente trovai una seconda porticina, forse l’ingresso di servizio, spalancata sull’oscurità totale. Accesi la torcia e la proiettai all’interno del ristretto ingresso, che sembrava costruito per far passare solo un bambino: dentro notai dei fili di ragnatele sospesi nel vuoto e un lieve strato di polvere che svolazzava nell’aria. Mi addentrai facendo scricchiolare le assi umidicce del pavimento. La cosa che mi stupì maggiormente all’interno della casa fu che benché ci fossero molte finestre, da nessuna di essa filtrasse un minimo di luce, come se davanti ad ognuna vi fosse qualcosa o qualcuno. Mi avvicinai al centro di quella che intuii fosse la cucina e cercai una porta o un accesso ad altre stanze del luogo. Un ingresso altrettanto ristretto come la porticina di poco prima mi avrebbe portato a delle scale che salivano al primo piano. Le imboccai titubante e salii i gradini cercando di non inciampare, erano davvero piccoli. Mi sembrava d’essere in una casa delle bambole.
Arrivai al pianerottolo del primo piano e mi guardai attorno con la luce della torcia: un largo corridoio zeppo di porte si apriva davanti a me. Scelsi la terza del lato sinistro e cercai d’aprire la porta, che sembrava bloccata. “Io e le mie scelte perfette...” Pensai sbuffando e dando delle lievi spinte al legno marcio della porta provando a forzarla inutilmente. Dopo qualche secondo mi resi conto che una chiave era inserita nella serratura e maledissi la mia superficialità. Girai la chiave ed udii uno scatto, subito dopo la porta si spalancò rivelandomi una stanza molto grande priva di mobili se non per i resti d’un letto e un comodino sfasciato. Ciò che notai subito fu che al muro, risaltante sull’intonaco scrostato, c’era una grossa chiazza nera, come se qualcuno vi avesse gettato un secchio di pittura. Mi avvicinai al letto e notai sopra di esso un piccolo quadratino nero coi bordi bianchi: una fotografia. Era una di quelle scattate da una Polaroid. Ma perché era nera? Mi balenò un’idea assurda alla mente: Prima di rendersi limpide gli ci voleva qualche secondo. Sì, in effetti sembrava appena scattata da una macchina invisibile. Puntai la torcia attorno a me non notando niente e allora sbuffai, continuando ad osservare la foto come se da un momento all’altro potesse apparire un’immagine. Ed in effetti qualcosa apparve dopo un po’: L’immagine raffigurava me, con la torcia puntata al muro, sulla chiazza nera. Rabbrividii. Chi accidenti mi aveva fotografato?
Un lieve tramestio mi distrasse dall'osservare la foto, portando lo sguardo alle mie spalle. Ciò che vidi mi tormenta ancora oggi: C'era un ragazzo, seduto sulle rimanenze di ciò che era stato uno splendido letto a baldacchino con fregi dorati, che osservava il suolo come se ci fosse qualcosa d'estremamente interessante adagiato su di esso. Il suo sguardo era spento, la sua espressione assorta e sembrava perso in problemi lontani, troppo lontani perché io potessi coglierli.  Indietreggiai spaventato, non osando puntare la torcia sulla figura.
- C-chi sei...? - Mormorai terrorizzato, mentre la luce della torcia iniziò a tremare come la mia mano. La figura alzò gli occhi su di me, quegli occhi mi trafissero con un tale gelo che mi mancò l’aria. Erano occhi tristissimi, privi di speranza o gioia. Mi sentii abbattuto da quello sguardo. Mi chiesi perché non avevo notato prima quel ragazzo. Perché non c’era. Ricordavo chiaramente d’essere entrato nella camera ed averla osservata a fondo senza notare fonte di vita alcuna a parte me. Mi avvicinai lentamente al giovane, mentre egli continuava a trapassarmi con quegli occhi taglienti e gelidi. Quando gli fui abbastanza vicino ripetei la domanda.
- Chi sei? - Al secondo tentativo cercai d’essere più calmo senza evidente successo, perché lo sguardo non mutò nemmeno un poco. Ma una mano mi si posò sulle labbra e la figura si alzò con uno scatto, avvicinando le sue labbra al mio orecchio e sussurrandomi:
- Shh, il rumore potrebbe ucciderci. - Non capii il senso di quella frase misteriosa, ma rimasi in silenzio, raggelato dalla voce fine e melodiosa del giovane.
Poco dopo scansò la mano dalle mie labbra e si allontanò di poco per potermi guardare negli occhi. Il gelo di poco prima s’era sciolto, mostrando uno sguardo sognante e vispo.
- Mi chiamo Vincent. - Disse muovendo appena le labbra perché potessi udirlo il minimo indispensabile. - E lei sarebbe? -
- Carl... Mi chiamo Carl... - Mormorai intimorito da quella figura così autoritaria eppure così apparentemente sola.
- Cosa ci fa qui, Carl? - Aveva degli occhi dorati molto intensi, che risaltavano nella penombra della casa, rischiarata appena dalla fioca luce della torcia, in quel momento puntata anche al suolo.
- Io... Stavo esplorando la casa... - Optai per dirgli la verità, non avrei saputo proprio mentire in quel momento.
- Privo d’invito? -
- Come? -
- Non è stato invitato ufficialmente, vero? -
- Ehm... Io... Non sapevo che la villa fosse abitata dopo tutto questo tempo... - Il ragazzo rise candidamente, la sua risata aveva qualcosa di luminoso, che mi rischiarò il cuore.
- Ovviamente era una burla, figurarsi se questa dimora è ancora abitata! Io sono solo un inutile spirito, d'altronde... - Rivelò guardandomi coi suoi occhi dorati, sorridendo.
- Ah... Beh... Cosa?? - Credevo agli spiriti, ma non credevo potessero essere tali e quali agli umani, senza mutare nemmeno il colore della pelle o la consistenza.
- Proprio così. Uno stupido spirito. Una rimanenza della vita. Una burla del tempo. Uno spettro inutile quanto rivoltante. - Pronunciò quei termini con tale disprezzo che mi fece rabbrividire e cancellare il sottile velo di tranquillità creatosi poco prima.
- Non penso debba parlare così di sé... -
- Debba? - Rise nuovamente. - Non darmi del ‘lei’, sono morto in fondo... -
- Ah. Vincent, non credo dovresti odiarti in questo modo. -
- E perché no? Preferivo finire all’inferno che “vivere” così. -
Rimasi in silenzio, schiacciato dal peso delle affermazioni di quel ragazzo. Sembrava così giovane, eppure aveva già sperimentato, e stava ancora sperimentando, la vita ultraterrena. Non provai pena, ma compassione.
- Vincent... Ma come sei morto? - Mi guardò di nuovo freddamente.
- Sai che pormi questo quesito è come chiedere ad una donna la sua età? – Disse con tono scocciato. Sgranai gli occhi.
- Oh, perdonami... Non lo sapevo... – Abbassai lo sguardo mordendomi un labbro.
- Bah, visto che non lo sapevi allora te lo dirò. – Sorrise. Era più lunatico del vecchio Kevin. Bastava dirgli una parola sui suoi vestiti per farlo infuriare, mentre per farlo ridere di gusto bisognava ripetergli il nome di qualche suo figlio emigrato in America. A volte era divertente.
- Mi hanno ucciso. Mi ha ucciso una persona che per me era molto importante. Mi ha ucciso nel 1871. Mi ha ucciso perché mi amava. E non poteva avermi. – Mi domandai chi potesse essere una donna tanto spietata. – Eh già... Il caro Michael. – Rimasi impietrito. Capii il perché di quell’omicidio.  Nel 1800 gli omosessuali erano trattati senza riguardi, venivano condannati ad anni di prigione e lavori forzati, all’ergastolo o persino alla pena di morte. Basti pensare al mio mito, Oscar Wilde.
Mi portai una mano alle labbra e scrutai il giovane davanti a me. Si vedeva che aveva sofferto molto. Essere ucciso dalla persona che si ama doveva essere stato veramente terribile, specialmente se subito dopo si era diventati uno spirito.
- Scusa... Non avrei dovuto chiederlo... - Mormorai mordendomi un labbro. Il ragazzo alzò le spalle.
- Come avresti fatto a saperlo? – Sorrise in modo malinconico sedendosi sul letto ed accarezzandone le lenzuola.
- Speravo sempre che avrebbe potuto amarmi su queste stesse lenzuola un giorno... Ed invece... – La sua voce si ridusse ad un sussurro incomprensibile quindi decisi di non tentare di capire meglio ciò che stava dicendo. Mi sedetti sul pavimento umido giocherellando con la luce della torcia. Di tanto in tanto lanciavo uno sguardo fugace alla figura seduta sul letto, ma non provavo a distoglierlo dai suoi pensieri.
Ciò che ancora non sapevo era che presto tutti quegli avvenimenti avrebbero preso una brutta piega, e sarei finito davvero in un baratro oscuro, un baratro senza via d’uscita, profondo quanto il mare, impetuoso come gli uragani. Qualcosa d’estremamente più grande di me.

 
 
 - Fine primo capitolo -



Ehilà! Ritorno a farmi sentire ;) spero sia di vostro gradimento, se vi va di incoraggiarmi un po' con un commento magari aggiorno prima ^^ Poi la scelta è vostra, se preferite aggiungerla o semplicemente leggerla, come volete :D
Grazie per aver letto, sono contenta :)



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