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Autore: Furiarossa    08/04/2011    0 recensioni
-Ventunesimo secolo- Ogni Era ha i suoi eroi. “Tutt’intorno a noi accadono le cose straordinarie … … Noi abbiamo la chiave per vederle”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cammino delle leggende'
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Capitolo 7

Anche oltre la Morte, il Male vive 

 

“Non è morto ciò che può vivere in eterno

E in strani eoni perfino la morte può morire”

Abdul Alhazred

 

Il drago spalancò le ali con il rumore di due tele cerate sbattute contro il vento e si librò in aria in un turbine di polvere e foglioline secche per alzarsi sempre più su, fino a scomparire fra le nuvole grigie e blu, anche lui simile ad una strana nuvola appena più scura delle altre.

Non ci mise molto, appena qualche secondo, ed era straordinario vedere come un corpo così pesante, corazzato di squame impenetrabili, potesse librarsi nell’aria con quella leggerezza apparentemente anormale.

La cosa bella di un drago è proprio questa: può sparire facilmente, anche se non si può certo dire che simili bestioni non lascino traccia. Il terreno era disseminato di artigliate e compresso nella forma di orme gigantesche laddove le zampe l’avevano pressato.

Mark avanzò furtivo fino alla sorgente del suono, sotto le chiome dei pini, con tutti i sensi all’erta, poiché a volte le cose non sono ciò che sembrano, e lui lo sapeva bene.

Un ululato, improvviso, squarciò la sera. Bong! Un altro sparo secco, da fucile.

Mark, si lanciò di corsa, caricando come un toro a testa bassa

«Nero!».

Non fece in tempo a capire quanto accadeva che qualcuno lo urtò lateralmente e gli bloccò le braccia lungo il corpo, stringendolo forte con le proprie. Con uno sforzo irrilevante il grosso americano si liberò e buttò a terra chi aveva osato tentare di fargli del male, con scarsi esiti, e poi lo osservò incuriosito.

Sul terriccio chiaro, rantolante, c’era un omiciattolo banale, occhi di un bruno banale, capelli di un castano scuro banale, fisico banalmente pieno di grasso: insomma un essere non degno di nota che doveva aver passato la propria vita in un modo non degno di nota.

Tremava di fronte all’enorme Mark, evidentemente colto di sorpresa dall’aspetto terrificante del suo avversario 

«Pietà, signore!Non ho fatto nulla!» gemette, deglutendo «Non cerchiamo guai, ve lo giuro!Anzi, ce ne andremo appena potremo, subito, appena mi alzo» si mise in ginocchio con difficoltà «Ecco…mi sto alzando!Niente rancore, eh!» si alzò in piedi con la ciccia che traballava destra e a manca, un orrendo budino flaccido «Ora me ne vado»

«Che cosa ci fai nelle mie terre?Dove sono i tuoi compagni?» domandò Mark, cupo, posando lo sguardo con ferocia sul corpo insignificante del bracconiere

«Mio signore, siamo qui perché per sbaglio ci siamo inoltrati troppo e abbiamo perso l’orientamento»

«Non m’incanti» le sopracciglia del gigante divennero minacciosamente oblique «Stai mentendo. Non devi farlo con me» avanzò velocemente, con un solo passo lungo, e afferrò l’omiciattolo per il bavero della giacca da caccia verde militare, sollevandolo da terra «Che sei venuto a fare nelle mie terre?».

Il volto grasso e flaccido del bracconiere s’illuminò di un’improvvisa scintilla

«Vuoi saperlo?» squittì in modo diabolico «Io sono qui per..» guardò in alto e sorrise facendo comparire due file di regolari dentini gialli ed esalò «Ucciderti».

Mark buttò di nuovo a terra il bracconiere, con violenza, e guardò in avanti.

Qualcosa sfrecciò verso di lui, due mani fredde gli strinsero i lati della testa e lo spinsero, sdraiandolo bruscamente, poi la cosa si dileguò dietro di lui, nel bosco.

L’omiciattolo rise tenendosi la pancia con le manine. Altri due cacciatori vestiti di verde scuro spuntarono da dietro gli alberi con i fucili in braccio. Uno di loro era inverosimilmente pallido e bello, con un mento affilato e piccole mani bianche, capelli lunghi di un biondo platinato quasi niveo. Aveva lineamenti regolari, perfetti, di quelli che si possono scorgere solo guardando opere come il David di Michelangelo, ma il suo volto era segnato poco sotto gli occhi da due aloni scuri, violacei.

Mark si rialzò con uno scatto fulmineo e balzò verso il trio, fermandosi a un soffio da loro

«Dov’è Nero?» ringhiò minaccioso «Dov’è l’uomo lupo?»

«Che t’importa di dove sia quella bestia?» sibilò gelido il bracconiere chiarissimo, senza scomporsi, senza agitarsi, senza apparentemente provare alcun genere di emozione «Che t’importa se fra poco sarai morto?»

«Morto?E tu credi di potermi uccidere?»

«Non da solo» il bel volto del cacciatore s’increspò improvvisamente in un’espressione di satanica gioia, terribilmente stridente con l’indifferenza alta e distaccata che fino ad ora aveva dominato il suo viso bellissimo «Gli immortali sono qui per te».

Gli immortali sono qui per te.

Ci fu un rumore sibilante di vento che sferzò la terra e un urlo acuto risuonò nella sera che avanzava.

Mark si voltò pronto a colpire e ciò che vide non gli piacque, ma neppure lo spaventò, sebbene fosse la prima volta che affrontava in prima persona una simile entità: un vampiro.

Il demone della notte era già in quello stadio in cui il suo corpo non era umano, bensì simile a quello di un enorme pipistrello grigio e biancastro, con due grandi membrane che spuntavano dal dorso piegato in avanti e glabre, tese fra listelli d’osso come quelle dei draghi, ma più corte ed in proporzione larghe.

Le fauci, spaventose e piatte, si aprirono in un urlo inumano e stridente, facendo rilucere i canini mostruosi di un macabro riflesso rosso sanguigno.

Non era quel genere di vampiro che tutti conoscono, il non morto pallido e affascinante che seduce le sue prede prima di salassarle, un Vampiro Minore, ma tutt’altro genere di creatura: Mark li conosceva come Vampiri Maggiori, quelli che erano maledetti. Come Dracula, come Nospheratu, un essere capace di mutare forma, enorme pipistrello demoniaco dalle zanne affilate e l’odore di cadavere che gli aleggiava tutto intorno. 

Mark si tolse il guanto, strappandolo via più rapidamente che poté, e distese la mano destra. Una scintilla gli illuminò il braccio a partire dalla spalla, una scossa elettrice di un colore cupo, che esplose dal palmo in un globo nero grande poco più di un pallone.

La sfera di energia tagliò l’aria con un sibilo e colpì il vampiro in pieno petto, scaraventandolo a terra e spellandogli il petto, con un botto che avrebbe potuto essere prodotto da una mina antiuomo, fra schizzi purpurei e densi.

I tre bracconieri ammutolirono e s’irrigidirono quando Mark si voltò verso di loro

«Ed ora a voi … » mormorò il gigante, giocherellando sadicamente con un’altra sfera nera e lucida, il volto increspato da un sorriso che sembrava quello del demonio, la scintilla dei forti denti bianchi appena visibile attraverso lo spiraglio delle labbra.

L’omiciattolo fuggì urlando, ma gli altri due rimasero paralizzati a guardarlo con le bocche semiaperte e i muscoli paralizzati.

Mark ordinò loro di consegnargli i fucili, ma prima che potesse prendere le armi si sentì colpire da dietro e sbatté contro il tronco di un albero, graffiandosi la guancia destra e una mano con le schegge di legno che gli penetrarono nella carne.

Girò indietro, incurante del sangue che gli offuscava la vista gocciolandogli lentamente nell’occhio destro, e colpì il vampiro sul naso con un pugno, rompendoglielo in un’orgia di schizzi scarlatti, poi lo colpì con una ginocchiata allo stomaco e lo spinse a terra. Sollevò la mano, che s’illuminò di un grigio scuro, ma debolmente pulsante di sfumature pallide, e la portò sulla faccia del demone notturno.

Fumo biancastro si sollevò dalla pelle del vampiro insieme ad un odore di fritto ed uno sfrigolare di carne corrosa, mentre il mostro urlava di dolore contorcendosi a terra, i muscoli che si muovevano sotto la pelle come serpenti in un sacco.

Bang.

Il bracconiere pallido aveva sollevato il fucile e aveva fatto fuoco senza pietà.

Mark si tenne la spalla sanguinante con la mano destra, premendo indice e medio sul foro, e si allontanò.

Bang. Stavolta il proiettile si conficcò nella carne della coscia sinistra di Mark, nella parte più vicina al ginocchio. Il ferito cadde contro un albero e scivolò in basso appoggiato al tronco duro e rugoso del grosso pino, continuando a tenere le dita premute sulla ferita sanguinante.

Il Vampiro Maggiore si alzò fra le risate dei suoi collaboratori e si passò le orrende mani sul volto sfigurato e quando le scostò le bruciature erano sparite, il ghignò feroce era ricomparso sulle labbra nivee e fredde come ghiaccio, presto mosse a comporre gelide parole

«Cosa pensavi di fare?» disse, alzando il mento in un gesto sprezzante «Misero mortale, come potevi credere di farmi fuori? Io sono eterno come le fiamme dell’inferno, ma gelato è il mio cuore! Non avrò compassione per la tua vita, né tantomeno comprendo perché mi abbiano inviato ad eliminare un poveraccio come te … un uomo, un umano e null’altro!» scoppiò in una risata nitida e sadica «Un uomo! Misera carne e misere ossa, pelle senz’armi, strati fragili di muscoli senza artigli né zanne. Dimmi tu perché dovresti essere così potente?» il vampiro saltò e prese fra le lunghe dita bianche dalle unghie ricurve la grossa testa di Mark, graffiandogli la fronte «Perché?».

Il grosso umano non rispose, perso nel nulla.

Il vampiro sollevò la sua preda, sbattendolo contro l’albero con impazienza, e lo guardò con i suoi occhi dalle iridi cremisi e luminose venate di nero

«Perché dovresti essere pericoloso?» ripeté, irritante e deluso, inclinando la testa e mostrando il collo pallido dalle vene azzurrine, la pelle increspata di tendini asciutti e forti «Perché devo darti la caccia? Svelami il tuo segreto!».

Mark iniziò a tremare e chinò il capo sul petto.

«Tremi, eh misero mortale!» Ruggì l’orrido non-morto, spalancando le ali in un gesto di trionfo.

Solo dopo si accorse che quel tremore non era sintomo di paura, ma di qualcosa di infinitamente più terribile che stava sorgendo, come un piccolo sole pronto a bruciarlo.

«No!» spalancò la bocca, pronto a succhiare il sangue di quello che fino ad ora aveva creduto essere un umano: doveva uccidere in fretta prima che la situazione si fosse complicata. E si sarebbe complicata di sicuro.

Mark iniziò a ridere piano, in modo inquietante, a labbra serrate. Il vampiro fece saettare in avanti i canini, guidati da una lunga esperienza in fatto di ricerche di giugulari, ma una mano robusta lo bloccò alla gola e lo allontanò di poco, lentamente eppure con decisione, in un movimento pieno di potere.

Mark rialzò la testa e lo osservò. I suoi occhi erano divenuti bianchi, lievemente infossati, luminescenti di un bagliore di morte e di quella follia che fa credere ciecamente nel detto “tutto è possibile!”, che fa scavalcare ogni limite.

«Vuoi sapere perché temermi, vampiro?» Sussurrò piano, in modo che solo il nemico potesse sentirlo «Per questo».

Con uno sforzo quasi nullo scaraventò la demoniaca creatura alata a terra, poi proseguì a parlare con una voce che si trasformava gradualmente in un roco latrato

«Consumerò lentamente le tue forze, fino a che non potrai più rigenerarti, strapperò brano a brano pezzi del tuo corpo, godendo dello scorrere del tuo sangue maledetto» inspirò producendo un rumore basso e lungo simile all’ansito di una belva feroce che dorme «Vedrò te consumarti nel dolore, maggiormente tu che sei immortale, e poi ucciderò anche la tua vita eterna. No, non la tua vita … non illuderti. Distruggerò la tua eterna morte, ti porterò alla polvere, a ciò che eri … Avrò il tuo cuore, vampiro».

Il bracconiere pallido e bello si fece avanti scoprendo inquietanti canini lucenti e ali argentate spuntarono dalla sua schiena. Un altro vampiro, grosso e orrendo, si fece avanti nel buio, quasi fosforescente.

Il terzo cacciatore, percependo che i guai stavano per arrivare e la propria stessa inutilità, se la diede a gambe più in fretta che poté, chiedendosi perché mai un povero umano come lui fosse invischiato in quella faccenda sovrannaturale.

Mark si mise ben saldo sulle gambe, i proiettili che lo avevano colpito rotolarono fuori, espulsi dal corpo, e i fori sanguinanti si richiusero lasciando solo piccole cicatrici bianche. Nessuno può sparare agli arti di un licantropo senza usare proiettili d’argento e sperare che i suoi colpi sortiscano qualche effetto sulla bestia.

Il primo vampiro, sbattendo forte le ali, si appollaiò sul ramo enorme di un pino, a quattro zampe e curvo in avanti, mentre l’altro immortale notturno sibilò scoprendo le zanne fino alle gengive.

Mark rimase immobile come una statua di granito, teso, il volto duro dalla mascella contratta. Una rabbia senza età, antica come il mondo, lo invase bruscamente e lo rese più forte, più temibile di quanto già non fosse. Aveva fame, eppure, con la pazienza tipica del predatore, attendeva che fossero le sue prede a fare il primo passo.

Due immortali contro un licantropo che non aveva neppure raggiunto il suo primo plenilunio …

I due vampiri, con sincronizzazione perfetta, spalancarono le ali ed urlarono in quel loro modo acuto e stridulo sovrannaturale, che faceva rizzare i peli e contorcere le viscere dall’orrore.

Saltarono in avanti e strisciarono veloci sul terreno aiutandosi con le liste d’osso che tendevano le chiare membrane, simili ad enormi pipistrelli che si trascinavano come feriti, ma indubbiamente troppo veloci per esserlo.

Mark si chinò in avanti e si preparò a balzare. Le sue mani si contraevano e si rilassavano esercitandosi con impazienza. Ancora qualche istante e quelle mani si sarebbero immerse nel sangue.

Dal folto comparve una quarta figura, un quarto combattente dal profilo oscuro e slanciato, possente, ma che zoppicava vistosamente pendendo da un lato.

I due vampiri osservarono con diffidenza il nuovo arrivo e lo identificarono facilmente come un uomo lupo, un nemico da fronteggiare in più.

Mark sogghignò e canini un pò più affilati del solito fecero capolino da quell’espressione truce, in mezzo alle labbra leggermente tese

«Nero» disse piano, in un soffio di minaccia e cospirazione «Ti unisci a noi?».

Un ruggito canino sancì lo scontro: due contro due.

Ma era comunque uno scontro impari. Due Vampiri Maggiori sono potenti, di sicuro molto di più di un licantropo nero ancora zoppicante per le torture ed un uomo lupo che non ha ancora passato il suo primo plenilunio. E lo sapevano tutti.

Ma Mark aveva un’arma in più, da richiamare a se …  un’arma che neppure gli immortali immaginavano..

I vampiri avanzarono finché la terra non tremò e una vampa rossa illuminò il cielo oltre le chiome degli alberi di fuoco, seguita da una sagoma nera e lucente dalle grandi ali traslucide che coprì ogni luce con la sua massa vibrante.

Ogni cosa parve mescolarsi nel terrore, la notte vorticò di denti e muscoli.

Fuoco.

Sangue irrigò il terreno, che bevve avido come una bestia di dimensioni inimmaginabili.

Il cielo notturno fu presto pieno di altre innumerevoli ali grigie di creature demoniache, un esercito intero di Vampiri Maggiori giunse richiamato dall’antico istinto della guerra e del dolore che è loro sovrano.

«Venite, fratelli, venite!» Urlò uno di loro, ancora in forma umana aprendo le braccia pallide contro il cielo nero, l’espressione di esaltata ferocia dipinta sul volto ebbro di pazzo piacere «Venite! Sorgete dal vostro sonno, ridestatevi e volate! Che non rimanga alcun umano su questa terra, né il lupo a contrastarci! Si alzi la musica dei gemiti e delle grida, si veda il sangue schizzare macchiando i nostri ed i loro petti!» proruppe in una risata alta, di quelle che si potrebbero definire sataniche, mentre lo stormo dei suoi simili lo superava scendendo verso la battaglia, poi distese  la lunga mano in avanti come per raccogliere tutte le terre con un sol gesto «Figli del buio, sorgete su questa terra maledetta, spargete il sonno eterno al vostro passaggio».

Colui che aveva urlato doveva essere un Signore Grigio, perché nonostante avesse assunto la forma umana, che si stagliava all’orizzonte su una collinetta sopraelevata, la sua pelle non era diafana e vellutata come quella di tutti i vampiri, ma di un grigio polveroso che faceva pensare a una superficie rivestita di velluto.

“I Signori Grigi sono irritanti, hanno un sacco di manie di grandezza”fu quello che pensava Shadow mentre sollevava la testa e ruggiva impennandosi, mentre fiamme di un rosso brillante scaturivano dalle sue letali fauci

«Non giocate con me!Non si scherza!» urlò rauco, con ira, ritornando su quattro zampe con un tonfo che scosse la terra, poi anche lui rise e seguitò spedito a parlare «Dimenticate forse qual antica stirpe fronteggiate?» ringhiò, in un crescendo di straripante rabbia, e con la fierezza di un vero drago gonfiò il petto «Tanto meschini siete da rischiare così senza ideali il vostro misero surrogato di vita? Tornerete nella terra da cui siete venuti, come cenere, e su di voi pianterò l’albero del pane e la quercia».

“L’albero del pane” ragionò Shadow “Però, proprio una bella pianta … mi vengono bene le allusioni”

Ci fu un istante di quiete, illusoria e sottile.

Mark era immobile con le mani premute contro la gola di un grosso vampiro a terra, Nero, ferito e sanguinante, ansimava gonfiando il gozzo di aria, inginocchiato e piegato in avanti con le labbra nere intrise di spuma cremisi che colava sulla gola lentamente, a rivoli.

Tutti si guardarono, fugaci.

Poi la tempesta: un crescere metallico di corpi che si abbattevano gli uni contro gli altri, di fiamme e di tuoni, di dorsi inchinati alla luna, prostrati per colpire o per morire, e su di loro tutti un gigante nero ed alato, Shadow, troneggiava furioso sparando fuoco dalle fauci e colpendo forte con la coda, dilaniando con gli artigli dorati che ben presto divennero di un rosso fluido e macabro.

I vampiri si difesero e attaccarono meglio che poterono, ma qualunque scontro con un drago può concludersi in un solo modo…

L’indomani mattina i primi raggi dorati del Sole illuminarono un bosco intriso di sangue.

Dell’esercito dei demoni più antichi, i vampiri, rimaneva qualche mucchio d cenere grigia e pozze rosse nelle concavità del terreno chiaro.

Una gigantesca creatura nera si stagliava contro il cielo color pesca, le potenti zampe in appiombo perfetto e la testa rivolta a oriente, le ali chiuse e aderenti lungo il corpo slanciato e il torace che si alzava e si abbassava nel respiro.

Il drago ruggì al Sole in segno di saluto e come ringraziamento, la gola vibrante nell’emissione di quel suono profondo, poi si abbassò e guardò quasi con dolcezza due creature addormentate.

Una era Nero: l’uomo lupo sonnecchiava sbuffando raggomitolato con il muso allungato sotto l’avambraccio peloso, le zampe posteriori quasi completamente distese. Poco più in là c’era Mark, assopito con la schiena contro un albero, sporco di sangue e con le braccia abbandonate contro il legno e i palmi a terra.

Shadow lo toccò con il muso sul petto

«Sveglia, signore del buio!» lo esortò allegro, dimenando la gigantesca coda come un cane.

L’uomo gli afferrò fulmineamente il corno dorato sul naso e scattò in piedi

«Che battaglia!» commentò, con negli occhi verdi l’ebbrezza dello scontro «E quando ci capita più? Peccato sia durata poco»

«Ma allora sei proprio un masochista! Volevi durasse di più? A voi bipedi non vi capisco proprio … Non ti sei preso abbastanza colpi ieri sera?»

«Direi che non se ne ha mai abbastanza da correggersi»

«Tu non sei Mark!» Shadow girò intorno al Dragoniere e lo osservò per bene «Il corpo sembra il suo… molto simile direi, sembra che lo hai preso al museo delle cere di Londra… dove hai messo il mio malinconico e saggio umano? Dove lo hai relegato?»

«Da nessuna parte» Mark si spostò lentamente e ringhiò con il suo vocione da basso «Sono sempre io Shad…è solo che ogni tanto riemerge il lupo»

«Anche prima a volte riemergeva il cosiddetto lupo» rettificò il drago, facendo sporgere un po’ in fuori il labbro inferiore «Ma non eri mica tanto desideroso di farti male… »

«Hai ragione. Allora diciamo che a riemergere non è il lupo, ma l’uomo lupo»

«Così va meglio. Wooo!Ti sei quasi trasformato stanotte. Non sembravi tu».

Rimasero per un istante in silenzio, poi videro qualcuno venire verso di loro. Era Harry, che si guardava intorno inorridito scavalcando con cautela le pozze di sangue

«Mark! Che è successo qui? Oh, mio Dio!» il giovane impallidì indicando l’uomo lupo a terra che dormiva «Che ci fa qui quello?»

«Non preoccuparti Harry» rispose Shadow, gioviale, aumentando l’ampiezza dei semicerchi che descriveva lentamente con l’enorme coda «Ci ha aiutati nella guerra»

«Guerra? Che storia è questa? E il fatto che vi abbia fiancheggiati in un incontro non significa affatto che per noi non è pericoloso, ma solo che abbiamo dei nemici in comune»

«Ti sbagli» intervenne Mark, con la solita mesta calma di quando spiegava qualcosa «Abbiamo parlato prima di stanotte, ieri sera, e abbiamo stretto un accordo da fratelli»

«Accordo da fratelli» sbuffò Harry, per nulla convinto «E tu vai anche a crederci? Degli uomini lupo non ci si può fidare»

«Vorrei farti notare che anche tu sei un uomo lupo come lui …»

«Si, ma non volontario…John stamattina mi ha detto che c’è una bella differenza fra chi è uomo lupo sin dalla nascita o si trasforma volontariamente rispetto a chi è licantropo involontario»

«Non c’è che dire, hai la risposta pronta» nonostante sembrasse un complimento, Mark aveva il tono leggermente amaro

«E i sensi all’erta che mi dicono: scappa quando il mostro si risveglia!»

«Scappa quanto vuoi, ma non azzardarti a fare del male a Nero!»

«Nero?» chiese Harry, stupito da quell’insolito nome da videogame

«Il nome del tuo padrino» spiegò il Ministro Oscuro

«Il mio padrino si chiamava Shawn, non dire cose stupide»

«No… io non dico cose stupide» Mark non sembrava particolarmente arrabbiato, ma tanto per mettersi al sicuro, Harry si fece piccolo piccolo mentre il suo maestro gli spiegava «Il padrino di un licantropo è colui che lo ha fatto diventare tale»

«Quindi l’uomo lupo che mi ha morso si chiama Nero»

«Si, si chiama Nero»

«Però non mi avete spiegato cosa è successo qui» disse il giovane, mostrando con la mano una porzione di terreno incenerita fino alla base di un albero su cui erano ben visibili una serie di graffi lunghi e profondi «Contro chi avete combattuto?»

«Vampiri» rispose Shadow, cupamente

«Ah, vampiri» fece Harry, che ancora non aveva imparato a fidarsi del tutto di una creatura temibile come lo era il drago «Non pensavo che ci fossero vampiri in giro, qui in Texas»

«Infatti di vampiro texano ce ne potrà essere stato al massimo uno o due, ma sono stati richiamati da ogni parte del mondo»

«Chi li ha richiamati?!» Harry ebbe la sgradevole sensazione di essere entrato in qualcosa troppo più grande di lui … di nuovo

«La Grande Alleanza, un gruppo di terroristi alieni che vogliono cancellare per sempre la razza umana allo scopo di impadronirsi del nostro pianeta» spiegò il drago, noncurante, come se stesse raccontando come aveva fatto colazione «Ma a queste cose ci abbiamo fato l’abitudine. Non c’è niente di particolare da svelare, c’è solo da combattere: con tutte le armi in nostro possesso»

«Terroristi alieni?» urlò Harry, mettendosi le mani fra i capelli scompigliati «Solo questi ci mancavano» esalò in un sospiro di esasperazione, pensando all’assurdità della situazione e nel fatto che doveva essere caduto in un libro a metà fra un horror e un fantasy confuso … Un fantasy molto, molto confuso, caotico: un incrocio fra le avventure di Anita Blake, Eragon, Guerre Stellari e qualcosa di parecchio più cattivo e doloroso, qualcosa che poteva anche a che fare con le Bramstokeriane avventure in stile Dracula …

Mark superò il ragazzo a grandi passi cadenzati, diretto verso casa. Aveva una fame che non ci vedeva, una pericolosa fame da lupi che lo spingeva verso la tana ed il cibo. E anche un altro genere di istinto, più caldo, che lo avvicinava ai piccoli, motivo in più per recarsi nella propria dimora.

Harry lo guardò allontanarsi con lecita curiosità, poi si voltò verso l’enorme dragone dalle squame nere e sorrise con il solo scopo di apparire più simpatico. Shadow fece schioccare la lingua contro il palato e si sciolse le spalle con un movimento rotatorio infossando un pò la testa nel corpo, poi rabbrividì e si stiracchiò come un gatto gigante spalancando le fauci spaventose ed inspirando con un rumore roco e graffiante.

Il giovane fu quasi spaventato da movimenti tanto ampi e dalle zanne lunghe quasi quattro centimetri esposte a non molta distanza, ma il drago lo rassicurò guardandolo negli occhi

«Faccio un pò paura, vero?» chiese Shadow

«Un pò»

«Lo so. Faccio paura anche agli altri draghi perchè somiglio a mio padre»

«Ho tanto sentito parlare di tuo padre, ma non so bene la sua storia»

«Se vuoi te la racconto, ma non qui. Questo luogo è stato macchiato dal sangue di esseri maledetti e non voglio rimanere ancora qui»

«Ascolterei volentieri la tua storia, tanto più che ho già mangiato e non so come trascorrere il resto della mattina»

«Allora monta» disse Shadow, abbassandosi fino a toccare con la gola a terra. Le squame crepitarono alla base del collo, un rumore oscuramente antico, come di una porta di legno marcio spolverata con un panno di camoscio.

Harry non era tanto sicuro di aver capito bene, ma lo sguardo del drago gli tolse ogni dubbio

«Devo salire?»

«Se non hai troppa paura …» Shadow si strinse nelle spalle e il ragazzo ebbe l’impressione che una montagna si muovesse «Puoi salire. Ma se non hai paura!»

«Ma no, anzi …» Harry deglutì e sentì un pizzicore doloroso in fondo alla gola.

Si avvicinò e mise una mano sulla spalla del drago, sentendo le squame fredde e dure, poi si arrampicò e si sedette poco davanti all’attaccatura delle ali, poggiando i piedi sulla attaccature delle zampe anteriori.

Il ragazzo guardò verso terra da quell’altezza che gli faceva venire le vertigini. Deglutì e poi spostò lo sguardo dritto davanti a se, concentrandosi sulle scaglie spesse e nere che brillavano di riflessi luminosi riflettendo la luce solare.

Aveva paura: non dell’altezza, non del gigantesco drago, ma di qualcos’altro di assurdo. Avrebbe riso di se stesso per quella fobia inspiegabile, se solo avesse avuto la mente appena un pò più lucida: aveva paura di stare occupando un posto che non gli spettava, di stare facendo un torto terribile a qualcuno … e credeva che probabilmente l’avrebbe pagata cara per questo.

Un uomo normale non deve sedersi mai sul dorso di un drago. Un drago che non gli appartiene.

Era come … desiderare la donna di un altro. Un peccato.

Il ragazzo non poteva ignorare la sensazione di stare sbagliando.

Shadow scattò in aria senza alcun preavviso, con una spinta terribile delle zampe posteriore.

Harry gridò senza capire cosa stava facendo, poi, quando l’impatto contro l’aria gli mozzò il fiato, guardò in basso e rise. La paura era una cosa da lasciare a terra in questa situazione.

Volare così era meraviglioso almeno quanto era descritto nei libri, la sensazione di essere un uccello libero contro il vento nel cielo azzurro assalì Harry in maniera violenta e bellissima, la brezza che gli scompigliava i capelli e scivolava sulle braccia, sbatteva contro la maglietta facendola aderire al suo torso. Immaginò di essere lui stesso ad avere le ali e dovette resistere alla tentazione di spalancare le braccia.

La terra sotto di lui diveniva sempre più lontana e confusa mentre risalivano nella volta colorata di un azzurro ciano spiazzante.

Harry infilò le dita negli interstizi dovuto alla sovrapposizione delle squame del drago e piegò il busto in avanti, socchiudendo gli occhi per non essere accecato dalla miriade di minuscole particelle di polvere e polline che gli sbattevano in faccia. In silenzio ascoltò il battito regolare e possente delle ali di Shadow, simile a quello che potrebbe essere prodotto da due tele cerate sbattute in aria, ma in qualche modo più cartaceo, umido.

Un mormorio basso e allegro giunse alle orecchie del giovane, una canzone bassa e sussurrata di cui comprendeva ogni parola eppure la dimenticava immediatamente dopo.

“Sognando la melodia del cuore …” Pensò, cercando vanamente di rammentare “Melodia …”

Niente, si sforzava di ricordare come continuasse, ma stralci di strofe gli risalivano in mente come pezzi di sughero in mare per poi autodistruggersi …

“Palpitare inspiegabile e così forte …

Volare …

Volare …

E tale lo splendore del nuovo giorno …”.

Harry si accorse di essere ancora in volo sul dorso scuro del dragone solo quando quest’ultimo iniziò a discendere planando dolcemente.

Ebbe un sobbalzo quando le zampe del drago toccarono terra trasmettendo la violenza dell’impatto al dorso ed a lui che vi sedeva sopra. Erano giunti in un’ampia zona rocciosa, con qualcosa di inquietantemente simile al paesaggio caldo e morto della Valle della Morte o ad un deserto dell’Arizona, anche se evidentemente più fresco. Cresceva  pochissima vegetazione che aveva comunque un colorito giallastro poco allegro e solo qualche minuscolo alberello svettava timido dal terreno sabbioso e rossastro come le dune.

Harry discese con cautela, aggrappandosi all’articolazione dell’ala che si dipartiva dall’enorme corpo muscoloso del drago, e appena fu a terra tirò un sospiro di sollievo, poi guardò Shadow ansimando

«Perché siamo venuti fin qui?»

«per allontanarci dal bosco impregnato di sangue maledetto»

«Questa cosa mi sta tanto di citazione cinematografica … E c’era bisogno di allontanarci così tanto?» si lamentò debolmente il giovane, senza il coraggio di protestare più forte di fronte a quella nera e immane massa di muscoli, artigli e denti affilati.

Shadow urlò come un orso arrabbiato alzando il muso verso il cielo, solo dopo rispose con un sorriso largo e amichevole, ignorando che Harry fosse terrorizzato

«Ci aspettava un amico. L’ho chiamato e così te lo presento»

«Che genere di amico?» si azzardò a chiedere il ragazzo, contenendo il tremito delle proprie membra «Precisamente?»

«Un amico drago»

«Oh».

Un rumore di battuti pulsante iniziò a farsi udire. Harry seppe di cosa si trattava e guardò in alto. Rimase colpito da una bellezza mozzafiato, l’essere più bello che aveva mai visto in tutta la sua ancora breve vita.

Dal Sole si staccò una figura che pareva un raggio tanto splendente era il suo corpo.

Un drago dorato.

Era poco più piccolo di Shadow, ma con grandi ali dalle membrane color panna all’apparenza più lunghe e potenti, con il corpo più massiccio nella parte posteriore e la testa corta ornata da due corna nere e corte sulla parte superiore. Atterrò pesantemente sollevando la polvere intorno alle sue zampe dorate, in spirali asciutte e turbinanti, poi guardò Harry con un paio di occhi castani, striati d’oro, che erano stranamente familiari. Sul suo muso aleggiava un sorriso largo e sornione che gli contraeva le guance grosse e ruvide di scaglie pesanti color sabbia chiara.

Shadow mise una zampa aperta con il palmo rivolto all’insù di fronte al petto del drago d’oro e la spostò verso l’umano come quando si presentano due parsone

«Dollaro» disse allegro «Questo è Harry. Harry» e cinse con un braccio le spalle del suo simile dorato in un gesto che apparve infinitamente umano «Questo qui è Dollaro»

«Molto piacere» brontolò il giovane umano, ancora rapito dagli aurei riflessi che sembrano volteggiare come cose vive

«Piacere mio» rispose con voce grossa Dollaro, muovendo la coda con compiacimento e spazzando il terreno con ampi movimenti di quest’ultima. Era gioviale e scherzoso, ben nutrito. Ricordava qualcuno … ma chi?

Shadow sogghignò ampiamente, mostrando tutta l’arcata dentale per il sommo dispiacere del ragazzo, che sobbalzò

«Sai, Harry, questo che vedi è il drago di John»rivelò

«Di John?» sussurrò fra se e se il ragazzo, incredulo. Non pensava che John, quel volpone che passava le mattinate fra i fornelli e il sito internet della banca tedesca, fosse un tipo da condividere la propria anima con una creatura potente e gloriosa come un drago … un drago tanto bello fra l’altro!

Shadow parve intuire al volo il pensiero del giovane umano e gli scoccò uno sguardo ironico

«Strano che Dollaro abbia scelto uno come John, vero?» chiese, con un angolo della bocca sollevato a mostrare le zanne bianche «E la stranezza si vede dal nome»

«Il mio non è un nome strano» replicò Dollaro, in un ringhio leonino che gli gonfiò le squame del gozzo

«Già» ridacchiò il dragone nero «Quanto draghi conosci con un nome di moneta?»

«Lira e Rublo» rispose pronto e fiero Dollaro, scalpitando come un cavallo inquieto e sollevando altra sabbia «Ai tempo di tuo padre erano celebri» annusò l’aria e si zittì ad uno sguardo feroce del suo compagno.

Harry si mise a fischiettare, ma quando comprese di essere come minimo ridicolo, decise di azzardare una domanda

«Shadow … ma non avevi detto che mi avevi portato qui per raccontarmi qualcosa su tuo padre?»

«Ma certo, su mio padre!» Shadow si battè una zampa sulla fronte, teatralmente «Si, ti racconterò …e Dollaro può aiutarmi perché ha ereditato la memoria ancestrale di suo padre»

«Ma mica è così facile rievocare la memoria ancestrale!» esclamò il drago dorato, con voce impastata

«Dai» lo esortò Shadow «Sarà divertente!»

«Questo si, ma anche un pò faticoso» la voce del drago dorato s’inclinò in una discesa gutturale «I draghi antichi ragionavano molto diversamente da noi, come sai, ed erano loro i veri padroni della cultura del sapere tramandato …»

«Senti Harry» Shadow ignorò il commento di Dollaro «Sei capace di comunicare mentalmente?»

«Me lo ha insegnato … me lo ha insegnato Mark» rispose Harry »Però non sono ancora molto pratico»

«Non importa, basta che tu abbia un pò di familiarità con la comunicazione mentale, così ci rendi le cose più facili»

«D’accordo»

«Allora siediti, così ti copro con l’ala ed eviti di beccarti un’insolazione».

Il giovane si sedette sul terreno secco e polveroso e vide la membrana nera e un pò traslucida dell’ala enorme di Shadow aprirsi a due metri dalla sua testa per proteggerlo dai raggi del Sole che quel giorno picchiava alla grande, come si diceva “da spaccare le pietre”.

Aprì la mente come aveva imparato e venne investito da una forza di pensiero portentosa che lo trapassò con la potenza dell’uragano.

Harry urlò, ma la voce che gli uscì fu smorzata e ridotta, strozzata, mentre le sensazioni che lo assalivano si calmavano.

Finalmente iniziò a sentirsi bene, galleggiando senza peso nella mente sconfinata di Shadow. Potè constatare che la mente di un drago era strutturata diversamente da quella di un umano, ma c’era qualcosa di lievemente uomo lì dentro, in particolare qualcosa fatto di Mark.

La voce psichica di Shadow gli venne in aiuto, fresca e riverberante, possente, che ricordava vagamente l’essenza profumata di menta piperita

“Io e Mark siamo sempre in contatto” spiegò “Drago e Dragoniere vivono in simbiosi mentale”

“Forte!”  non riuscì a trattenersi dal pensare Harry

“Per tutti i draghi è sempre stato così tranne che per mio padre Ermes” continuò Shadow, quasi sospirando
“Perché, cos’aveva di diverso tuo padre?”

Un’immagine apparve, realistica, palpabile e terrificante. Un drago nero emerse dal buio, simile a Shadow eppure orribilmente diverso. Gli occhi, piccoli e infossati In orbite profonde e ombrose, erano completamente bianchi, senza pupille, circonfusi di una cupa luce di diabolica rabbia perpetua. La criniera nera che percorreva il centro del collo muscoloso era più lunga e ispida di quella di Shadow, con un ciuffo più pesante sulla fronte, e nel complesso gli dava un aspetto selvatico e spaventoso da lupo mannaro, accentuato dalle innumerevoli cicatrici spesse in rilievo.

Era come un’ombra inquietante che risucchiava ogni positività, ogni gioia, come un macchia d’inchiostro tossico sul cuore.

Un drago come quelli che s’immaginano solcare il cielo alla venuta dell’apocalisse …

“Questo è mio padre Ermes”
“Tuo padre?Hai ragione, ti somiglia, ma mi fa molta più paura”
“La sua è una storia lunghissima e atroce”

Ricordi vorticarono nitidissimi, scorsero formando una narrazione. Ermes, in quelle visioni, era un assassino crudele e impietoso, sempre, temuto da uomini e draghi nel medesimo modo. Le zanne macchiate di sangue, gli artigli d’oro screziato di nero e caramello sempre affondati nella carne di qualcuno fino alle dita squamose.

Il dragone oscuro era divenuto per gli abitanti della grande Horn Blu Island un marchio di

distruzione. 

Si era rivoltato contro gli uomini.

Si era rivoltato contro i draghi, i suoi stessi fratelli.

Voleva la gloria, voleva la vendetta per antichi torti da tutti dimenticati. E voleva il Mondo.

Attorno a se aveva riunito schiere di temibili alleati, schiere di mannari, mannari veri grossi come orsi bruni, ma più slanciati e sovrannaturali nel loro aspetto di lupi troppo cresciuti, diversi in tutto dagli uomini lupo, molto più grandi e, se ciò è possibile, più tremendi, feroci.

Essi sorgevano dalle buche dei cimiteri, infidi e sospettosi, muovendosi come ombre al crepuscolo e nella notte, traendo energia dalla luna.

Questi erano gli alleati di Ermes, i figli delle tenebre respinti dalla civiltà a cui era stato promesso un grande regno. Ovunque il grande drago passava, portava con se le maledette ombre dai denti sfavillanti e gli occhi vitrei di morte e di antica follia.

Così il Signore di Tutte le Tenebre, Ermes, si preparava a prendere per se il mondo. Marciò su Horn Blu, l’isola dei dragoni, abbattendo una città dopo l’altra.

Non voleva governare, non dopo essere già stato più volte respinto come sovrano,. Ma voleva distruggere ogni cosa si frapponesse fra lui e la sua strada verso la folle gloria.

Il suo nome divenne il nome stesso della morte, sebbene fosse in origine il nome del messaggero degli dei.

Ma giunto presso Vorluniast, la capitale, ad Ermes venne tesa una rudimentale trappola: tre draghi lo attendevano uniti per affrontarlo. Il Signore di Tutte le Tenebre rise di loro, convinto della propria superiorità, e li affrontò tutti  e tre insieme senza esitazioni. Non peccava certo di superbia credendo di essere il più forte, perché a quei tempi era la creatura più potente della terra, ma aveva sottovalutato lo spirito di sacrificio dei tre draghi che lo fronteggiavano.

Uno dei tre difensori, il più forte, lo bloccò da dietro e prima che Ermes potesse  liberarsi da quella stretta per lui tanto debole, venne colpito da uno dei due dragoni rimasti con un’onda di energia devastante al punto tale che non solo lo trapassò da parte a parte, ma uccise anche colui che lo aveva bloccato.

Il sangue, dal grande ventre nero, fu sparso ovunque e si narrava che fosse tale il potere della linfa delle vene di Ermes, che dove l’ondata rossa toccò la terra, crebbero i rovi in una così intricata foresta che nessuno poté mai più rivedere il corpo del Signore di Tutte le Tenebre.

Degli altri draghi nessuno sopravvisse al caos scatenato per le vie della capitale dai servi del dragone nero, ma una volta che giunsero i rinforzi che ricacciarono nelle loro tane i mannari, infine giunse un periodo di pace e di prosperità.

Fu così con quell’eroico sacrifico che Ermes era stato fermato. Ma non per sempre.

Solo l’anno precedente Shadow aveva rivisto il tanto odiato padre, in un sotterraneo.

La notizia del ritorno di suo padre fu scioccante per tutta la comunità dei Dragonieri.

Ermes aveva assorbito l’energia dei draghi e degli uomini che aveva attirato nel posto in cui riposava al solo scopo di rigenerarsi. Non era mai morto davvero, ma, divenuto abilissimo nella padronanza delle Arti Oscure, poco dopo essere stato mortalmente ferito, nell’episodio dei Tre Draghi avvenuto secoli prima, aveva avuto appena la forza per auto sigillare il proprio corpo sotto terra ed imporsi il sonno dell’Oscuro Resurrezione, una tecnica che permette di raggiungere uno stadio di morte apparente del corpo per poi risanarlo e riattivarlo quando un grande campo di energia si fosse avvicinato.

Questo dimostrava che il male non si può sconfiggere neppure con un eroico sacrificio. Serve di più, molto di più: l’equilibrio e il potere.

I ricordi smisero di scorrere e raccontare, ed Harry, ansimando, guardò Shadow

«Quello era tuo padre?» chiese, quasi turbato

«Si» rispose seccamente la gigantesca creatura, senza vergogna

«E tua madre …»

«Non ho una madre» ancora una volta, il drago riuscì a stupire il ragazzo.

Harry si appoggiò la fronte alla punta delle dita di una mano

«Va bene, ragioniamo. Se Ermes è un maschio …»

«Ermes non è un maschio»

«E allora perché lo chiami padre?»

«Perché è ermafrodita e non mi va di chiamarlo padre-madre. E poi somiglia più a un maschio»

«Come sarebbe a dire … erma … ermafrodita?».

Shadow socchiuse gli occhi e sospirò

«La nostra … la nostra specie è molto diversa da quella dei draghi che tu conosci»

«Cioè?» Harry sperò solo di non essere invadente «Siete sia maschi che femmine? Ma anche gli erma … froditi, non hanno bisogno di accoppiarsi?»  

«Beh … si … ma non tutti. Ora, se aspetti un attimo» Shadow fece schioccare la lingua per zittire Harry, il quale stava per interromperlo di nuovo «Ti spiego meglio, ok?»

«Ok»

«Bene. Allora, normalmente i draghi hanno sessi separati, ma il cammino evolutivo che ha portato alla nascita di mio padre ha fatto si che la mia razza possa essere definita come dotata di quella caratteristica chiamata euermafroditismo. Sai cosa significa?»

«Quando l’abbiamo fatto, in biologia, ero distratto» confessò il ragazzo, dondolando sul posto

«Peccato. Beh, di solito i ragazzi sono attenti quando si studiano queste cose. Comunque, l’euermafroditismo o ermafroditismo sincrono, è quando, come dire, ci sono in uno stesso corpo ed in uno stesso momento sia i gameti maschili che quelli femminili. Si ha dunque una capacità di autofecondazione o di fecondazione incrociata, cioè, volendo potrei accoppiarmi sia con un maschio che con una femmina, ma potrei anche deporre le uova tutto da solo … o da sola, se preferisci»

«Quindi tuo padre era anche tua madre»

«Esattamente …»

«Ma … Ed ora che è di nuovo in circolazione, quel … mostro?»

«Non farà niente» si affrettò ad assicurare il giovane drago oscuro.

Drago oscuro, non nero; Harry aveva imparato dai ricordi di Shadow che il drago nero e il drago oscuro erano due razze completamente diverse fra loro.

Un drago nero è come quelli che spesso si vedono nei film, massiccio essere dalle squame spesse e cinerine con corna grigie scurissime e un carattere solitario, ma non massacratore per natura.

Un drago oscuro è un pò diverso, ma era difficile capire quale davvero fosse il temperamento tipico della specie visto che ne esistevano solo pochissimi esemplari ed erano tutti profondamente diversi fra loro.

Dollaro ridacchiò, allegro in maniera sconcertante per una creatura del suo aspetto e con una voce possente che riverberò fin dentro il terreno

«Già è molto che il vecchio Ermes non mi abbia già eliminato … però ci ha tentato e ci è andato vicino»

«In effetti riconosco che è un essere spregevole, ma è sotto controllo»

«Su questo hai ragione. Beh» fece l’occhiolino all’altro drago e all’uomo «Ora devo andare a mangiare ragazzi, io vado eh!»

«Si, ci vediamo per la luna piena!».

Dollaro aprì le ali e decollò con un pò di difficoltà: aveva di sicuro qualche chiletto di troppo.

«Quando è che c’è la luna piena?» Chiese all’improvviso, preoccupato, Harry

«Domani» rispose Shadow «E chissà che gli succederà a Mark…»

«Mark? Io sono stato morso da un uomo lupo»

«Anche tu?»

«Come … oh Signore: ci dovrai chiudere tutti e due a chiave in una stanza, Shadow!»

«Vi ammazzereste!»

«E allora mettici in stanze separate!»

«E pensi che un uomo lupo pesante centocinquanta chili non riesca a distruggere una porta?»

«Che ne so…fallo incatenare. Ho paura! Farà male secondo te?»

«Spero di no» rispose con un brivido il drago, evidentemente scosso e forse per questo ancora più terrificante, come solo le bestie impaurite sanno esserlo «Non voglio che faccia male! Dai, torniamo a casa …»

«Va bene».

Tornarono in volo così com’erano venuti. Incredibile pensare come corre il tempo: era già ora di pranzo.

Il pomeriggio trascorse sufficientemente tranquillo per esser quello di due licantropi in attesa della luna piena e John li trattò in maniera del tutto normale.

I problemi cominciarono il giorno seguente.

Harry si svegliò stordito e appesantito. Si sentiva la testa come stretta da un cerchio che partiva dalle tempie, passandogli dietro le orecchie, e gli premeva fino a metà della calotta cranica.

Scese a fare colazione con passo lento. Le ossa sembravano quasi muoversi come sonagli dentro il suo corpo, contro i muscoli duri e cuoiosi che gli gonfiavano la pelle chiara.

Attorno al tavolo non c’era nessuno, ma gli avevano lasciato le uova e il bacon pronti.

Harry si sedette e prese la forchetta. Gli venne una fame terribile, come se non mangiasse da mesi.

L’odore del cibo giunse penetrante alle sue narici, riempiendo del desiderio di mangiare la sua mente. Fece colazione con gusto e voracità, godendo del sapore pastoso e incollato dell’uovo e di quello forte e proteico del bacon,affumicato e dolce.

Gli capitò di vedere dalla finestra un grosso cane dal pelo corto e giallastro simile a quello dei boxer, con qualche lieve striatura color terra e le estremità, come muso e zampe, più scure, e quella visione gli suscitò l’assurdo istinto di mangiare più rapidamente per non farsi rubare il cibo.

Quando concluse di nutrirsi avidamente decise di uscire, ma scoprì suo malgrado di mal sopportare il caldo e la luminosità esagerata del Sole. Si rifugiò all’ombra di un pino e rimase immobile con la testa appoggiata contro il legno. Sentiva con chiarezza ogni barlume di vita ed era una sensazione meravigliosa ed inebriante.

Udì il battito veloce del cuore degli uccelli e i pigolii dei pulcini nei nidi farsi più forti e gioiosi all’apparizione del genitore con la cena stretta nel becco, una giovane cavalletta. Percepì le contorsioni dell’insetto nei becchi feroci, gli ultimi suoi deboli friniti e le sue gambe che venivano strappate, lacerate dagli artigli dei mostriciattoli dalle rade piume grigie che si contendevano le sue carni coriacee e prelibate. Non era una cosa strana, né una cosa dolorosa: era naturale e dava uno strano brivido.

Harry percepiva la morte.

La sofferenza, la contorsione … la cavalletta si spense.

La stessa cosa accadeva ad un lontano coniglio nelle fauci di cani selvatici e, più lontano ancora, un uomo sparò e uccise, godendo della sua impresa.

Ma non la sola morte dominava in quei campi, bensì frullare d’ali, corse di zampe e brulicare

 d’insetti. Il profumo intenso delle conifere sotto il sole era inebriante quasi quanto quello del sangue.

Ma dov’erano gli uomini, le prede più ambite?

Harry iniziò a camminare in silenzio, quasi saltellando da un piede all’altro.

Vide qualcosa muoversi verso di lui con movenze ampie e sinuose. Era un cavallo: un animale alto ed elegante dal manto di un color bronzo scuro tendente al nero, lucente sotto il sole e bardato con ricchi finimenti dorati. Il nero e l’oro.

Sulla groppa poderosa sedeva fiero un cavaliere con baffi e barbetta cortissimi, rasi, dai contorni indefiniti, le basette quasi rasate, ma visibili come due rettangoli color paprica. Aveva i capelli di un rosso chiarissimo, quasi un arancione carota bollita, che facevano uno strano contrasto con la polo blu. Quando vide il giovane, fece fermare il cavallo e scese senza difficoltà, quasi facendo un salto a piedi uniti

«Hai visto per caso dov’è Mark? Sono passato stamattina che era ancora presto, ma non l’ho visto» disse con un sorriso a cui era impossibile non rispondere e con un tono caldo, ma basso.

Harry si avvicinò sospettoso e scoprì di essere molto più basso e probabilmente un tempo sarebbe stato fisicamente meno ben piazzato del misterioso cavaliere, mentre ora non sapeva dirlo con certezza.

«Mi dispiace» Rispose, diffidando ancora un pò «Non l’ho visto neanch’io»

«E mannaggia … ti va di venire con me a prendere un caffè?»

«Volentieri»

«Come ti chiami?»

«Harry, per gli amici Harry» il giovane sorrise, tornando socievole com’era nella sua natura «E tu?»

«Timothy, per gli amici Tim o Timon» esclamò l’uomo dai capelli rossi, stringendo vigorosamente la mano di Harry con la sua, grossa, ma non forte come ci si sarebbe potuto immaginare «Allora, come ti ha accalappiato, Mark?»

«Accalappiato?» fece Harry, perplesso

«Si, insomma: come ti sei trovato costretto a seguirlo nelle sue disavventure?»

«L’anno scorso sono andato con loro in un posto …» scosse la testa come per smentire le proprie parole «Andato? Ma che dico? Mi hanno buttato su un jet scassato e mi hanno portato nella foresta indiana»

«La foresta » Timothy si strofinò un occhio con noncuranza e tirò a se il destriero con le redini «Un classico … »

«Che verrebbe a dire che è un classico?»

«Vieni» l’uomo si mise in cammino verso la casa «Prendiamo la macchina»

«Non mi hai detto che cosa significa che è un classico!»

«Uhm, vediamo un pò» Timothy fece finta di riflettere sfregandosi il mento ispido e socchiudendo un pò un occhio «Significa che è un vecchio trucco»

«Cosa è un vecchio trucco?» insistette Harry

«Oh, dimenticavo!» il rosso si battè una mano sulla fronte con aria leggermente melodrammatica, dando ad Harry l’impressione che quell’uomo fosse abituato a recitare «Sono uno sbadato, mi dimenticavo che per chi è nuovo di questo ambiente sembra tutto strano. Forse perché è davvero tutto strano, ma aldilà di questo … beh, vedi, Mark e quell’altro svitato di John, sono sicuro che lo conosci, ogni tanto vanno a perdersi in posti estremi tipo, che so io, in Alaska, e riescono invariabilmente a procurarsi nuovi membri per la comitiva. Tu sei uno di questi, tanto per fare un esempio concreto. Ti sei unito al gruppo quasi per sbaglio se non erro».

Timothy non attese la risposta, aprì la serranda del garage facendola scorrere verso l’alto con forza e lasciò andare il cavallo nero dopo averlo liberato della sella con un paio di rapidi movimenti

«Vai, Raffaella, divertiti … »

«Si chiama Raffaella?» Chiese curioso Harry, indicando il fiero animale dal manto d’inchiostro

«Si, mi piacciono i nomi italiani» rispose Timothy, trafficando con lo sportello della macchina finché non riuscì ad aprirlo e entrare nello spazioso abitacolo scuro.

Solo adesso Harry si accorse di che tipo di macchina si trattasse … era impossibile. Ma quanto era ricco quel tizio? La forma dell’auto era chiaramente sportiva, allungata, con i fari che sembravano vagamente ali di vespe schiacciati contro il muso affusolato. La vernice era macchiata in più punti, ma all’inizio doveva essere stata grigia lucida.

E poi era una Ferrari, una mostruosamente costosa Ferrari cabrio Silverstone, di quella con gli interni in pelle e un mare di optional da sommergerti con un prezzo da far girare la testa.

Timothy mise in moto e spostò la vettura, poi scese e richiuse il garage, muovendo goffamente le grosse mani.

Sembrava molto più impacciato con cose comuni come le automobili piuttosto che con i cavalli.

«Salta su» Esclamò allegro

«D’accordo» rispose Harry, facendo come gli era stato ordinato.

Il giovane sprofondò sulla seduta profumata color cuoio del sedile, scivolato in avanti come amava stare, senza neppure pensare di chiedere come mai Timothy tenesse la sua costosissima automobile a casa di Mark. Il mal di testa gli impediva di pensare a cose complicate come questa.

Chiacchierando di cose di cui gli uomini normali parlano di solito, come l’elezione del nuovo presidente, il tempo atmosferica e l’economia tristemente in picchiata, arrivarono in città.    

Timothy era una compagnia davvero piacevole e dava l’impressione di essere un uomo intelligente e buono, con lo spirito d’ospitalità texano, tanto rinomato, che in lui era estremamente visibile ed accentuato.

Portò Harry in uno di quei bar rustici e luminosi che di solito si vedono nei telefilm come Walker Texas Ranger, dove si presero un caffè molto zuccherato per ciascuno. Il proprietario era un uomo tarchiato, sui sessant’anni, con i folti capelli bianchi come zucchero filato tirati all’indietro, lisci sulle tempie in una maniera che lo faceva sembrare un nobile o un politico, il quale servì personalmente i suoi clienti, dispensando a Timothy cenni d’intesa come se si conoscessero da un sacco di tempo.

Harry, però, non se ne accorse perché era intento a sistemarsi sullo sgabello che, tutto d’un  tratto, gli appariva immensamente scomodo e piccolo.

«Allora, ragazzo» Disse Timothy, trangugiando in un solo sorso silenzioso il contenuto della sua tazzina bianca, come se avesse lo stomaco foderato di amianto «Che mi racconti di te?»

«Sono un grafico» rispose Harry

«Oh, un grafico … Potresti anche disegnarci le magliette ufficiali, sei il primo grafico che entra nella compagnia»

«Sul serio?»

«Detieni un primato. Che ne pensi di Mark? Francamente»

«Perché t’interessa saperlo?» sbottò il ragazzo.

Timothy si strinse nelle spalle e mosse in circolo il cucchiaino a mezz’aria

«Così, per sapere … e perché poi, francamente, a me sembra strano. E’ da quando aveva cinque anni che è strano»

«Lo è! Inquietante. Ma è inutile che te lo dica, se lo conosci da quando aveva cinque anni» Harry fece per sorseggiare il caffè, ma l’odore stranamente penetrante lo fece desistere «Questo caffè ha uno strano odore … »

«Ma no, fai controllare» Timothy prese la tazzina da sotto il naso del giovane e ne annusò il contenuto tutto assorto, poi sollevò un sopracciglio color carota e dichiarò «No, è a posto!»

«Sicuro?»

«Sicuro, se non ti va lo bevo io»

«Fa pure».

Timothy tracannò in un sorso solo anche il caffè di Harry, senza tanti complimenti, e poi poggiò di nuovo la tazzina sul bancone con una delicatezza che sorprese il ragazzo.

All’improvviso qualcuno dietro di loro urlò con voce strozzata e a questo seguì una serie di borbottii rochi. Harry si voltò di scatto e vide due uomini avvinghiati esattamente di fronte alla porta, uno tozzo e dal collo taurino, l’altro un pò più alto e meno ben piantato, dall’aria feroce, che però perdeva sangue da un labbro spaccato.

Si chiese come avessero potuto ignorare l’inizio del litigio, ma si accorse immediatamente che fino ad ora nel locale c’era stato un intenso chiacchiericcio che copriva le voci dei due litiganti.

Timothy ruotò insieme allo sgabello su cui era seduto e ridacchiò, poi si fece serio

«Smettetela di picchiarvi!» urlò adirato, con le vene del collo gonfie e in rilievo sotto la pelle chiara «Altrimenti vengo lì e vi spacco il muso a tutti e due, mi sono spiegato, idioti?».

I due litiganti si separarono all’istante con l’aria innocente di due cocker appena bastonati, che sulle loro facce abbronzate di delinquenti sembrava del tutto fuori posto.

«Scusa Tim» Disse quello tozzo, avvicinandosi all’uomo dai capelli rossi che come un re lo scrutava dal suo “trono sgabello” «Ma è stato Roger a iniziare a fare il cretino …»

«Che ti ha fatto?» chiese Timothy, pragmatico

«Ha fatto … » parve ringhiare come un animale «Una battuta di pessimo gusto sulla mia ragazza!»

«E vabbè, non farne un caso mondiale. La tua ragazza è presente?»

«No, lei è a casa»

«E allora, visto che non ha sentito, non può essersi offesa. Quanto a te, Roger Samsons: il pugno in faccia te lo sei meritato. Quindi fate pace e non pensateci più, d’accordo? Oh … così mi piacete, ragazzi!».

I due uomini stavano ancora annuendo ubbidienti quando Timothy girò di nuovo lo sgabello per dedicare la propria attenzione ad un perplesso Harry

«Non preoccuparti, fanno spesso così, ma solo quei due e qualche altro scemo che ha voglia di farsi male» lo rassicurò

«Perché hanno paura di te?» chiese il giovane, impressionato

«Perché per primo cosa non ho paura di denunciarli per le loro risse idiote e per secondo: una volta sono entrato qui con Mark e Sara e abbiamo fatto a pezzi tutti quelli che si azzardavano a rompere o che hanno rotto tempo prima» alzò un braccio e mostrò fiero il bicipite gonfio ricoperto da uno strato sottile di grasso «Temono questo, quei poveri disgraziati!»

«Poveretti»

«Non avrai mica compassione per i rissaioli da pub di discendenza celtica come questi quattro ubriaconi?»

«Ma no, la mia era solo ironia!».

Timothy rise e diede un pugno al bancone di legno

«Sei forte, Harry» gli disse, indicandolo ammiccante «Sei fidanzato?»

«Ancora single»

«Ma come, uno come te è ancora un’anima solitaria?» lo canzonò, deluso «Pensavo che le ragazze ti corressero dietro a fiumi dopo aver saputo quello che hai fatto a Villa Voratten»

«Anche tu sai quella storia?»

«Lo sanno tutti quelli dell’ambiente, caro il mio Cucciolo. Che nome stupido. I biker sembrano tanti idioti, vero Harry?» sorrise e scosse la testa «Nulla togliendo a Mark, che è pure un motociclista di quelli fortemente casinisti»

«Chi è un biker casinista?» chiese una voce femminile che si avvicinava.

Timothy alzò una mano per salutare con disinvoltura

«Ciao Michelle!»

«Ciao, Trappola» rispose la donna, allegra «Allora, chi è un biker casinista?»

«Casinista è comunque una parola brutta» constatò Harry, tranquillo, poi si concentrò per memorizzare la faccia della nuova arrivata.

Gli era difficile visto che lei somigliava ad un pò tutte le cameriere texane tipo, pur non essendo affatto una cameriera, ma con la medesima lunga capigliatura bionda che gli scendeva fino alle scapole e gli occhi maliziosi e allegri, furbi, di un marrone intenso e pungente che, se ti fissava a lungo, alla fine ti stancava. Era vestita con una camicetta azzurra leggera molto scollata e portava pantaloncini color panna scuro abbinati agli stivali di pelle con un tacco medio

Timothy parve irritato all’improvviso, come se avesse percepito una trappola

«Ma che t’interessa?» ringhiò

«Mi piacciono i biker casinisti, sono simpatici» rispose Michelle, con un sorriso largo

«Allora dovresti conoscere James» disse fra se e se Harry, ripensando alla propria disavventura bostoniana, ma la bionda lo intercettò, era il caso di dirlo, con la rapidità di un serpente cobra

«Chi è James?» gli chiese

«Un biker di Boston» rispose il giovane, con un gesto affettato della mano «Un uomo particolare, però è difficile che tu lo conosca, visto che non è texano»

«Ha i capelli neri?»

«Si»

«Gli occhi azzurri?»

«Si»

«Allora è il mio ex» Michelle fece l’occhiolino a Harry «Ma non siamo stati insieme a lungo, è convinto che non avrebbe mai più avuto libertà se mi avesse sposata. Il fatto è che io non avevo nessunissima voglia di sposarmi, dio le soluzioni definitive. Però mi ha mollata lo stesso. Era un bastardo del cavolo, ma in fondo gli volevo bene»

«Sentire le storie singole dei tuoi mille e uno fidanzati è divertente» la interruppe Timothy, dando un colpetto con il gomito ad Harry come a fargli capire qualcosa, poi si alzò «Però, per quanto sia piacevole il tempo vola e dobbiamo proprio andare»

«Di già?» la sorpresa sul volto di lei era palese

«In effetti si» l’uomo dai capelli rossi prese per la spalla Harry e lo trascinò fuori dal bar velocemente con una disinvoltura sorprendente, poi lo fece salire in macchina e ripartì. Superarono un gruppo di case a tutta birra e dietro l’angolo si fermarono.

Harry era sconvolto

«Perché siamo scappati?» domandò «E’ davvero così atroce stare a sentire le storie di quella ragazza?»

«Chi ti dice che siamo scappati?» ribatté Timothy, sovrastandolo con al sua mole di colore chiaro

«Lo penso. Insomma, siamo proprio corsi via»

«Ma cosa ho detto?»

«E che ne so io, di quello che dici tu?»

«Ho detto che il tempo vola, amico mio… e si da il caso che io ho davvero da fare!»

«E che facciamo qui?» Harry si guardò intorno: erano vicino a un grande giardino un pò giallastro, ma allegro così bagnato dal Sole, con le piante erbacee alte e un paio di alberelli verdi e giovani. Che c’era da fare in un posto come quello?

Timothy sorrise amichevolmente allontanandosi a piedi fino a un vecchio caseggiato scrostato con le finestre bordeaux disposte ogni tanto lungo i due piani larghi e bassi. Si prese una chiave lunga dieci centimetri da una tasca e aprì la porta massiccia di vecchio metallo verniciato. Sembrava avesse una chiave per ogni cosa, come un guardiano della città.

Lui ed Harry entrarono nell’edificio simile a un magazzino.

Timothy sorrise

«Portiamo a passeggiare il cane, mi sembra più sensato che rimanere ad ascoltare storie da squallido romanzo rosa» spiegò, poi si abbassò sulle ginocchia e aprì le braccia, dando l’impressione strana che la sua polo stesse per scucirsi sul petto «Vieni qui» esortò «Forza Spark!, Dai, lil’ Spark!»

Dal fondo della costruzione si levò un abbaiare festoso e comparve un cane da caccia con il pelo corto e scuro a spazzola, le orecchie grosse e pendule ai lati della testa dall’espressione seria, gli occhi color ambra brillanti nella penombra. Il magnificò cane, probabilmente da caccia, attraversò di corsa la sala e balzò in braccio a Timothy scodinzolando, i denti scoperti in un ringhio festoso, poi lo leccò su una guancia e ritornò a quattro zampe sul pavimento grigio di cemento.

Harry guardò ammirato l’animale slanciato che emetteva un uggiolio sommesso

«Che bello» commentò «Spark è il tuo cane, vero?»

«Si, certo che è il mio» rispose fiero Timothy, uscendo e invitando il giovane a fare lo stesso «Lo tengo qui dentro perché è un posto che protegge dalla calura e anche dalle intemperie. E poi può uscire quando vuole: ho installato sulla porta una gattaiola formato maxi» chiuse la lastra d’acciaio e indicò in basso un’apertura coperta da un pannello basculante di plastica rossa «Così lui può entrare, ma cani più grossi no, perché non ci passano. E nemmeno i ladri, giusto amico mio?» diede un spazzolata vigorosa alla testa nera di Spark con il palmo calloso della mano «Giusto prode cacciatore?»

Spark abbaiò e corse via dimenando la coda

«Dove va?» domandò Harry

«Non preoccuparti, va a farsi un giro e torna, così passeggiamo tutti insieme, vuoi?»

«Si, con piacere»

«Eh, già» fischiò e il cane ricomparve latrando vivace.

I due uomini e Spark si misero a passeggiare. Harry inspirò a fondo e pensò felice che quella era la vita che voleva: non nella città caotica né nel duro silenzio della natura più pura e bella, ma pur sempre troppo tranquilla. L’ideale era stare lì, nell’animata comunità rurale ai bordi di una delle più belle e famose città texane, Houston.

Era un pensiero quasi infantile, ma quella città era famosa anche per i lanci nello spazio dei razzi con a bordo gli umani. Certo, anche lì c’era la malavita, le gang, i pestaggi, ma erano nella vera e propria città, all’interno, non fra le campagne dorate.

Poi ebbe un sussulto. Chissà come aveva pensato che c’era tanta buona gente … buona da mangiare. Era turbato da se stesso, dai propri pensieri innaturali.

Timothy se ne accorse, ed anche Spark, a giudicare da come ringhiava

«Hey, Harry, ti senti bene?» domandò l’uomo dai capelli rossi

«Si, s » si affrettò a rispondere il giovane, con la voce un pò rotta come se avesse pianto «Sto bene, tranquillo … »

«Sicuro?»

«Si, sto bene, tranquillo»

«Io non sono agitato» ribatté Timothy, indicandolo con aria poco convinta «Ma tu, però, sembri stare male. Vuoi che ti porti all’ospedale? Ho un cugino dottore, potrebbe darti un’occhiata …»

«No, non voglio, stavo solo pensando a delle cose brutte»

«Va bene, allora non insisto oltre … oh, guarda: c’è Ryan! Ehi Ryan!»

«Tim!» ruggì un tipo bassetto come Harry, con capelli cortissimi stile marines e una faccia bella come quella di un attore.

Aveva al guinzaglio un setter femmina dal pelo un pò fulvo e un pò mielato e di lato a lui c’era una ragazza sui vent’anni di età,capelli scuri e occhi marroni incorniciati da occhiali da vista con la montatura sottile color argento che esaltava la sua bellezza di giovane donna.

Harry strizzò gli occhi per togliersi dalla mente la strana sensazione che gli comandava di saltare addosso alla coetanea e mordere come un dannato matto, si costrinse invece a sorridere

«Salve» disse.

Ryan si avvicinò

«Buongiorno … » salutò, con garbo e stile da stella hollywoodiana «Hey, Tim, chi è il tuo giovani amico?»

«Non siamo ancora amici» rispose Timothy, passando un braccio intorno alle spalle di Harry come se volesse fare capire esattamente il contrario di quello che aveva detto «Siamo solo conoscenti. E comunque, se ti interessa, il mio conoscente si chiama Harry e ho saputo che è di Boston»

«Boston? Anche Miky è di Boston» constatò Ryan, alludendo chiaramente alla sua giovane fidanzata «Di che zona?»

«Centro» rispose Harry

«Che lavoro fai, ragazzo?»

«Lavoro in un’agenzia di grafica pubblicitaria»

«Digitalizzata?»

«Anche»

«Devi essere bravo con i computer»

«Me la cavo abbastanza, ed è necessario, con i tempi che corrono …»

«Sei troppo modesto» lo adulò Ryan, dandogli sulla spalla, in corrispondenza della cicatrice del morso, un colpetto con l’indice ed il medio uniti «Qualche volta dobbiamo uscire a cena tutti insieme. Tu che ne pensi, Miky?»

«Sarebbe fantastico» rispose la ragazza, entusiasta «Voi ci state?».

Harry era sospettoso: due perfetti sconosciuti che chiedono di cenare con lui?

Timothy fu comunque velocissimo a rispondere per entrambi

«Certo. Facciamo stasera alle otto? Al solito posto?»

«Meraviglioso!» commentò la ragazza «Noi ci saremo»

«Allora arrivederci a stasera»

«Arrivederci» risposero i due fidanzati, allontanandosi felici e sorridenti.

Harry, senza capire la propria stessa scortesia, prese per il colletto Timothy, affondandogli le unghie nella polo blu fin quasi a lacerargliela

«Io non posso venire stasera!» ringhiò cupo, adirato

«Non ti arrabbiare» disse calmo l’uomo dai capelli rossi, spingendo via il giovane «E poi perché non puoi venire, scusa?»

«Ho impegni che non posso rimandare»

«Si che li puoi rimandare, goditi la vita! Ci sono due splendide persone che vogliono conoscerti meglio solo perché ti hanno trovato simpatico e tu che fai? Rifiuti?»

«Tu non capisci … »

«Fammi capire tu, allora»

«Non posso»

«Ma dai, sarà magnifico. Luna piena e tanta compagnia!»

«Proprio questo mi preoccupa» borbottò Harry, giù di corda «La luna piena e la tanta compagnia»

«Che lupaccio solitario che sei! Dai sarà divertente!».

Harry pensò che Timothy stava continuando a trovare i termini più adatti per descrivere la situazione e ciò ebbe su di lui il potere di gettarlo ancor più nel baratro nero della depressione.

Non fece in tempo a strisciare via con la “coda fra le gambe” come avrebbe voluto perché accadde qualcosa che sembrava essere stata inserita a posta in quella storia, come in un film.

All’improvviso qualcuno comparve di corsa da dietro l’angolo, un energumeno con la testona pelata ed una borsa in mano. Era alto e massiccio, con un torace ampio che premeva dall’interno del gilet imbottito nero.

Harry osservò la borsa: era di pelle bordeaux, piccola, con degli strass colorati, chiaramente una borsetta da donna.

Poi vide qualcun altro correre dietro il grosso uomo pelato, una femmina umana di bassa statura che tendeva le mani come negli inseguimenti dei vecchi film polizieschi, in maniera leggermente ridicola. La situazione non sembrava seria come la facevano vedere in televisione.

«Fermatelo!» urlava lei, la voce stridula per la rabbia ed il terrore «Fermatelo, ha la mia borsa!».

Il ladro guardò verso Tim ed Harry e per un istante si bloccò, come terrorizzato. Era come una statua, i suoi occhi erano scuri, due buchi come bruciature nella pelle abbronzata, sotto l’ombra di due sopracciglia pesanti. Poi ricominciò a fuggire. Timothy scattò in avanti a velocità per raggiungerlo

«Fermo! Fermati immediatamente!».

Harry indietreggiò di un passo, indeciso sul da farsi, poi partì anche lui a correre. Il cuore gli martellava in petto come non aveva mai fatto, se non per paura di qualcosa di terrificante. Ma ciò che Harry provava era tutto fuorché paura, più che altro era eccitazione, adrenalina pura iniettata nelle vene.

Tum … Tum …. Tum, tum, tum.

E di fronte a lui correva il ladro. Una preda che fugge. L’istinto di un cane, di un lupo, o di qualunque altro animale da preda, comandava di inseguire e divorare tutto ciò che scappa perché se la preda fugge, senza neppure tentare di resistere, senza segnalare il proprio vigore, è chiaro che è pronta a soccombere. Questo è il linguaggio della morte.

E il ladro stava scappando.

Ma Harry era veloce, molto più veloce, ed in lui stava risorgendo un istinto animale che è alla base della sopravvivenza, la comprensione del dialogo fra il predatore e la preda che deve morire.

Si piegò verso terra, sentendo i propri muscoli dorsali che si allungavano e quelli delle gambe che si contraevano sotto il peso del torso, poi balzò come un cane gigantesco. Colpì una sola volta, ma con violenta precisione, il dorso dell’energumeno, spedendolo a terra.

Timothy si bloccò, sgommando con le nike contro il cemento, e guardò Harry con stupore.

Il giovane colpì con un ceffone la nuca del ladro e gli strappò di mano la borsa ansimando

«A voi, signora» disse piano, riconsegnando l’oggetto rubato alla legittima padrona.

La donna gli sorrise con gratitudine

«Grazie molte» mormorò, mentre le sue guance arrossivano lievemente

«Di nulla» rispose Harry, fissando l’omone dolorante steso a terra che si stava rialzando come se stesse facendo una faticosa flessione sulle braccia.

Timothy si avvicinò senza timore

«Bravo l’eroe» esclamò «Bel recupero, dovresti fare il poliziotto»

«Ma se è la prima volta che faccio una cosa simile» si schermì il giovane, con leggero imbarazzo «Io di solito non so fare questo genere di azioni»

«Spiritoso…sei un atleta, vero?»

«No, non sono un atleta…»

«Infatti sei morto!» ruggì il grosso tipo pelato, scattando verso di lui con  ferocia.

Timothy si mise in mezzo per difendere il suo giovane amico, ma senza alcun preavviso Harry lo superò ringhiando e sia avventò contro il ladro prendendolo per le spalle rotolando a terra con lui. L’energumeno stava per are un pugno a Harry, aveva già serrato le dita e spinto il braccio indietro per darsi la carica, ma prima che potesse farlo il polso gli venne bloccato da una mano troppo più forte della sua che, tirandolo, sollevò il suo corpo a mezz’aria, come in un’assurda mossa di Kung Fu e ricadde a terra, sull’asfalto caldo, percorso da un dolore terribile.

Harry si avvicinò a Timothy procedendo a marcia indietro con gli occhi fissi sul ladro che sveniva in seguito al colpo violento, gli occhi rovesciati all’indietro a mostrare solo il bianco

«Gli ho fatto male» sussurrò tremante, quasi accartocciandosi su se stesso «Io non, io non volevo…»

«Era legittima difesa, Harry» lo rassicurò Timothy, incrociando le braccia sullo stomaco «Qual’ è il problema?»

«Non sono padrone delle mie azioni. Avrei potuto ucciderlo…» si guardò intorno, lo sguardo di un animale braccato «Sono un mostro, sono un orribile mostro»

«Ma sei svitato?».

Harry corse via, preso dal rimorso. Dunque dov’era finita la sua politica della non violenza e del rispetto? Dov’era finito quello che aveva sempre creduto di essere? Stava davvero per essere rimpiazzato da un animale di inaudita ferocia? Era la sua fine, la fine della sua dignità?

Il giovane superò di corsa, senza mai rallentare, una famiglia con due ragazzi e un paio di amiche per poi fermarsi in un campo abbandonato fin troppo lontano da dov’era prima.

Si inginocchiò fra l’erba, fino a che questa gli arrivò al petto, e chiuse gli occhi.

Pianse, dapprima, in silenzio, poi con singhiozzi simili a brevi ruggiti.

Quando smise aveva i palmi delle mani sanguinanti: non si accorse di essersi conficcato le unghie nella carne per quanto forte aveva stretto i pugni. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano destra e si rialzò, scoprendosi ancora una volta forte e sicuro fisicamente e devastato mentalmente.

Aveva percepito qualcuno che arrivava e non voleva farsi trovare così distrutto a terra.

Si allontanò a passo svelto, trotterellando. Poco tempo dopo, senza sapere come, si ritrovò a galoppare come un cavallo lungo le colline ed i campi sotto il Sole, verso quella casa che aveva imparato a conoscere anche come propria e dove sapeva che avrebbe potuto trovare rifugio per nascondersi quando sarebbe divenuto violento.

Si sentiva sempre più vicino alla crisi licantropica benché fossero ancora le undici e mezza del mattino.

S’improvviso vide sagome scure avvicinarsi tagliando per un pascolo.

Ringhiò minaccioso come un cane fermandosi piegato sulle gambe. Comprese spaventato perché non c’erano vampiri in Texas: era pieno di uomini lupo.

Ma perché la gente comune non se ne accorgeva? Perchè lui stesso, prima di incontrare Mark, non avrebbe mai creduto possibili certi fenomeni? Forse perché gli uomini lupo, perfettamente consci di ciò che sono, non uscivano facilmente allo scoperto, ma se si è dei licantropi appare notevolmente più facile trovarli.

Ma certo … per il lupo è facile avvistare il lupo come per l’uomo è facile avvistare l’uomo.

Harry si sdraiò nell’erba, benché sapesse che lo avrebbero trovato comunque. Sentiva il proprio cuore che rimbombava contro le costole in maniera sgradevole e una sensazione scura e vischiosa in fondo allo stomaco, quasi un verme pronto a sgusciare verso la spina dorsale.

Due creature enormi strisciarono verso di lui.

Una aveva ancora il pelo rado e corto, era quasi un essere umano, l’altra, una femmina a giudicare dall’odore che Harry ebbe modo di annusare, era completamente trasformata e alta circa un metro e ottanta, con il pelo nero lungo e umido. Il maschio guardò in direzione di Harry con occhi attenti, come spilli ardenti, e frugò con lo sguardo fra l’erba alta, le labbra ancora rosa arricciate in un espressione di assorta ferocia. Aveva le iridi scure, grigiastre, che brillavano come se sul loro fondo fosse stato versato uno strato di argento liquido.

La femmina, a quattro zampe, emise un ringhio basso che le vibrò in gola e trottò in avanti verso una macchia di capelli neri fra il verde chiaro.

Harry chiuse i pugni su i fili più sottili di gramigna pregando dentro di se che non lo trovassero, o almeno, visto che lo avevano già individuato che non lo attaccassero. Il cuore che batteva terribilmente forte nel suo petto, impazzì definitivamente quando il ragazzo sentì il fiato della lupa lambirgli caldo il collo e il rumore rasposo del respiro riempirgli le orecchie. L’odore dell’alito della belva sapeva di carne cruda, un effluvio quasi gradevole tutto sommato, ma terribilmente spaventoso a sentirsi mentre quelle zanne affilate penzolavano a una decina di centimetri dal collo del giovane.

Poi l’uomo lupo maschio ululò, la sua compagna lasciò andare Harry e i due licantropi, evidentemente due licantropi volontari, se ne andarono con la stessa andatura con cui erano giunti.

Harry osò respirare più liberamente e si alzò in piedi lentamente, raccogliendosi dapprima le ginocchia fra le braccia come se avesse freddo e poi distendendo i muscoli della schiena.

Se l’era vista davvero brutta.

Poi udì un abbaiare furioso dietro di se. Lo avevano preso in trappola, esattamente come quando era stato con la gang di Ray.

“Scemo, scemo, scemo!” Si disse.

Sospirò e se la diede a gambe: con la violenza aveva chiuso. E poi cosa avrebbe potuto fare contro due lycan volontari?Lo avrebbero fato a pezzi.

Le due bestie gli corsero dietro, a quattro zampe, tanto che il maschio, ancora non del tutto trasformato, incespicava data la sproporzione dei suoi arti.

Ma la femmina aveva quasi raggiunto il polpaccio di Harry.

Le zanne lambirono il jeans strappandone il tessuto.

Il giovane si piegò in avanti e cadde a quattro zampe. La donna lupo gli balzò addosso e lo avrebbe sicuramente ucciso se non si fosse udito uno sparo e passi pesanti, rapidi e cadenzati avanzare verso di loro.

L’uomo lupo maschio gridò per attirare l’attenzione della compagna.

Tutti, anche Harry, si girarono.

Comparve, enorme, un uomo vestito di nero, ch veniva rapido verso il ragazzo e i due lycan con un’espressione di ferocia che una tigre avrebbe tranquillamente invidiato, preferendo ritirarsi.

Buttò la pistola che aveva in mano dietro di lui, dove spuntò un secondo umano che la raccolse, poi dedicò tutta la sua attenzione ai suoi due bersagli.

La donna lupo gli andò incontro rizzando il pelo su tutta la schiena, pur essendo visibile solo la pelliccia del collo, come la famosa coda di volpe che mettono intorno ai cappucci dei cappotti. 

Il gigantesco umano, o presunto tale, fece un salto in avanti e colpì con un pugno la testa della licantropa che rotolò all’indietro con un uggiolio spaventato e confuso. Il maschio attaccò, spaventoso e nerastro, protendendo le mani munite di tremendi artigli di un chiaro violetto lunghi circa un centimetro e mezzo, affilati.

L’uomo vestito di nero schivò lateralmente lo slancio della mezza bestia e rise piano, con una voce che sembrava un latrato roco, poi prese il suo nemico con una presa a cravatta da dietro e lo sollevò da terra di venti centimetri

«Vuoi andartene?» gli chiese, sussurrandogli vicino all’orecchio appuntito, con un chiara minaccia. L’uomo lupo inarcò la schiena in avanti alzando sul proprio dorso l’uomo più grande di lui che non lasciava la presa, e si buttò a terra indietro, schiacciando al suolo l’enorme peso del suo avversario in forma umana, che però rimase stretto saldamente alla sua gola, soffocandolo lentamente.

La donna lupo si rialzò e si slanciò contro l’uomo, incurante del dolore che avrebbe potuto infliggere al suo stesso compagno, aprì le fauci mostrando la dentatura terrificante.

Harry, sebbene confuso, seppe in un istante che avrebbe dovuto proteggere l’umano e prese la licantropa alla gola, rischiando un morso che avrebbe potuto staccargli una mano.

Il grosso umano a terra diede un ultima stretta al collo taurino dell’uomo lupo ormai privo di sensi   e accorse in aiuto del giovane con prontezza e ferocia eccezionali.

Harry capì solo in quell’istante che l’uomo vestito di nero era Mark.

La femmina di licantropo sgusciò via dalla misera presa di Harry e caricò a testa alta, in modo da poter devastare e dilaniare con le zanne il più possibile.

Mark spinse di alto il giovane e si abbatté contro la donna lupo ringhiando.

John accorse e puntò la pistola

«Tieni duro» gridò, con voce grossa del tipico eroe cinematografico «La ammazzo io quella bestia! Ma che… » lasciò cadere l’arma e tirò su con il naso, incredulo: il suo amico aveva azzannato la lupa gigante e poi le aveva cavato gli occhi con la mano destra, con il riflesso felino e senza rimorsi della tigre che ferisce la sue preda.

Non è bello vedere un essere umano che morde una bestia, sembra uno stravolgimento delle leggi naturali: anche se Mark non era del tutto umano, ne aveva ancora l’aspetto.

Harry si girò istintivamente dall’altra parte

«Dimmi quando ha finito!» esclamò, rivolto a John e disgustato

«Non posso» ripose l’altro, con la voce colorata di isterismo «Non sto guardando neanch’io».

Da dietro di loro proveniva un inframmezzarsi di versi feroci e strazianti che non si capiva bene di chi fossero, poi il silenzio.

«Potete voltarvi» Disse dopo un pò Mark, con un’inflessione roca e gutturale assolutamente inumana.

Harry lo guardò e fu assalito da un misto di sensazioni indescrivibili … sapeva solo che era stato sollevato a vederlo con la faccia pulita dal sangue dopo quel morso affondato.

John invece balbettava con un sorrisetto ebete

«T Tu hai mo … morso quell’animale? Ma, Ma Mark sei completamente, assolutamente … n non posso dirti ammattito, ma qualche problema ce l’hai no?»

«Si, ce l’ho un problema» rispose l’omone, sogghignando trucemente «Sono un uomo lupo»

«Dicevi che non ne eri sicuro! Non ti sei ancora trasformato!»

«Questione di qualche ora, amico … »

«Sono senza parole»

«Anch’io» intervenne Harry, titubante «Le immagini parlano» deglutì e il suo pomo d’Adamo rimbalzò su e giù come una pallina da ping pong «Al posto mio»

«Ecco!» John indicò il giovane, poi lo prese per un braccio «Vedi Mark, anche lui è un uomo lupo, ma non ha ancora ucciso nessuno con un morso. Farlo finché si è in forma umana è … impressionante. Vedi di non farlo più, intesi?»

«Intesi» borbottò Mark, guardando altrove con aria persa, poi si voltò lentamente e scrutò John con sguardo da cospiratore «E se anche tu diventassi un … »

«Non pensarci neppure!» urlò John, mettendo le mani in avanti«Non mordermi eh! Non ci tengo a riempirmi di peli … senza offesa»

«Va bene».

Harry guardò il corpo morto della donna lupo e si accorse di avere fame, una fame che sovrastava la cautela stessa. Decise di proporre il pranzo prima di diventare realmente pericoloso

«Hey ragazzi, io ho fame … voi?»

«Io ho già mangiato prima» mormorò Mark, alludendo a chissà quale inumano pasto, ma John annuì nei confronti di Harry

«Va bene ragazzo, andiamo a mangiare».

Tornarono a casa in automobile, tranquillamente. La mattinata era stata fin troppo movimentata e stressante. Chissà come l’aveva presa Timothy … incredibilmente l’argomento saltò fuori a metà pomeriggio.

Mark si avvicinò con l’aria pesantemente oppressiva, che da poco aveva assunto, a Harry, e lo guardò in quel modo strano in cui i suoi occhi verdi erano in ombra, invisibili sotto la sagoma oscura della visiera di un cappellino da baseball nero, ma dava l’impressione di fissare senza sosta e con un perverso interesse.

Il giovane dai capelli neri non resse a lungo quella muta sfida ed alla fine sbottò

«Che c’è?»

«Timothy ti cercava» disse con voce bassa Mark «Stasera devi andare ad una cena»

«Non posso, sai benissimo il perché … »

«Stasera io sarò lì, tu puoi fare quello che vuoi».

Harry aprì la bocca e si immobilizzò come se avesse guardato negli occhi la leggendaria Medusa

«Ma, ma tu … »

«Io sono un uomo lupo, si, ma non sono certo di potermi trasformare. Stasera andrò a cenare da loro e quel che accadrà accadrà … »

«E io? Io sono un uomo lupo completo!» urlò Harry, battendosi le mani sul petto con un movimento da automa «Che cosa farò?»

«Verrai, così potrò controllarti. Vai a prepararti come devi e, ti raccomando, mettiti qualcosa di largo perché la massa muscolare del tuo corpo potrebbe aumentare»

«Certo, posso prendere solo vestiti larghi visto che ci sono solo i tuoi» si lamentò il giovane «Mi stanno larghissimi»

«Ti sbagli. Ci sono anche quelli di Sara»

«Sara? Saranno mica tutti dei vestiti da femmina? Ti avverto che non metterò niente che sia solo vagamente rosa e vaporoso … »

«Scherzi? No» Mark sembrò quasi offendersi

«Allora sono tutti vestiti da biker» Harry avrebbe voluto domandare, ma gli venne più naturale affermare

«Più o meno»

«Ma non posso andare a comprarmene, che so, qualcuno da cerimonia giù in città? O mettermi quelli che ho in valigia?»

«Se ti presenti con un abito da cerimonia rischi di venire picchiato e i tuoi vestiti sono stretti anche per te in forma homid. Devi, se proprio vuoi comprare, prendere qualcosa di largo ed informale»

«Va bene, allora vado in città a prenderne un paio … di abiti … mi presti la macchina?»

«Ho anche un carro funebre se vuoi … »

«No, no, voglio solo la macchina … »

«Scherzavo» rivelò Mark, calmo, poi parve ringhiare «Prendi» alzò gli occhi e gli sganciò in mano le chiavi.

Harry corse al centro commerciale e fu di ritorno due ore dopo, alle sette di sera.

Chiuso in camera sua indossò i nuovi pantaloni, un paio di jeans larghi che dovette stringere un pò troppo in vita con la cintura, la camici azzurra chiara che era un classico e, tanto per sicurezza, un paio di scarpe da ginnastica Nike di due misure più grandi dei suoi piedi.

Era sicuro, anzi più che sicuro, di sembrare un ragazzo trascurato in quel modo.

Gli venne da ridere figurandosi il bellissimo Ryan che gli chiedeva come mai si mettesse abiti così larghi e se stesso che, noncurante, rispondeva “E’ perché sono un licantropo e la massa muscolare del mio corpo potrebbe subire un aumento durante le notti di luna piena”.

Scese al piano di sotto e vide Mark seduto nel suo modo stranamente elegante in poltrona, con un grosso cane scuro sdraiato ai suoi piedi, un rottweiler dalla testa pesante e l’espressione assorta, per nulla inetta come di solito si raffigura per alimentare la loro fama di assassini.

L’uomo e il suo animale si somigliavano in maniera talmente impressionante che sembrava un reato non affermare che cane e padrone si assomigliano.

Harry si avvicinò e aprì le braccia per mostrare il vestiario

«Così va bene?» domandò, speranzoso ed in parte preoccupato.  

Mark lo guardò come se lo pesasse con lo sguardo, poi il suo volto duro da vecchio lupo rosso si rilassò in un sorriso soddisfatto, divenendo oscuramente gradevole

«Stai bene» disse «E sembri vestito in modo funzionale. Hey, scusa se ti ho turbato in qualche modo, prima. Non era mia intenzione, la luna mi fa uno strano effetto»

«Si» il giovane, preso alla sprovvista, pensò che sarebbe stato utile mostrarsi umili e disinvolti nel perdonare «Non preoccuparti, è quasi come se non mi avessi fatto niente. E, anzi, in realtà non hai fatto niente a me. Certo, oggi ti ho visto un pò diverso dal solito» si mise a grattarsi una mano guardandosela, incapace di sostenere più a lungo il limpido ed inquietante sguardo verde di Mark «Ma è normale per qualcuno della tua condizione … »

«Grazie Harry».

Mark si alzò e superò lentamente il giovane, seguito dal cane con un’andatura tranquilla, poi si voltò un istante

«Fra un’ ora in macchina» mormorò solamente, poi scomparve.

Harry rabbrividì anche se non ne capì il motivo. Si sentiva compreso. E sentiva che a qualcuno importava davvero di lui … sembrava strano a dirlo, ma tutti quelli che lo avevano circondato fin da quando era stato un bambino  non gli avevano regalato la gioia dell’amicizia, quella dei compagni complici, ma solo un banale e normalissimo amore dettato da un legame forzato, di sangue o di classe. Sua madre e suo padre lo avevano accudito da genitori esemplari e lo avevano guidato fino al lavoro, ma con freddezza, per il semplice motivo che dovevano fare quello che avevano fatto. I suoi fratelli facevano finta di volergli bene, in un modo così realistico che c’era cascato, ma non gli volevano bene davvero: lo trattavano così perché lui era un loro parente, un nuovo rampollo atto a rendere illustre la famiglia.

Harry non riuscì a sentirsi stimato dai suoi cari, sapeva di essere stato per loro tale e quale ad un quadro di Picasso: magari orribile, senza nessun valore sentimentale, astratto, ma trattato con ammirazione e riguardo perché qualcuno ha imposto che quei quattro schizzi scomposti sono un’opera d’arte e la gente, anche se magari odia quelle figure, fa finta di stimarla per pregi che in realtà non ha.

Ora era diverso.

Harry percepiva chiaramente che Mark era soddisfatto del suo cambiamento.

Sapeva di essere stato giudicato per quello che era e aver superato la prima prova.

Harry uscì in giardino, invaso da una nuova sensazione, e alzò gli occhi al cielo. Rimase pietrifico, colto da un brivido di terrore: già compariva, nell’azzurro ormai scuro, un pallido fantasma di luna piena.

Una scossa gli attraversò tutto il corpo,gettandolo in ginocchio.

«Il momento di trasformarsi è giunto» gemette teatralmente il giovane.

Aveva deciso che se proprio doveva trasformarsi, almeno sarebbe stato spettacolare e dignitoso.

Sentì il petto gonfiarsi e premersi dentro la camicia, chiuse gli occhi, ma non accadde nient’altro di preoccupante. Il momento della metamorfosi non era ancora arrivato.

Harry rimase ansimante sulla soglia per qualche minuto, a quattro zampe, poi si rimise in piedi con deliberata lentezza ed evitò di guardare ancora la luna. Ormai sentiva la bestia respirare dentro di se, pronta ad uscire dal suo Io con artigli di ferocia.

Decise di passare un pò di tempo a distrarsi parlando mentalmente con un animale. La prospettiva lo allettava, lo rapiva, ma fino ad ora non aveva mai tentato di comunicare con creature diverse dai suoi simili.

Aprì la mente, con un pò di difficoltà, e percepì non troppo lontane due enormi fonti di energia che dovevano essere i draghi, quindi deviò alla ricerca di qualcosa che non sapeva parlare.

Il fatto era che c’erano centinaia di piccole coscienze pulsanti  e confuse intorno a lui, nei campi e nel cielo, fra l’erba o nei tronchi dei pini, e nessuna di queste sembrava abbastanza complessa da accorgersi di lui … tranne una che era comparsa solo adesso e si avvicinava come se lo annusasse.

Perché le menti, come rappresentazione di ogni aspetto di un vivente, ha anche un odore …

Harry toccò con cautela la coscienza che gli si avvicinò e gli parlò tentando di utilizzare un tono vellutato ed amichevole

“Ciao. Io sono Harry e sono un essere umano. Tu chi sei?”.

Un abbaiato furente risuonò nello spazio psichico e fuori da esso.

Il giovane uomo si chiese come fosse possibile comunicare con un animale pensando nella propria lingua, se i cani pensassero in abbaiati o se una cosa come il pensiero fosse universalmente comprensibile.

Ogni dubbio gli fu dissipato quando udì una voce canina, ringhiosa, riempirgli la testa urlando. Era come se quella voce, già dotata di un accento strano, fosse disturbata da un segnale proveniente da lontano, una sorta di tamburo profondo e ritmico: era comprensibile, ma con grande sforzo.

“Un umano?!”

“Sipensò Harry, eccitato “Tu cosa sei?”

“Io sono quello che quelli della tua specie chiamano un canis familiaris”

“Un cane! Sto comunicando con un cane!”

“Pensavo che fossi un lupo, hai l’odore di un lupo. Invece sei un umano …” abbaiò incomprensibilmente  e poi proseguì nel medesimo tono rabbioso “ Non tutti quelli come voi, gli umani, sanno parlare con noi”

“Sono la prima persona umana con cui parli?”

“Perdinci,no! Ce ne sta un altro, tale Mark, non so se lo conosci”

“Si, certo che lo conosco”

“Un bravo umano, come pochi ce ne stanno in giro, quel tale. M’ha tirato fuori da un postaccio, m’ha salvato la pellaccia. Brav’uomo, anche se ogni tanto qualche calcio me lo busco, ma me lo merito un pò … ma solo un pò perché gli ho assestato qualche morso. Ma lo sai che te non mi piaci?”

“Perché?”

“Perché puzzi di bestia selvatica”affermò cupo il cane, con il tono che si affievoliva man mano che la sua mente retrocedeva intimidita “Puzzi di lupo e hai qualcosa che non mi va …”.

Il collegamento si chiuse lasciando Harry più demoralizzato di prima.

Ora non c’era neppure più la possibilità di provare l’ebbrezza di un contatto per il giovane, perché la bestia che era in lui stava lentamente impadronendosi di ogni sua caratteristica, divorandolo.

Harry rientrò giù di corda e vide il grosso John trottare verso di lui con il sorrisetto arrogante sempre lì, ad aleggiargli sul volto cicciottello.

Il giovane si costrinse a sorridere di rimando, ma l’uomo dal cappello bianco era abbastanza allenato da intercettare istantaneamente un sorriso posticcio

«Che ti succede?» chiese John, fermandosi con una frenata rumorosa delle scarpe eleganti contro il pavimento «Sembri un morto che cammina»

«Luna piena» rispose flebilmente Harry, demoralizzato «Come potrei stare bene?»

«Ah, boh, non lo so … vieni con me, mi accompagni»

«Va bene, ti accompagno dove?»

«A prendere la macchina che dobbiamo andare, no?»

«Si, certo, si … non pensavo che fosse arrivata già l’ora di cena»

«E invece, mio caro, il tempo vola e va … » il tentativo da parte di John di fare poesia fu quasi patetico, così l’uomo dal cappello bianco decise di cambiare immediatamente approccio e andare per la via breve « … Io non verrò alla cena»

«No … perché non vieni? Non devi controllare Mark?»

«Ah no, sennò chi rimane a casa?»

«Ma perché qualcuno deve rimanere a casa?» ribatté Harry «Mica crolla tutto se per una notte lasciamo incustodita la casa»

«Qui ti sbagli!» esclamò John mentre si avviava verso l’auto bianca nuova che svettava lontanissima e brillante in un parcheggio naturale «Se lascio solo la casa è probabile che crolli» ridacchiò «Stasera ci sono dei bambini che sono dei demonietti in piena regola»

«Bambini?»

«Oh si… le figlie di Mark hanno invitato dei compagnetti. Sembrano indemoniati quei ragazzini» scosse la testa con gravità «Non posso lasciarli soli per molto, vi faccio l’autista e torno a controllare che non facciano ardere il mondo»

«Non sapevo che Mark avesse figli» disse Harry, incredulo «Però sarebbe stato strano anche se non ne avesse avuti. Sembra uno che piace alle donne, nonostante non sia quello che si potrebbe definire una gran bellezza … »

«Eh! Se piace e a voglia che piace!» John, ridacchiando, aprì lo sportello della macchina ed entrò «Allora, Harry, ho tre consigli per te»

«Dici pure» acconsentì Harry, sedendosi e chiudendo lo sportello

«Bene» John mise in moto e proseguì «Allora: quando vedi Ryan digli subito che ha delle

magnifiche scarpe. Lui è fissato con le scarpe, ha una vera e propria ossessione» spiegò «Non preoccuparti se non guardano mai troppo a lungo Mark, anzi non fissarlo troppo nemmeno tu perché quando c’è molta gente diventa irritabile, eh!E poi ricorda bene: se una cosa non ti piace, soprattutto un cibo, dillo senza timori, ma con educazione. Adorano chi è schietto. E poi ho anche una quarta raccomandazione: racconta barzellette, storie, tutto quello che ti passa per la mente»

«Va bene» disse Harry, percorso da un brivido involontario «Me lo ricorderò».

Giunsero di fronte alla porta della casa e John suonò due volte il clacson.

Sulla soglia comparve Mark,  che sembrava ancora più largo del solito e vestito con più classe.

Sotto il giubbotto di pelle nero indossava una camicia scura che gli dava un tocco d’eleganza, portata bene, con una scritta rossa ricamata sul taschino che spuntava solo a metà dal giubbotto.

Aveva la fronte coperta, come sempre, da una bandana nera leggera, e i guanti da motociclista di pelle che lasciavo scoperte le dita.

Harry si accorse di una piccola presenza  che quasi scompariva al fianco dell’omone gigantesco: una bambina dai capelli di un castano tendente al rossiccio dalla pelle chiara come quella di Mark.

Doveva essere sua figlia, l’espressione del suo volto era inconfondibile, consapevole ed un pò persa in ragionamenti estranei a quello spazio e quel tempo, e gli occhi erano gli stessi di quelli del padre.

John suonò di nuovo il clacson e la bambina lo guardò torvamente

«Ma vuoi stare fermo?» sbottò «Fermo!»

«Che ci vuoi fare? Mancano quindici minuti alle otto» ribatté John «Non ho voglia di arrivare in ritardo»

«Pignolo che non sei altro»

«Senti chi parla! Pignolo io?»

«Buoni pitbull» intervenne Mark, divertito «Di solito andate d’amore e d’accordo, come mai conflitti di questo genere?»

«Conflitti … che esagerazione … è una faccenda fra me e John. Giusto Volpone?»

«Giusto» rispose John, dando un altro nervoso colpetto al clacson con la punta delle dita.

Mark sorrise, completamente rilassato, e salì dietro in auto.

Harry evitò di fissarlo troppo a lungo, come gli avevo raccomandato John, ma la curiosità lo divorava … doveva guardare Mark se non voleva collassare.

Partirono velocemente, dietro di loro la bambina, appoggiata alla cornice del portone, agitava la mano annoiata.

Entrarono in città e, dopo un pò, si fermarono di fronte ad un locale sufficientemente raffinato, ma niente affatto da divi o da snob, con un ampio parcheggio occupato solo in minima parte. Sembrava un posticino tranquillo, quel genere di ristoranti dove gli amici si ritrovano per festeggiare i compleanni.

Mark ed Harry scesero in silenzio  e si avviarono verso l’entrata luminosa del locale, John li salutò con un allegro «Divertitevi!», ma stava accadendo qualcosa che non includeva il divertimento.

Proprio mentre la macchina bianca ripartiva, Ryan venne incontro all’omone e al giovane, insieme a Miky, bellissimo come una stella di Hollywood.

La giovane donna indossava un abito fresco e leggero color panna con un foulard arancione e sbarazzino intorno al collo, i capelli erano raccolti in una coda che le lambiva la schiena ondeggiando lievemente ad ogni passo.

Harry si sentì un pò imbarazzato a trovarsi vestito com’era, ma ebbe comunque il coraggio di non scappare preso dalla vergogna e di fare quello che John gli aveva raccomandato. Abbassò gli occhi sulle calzature lucide e perfette di Ryan e sorrise

«Che belle scarpe» disse, con convinzione.

Ryan sembrò gonfiarsi di felicità

«Belle vero? Io colleziono scarpe»

«Si vede che hai la cura del collezionista»

«Grazie … » Ryan mosse un braccio con un ampio gesto verso l’interno del ristorante «Ma venite, ordiniamo qualcosa!»

«Dov’è Timothy?» chiese rauco Mark, facendo indietreggiare involontariamente Miky

«Dentro» rispose Ryan «Si sta occupando delle bevande»

«Birra, immagino»

«Si, in effetti».

Si accomodarono all’interno del locale, fra le tavole di legno molto distanti fra loro e coperte da tovaglie candide semplici che conferivano al ristorante un aspetto deliziosamente retrò, accentuato da un paio di ampie corna di cervo appese sopra ad un caminetto nella quale sfrigolavano spiedini di carne.

L’odore del grasso bruciacchiato e colante fece aumentare la salivazione di Harry in maniera esponenziale.

Scelsero un locale sul retro del locale, all’aperto, dove Timothy li stava aspettando sorridendo con le birre Nastro Azzurro italiane esposte come candele.

«Ciao Tim» Borbottò Mark, sedendosi pesantemente accanto all’uomo con i capelli color carota pallida.

Harry prese posto di fronte all’omone e anche gli altri due presenti rimasti, chiacchierando come due giovani innamorati quali erano, si sedettero tenendosi per mano.

Venne un cameriere dal naso aquilino, come quello dei maggiordomi nelle produzioni horror, ed i capelli folti e grigi che ricordavano la consistenza della pelliccia di un grosso ratto

«Buonasera signori» disse, guardando tutti con occhietti che brillavano «Che prendete stasera?»

«Allora Louis» iniziò Ryan, facendo chiaramente capire che conosceva il cameriere «Per me il solito, per Miky sempre il solito … tu Mark?»

«Carne» disse solo il gigantesco uomo, con uno sguardo da predatore che avrebbe fatto rabbrividire, ma Louis parve non farci caso come se ci fosse abituato e rivolse ad Harry un sorriso incoraggiante che voleva chiaramente dire “Ehi tu, nuovo, che prendi?”.

Timothy intervenne

«Senti, Harry, io ti consiglio di prendere un bell’arrostino di maiale, qui li fanno che è una favola… ».

Ma Harry non lo sentiva, sentiva solo il battito accelerato del proprio cuore e la luce che, come acqua, lo toccava con le sue propaggini liquide. Luce di luna.

Ryan guardò il ragazzo dai capelli neri tremare e gli appoggiò amichevolmente una mano sulla spalla

«Tutto a posto?» gli chiese, calmo, come un fratello maggiore che vede in difficoltà il suo fratellino su un compito particolarmente difficile.

Harry alzò la testa e ringhiò sommessamente. I suoi occhi stavano diventando lattiginosi e cupi, come attraversati da un’ombra di dolore, una patina di momentanea cecità.

Ryan fece un salto all’indietro, impressionato

«Har … harry … » balbettò, senza riuscire a staccare lo sguardo dal volto del giovane che si deformava in un’espressione animale e indicibilmente grottesca.

Mark scattò in piedi sbattendo all’indietro la sedia, prese Harry per le spalle e iniziò a spingerlo via

«Scusateci un attimo» disse, rivolto ai tre increduli presenti pietrificati, poi portò Harry in un prato non molto distante, a dire il vero facente parte del territorio stesso del ristorante, e lo buttò a terra con uno spintone.

Come da lui previsto, il giovane ricadde proteggendosi con le mani e in solo istante ritornò in posizione eretta come se non avesse mai toccato il suolo

«Mi sto trasformando» mormorò, con le lacrime che gli rigavano il volto ormai ornato di una lieve barba nera   

«Si» confermò Mark, guardandolo con una strana impazienza «E siccome accadrà, almeno fa che sia una cosa rapida. Trasformati in fretta»

«Ma come … come …»

«Stai ostacolando meglio che puoi l’avanzare della natura. Rilassati. Devi desiderare di divenire un uomo lupo»

«Non posso desiderarlo!»

«E allora non ostacolarlo. Lasciati andare … ».

Ma di nuovo Harry non ascoltava quello che Mark diceva. Un brivido convulso lo attraversò e lo fece urlare, ma la voce che gli uscì fu tutt’altro che la sua vocetta acuta da ragazzino. Un ruggito roco e potenti scaturì tremando dalla sua gola.

Si lasciò andare e scoprì che il processo diveniva più naturale e sopportabile.

Quindi era vero che era lui stesso che, con la sua cocciutaggine a rimanere in forma umana, faceva soffrire il proprio corpo e la propria mente.

Il lupo dentro di lui risalì veloce e letale, si fece strada, lo possedette.

Mark non si allontanò, per nulla intimorito. Fra poco anche lui avrebbe liberato il proprio lupo.

Lui era il lupo.

Nel frattempo si accontentava di osservare la metamorfosi del giovane cittadino, la consacrazione di quel corpo, fino a poco tempo fa fragile, alla potenza bellissima e terrificante delle creature della notte.

Zanne candide, riflessi d’argento, si fecero largo nella bocca di Harry, che ricadde a quattro zampe sul terreno osservandosi le mani che si gonfiavano gradualmente e si ricoprivano di peli neri e cortissimi, le unghie che diventavano artigli chiari lunghi un centimetro e mezzo, simili a piccoli chiodi lievemente ricurvi e fatti divenire piatti a colpi di martello.

La voce di Mark giunse fortissima alle sensibili orecchie del giovane uomo lupo

«Sbrigati … stanno arrivando».

Chi stava arrivando? Un odore di stantio, di vecchio, raggiunse le nuove narici del licantropo nero, pizzicandole dolorosamente, come peperoncino e aceto.

Harry si sgranchì il nuovo collo possente ad occhi chiusi mentre la criniera che gli ricopriva il capo e si allungava fino alle spalle si infoltiva ulteriormente.

Sentì le proprie gambe gonfiarsi ed arcuarsi, la spina dorsale scricchiolare come se gemesse sotto tutti quei muscoli, il muso allungarsi di più.

Tutto ciò era doloroso, ma non come se l’era immaginato.

Mark lo avvertì di nuovo

«Harry, lui è qui, muoviti!».

Il nuovo uomo lupo aprì gli occhi, due magnifici occhi feroci, e si voltò lentamente. Aveva ancora il controllo di se, ma si sentiva in qualche modo più pericoloso.

All’improvviso percepì che l’odore forte e sgradevole aumentava e ne distinse chiaramente tutte le note: un effluvio di morte, antico, dolciastro al punto tale che se solo Harry avesse avuto lo stomaco pieno, avrebbe rigurgitato. Probabilmente un essere umano avrebbe potuto trovare quel profumo perfino gradevole, ma per un essere tenacemente attaccato alla vita come poteva esserlo un licantropo, quello non era altro che il puzzo schifoso dei cadaveri che possono ancora nuocere.

Il pelo si rizzò lungo la schiena dell’uomo lupo.

Harry seppe che da lì a poco avrebbe affrontato il suo nemico naturale. Il più temibile, vero, il più famoso.

Un rombo di moto.

Timothy e gli altri, da lontano, fissavano increduli l’uomo lupo nero.

Mark si avvicinò a quei confusi umani e tentò di rassicurarli meglio che poté, pur sapendo che c’è ben poco da rassicurare quando un umano vede per la prima volta un licantropo

«Tutto sotto controllo, non preoccupatevi»

«Harry è un lupo mannaro!» gridò Ryan, quasi in preda a una crisi isterica, mentre Timothy scoppiava a ridere come un pazzo

«Bhè si…ma vi avevo detto di…vi avevo detto di aspettarci. E non è un lupo mannaro, ma un uomo lupo»

«Scusa tanto se abbiamo sentito ruggire e ci siamo preoccupati» sbottò Miky, offesa abbastanza da non cadere nel panico.

Mark si mise le mani dietro la schiena e fu tentato di girare sui tacchi e lasciare lì quel gruppo di umani isterici, ma, controllando il proprio istinto, rimase immobile

«Non dovete temere …» iniziò, ma prima che potesse finire la frase vide che Miky si era lasciata cogliere da una crisi di panico e stringeva il braccio di Ryan così forte che avrebbe potuto spezzarglielo se solo fosse stata abbastanza forte.

La ragazza se ne stava con gli occhi sbarrati a fissare la sagoma dell’uomo lupo che, per sua fortuna, era ancora troppo impegnato a riprendere il controllo del proprio corpo per attaccarli. Percorreva con lo sguardo l’umido dorso nero e irto, le braccia spropositate, il lungo muso mostruoso, e ad ogni istante che ella osservava, scopriva nuovi particolari spaventosi.

Timothy stava cercando di esorcizzare la paura alla meno peggio, facendoci su qualche risata: aveva imparato da esperienze precedenti che se sgrani gli occhi e ti paralizzi è molto più facile che un animale grosso e cattivo ti faccia a pezzettini. Certo, anche scappare non era una soluzione … la cosa migliore da fare era rimanere nel raggio d’azione di Mark, che è sempre una buona protezione, e tenersi pronti a lottare con le unghie e con i denti, oppure, se proprio non rimaneva niente da fare, attirare l’attenzione della bestia su un bersaglio più appetibile e preferibilmente meno importante.

Mark parve, chissà come, aver letto nella mente di Timothy …

«Tim, vieni qui, mettiti un pò davanti» gli ordinò, indicando una porzione di terra di fronte ai propri piedi «Dovresti coprire la visuale a Miky, sta per avere un attacco isterico».

Ryan sorrise imbarazzato e abbracciò la sua fidanzata con il braccio libero e tremante

«Va tutto bene, va tutto bene … » le sussurrò, accostandole le labbra all’orecchio

«Tutto bene» ripeté la donna, come se fosse sotto ipnosi, con la voce strascicata e nasale

«Si, va tutto bene e non ci succederà niente … » continuò Ryan, tentando maldestramente di sembrare convincente, poi alzò la testa verso Mark con l’espressione a metà fra l’imbarazzata e l’afflitta «Ma si può soffrire di terrore a scoppio ritardato?» chiese

«Si» rispose il Ministro Oscuro, quasi compiaciuto dalla paura che la figura del licantropo suscitava negli umani «Anzi è quasi normale in certi casi … »

«Normale?»

«Già. Non bisognerebbe rompere il Velo che separa gli uomini da cose come …» cercò una parola giusta, ma non ne trovò, così si limito a concludere « ... Come Harry»

«Perché non ci hai detto che Harry è un … » Ryan si sforzò di parlare, come se quello che stesse per dire fosse un’orribile parolaccia «Licantropo?»

«Avreste cenato con un licantropo?» ribatté Mark, sorridendo trucemente.

Nei suoi occhi brillavano due fioche fiammelle lontane del colore dell’erba che lo facevano sembrare più animale di quanto non fosse Harry.

Ryan deglutì lentamente. Sentiva che la saliva iniziava a farsi più rara dentro la bocca e non riuscì ad umettarsi le labbra quando percepì che si stavano seccando. Di lato a lui, stretta ancora al suo avambraccio, Miky aveva smesso di tremare e si stava controllando un pò di più.

Timothy si passò un dito sotto il naso mentre si piazzava di fronte a Miky ostentando una falsa tranquillità

«Non ti preoccupare, io non sono razzista» rispose, divertito «Neppure nei confronti dei licantropi».

Non molto lontano da loro un uomo parcheggiò la sua moto chopper rossa, modificata in modo esagerato, e smontò con grazia, poggiando sul terreno le punte dei piedi con leggerezza. Poi annusò l’aria e sorrise, scoprendo canini affilati. Non era affatto un essere umano.

Harry iniziò ad abbaiare come se fosse matto e anche Mark ringhiò di gola, a bocca chiusa, serrando i pugni.

Timothy guardò la figura lontana che era appena scesa dalla motocicletta e si avvicinava, poi il suo sguardo si posò su Mark

«Dì la verità» disse cupo, troppo esperiente per non capire ciò che stava accadendo «Quello non è umano…».

Fu interrotto da uno sparo. Il tipo che era sceso  dalla motocicletta aveva sparato in aria con la pistola ed ora osservava tutti con occhi che parevano due pezzi di ghiaccio lucidi e riflettenti.

Capire da dove venisse era impossibile solo guardandolo così.           

Aveva lunghi capelli neri come l’inchiostro, una cascata di notte raccolta in un’elegante coda liscia dietro la testa, vestiva in modo ricercato, come i divi: camicia rossa scurissima, quasi marrone, di seta, e pantaloni di velluto nero aderenti alle gambe eleganti, sfilate e muscoloso.

Arrivava si e no al petto di Mark contando anche la testa, ma aveva qualcosa che lo faceva sembrare imponente, altissimo e terribilmente bello.

Sul suo volto lievemente affilato e regolare si poteva vedere la giovinezza, una giovinezza eterna e, agli occhi dei mortali, perfetta.

Harry inarcò la schiena, ingobbendosi, e ruggì forte.

Mark, invece, rimase immobile a osservare taciturno il vampiro. Seppe con certezza che quel maledetto demone eternamente giovane non era un vampiro qualunque, ma un Principe della Notte.

Un Principe della Notte è un privilegiato, una creatura da definirsi quasi al pari del mitico Vlad Tepes terzo, colui che passò alla storia come il Conte Dracula. Quasi, con una certa approssimazione, comunque …

Quale miglior battesimo del fuoco per Harry nelle vesti di nuovo uomo lupo?

Il vampiro si leccò le labbra e sorrise in un modo ancora più odioso, deciso, poi, con la teatralità tenebrosa che è tipica della sua specie, parlò

«Uno nuovo di voi» fisse, alzando il mento con fiero disprezzo »Lupi. Siete diventati più dei conigli» alzò una mano all’altezza del petto, con il palmo rivolto verso l’alto »Siete troppi e non fate comodo a nessuno, come i cani randagi. Ma guarda un pò» fece qualche passo in direzione di Harry «Non ci sono più gli uomini lupo di una volta … una volta quando si trasformavano, attaccavano. Ora abbaiano, ma non mordono … cani. Cani di basso rango» il vampiro rise con una voce gelida e profonda «Ma è meglio così: sarà semplice, molto più semplice portare la mia razza al trionfo».

Puntò la pistola contro Harry, lentamente, tranquillamente

«Dicono che per uccidere un uomo lupo serve una pallottola d’argento … ma vediamo quanto resiste se con una magnum gli conficchi un proiettile nel cervello … ».

Il vampiro spalancò gli occhi, due lanterne di un azzurro tanto intenso da abbagliare, e fece fuoco mentre l’enorme massa oscura dell’uomo lupo nero balzava verso di lui e lo atterrava. La pallottola strisciò sulla spalla possente di Harry, lasciando una sottile striscia cremisi fra la pelliccia di tenebra.

Il principe della Notte colpì con un pugno la mascella del licantropo, capovolgendolo all’indietro sul dorso, e balzò in piedi emettendo un urlo stridulo e inumano.

Dunque non era vero che i moderni uomini lupo abbaiavano e basta, qualcuno balzava anche … e mordeva all’occorrenza …

La luna piena brillò più forte contro la volta nera, libera dalle nubi.

E quella luce di argento colato, insieme alla vicinanza con un vampiro, tolsero ad Harry ogni traccia di umano timore.

La bestia eruppe con un ululato lugubre e raggelante, spalancò le fauci, rosse come il sangue, contrasse ciascuno dei suoi muscoli sovrannaturali e si slanciò contro il vampiro. I suoi denti incontrarono la fredda carne e affondarono, si serrarono, senza sapere dove colpivano, ma badando solo di farlo con intensità, con forza, per fare male e per uccidere.

Harry sentì un pugno che gli percuoteva forte il cranio e lasciò la presa, ma solo in favore di un’azione più distruttiva: fulmineamente le sue zanne agganciarono la mano che aveva osato colpirlo, lacerando la carne, tranciando l’osso, lasciando un moncherino sanguinante alla fine del braccio.

Il vampiro gridò di dolore e sferrò un calcio al mento dell’uomo lupo, mostrando che il proprio corpo agile e tonico conteneva una potenza strabiliante, enorme, inconcepibile in una scorza così piccola.

Harry fu sollevato da terra con quel colpo e ricadde due metri più in la con un doloroso schianto, ma non si diede per vinto così facilmente. Scattò in piedi, la schiena curva, e di nuovo abbaiò con ira.

Nel frattempo la mano del vampiro stava ricrescendo dal polso come una giovane piantina al filmato accelerato, bella e affusolata quanto di sicuro forte, pulsando di nuovo vigore, ma con un controsenso: era completamente ricoperta da un velo di sangue lucido.

Harry, cieco di furia, si slanciò ancora una volta contro il suo esile avversario, le lunghe braccia protese, gli artigli che fendettero l’aria per conficcarsi nel petto del vampiro, che di nuovo urlò e si scrollò di dosso l’uomo lupo con una spinta sull’addome che lo lanciò in aria e lo fece ricadere sulle zampe posteriori.

Il Principe stese in avanti un braccio con teatralità e sogghignò. Sul palmo aperto della sua mano tesa comparve fluttuante una sfera traslucida e cremisi d’energia,  che si sganciò e volo verso il licantropo nero, colpendolo e facendolo strisciare a terra per dei metri, di fronte agli sguardi preoccupati degli umani.

Harry, a terra, strinse i denti. Il dolore lo risvegliò, come una tempesta di coltellate sotto la pelle.

Contrasse le mani. Si rialzò, malfermo e fremente, e ruggì scoprendo le zanne, mostrando fili di sangue e di bava attaccati dalla lingua al palato, le orecchie appuntite reclinate e aderenti su capo, gli occhi iniettati di rosso.

Il vampiro si mise in posizione di combattimento, come un pugile

«Nessun rognoso animale può osare farmi del male» disse piano, in un sibilo «Tantomeno tu».

Poi tutti videro Harry piegarsi in avanti e ringhiare rocamente, come di dolore le sue spalle ispessirsi tenendo al massimo possibile la camicia azzurra, i canini allungarsi ulteriormente spingendosi fuori dalle nere labbra tese e le braccia divenire più grandi e pesanti, più folte di pelliccia lucida nerobluastra come di seta sfilacciata, come inchiostro solido.

La bestia si risollevò rinnovata, possente, temibile.

Il Principe della Notte si costrinse a non mostrare alcuna emozione, a rimanere freddo come ghiaccio, ma ebbe un involontario riflesso di fuga quando l’uomo lupo nero galoppò verso di lui, ingobbito ed enorme come un rinoceronte, infuriato.

Il vampiro e il lycan si scontrarono, zanne contro la carne e contro la pelle, sotto la luna piena.

Harry prese il collo dell’avversario e lo lanciò in avanti, poi, mentre il corpo elegante del vampiro era ancora a mezz’aria, balzò e lo atterrò conficcandogli gli unghioni nelle spalle fra schizzi scarlatti di sangue.

Il vampiro urlò in quel suo modo stridente, aprendo inverosimilmente le bocca ornata di zanne candide e aguzze, e allontanò da se l’uomo lupo con una ginocchiata sullo sterno. Su rialzò con un salto e fu il suo turno di attaccare, afferrando con una mossa fulminea il collo grosso e nervoso dell’uomo lupo e conficcando i canini nella carne, poco sotto la mascella. Succhiò con piacere il sangue che lo rinvigoriva e indeboliva il suo avversario, sangue che scorreva caldo e ferroso nella sua bocca, dolce, delizioso, nettare sublime della vita.

Harry non urlò, ne ululò, né ringhiò, sebbene il dolore provocato dal morso del vampiro fosse lancinante e si estendesse come un bruciore di spade infuocate gonfiandogli d un male indescrivibile i polmoni che cercavano aria. Era come pietrificato, ma dopo qualche istante riuscì  a liberarsi in parte del torpore che gli bloccava i muscoli e colpì con gli artigli il vampiro allo stomaco, sollevandolo di quasi un metro da terra e staccandoselo dal collo.

Il Principe della Notte indietreggiò tenendosi la nuova ferita con le mani arrossate di sangue e guardò torvo l’uomo lupo

«Sei un osso duro» sibilò, con un respiro stranamente calmo e regolare «Ma pur sempre un novellino, un cucciolo. Non sei alla mia altezza … ».

Scattò. Harry non ebbe neppure il tempo di spostarsi che sentì la lama seghettata di un coltello squarciargli il basso ventre, la mano del vampiro afferrargli i peli dietro la nuca e denti affilati penetrargli dove già erano stati praticati due fori profondi e simmetrici.

Rimase immobilizzato dall’abbagliante dolore, poiché i morsi di vampiro hanno il potere di paralizzare momentaneamente la vittima. E così sfruttando questa proprietà, il Principe affondò più forte il coltello e si nutrì con foga del sangue del licantropo.

Il vampiro lo stava lentamente uccidendo e ricavava da esso il suo nutrimento , chiudeva le proprie ferite a spese della sua giovane vittima.

Harry si mise a piangere in silenzio, non pensando minimamente a ciò che era in quel momento. Sentiva la forza sfuggire velocemente dal suo corpo, la vita affievolirsi.

Proprio ora…ora che era diventato forte e accettato, ora che era stato incluso in quello che lui definiva “il Circolo degli Straordinari”.

Morire fra le zanne di un vampiro? Una fine eroica, certo…combattendo, certo…ma chi voleva finire? Chi voleva perdere tutto?

Harry strinse debolmente i pugni e alzò le braccia con difficoltà, i muscoli gonfi nello sforzo di lottare contro il proprio sistema nervoso che si opponeva alla sua stessa libertà.

Pensò a Kate: non era una donna lupo, ma era straordinaria e forse lo avrebbe amato un pò di più se avesse visto la nuova forza di lui come uomo lupo. Ma se fosse morto, invece…

Harry muggì la sua sbuffante ed esplosiva rabbia, forte come dinamite. Si scrollò di dosso il torpore, reagì.

Il vampiro non si accorse neanche del morso che gli stava per essere assestato, ma quando il suo braccio destro cadde a terra in un’orgia di sangue gridò a squarciagola e saltò indietro per sottrarsi dalla portata del lupo, , ma sorrise comunque: era la fine, il licantropo era allo stremo delle forze, barcollava sulle zampe posteriori come un ubriaco bastonato e comunque la ferita al basso ventre lo avrebbe lentamente ucciso entro la fin della notte.

Harry inspirò profondamente, pronto a ricominciare la lotta, ma si sentiva stanco, affamato, senza più energie a cui fare appello. Osservò il braccio del vampiro che ricresceva grazie al sangue che gli era stato sottratto e provò una fitta di dolorosa fame che gli contorse le viscere.

Uggiolò, si abbassò a quattro zampe, pervaso da un tremore crudele di spossatezza, , si abbandonò del tutto al dolore fisico e mentale che pulsava in lui, più feroce del lupo che respirava nel suo petto.

Vide il vampiro avanzare verso di lui per sferrargli il colpo di grazia.

Il Principe della Notte aveva un gelido ghigno stampato sul volto, ebbro, perso nell’immensità della sua forza, nel suo delirio di potere che lo portava ad escludere ogni fattore esterno.

Erano solo lui e il nuovo uomo lupo, solo loro contavano.

Anche la luna sembrava sorridere crudelmente, più giallognola del solito, con bagliori scarlatti che sembravano ogni tanto increspare la sua superficie solitamente argentea e irradiante pace.

Il vampiro alzò il coltello lungo venti centimetri all’altezza del proprio volto, specchiandosi nella lama macchiata di un denso cremisi

«Hai una rara energia» disse, i canini scoperti in un sorriso folle «Questo te lo concedo. Ma non puoi sperare di battere me. Nessuno di voi, miseri lupacchiotti, può farlo. E solo i più forti sopravvivono» abbassò il coltello lasciando penzolare il braccio a lato del corpo, con un nonsochè di elegante e malvagio «Tu non puoi sopravvivere».

Una scintilla rossa attraverso la mano del vampiro, propagandosi fino al coltello, la cui lama si illuminò come se ardesse in una sottile fiamma da cui si dipartivano filamenti di fumo tremolante.

Un ululato lontano di coyote rese l’atmosfera più spettrale di quanto già non fosse.

Harry caracollò in avanti   a quattro zampe, lasciando dietro di se una scia di denso sangue rosso. La vista gli si stava annebbiando. Raccolse le ultime forze prima che strisciassero fuori da lui insieme al fluido che le sue arterie e le sue vene martoriate spandevano e si preparò a compiere un ultimo attacco.

Il Principe della Notte avanzò veloce, come sospinto dal vento, e il coltello stretto in pugno brillò più forte

«Addio!».

Un urlo inumano squarciò la notte, poi ci fu qualche istante di silenzio.

Miky gridò e si nascose ancora di più dietro Ryan e Timothy, rannicchiandosi, turbata ed incurante del fatto che anche i due uomini erano profondamente scossi da ciò che vedevano, tanto da non riuscire a staccare lo sguardo da quello spettacolo di sangue.

Quanto fu l’orrore e l’impressione degli umani nell’osservare quella scena? Questo è impossibile spiegarlo.

Come esistono due tipi fondamentali di vampiri, i Principi ed i Mostri, così esistono due tipi di licantropi: i lycan acquisiti, contagiato da un morso, ma capaci di trasformarsi anche volontariamente, e quelli veri, che possono essere nati lycan così come contagiati, ma che sono licantropi per vocazione, feroci ed implacabili, possessori di corpi impressionanti e di metamorfosi violente, perché essi sono sempre stati lupi in una scorza che non gli apparteneva del tutto.

Harry era un lycan del primo tipo, non sarebbe mai stato abbastanza sanguinario, mai impavido e terrificante. Non avrebbe potuto affrontare un Principe della Notte.

Ma qualcuno lo avrebbe fatto al posto suo.

L’urlo che aveva squarciato la notte ed agghiacciato gli umani era quello del vampiro, ferito quasi mortalmente e che si era allontanato di una ventina di metri dall’uomo lupo nero il quale tremava a quattro zampe e che era il giovane Harry.

Nel buio della notte, come un monumento al potere, ansimava pesantemente un essere alto oltre due metri, largo, possente, con un giubbotto nero gonfio sul dorso muscoloso di belva, mani forti racchiuse in guanti di pelle, neri anch’essi.

Era Mark.

Il vampiro, mentre la tremenda ferita infertagli sul torace dalla mano di Mark che lo aveva quasi trapassato si rimarginava, si mise in posizione di combattimento come un karateka

«E tu» ringhiò «Tu cosa vuoi?».

Mark fece un passo avanti e lo guardò con due occhi di un verde sempre più chiaro pieni del selvaggio mistero dei lupi

«I vampiri non uccideranno più» rispose, con una voce che non aveva più nulla di umano, né di canino e solo in parte del lupo, la voce profonda, piena, rara, la voce del drago.

Harry uggiolò, preso dalla gratitudine.

Mark guardò il giovane uomo lupo come si guarda un nipotino che è caduto dalla bicicletta e si è sbucciato un ginocchio, poi il suo sguardo saettò verso il vampiro.

Le sue iridi, le pupille e il bianco si fusero in un unico bagliore d’argento, i suoi occhi divennero nivei e fiocamente brillanti di una rabbia ancestrale e invincibile.

Il vampiro lanciò il coltello con precisione e con forza, ma Mark si spostò abbastanza in fretta da non farsi uccidere sebbene la lama gli lacerò la camicia e la pelle in una striscia insanguinata sul petto e si conficcò nella parete esterna del ristorante con un clangore metallico, a meno di un metro di distanza dagli increduli spettatori umani.

Mark si mosse lentamente, come un orso, e sorrise trucemente. Qualcosa parve muoversi sotto la pelle del suo volto duro, come se i muscoli stessero gonfiandosi gradualmente.

Già da prima era innescato il processo di trasformazione, quando gli umani avevano visto scattare in avanti Mark con la rapidità predatrice del lupo, ma ora, in un solo istante, la mutazione raggiunse il suo culmine.

Fu come se il tempo d’improvviso si fosse fermato e tutta la natura si tendesse in ascolto, terrorizzata.

Il Principe della Notte spalancò gli occhi per osservare l’Oscuro Ministro e fu scosso dalla vischiosa sensazione di consapevolezza che precede uno scontro fra due titani che vivono nello stesso elemento: le tenebre.

Nel contempo si unirono agli spettatori il padrone e cameriere Louis e sua moglie, una  signora robusta, rotondetta e rubiconda, con i capelli tinti tagliati a caschetto e un’espressione per nulla spaventata

«Che succede?» chiese all’improvviso quest’ultima, ma non gli fu data risposta verbale, bensì in termini visivi.

Vide un uomo, o qualcosa di simile, girato di spalle, che si teneva la testa fra due mani che divenivano sempre più grosse e ricoperte di pelo fitto come quello di un orso, di un colore non perfettamente visibile nel buio, ma tendente al mogano.

L’uomo si stava un pò incurvando e, dalla cima della testa ornata da una criniera rossiccia scura, spuntarono le punte di due orecchie da alano, ma più piccole.

Il vampiro si slanciò contro Mark, ma subì una zampata che lo allontanò facendolo strisciare sul terreno con la schiena, fra piccoli schizzi cremisi.

Mark non si mosse più, ma rimase a fissare con occhi bianchi il corpo del Principe della Notte.

Ora era un uomo lupo quasi completamente, ma così alto e largo da sembrare un orso bruno, sebbene la sua pelliccia fosse di una gradazione di colore molto più apprezzabile, un bel rosso mielato con sfumature scure da setter irlandese, morbida e lievemente riccia sul retro del collo possente.

Le sue braccia, già normalmente abbastanza lunghe e grandi, ora erano ancora più grosse, definite sotto il pelo serico e corto. Le mani, divenute enormi, avevano strappato i guanti neri dei pelle lasciando scoperte ampie porzioni di palmo.

Il vampiro si rialzò con deliberata lentezza e osò sfidare il nuovo avversario guardandolo in volto. Rabbrividì: conosceva solo un’altra creatura con una testa di quel genere, una creatura della notte che aveva incontrato molto tempo prima e il cui morso gli aveva lasciato cicatrici indelebili.

Mark avanzò a passo cadenzato, l’ombra nera del suo profilo, che si stagliava inquietante contro l’erba, creata dalla luce mortifera della luna così grande e triste, eppure misteriosa ed esaltante.

Emise un mormorio di gola tanto basso da sembrare un piccolo terremoto che si propagava nella terra sotto i suoi stivali neri e pesanti, poi scattò in avanti.

Era così veloce, silenzioso, fuso con la notte, da risultare praticamente impercettibile da occhi e orecchie umani.

Ma il vampiro lo vide ed evitò di un soffio l’assalto che avrebbe potuto essergli fatale.

Mark si fermò dietro di lui e, piombando a quattro zampe, emise un abbaiato non dissimile da quello di un san bernardo, profondo e pieno, mostrando zanne candide che costellavano le sue fauci stranamente larghe per essere quelle di un uomo lupo, più simili a quelle di un alaskan malamute ingigantito, dalle labbra scure, sottili, tese e frementi.

Caricò a testa bassa, con il chiaro intento di colpire come un toro.

Il vampiro saltò leggermente di lato, tale e quale ad un abile e velocissimo torero, evitando di venire colpito, e di nuovo Mark passò oltre al galoppo, ma all’improvviso sparì inghiottito da una nube di fumo sottile e cinereo, nebbia oscura che sembrava non riflettere la luce.

Il Principe della Notte si guardò intorno e tese le orecchie nell’ascolto. Udì un silenzio fitto e nero rotto solo a tratti dai gemiti di dolore di Harry e da un bisbigliare impressionato di umani mortali.

Sibilò con rabbia e strinse gli occhi, sebbene ci vedesse tanto bene di notte quanto un umano alla luce del giorno. Dove poteva essere finito quel mostro rosso di oltre centocinquanta chili? Dove poteva essersi nascosto?

Il vampiro annusò il vento. L’odore di quell’uomo lupo, muschiato e forte, aleggiava dappertutto come se il suo proprietario fosse ovunque, eppure il vampiro non scorse il riflesso sanguigno della pelliccia da nessuna parte.

All’improvviso vi fu un bagliore pallido in lontananza, oltre la collina.

Il Principe della Notte si preparò ancora a combattere ed avrebbe sudato se solo fosse stato ancora vivo

«Pensi di potermi spaventare?» gridò al vento, chiudendo le mani a pugno.

La risposta che gli giunse fu un ululato lugubre da far gelare il sangue e tremare le ossa, poi, con un latrato roco, l’enorme sagoma rossastra vestita di nero balzò.

Il Principe della Notte vide il corpo gigantesco e massiccio dell’uomo lupo abbattersi su di lui le zampe posteriori colpirlo alle gambe, le mani artigliate del licantropo cingerlo e graffiarlo, un bagliore di zanne che saettavano, una gola buia e profonda in fondo a fauci rosse, poi sentì un dolore pungente invadere il proprio corpo eternamente giovane succhiandogli il vigore come lui succhiava il sangue delle sue vittime per mantenersi bellissimo e invincibile.

Così, d’improvviso, scoprì di non essere affatto invincibile.

Tutto questo accadde in meno di un secondo.

Mark affondò i denti nella gola del vampiro, preciso come un bisturi, rapido come un serpente cobra.

Il Principe della Notte urlò di dolore con una voce che sembrava un grattare acuto e rapido su una lavagna umida, così forte da assordare qualunque umano comune, figuriamoci come avrebbe potuto disturbare le sensibili orecchie di un uomo lupo.

Mark lasciò il vampiro e indietreggiò stordito, barcollando con i palmi premuti sulle orecchie e ansimando. Lentamente deglutì e fece scendere le braccia lungo il corpo.

Era incredibile come, nonostante la trasformazione evidente e straordinaria, fosse ancora tanto simile a quando si trovava in forma umana … o forse sarebbe stato meglio dire che quando si trovava in forma umana … o forse sarebbe stato meglio dire che quando si trovava in forma umana fosse incredibilmente simile a quando si trovasse in forma ferale.

Aveva lo stesso spigolo morbido della mascella, lo stesso corpo che dava la stessa impressione di eleganza e potenza, dalla forma leggera, con braccia per nulla esagerate eppure forti come acciaio, rimaneva immutata per buona parte la fisionomia del petto e il collo era troppo corto per essere quello di un uomo lupo, anche se sembrava dotato di una struttura il doppio più forte di quella di qualunque simile licantropo.

Ma terribile era lo sguardo: appena un pò più feroce di quello umano, aveva la stessa infossatura e proporzione, attorniato dagli stessi lievissimi solchi nella pelle chiara, e ti raggelava ed affascinava al tempo stesso … sempre che tu non fossi un vampiro: in quel caso poteva solo raggelarti.

Il Principe della Notte barcollò da un piede all’altro come una scimmia ubriaca

«L’hai voluto tu questo scontro!» ringhiò flebilmente il vampiro, il collo che perdeva sangue denso ad un ritmo vertiginoso.

Evidentemente stava perdendo la sua capacità rigenerativa, le forze gli venivano a mancare, non vi era più materiale per ricostruire i tessuti lacerati. E il vampiro voleva utilizzare le energie reside per trasformarsi.

Avanzò velocemente al trotto su gambe malferme, urlando. Due grandi ali pallide, da pipistrello, gli spuntarono dalla schiena senza strappargli gli abiti. E questa è una delle caratteristiche che fanno comprendere quanto i vampiri, demoni della notte, fossero dotati di straordinari poteri: non usano i vestiti come qualunque essere umano li concepisce, né tantomeno li cuciono o li comprano. Gli abiti di un grande vampiro sono praticamente parte del suo corpo e mutano con esso, cambiando forma e colore a piacimento del possessore, ma non divengono mai una corazza impenetrabile, anche perché i vampiri non accetterebbero mai di portarla indosso.

Mark attese pazientemente che il nemico terminasse di trasformarsi e giungesse fino a lui.

Il Principe della Notte alzò la testa, divenuta come per magia ed in un solo istante quella di un mostro orribile, e ruggì.

Era ormai enorme, con un’apertura alare che superava ampiamente i sei metri, un grosso corpo color latte che pareva riflettere la luce come uno specchio, le braccia spropositatamente lunghe striate di grigio e di rosso chiaro, dalla consistenza cuoiosa, con muscoli nodosi e allungati, invece che pieni e guizzanti, duri comunque come metallo.

Strisciò rapidamente sul terreno aiutandosi con le giunture delle ali che, dotate di rampini d’osso, si agganciavano alla terra e, con feroci strattoni, portando in avanti il corpo viscido del vampiro.

Mark si avventò contro il mostro alato affondando gli artigli nelle membrane spesse delle ali, squarciando lo strato di pelle tesa e i sottilissimi vasi sanguigni in cui il sangue non scorreva, ma stagnava, sotto di essa.

Stavolta non si lasciò allontanare dalle urla stridule del vampiro, ma gli chiuse contro il corpo le ali, come una coperta insanguinata, e strinse.

Il Principe tentò di divincolarsi, ma scoprì con enorme disappunto e quasi con terrore che la forza del suo avversario era di troppo superiore alla propria. Contrasse violentemente ogni muscolo e spalancò le fauci mostrando due file irregolari di zanne enormi e di un color panna brillante nella fioca luce lunare. Si sentì pervadere da un torpore tremendo, un annebbiamento dei sensi  che il suo corpo non aveva mai provato se non quando era ancora vivo e stava per passare nella sua esistenza da morto vivente.

Mark strinse più forte il nemico in quel mortale abbraccio, infilando le unghie nel dorso grigiastro del vampiro e bagnandosi le dita. Non era una di quelle persone che non sopportano di uccidere eppure in quella notte di plenilunio sembrava avere una voglia matta di ammazzare nel modo più brutale possibile, godendo del tepore del sangue che gli rinvigoriva le dita gelate inzuppandogliele … poco importava che il sangue stagnante dei vampiri non fosse caldo come quello umano.

Mark fece scattare la testa in avanti e la massa pelosa della sua groppa nascose il capo del vampiro dalla vista degli spettatori umani. Affondò le zanne con un movimento  morbido, uno slancio passionale, degustando la carne che lacerava con l’attenzione curata di un sommelier che si accinge ad assaggiare un vino pregiato dalla storia antica.

Il sangue sprizzò mentre i denti penetravano uno strato di carne dopo l’altro, bagnando le labbra del licantropo e la sua guancia destra, che poggiava sulla giugulare del vampiro come se volesse rubarne il calore e la vita … o almeno ciò che la sostituiva, quella presunta vita.

Poi l’uomo lupo dal pelo rosso si staccò dal Principe della Notte e si allontanò a qualche metro di distanza leccandosi l’angolo della bocca intriso di liquido sanguigno, le spalle morbide, le braccia abbandonate ai fianchi.

Qualcosa simile ad un curioso sorriso gli modellò il volto animale.

Il vampiro si afflosciò a terra senza emettere alcun rumore, poi iniziò ad invecchiare.

La sua pelle si seccò, s’incartapecorì, lasciò vedere in rilievo le vene bluastre come un reticolo di  macabri cordoncini che gli solcavano tutto il corpo, poi iniziò ad annerirsi rapidamente.

Le ali si afflosciarono, persero tono, si sciolsero in due nauseabonde macchie color petrolio vischiose che furono assorbite dal terreno quasi come acqua.

I canini e gli altri temibili denti si staccarono lasciando gengive sanguinanti e orribili a vedersi in quel volto ammuffito e nerastro macchiato di vecchio, quasi incancrenito e solcato da corde blu che guizzavano come serpenti vivi sotto lo strato ossidato di pelle.

Il suo corpo si sgretolò come se fosse stato bruciato e le sue ultime polveri vennero sollevate dalla brezza leggera che spirava quella notte per essere disperse in luoghi dove nessuno avrebbe ricordato quel flagello che tutti chiamavano “il vampiro”.

Mark si volse verso Harry e gli si avvicinò.

Le ferite che il ragazzo lupo aveva subito erano abbastanza gravi da essere letali, ma vi era ancora un barlume di speranza che brillava fioco nel buio, come una fiammella sul punto di spegnersi.

Harry sollevò la pesante testa nera e incontrò lo sguardo di Mark. In quell’unico istnate sentì una cosa che era molto di più che semplice gratitudine, qualcosa come un patto d’amicizia.

Poi uno strappo in fondo alle viscere ed infine il buio.

 

Tic tac. Un orologio. Tic tac … buio.

  
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