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Parte I :
Draco
29 aprile
1999
Questa storia comincia
quando di solito una storia giunge al termine.
Questa storia comincia con
la mia morte.
Sto
morendo.
Tecnicamente non è vero,
tecnicamente non sto ancora morendo, il mio cuore batte regolarmente, i miei
polmoni continuano ad inalare aria e a rilasciare anidride carbonica, il mio
intestino…beh non sono affari vostri quello che sta facendo il mio
intestino.
Mancano poche ore
all’esecuzione. Me ne andò nel modo più dolce e indolore che la giustizia poteva
offrirmi: mediante il bacio di un Dissennatore. Mi
porteranno in una sala circolare e in presenza di testimoni, dove sarò
giustiziato.
Imputazioni a mio carico:
omicidio e traffico di sostanze illegali. Ah e sono stato anche accusato di
essere un Death Eater.
Ovviamente lo sono.
Cazzo, Al Capone è stato condannato per molto
meno.
Intreccio le dita e vi
appoggio sopra la fronte.
Non
voglio morire.
Questa è la verità. Io non
voglio morire. Ho ucciso un uomo, un Auror. Ma è stato
solo per non farmi ammazzare. Era un duello, cazzo. Non l’ho colpito alle
spalle, non gli ho messo una dose massiccia di veleno nel porridge. Lui cercava di uccidermi, ma io sono stato più
veloce. O più abile. O solo più fortunato.
“Ma
l’imputato ha usato una Maledizione senza Perdono”.
Sento risuonarmi nelle
orecchie le obiezioni della pubblica accusa.
Ho
guardato quell’uomo dritto negli occhi e ho
pronunciato Avada Kedavra.
L’ho fatto. Un lampo di luce verde e l’uomo cadeva a terra, distorcendo la bocca
in un ultimo rantolo. Era la prima volta che ammazzavo qualcuno. Non credo di
avere altre occasioni per ammazzare un altro essere umano nelle prossime due
ore.
Un
brivido di freddo mi scivola giù dalla spina dorsale.
Due ore all’esecuzione.
“Ha il Marchio. Molti
testimoni lo hanno visto partecipare all’attacco ad Hogwarts del giugno 1997 e
all’attacco alla Gringott del settembre 1997, in
compagnia di Bellatrix e Rodolphus Lestrange.”
Colpevole. Ero presente in
entrambe le occasioni. Zia Bella mi ha preso sotto la sua ala protettrice. Dice
che da generazioni il rampollo della famiglia Black deve avere un mentore. Lei
voleva essere il mio. Poco importa se di cognome faccio Malfoy. Ho comunque
abbastanza sangue Black nelle vene, per essere degno della grande zia Bella. I
coglioni…beh quelli in qualche modo ho dovuto tirarli
fuori.
Uccidi o resta ucciso. È la
legge della giungla, gente.
Ma riprendiamo con le mie
imputazioni. Non mi piace lasciare un discorso in sospeso.
Diciamocelo, in mezzo a quel
popò di imputazioni come essere un seguace dell’Oscuro Signore e l’omicidio, il
traffico di sostanze illegali denota mancanza di classe. Avrebbero potuto
tralasciare.
Le sostanze illegali che mi
hanno trovato addosso non sono chili di polvere esplosiva o litri di veleno. Era
una semplice e indegna bustina d’erba. Un po’ di ganjia, capito? Ma sul verbale non potevano mettere: ehi il
figlio di Lucius Malfoy si fa le canne, così hanno
scritto che stavo trasportando queste fantomatiche sostanze
illegali.
E
dulcis in fundo… Death
Eater. Lo
sono.
Potrei dire che non avevo
scelta. Che sono stato costretto a diventarlo. Vero. Tutto tremendamente
vero.
Ma è anche vero che volevo
diventarlo. Perché quando ti trovi
davanti all’Oscuro Signore e guardi i suoi occhi rossi, lo senti. Senti che vuoi
entrar a far parte della sua gloria. Lui mi ha offerto ciò che più bramavo:
potere. E io l’ho accettato con tutta la mia anima. Con tutto il mio cuore. Con
tutta la mia vita. quella via che anche ora gli sto offrendo.
Mi ha detto che poteva farmi
diventare potente oltre ogni mia immaginazione. Temuto e riverito come il mio
cognome merita. Più potente dell’odiato Potter.
E io gli ho creduto. Ho
creduto a ogni parola, a ogni minimo cenno d’incoraggiamento, sentendomi
importante. Sentendomi un uomo.
Rimpiango quello che ho
fatto?
Sì. Considerando che sto
aspettando di essere giustiziato, direi di sì. Rimpiango di essermi fatto
marchiare. Rimpiango di essere diventato un Death
Eater.
Ma ormai quello che fatto è
fatto. Non posso tornare indietro e cambiare le cose.
Dumbledore è
morto.
L’Oscuro Signore è
morto.
Il professor Snape…indovinate un po’? Morto.
Zia Bella e zio Rod, morti anche loro.
Mio padre è stato
giustiziato la settimana scorsa. Non mi hanno permesso di assistere alla sua
esecuzione.
Mi ha mandato una lettera,
piena di frasi arzigogolate e di paroloni, vergata dalla sua grafia
austera.
Mi dice che mi vuole bene,
in un modo tutto suo.
Mi dice che è orgoglioso di
me, che sono il figlio migliore che potesse capitargli.
E mi chiede perdono. Questa
parte è molto breve, molto…molto sintetica, ridotta a una sola parola. Perdonami.
E in quel perdonami rivedo
le punizioni, le mortificazioni, le costrizioni. Rivedo tutto, ma so che non
hanno più importanza. In quella parola rivedo mio padre.
Il nobile ed elegante Lucius Malfoy. L’uomo che ho ammirato nella mia vita, più di
chiunque altro. Più dell’Oscuro Signore. Volevo solo essere all’altezza di mio
padre.
Ho pianto per lui,
aspettando la sua morte con un’angoscia infinita.
Mi copro la faccia con le
mani, trattenendo un singhiozzo.
Mio padre è
morto.
E tra poco toccherà a me. E’
questa la giustizia? Hanno annientato l’Oscuro Signore per
questo?
Il cigolio della porta mi
spinge a voltarmi.
“Cinque minuti” dice la
guardia in tono burbero. Non voglio un altro dannato prete. Non ho più niente da
confessare e no, non ho bisogno del conforto della fede in questo
momento.
Ma sulla porta scorgo un
profilo dolorosamente familiare.
Capelli lunghi rossi.
Lentiggini. Un mantello di seconda scelta.
“Weasley” sussurro appena, mentre lei entra e la porta si
richiude alle sue spalle con un tonfo secco.
Ha gli occhi avvolti dalle
lacrime. Le guance pallide e scavate. Le mani che continuano a tormentarsi,
tremando violentemente. Registro tutto questo in un secondo, il tempo che mi è
necessario per alzarmi e avvolgerla tra le braccia.
“Ho cercato di portarti una
passaporta” mi dice con voce rotta. Le lacrime
iniziano a scorrerle sulle guance, mentre le sposto dolcemente i capelli
all’indietro e le accarezzo il viso con entrambe le mani.
“L’avevo cucita all’interno
della fodera del mantello. Era solo un piccolo sassolino ma l’hanno trovato lo
stesso. Mi dispiace. Mi dispiace”.
Continua a ripetere mi
dispiace, mentre l’abbraccio di nuovo, stringendola a me così forte da farle
male. Le sue dita affondano nei muscoli della mia schiena e le sue lacrime mi
bagnano il collo.
Non credevo di poterla
rivedere ancora. Non credevo di poterla ancora abbracciare, lasciandomi
accarezzare dal profumo dolce della sua pelle.
Devo deglutire più volte,
prima di riuscire a parlare normalmente. La scosto leggermente, guardandola
negli occhi.
Cazzo, è la cosa più bella e
meravigliosa che io abbia mai visto in vita mia. Proprio qui. Proprio in questo
momento. Con gli abiti logori, gli occhi arrossati, i capelli scarmigliati.
“Non importa” sussurro
appena.
Lei scuote la testa,
ricambiando il mio sguardo pieno di disperazione. Sta tremando così forte che se
la lasciassi andare probabilmente crollerebbe a terra.
“Mi dispiace” mormora. Le
poso un dito sulle labbra, accarezzandole piano. Sono felice. Credo sia questo
il momento più felice della mia vita. ora. Proprio ora. In questa sudicia cella,
con l’ombra della morte che mi penetra nelle ossa, come un vento freddo, e con
la ragazza che amo tra le braccia per l’ultima volta.
“Non importa” ripeto. “E’ la
fine. Non c’è niente che tu…”
Lei scoppia in singhiozzi,
aggrappandosi ancora a me.
“no, no, no, no” continua a
dire, immergendo il viso nel mio petto. Appoggio il mento sulla sua testa,
chiudendo gli occhi. Sì che lo è.
E’ la fine. Non ne sono mai
stato consapevole come in questo momento.
Nulla può più salvarmi.
Faccio scorrere le dita tra
i capelli di Ginny, massaggiandole piano la schiena. Mi abbasso, curvando
leggermente la schiena, per guardarla in viso.
“Ascoltami” le dico,
intrecciando il mio sguardo con il suo “Non piangere,
okay?”
Che frase di merda. Sto cercando di qualcosa di intelligente, qualcosa
che possa placare il suo dolore, qualcosa che valga la pena di ricordare quando
sarà vecchia e rugosa e penserà a quel ragazzo che per uno strano scherzo del
destino aveva scoperto di amarla.
La bacio piano. Le sue
labbra conservano il sapore salato delle lacrime.
“ti amo” sussurro appena,
chiudendo gli occhi. I suoi singhiozzi rimbalzano tra le pareti di pietra,
perforandomi le orecchie. Perché? Perché devo lasciarla? Perché? Perché?
Perché?
“Tempo scaduto, Romeo e
Giulietta”
La voce della guardia mi fa
trasalire. Accosto la bocca all’orecchio di Ginny e le dico quanto l’amo. Le
dico che le appartengo. Per sempre. Per sempre.
Ci baciamo un’ultima volta.
E’ un bacio che ha il cupo sapore della disperazione.
Mi grida che mi ama mentre
la portano via, lontano da me.
Non voglio lasciarla andare.
Mi precipito verso la porta ma un’altra guardia mi da uno spintone, rigettandomi
in cella. Ginny lotta con tutte le sue forze per tornare da me, urlando il mio
nome. Ancora e ancora.
Mi lancio di nuovo verso la
porta, ma la guardia di prima mi blocca.
“Ginny” grido. Ho paura,
vorrei dire. Non portatela via da me, vi prego. Ho capito che ho sbaglio. Ho
capito che no sarei dovuto diventare un Death Eater. E mi dispiace. Mi dispiace. Vi prego, lasciatemi
andare e l’amerò per il resto della mia vita. Desidero solo questo.
“Così è peggio, ragazzo” mi
bisbiglia la guardia all’orecchio, impedendomi di correre da Ginny, mentre la
trascinano fuori.
“Lasciala
andare”.
E’ peggio. Non potrebbe
salvarmi comunque. Non potrebbe fare nulla. Solo vedermi
morire.
E improvvisamente smetto di
lottare. Mi limito a guardarla, con le guance solcate dalle lacrime e i capelli
rossi che le ricadono sul viso, finchè non scompare
dalla mia vista.
Abbasso lo sguardo. Non
voglio morire.
“C’è qualcosa che posso fare
per te, ragazzo?”
Scuoto la testa,
abbandonandomi sulla branda. Il viso tra le mani, per nascondere le lacrime che
ormai non posso più trattenere. La porta si richiude. Sono
solo.
E l’orologio fa tic tac. Tic
tac, Draco, stai per morire.
Tic
tac, Draco. Tic tac.
Rimango immobile a pensare a
cosa avrei potuto fare. Potuto o dovuto fare. A pensare alla mia vita perduta.
Ai pochi, semplici istanti di felicità che ho vissuto. A quella baita
abbandonata dove ci incontravamo di nascosto. Al di là degli schieramenti, degli
ideali, della guerra. Al di là di questo mondo.
Perché in questo mondo il
nostro amore non sarebbe dovuto esistere. Non sarebbe dovuto
accadere.
Ma forse in un altro luogo e
in un altro tempo…forse in un mondo diverso…chissà…
Penso a come sia strana la
vita. A quanto male devo aver fatto alle persone che amo.
A mio padre, che è morto
sapendo che presto sarebbe toccato al suo unico figlio.
A mia madre, perduta nel
mondo lontano da questo carcere. Sola ormai.
Al professor Snape, che mi ha sempre difeso, che è sempre stato al mio
fianco, vegliando su di me come un padre.
E a Ginny. A Ginny, che
conserverà sempre il rimorso di non aver salvato questo stupido ragazzo con il
suo folle piano di una passaporta cucita nei
vestiti.
La porta si riapre. E questa
volta, per l’ultima volta.
Mi alzo con una dignità e
una nobiltà che poche altre casate possono vantare. Non mi mettono le manette.
Non mi guardano con odio. Non più.
“sei pronto?” mi chiede
qualcuno.
Abbozzo un cenno affermativo
con la testa.
Non voglio morire. E’
l’ultimo pensiero che formulo, prima che mi conducano verso la sala dove sarò
giustiziato.
Continua…
Oh siamo arrivati alla fine
della prima parte. Beh, che ve ne pare?
Ho cercato con questa storia
di trovare una trama originale, di dare un nuovo spessore ai personaggi, di
cambiare un po’ lo stile di scrittura. Soprattutto Draco, mi sono un po’ stufata
del “Draco” canonico, tenebroso, sicuro di sì, tremendamente figo, che non risponde mai ai ti amo di Ginny.
Ho tentato di vederlo sotto
una luce diversa, in un contesto diverso…spero di esserci
riuscita!
Beh questa non era che la
prima parte, ce ne sono ancora due…non vi anticipo la fine, ma sarà un po’
particolare^^
Fatemi sapere cosa ne
pensate, mi raccomando! Un bacione
A
presto
Egle