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Autore: Jack_Alone    08/04/2011    3 recensioni
È la mia prima FanFiction, quindi spero mi scuserete gli errori o le incomprensioni. Ho cercato di immaginare la vita di Dave dopo il liceo. È ovvio che io non sappia niente di vita militare, spero mi scuserete gli errori.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“AT-TENTI”
Dave alzò di scatto la testa dal cuscino, stava ancora dormendo, ma dopo sei mesi nell’esercito era così abituato alla sveglia all’alba da non farci più caso. Scosse la testa per riprendersi dal torpore dal sonno e le ultime immagini del sogno svanirono appena aprì gli occhi. Già non ricordava più cosa stesse sognando, tutto quello che gli era rimasto era una sensazione di tranquillità, ma anche quella era svanita, come bruciata dalla luce dell’alba. Il Capitano passò in rassegna le brande della compagnia di Dave, tutte impeccabili anche se fino a cinque minuti prima contenevano ognuna un uomo addormentato. Quando passò davanti al ragazzo, a malapena alzò gli occhi per guardarlo in faccia, ma Dave non vi fece caso, in quei sei mesi non si era solo abituato alla sveglia mattutina, ma anche a considerarsi come i suoi superiori lo consideravano: un numero. Era per quello che a ogni soldato venivano fornite le placche di metallo, no? Così che ogni ora di ogni giorno il loro peso ti ricordasse che eri solo un’altra matricola, un numero a sei cifre e basta. Quando entri nell’esercito diventi uguale a tutti gli altri, hai la possibilità di ricominciare da capo e tutti hanno le stesse probabilità di farcela. Ancora oggi, Dave era segretamente convinto che fosse stato questo a spingerlo ad arruolarsi. Il ragazzo si concentrò su quello che il capitano stava dicendo. Avevano una missione importante quel giorno, avrebbero dovuto scortare un convoglio di Medici Senza Frontiere fin nei territori interni, al di là del deserto. La Compagnia si sarebbe divisa su due Tank, Dave e altri quattro commilitoni si sarebbero occupati della retroguardia. Il ragazzo non era preoccupato, non era la prima volta che gli toccava attraversare il deserto e finora era stato fortunato. Era stato colpito solo una volta, il proiettile vagante di un cecchino gli aveva sfiorato la guancia. I medici di campo avevano fatto tutto quello che potevano, ma gli era rimasta una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra e ancora oggi, nelle notti più fredde, sentiva la pelle nuova irrigidirsi.
Dave si accorse che il dormitorio si stava lentamente svuotando, evidentemente il capitano aveva finito di dettare le istruzioni. L’operazione non sarebbe iniziata che tra qualche ora, aveva il tempo di rilassarsi. L’esperienza gli aveva insegnato che preoccuparsi troppo portava solo guai, così prima delle operazioni importanti faceva di tutto per distrarsi.
Si trascinò fuori dal dormitorio. Varcata la porta, rimase accecato dalla luce del sole. “Fottuto deserto” pensò “È appena l’alba e già si muore di caldo”. Camminò fino al limitare del piccolo campo di basket, gli altri lo invitarono a unirsi a loro, ma lui rifiutò, preferendo seguire la partita da bordo campo.  Passò circa mezz’ora, durante la quale Dave fece di tutto per interessarsi alla partita, ma il basket non lo aveva mai appassionato, non tanto quanto il football, almeno. Ma non voleva pensare al football, “Non oggi” si disse “non ora”.
“JAKE, quello era un fallo!”
Dave si riscosse dai suoi pensieri sul football e fissò il gruppetto che si era formato all’altra estremità del campo. Qualcuno aveva detto “Jake”? Impossibile, non c’era nessun “Jake” nella compagnia, doveva aver sentito male. Jake… Erano passate cinque settimane da quando… NO! Dave fece di tutto per allontanare la mente dal ricordo di quello che era successo cinque settimane prima, ma il cervello umano è strano, a volte sembra che lavori contro di noi. Più Dave cercava di scacciare il pensiero di Jake, più quello si affacciava prepotente nella sua testa, sopprimendo qualsiasi altra cosa…
 
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“Karofsky!” un sussurro nel buio “Dave!”. Erano passate da un pezzo le nove, orario in cui tutte le luci del campo per reclute dovevano spegnersi. Ma Dave era ancora sveglio, troppo eccitato dagli eventi del giorno. Il suo primo giorno nell’esercito! Si sarebbe finalmente riscattato agli occhi del padre e tutti a casa avrebbero dimenticato “l’incidente”, quando sarebbe ritornato con una medaglia al petto.
“Karofsky”
Il sussurro veniva dalla sua destra, si girò da quella parte e alla luce della luna vide che a chiamarlo era il ragazzo che aveva conosciuto quella mattina, era in fila dietro di lui a mensa. Si era pure presentato, ma Dave aveva già dimenticato il suo nome. Jeff, forse? Qualcosa di simile.
“Che vuoi?” sussurrò di rimando
“Usciamo”
“Cosa? No! Non dovremmo neanche essere svegli. Uscire per andare dove, poi? Siamo in mezzo al nulla, qui”
“No, c’è una piccola città a un paio di miglia verso est, me l’ha detto uno dei ragazzi più grandi. Possiamo sgattaiolare fuori e rientrare prima dell’alba”
“Se ci scoprono ci buttano fuori”
“Non ci vedrà nessuno, stanno dormendo tutti! Dai, il tempo di una birra, per festeggiare. E chissà quanto tempo passerà prima di poterci fare un’altra birra”
Dave era indeciso. Era per situazioni del genere che si era cacciato nei guai a casa, sempre a seguire gli altri, mai quello che gli diceva la testa. Ma Jeff-O-Come-Cavolo-Si-Chiamava aveva ragione, chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poter bere una birra.
“Ok, andiamo”
“Bene. Io mi chiamo Jake, comunque”
“Io sono Dave”
“Si, lo so”
Jake si alzò dalla brandina senza far rumore, aspettò che Dave lo imitasse e insieme sgattaiolarono fuori dal dormitorio.
 
Il “bar” si rivelò essere un lungo bancone poggiato su dei cavalletti che serviva unicamente una birra alla spina dal sapore vagamente acido. “Neanche la peggior bettola di Lima è così malridotta” sussurrò Dave a mezza voce, ma Jake non lo udì, o fece finta di non sentirlo. Avanzò spavaldo fino al bancone e ordinò due birre.  Dave ammirò la naturalezza con cui il ragazzo si muoveva, sembrava perfettamente a suo agio in qualsiasi situazione. Dave era sicuro che neanche la critica più feroce avrebbe potuto scalfire quell’atteggiamento. E si ritrovò ad invidiarlo un po’, lui non era mai stato così sicuro, quando andava al liceo riusciva a superare la giornata solo grazie alla giacca della squadra di football. Era come uno scudo che lo proteggeva dal mondo esterno, ma che allo stesso tempo non gli permetteva di essere se stesso. C’erano volte che gli sembrava di soffocare dentro quella giacca, come se gli togliesse il respiro. La conversazione tra i due all’inizio fu stentata, ma la birra fece il suo effetto e mezzo boccale dopo si ritrovarono a raccontarsi a vicenda la storia della propria vita. Dave cominciò a trovare simpatico il ragazzo, erano simili sotto quasi tutti gli aspetti. Jake, in effetti, era nato e cresciuto a Mansfield, non lontano da Lima. Mentre ancora stavano parlando del campionato di football studentesco, furono interrotti dall’annuncio che di lì a momenti si sarebbe esibita sul palco una band locale. Dave guardò l’orologio e avvertì Jake che dovevano avviarsi al campo, altrimenti li avrebbero scoperti. Ma Jake insistette per sentire almeno la prima canzone della band. Così Dave guardò con crescente apprensione la band sistemarsi sul “palco” e attaccare il primo pezzo. Dave lo riconobbe alla prima nota. La prima canzone della band era una cover di Don’t Stop Believin’ dei Journey. Il ragazzo non poté fare a meno di imprecare sotto voce. Si era arruolato nell’esercito, aveva chiesto di essere assegnato ad un campo reclute lontano migliaia di miglia da casa, e ora si ritrovava nel Texas orientale in una bettola di terz’ordine a sentire una stonata band locale che suonava Don’t Stop Believin’!
“Sei sicuro di stare bene? Sei diventato tutto rosso. Non sarai mica uno di quelli che non reggono neanche la birra, vero?”
Dave provò a calmarsi e rispose con un laconico “Sto bene. Andiamo? Rischiamo di fare tardi!”
“Ok ok. Tanto questi qui fanno pure schifo”
 
Sulla via del ritorno, Dave si limitò a seguire passivamente Jake, che alla sola luce delle stelle cercava di individuare il sentiero che li avrebbe portati al limitare del campo reclute. Mentre fissava la schiena del ragazzo, Dave tornò con la testa alla band del bar, e sorrise al pensiero di cosa ne avrebbe pensato il signor Schuester di quella pessima cover. Il signor Schue… Chissà dov’era adesso, e se dirigeva ancora il Glee Club! Prima di partire aveva sentito che lui e la signorina Pillsbury erano tornati assieme. Senza Schue, gli ultimi mesi al McKinley sarebbero stati pessimi per Dave, e il ragazzo sperava che il professore avesse finalmente trovato la felicità, anche se non era sicuro che la Pillsbury fosse adatta per lui. Chissà perché, era convinto che, nonostante tutto, il professore e la sua ex moglie fossero fatti l’uno per l’altra. Non che Dave credesse a queste cose… Non credeva più a niente, ormai. “Non mi fa bene pensare a queste cose” si disse tra sé e sé. Era così distratto da non accorgersi che Jake si era fermato di colpo e andò a sbattere contro il ragazzo. Quando riuscì a recuperare l’equilibrio, capì cosa aveva bloccato Jake di colpo: il campo era tutto un fermento di attività. Avevano scoperto i loro letti vuoti e li stavano cercando: sarebbe stato impossibile per loro sfuggire alla punizione.
 
Due anni dopo quella notte era diventata una sorta di leggenda al campo, e a Jake e Dave veniva spesso chiesto di raccontarla. Dave in genere rifiutava, non gli piaceva mettersi al centro delle attenzioni, ma l’altro non perdeva occasione per raccontare la loro avventura, e ogni volta aggiungeva particolari così lontani dalla verità, che Dave stesso a stento si riconosceva come uno dei protagonisti.  Era l’ultima sera al campo, la mattina successiva le reclute sarebbero state mandate chi in Afghanistan, chi in Iraq, altri, i più fortunati, sarebbero rimasti a casa a svolgere lavori d’ufficio. Dave e Jake erano stati assegnati a compagnie diverse, il primo sarebbe andato in pieno deserto (cosa che lo terrorizzava un pò), mentre l’altro sarebbe andato a Baghdad (e questo faceva preoccupare Dave ancora di più).  Karofsky non riusciva a dormire, fissava il tetto sopra la sua testa e la mente vagava in posti strani, luoghi lontani nel tempo, su cui incombeva lo spettro di un paio di occhi azzurri, impossibili da dimenticare.
“Dave!”
“Non di nuovo, Jake”
“Cosa vuoi che ci facciano? Domani ce ne andiamo… E chissà quando ci rivedremo. SE ci rivedremo”
“Non dirlo neanche per scherzo”
“Allora andiamo”
“Sono un pazzo a darti ancora retta”
Jake non rispose, ma Dave percepì il suo sorriso attraverso il buio del dormitorio. Si alzarono dalle brande e sgattaiolarono via, esattamente come due anni prima. Non si diressero verso la stessa bettola di allora, nel corso degli anni avevano scoperto che nell’area del campo reclute c’erano molti bar nascosti, che la notte accoglievano i cadetti alla ricerca di conforto nell’alcol, dopo tutte le fatiche della giornata. Si diressero verso il loro preferito, arrivarono presto, il bar era ancora semi-vuoto, così scelsero il loro tavolo preferito e si fecero portare due “bionde”. Non parlarono molto durante la serata, qualsiasi tentativo di conversazione li trascinava inesorabilmente verso la partenza dell’indomani, e nessuno dei due voleva parlarne. Uscirono prima che il bar cominciasse a riempirsi, ma appena usciti Jake si girò verso Dave
“Ti va di andare fino in cima alla collina?”
“Si, ok. È ancora presto”
I due si avviarono verso la collina, seguendo un sentiero confuso, visto che in quella stagione erano pochi quelli che si avventuravano fin lassù. Arrivati in cima, ansanti e leggermente accaldati per la scalata, si sedettero ai piedi di un grande masso. Dave alzò la testa e cominciò ad osservare le stelle. Le luci della città e del campo non arrivavano fin lassù e poteva godere della vista di tutta la Via Lattea. Aveva sempre amato le stelle, da piccolo sognava di fare l’astronomo e passava tutte le notti d’estate con l’occhio incollato al telescopio, osservando le fasi lunari, Venere oppure cercando di beccare Sirio pochi minuti prima dell’alba. Ma le cose non erano andate nel verso giusto. Lui era qui adesso, e l’indomani sarebbe andato in un posto che, onestamente, avrebbe avuto difficoltà ad individuare su un mappamondo.  Il ragazzo cominciò a rabbuiarsi e per scacciare questi pensieri dalla mente abbassò gli occhi e si accorse che Jake lo stava fissando.
“Pensi a casa, Karofsky?”
“Più o meno”
“Non mi hai mai detto cosa ti ha spinto ad arruolarti. Non sembri il tipo che sogna di fare il militare fin da piccolo”
“No, infatti. Diciamo che non ho avuto scelta” si limitò a rispondere Dave. Era già abbastanza triste senza rivangare quella storia.
“Sai, non ho mai capito niente di astronomia” disse Jake guardando verso le stelle. Dave gli fu grato per aver cambiato argomento, alzò la testa anche lui e cominciò ad indicare le costellazioni dicendo il loro nome.
“Vedi quelle cinque stelle disposte a forma di W? Quella è Cassiopea. La più luminosa di quelle cinque stelle è Gamma Cas, è la stella binaria a raggi X più brillante del cielo, e anche l’unica stella binaria visibile ad occhio nudo”
“Non ho capito la metà di quello che hai detto”
“Scusa, quando comincio a parlare delle stelle non mi ferma nessuno”
“Perché ti scusi? E poi sembrava interessante. È la prima volta in due anni che ti sento parlare appassionatamente di qualcosa!”
Dave abbassò gli occhi imbarazzato. Non gli piaceva aprirsi, aveva paura di sembrare un nerd un po’ scemo, che si emoziona a parlare di astronomia.
I due rimasero in silenzio per un po’, Jake continuava a fissare le stelle, Dave giocherellava con un filo d’erba ai piedi del masso su cui erano appoggiati. Fu Jake a rompere il silenzio: “Dave, posso chiederti una cosa?”
“Spara”
“Tu non hai paura?”
Dave alzò gli occhi e vide il cielo stellato riflettersi sugli occhi bagnati di Jake. Restò paralizzato, non sapeva che fare, non pensava che Jake fosse il tipo che si spaventa. Decise di essere sincero: “Si, certo che ho paura. Pensa sia normale”
Jake si girò a guardarlo
“Sai, io non ho paura di morire. Non so se credo nell’inferno o nel paradiso e sinceramente non me ne frega niente. Non ho neanche paura di soffrire. Ho paura di pentirmi”
“Pentirti di cosa?”
Jake rimase alcuni secondi in silenzio, e Dave era convinto che ormai non gli avrebbe più risposto, ma poi continuò: “Sai cosa dicono della morte? Che prima di morire vedi tutta la tua vita passarti davanti gli occhi?”
“Si”
“Cazzate. Sono solo cazzate. Non vedi affatto tutta la tua vita. Che senso avrebbe? Stai morendo, cazzo, sei già abbastanza depresso. Vedi una cosa sola: la… persona… che hai amato. Quella a cui non hai mai confessato il tuo amore, perché non sapevi… Non pensavi…” Jake si asciugò le lacrime che avevano cominciato a scorrere sulle sue guance. Dave lo fissò a bocca aperta, non aveva mai visto Jake comportarsi così. Fece un timido tentativo per consolarlo, consapevole che qualsiasi cosa potesse dire non era neanche lontanamente sufficiente a calmarlo. Così si limitò a poggiare la mano sulla sua spalla e a dire “Spero davvero che sia come dici tu” e sorrise verso Jake. Inaspettatamente, il ragazzo si avvicinò a Dave e poggiò la sua testa sulla spalla di lui. Dave rimase, se possibile, ancora più paralizzato. Il suo cuore cominciò a battere a mille.
“Oh, wow… Stai bene? Sembra che stai avendo un infarto!” Jake alzò la testa dalla sua spalla e lo fissò negli occhi.
“Io… Uhm…” Dave non riusciva a pensare coerentemente. Erano sempre stati così azzurri gli occhi di Jake? Non l’aveva mai notato. Forse era la luce della luna. Jake continuava ad avvicinarsi a Dave, che continuava a fissare quegli occhi, come se tutto l’universo avesse cessato di esistere e si fosse riversato dentro quelle iridi.  Jake ormai era così vicino che Dave poteva contare ogni singola imperfezione e ogni singola pagliuzza d’oro nell’azzurro degli occhi di lui. Infine, le loro labbra si sfiorarono. A Dave sembrò quasi che il suo cuore stesse per scoppiargli fuori dal petto, aveva paura che lui sentisse quel battito forsennato e si fermasse. Dopo pochi secondi Jake si allontanò e lo guardò. Dave si limitò a fissarlo, continuava a perdersi nei suoi occhi, e sulle labbra sentiva il sapore caldo delle labbra di lui.
“Scusa, io pensavo…” Jake fece per alzarsi, ma Dave lo trattenne. Con il pollice asciugò la guancia ancora bagnata di lacrime di Jake e poi lo spinse verso di sé. Il bacio questa volta fu più lungo, Dave quasi perse il senso del tempo, era come se tutti i suoi sensi si fossero annullati, tutto quello che riusciva a percepire erano le sue labbra, premute contro le sue, e il suo cuore, che sentiva battere, forte quasi quanto il suo, attraverso la maglietta. Quando si staccarono, sembrava essere passata un’eternità, eppure Dave pensava fosse durato troppo poco, per anni aveva nascosto tutti i suoi sentimenti e adesso, in una notte, con un bacio, stava venendo tutto fuori. Si sentiva come un condannato all’ergastolo graziato, che dopo anni in una cella buia, esce e respira, respira l’aria di libertà. I due ragazzi si guardarono e di nuovo, entrambi, si persero ognuno negli occhi dell’altro. Le loro labbra si toccarono una terza volta e un’altra eternità passò dentro di loro.
 
Due ore dopo i ragazzi si alzarono dal prato e, tenendosi per mano, senza scambiarsi una parola, tornarono al campo. Riuscirono a tornare al dormitorio senza problemi. Prima di coricarsi, Dave si girò verso Jake: il ragazzo era seduto sul letto, volgendo la schiena verso Dave. Stava ancora piangendo e Dave non sapeva che fare, si sentiva impotente. Fece per avvicinarsi a Jake, ma a metà strada rinunciò. Tornò alla sua branda, si coricò e, prima di addormentarsi, si girò verso la branda di Jake. Nel buio del dormitorio vide il profilo del suo naso, la sua fronte… E le sue labbra. Quella fu l’ultima volta che lo vide.

 



La divisione in capitoli in questa storia non ha molto senso, me ne accorgo rileggendola. In realtà, è stata scritta per essere letta senza interruzione. Quando ho caricato questo prima parte non sapevo se l'avrei mai finita, ora che ho caricato la seconda e ultima parte, capisco che è un tutt'uno. Spero mi scuserete, ma sto ancora imparando.
   
 
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