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Autore: _ChibiCia_    29/01/2006    1 recensioni
Come si perde un anima? La storia di qualcuno che ha rinunciato alla sua: Tom Riddle. Commentate per favore.
Genere: Dark, Drammatico, Generale, Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Anima di ghiaccio

 

Okay… la Rowling si prende gioco di me, pensavo di andare sul sicuro scrivendo il primo capitolo di questa fan fiction poiché era un avvenimento che riguardava ancor prima di quello che potesse coinvolgere il Tom Riddle di Hogwarts… e invece… mannaggia^^’’’’ vabbè… abbiate la pazienza di scusarmi e di seguitare a leggere la fan fiction^^

Anche se il primo capitolo non coincide con quello che si legge nel sesto libro fate come se entrambi fossero accaduti, ovvero come se Tom avesse incontrato Silente^__^ grazie… e recensite^^

 

Anima di ghiaccio

Capitolo secondo: Smistamento…

 

“Amicizia… un’altra parola priva di significato, inconsistente.

Ora ti svelerò un segreto… un segreto che in cuor loro tutte le persone conoscono, una verità che preferiscono tenere dentro se stessi,

individualisti, vigliacchi. Io te lo rivelerò… consideralo un mio dono…

L’amicizia non è altro che egoistica richiesta di attenzione. Null’altro.

È un modo piuttosto elementare di mettersi in mostra e di pretendere che qualcun altro si finga di interessarsi a qualcosa che ti riguarda.

Si… esatto, finga.

È finzione… pura e semplice.

Nessuno mai potrà trovare in qualche modo piacevole sentire qualcun altro parlare dei propri problemi.

Tutto è riconducibile alla debolezza dell’anima umana.

Quell’anima insicura, alla continua ricerca di conferme e gioie, insaziabile di attenzioni e impregnata di inettitudine.

Un anima debole cerca la compagnia di altre anime deboli. Si crogiolano nella fioca presunzione di essere ascoltate da proprie gemelle.

Si sbagliano.

Verranno tradite, sanguineranno lacrime inutili, diverranno ancor più deboli, si uccideranno alla ricerca di una riconquista di quella superficiale sensazione di inutile protezione. L’amicizia non esiste. È un invenzione.

È un’inesistente speranza di uscire dal dovere personale di occuparsi di se stessi.

Già, perché ciò che conta, in conclusione, è il guadagno personale e non ascoltare quegli sciocchi che ti dicono di credere in questo ‘importante’ valore

a costo della propria vita. Sono dei bugiardi.

In fin dei conti l’essere umano è una creatura sola che si trova a camminare insieme ad altre creature sole, vivendo unicamente per se stesso.

Prima lo capirai, prima comprenderai cosa significa distinguersi da questa massa informe di sciocchi.

L’amicizia è menzogna e irrealtà.

 

*

 

Il treno scarlatto scivolava con velocità sui lisci binari bagnati di pioggia di fine estate. Il paesaggio intorno ad esso ricordava una fiaba orientale nella quale si susseguivano descrizioni di luoghi selvaggi e colorati dalle più svariate ed esotiche piante. I colori si mischiavano in un verde scuro e tetro incorniciato da un cielo ombroso e uggioso. I sinistri rumori che si levavano dalla selva arrivavano attutiti e sordi all’interno degli scompartimenti pieni di studenti festeggianti e boriosi.

Era il quarto vagone della fila ad accogliere il numero più chiassoso di ogni altro, eppure era in questo stesso vagone che vi era uno scompartimento particolarmente silenzioso.

Tom guardava con distacco e disinteresse al di fuori dello spesso finestrino di vetro vicino a lui, appoggiato con disinvoltura sul bracciolo del sedile che occupava e incurante dei capelli fastidiosamente scesi sugli occhi. Il piccolo spazio che lo attorniava era abbastanza grande per ospitare sei o forse anche più persone, ma il moro era completamente immerso nella sua tanto amata solitudine e questo sembrava solo fargli piacere.

Di tanto in tanto schiamazzi e risate arrivavano a lui dagli scompartimenti adiacenti, provocando un lampo di nervosismo nel suo sguardo semi assorto nel nulla.

Dunque era reale. Lui era un mago. Lui era diverso. Speciale. Sorrise con un ghigno mefistofelico rivolto sempre allo stesso pesante vetro, sicuro di se, pienamente sicuro di se. Le urla dei ragazzi del suo vagone si affievolirono improvvisamente, come se qualcuno li avesse ripresi. Tom non poté fare a meno di seguitare a far riflettere sul finestrino il suo sorriso soddisfatto e beffardo ancor più di prima.

Improvvisamente la porta del suo scompartimento si spalancò con tale veemenza che gli infissi della finestra tremarono. I capelli corvini del ragazzo scivolarono di lato mentre lui alzava con noncuranza e lentezza gli occhi verso di essi, non degnandosi minimamente della figura apparsa con iracondia sullo stipite.

Tom seguitò a fissare pigramente i bordi superiori della finestra, osservando dalla stessa identica posizione rilassata in cui si trovava da ore ormai le viti cigolanti e arrugginite ancora tremanti. Passò un attimo poi, all’improvviso, un sonoro schiarimento di voce lo costrinse a voltarsi controvoglia verso l’entrata ma non gli tolse la libertà di farlo con estrema indolenza e di rivolgere uno sguardo di ghiaccio al nuovo interlocutore che rimase interdetto.

Una ragazza. Aveva una cascata di capelli castani che cadevano mossi ma ordinati sulla testa. La divisa della scuola era perfettamente abbottonata e stirata e non presentava il minimo segno di essere stata riposta a lungo nel baule. Ostentava uno sguardo serio e vagamente autoritario filtrato da un paio di occhiali rettangolari e dalle rifiniture delicate che erano poggiati sul naso. La bocca era leggermente spalancata, più di quanto ella facesse di solito comunque, e questo manifestò subito al bel moro di essere riuscito a sbalordirla per qualcosa che in ogni modo non si prese la premura di chiedere. Godendosi quel momento, attese finché non prese la parola la ragazza, guardandola con espressione impassibile.

 

- Tu… sei del primo anno?- chiese, e Tom comprese immediatamente che non era per quella domanda che era entrata con tanta rabbia nello scompartimento.

La guardò dritta negli occhi ancora per un istante poi annui con un solo e pacato gesto di assenso.

 

- Bene… bè, scusami, pensavo fossi uno dei ragazzi che stavano facendo tutto questo rumore… così…- riprese la ragazza con tono più rilassato del precedente ma continuando a guardare con discreto interesse gli occhi gelidi del ragazzo, come se ne fosse ipnotizzata. Tom seguitava a rimanere in silenzio, senza il minimo segno sul visto di una qualche sorta di espressione che potesse far intendere alla ragazza cosa stesse pensando in quel momento. Così ella continuava a perdersi nell’ombra scura dei suoi occhi impassibili.

 

- Bè… a quanto pare non eri tu…- disse, scuotendo la testa come per riprendere coscienza di se e osservando i sedili vuoti intorno al ragazzo.

 

- No- disse Tom, parlando per la prima volta. Il tono era piatto e deciso, anche se leggero e moderato e non dava impressione di essere disposto ad intavolare una conversazione. La ragazza sembrò comprenderlo e riprese a guardarlo accigliata, forse in parte anche perché non si aspettava una risposta.

Altri brevi istanti trascorsero nel completo silenzio, lei guardava il ragazzo cercando di soppesarlo e di capire qualcosa di lui che potesse aiutarla a classificarlo, ma non riusciva ancora a comprendere cosa si nascondesse dietro quei profondi e gelidi occhi nerissimi. Lui guardava la ragazza con distacco, ma dentro di se era consapevole di essere al centro dei pensieri di lei, e questa situazione gli provocava un piacevole sensazione di superiorità che stette attento a non dimostrare a lei.

 

- Già…- fece lei, proprio mentre uno scoppio di risate particolarmente acuto la faceva voltare alla sua sinistra sobbalzando. Un attimo dopo tornò a rivolgere lo sguardo verso Tom ma non si stupì di trovarsi a fissare i capelli corvini e setosi del bel ragazzo che aveva ripreso a guardare fuori come se nulla fosse accaduto.

Fece per dire qualcosa, ma si interruppe.

 

- Allora… ciao!- esclamò, chiudendosi la porta alle spalle e non attendendo la risposta che sapeva per certo non sarebbe arrivata comunque.

 

Ben presto le risate si placarono nuovamente e il resto del viaggio favorì il passatempo preferito del moretto: stare seduto in silenzio.

Orami la sera e le tenebre che essa aveva accompagnato presero possesso dell’abitacolo e non solo. Tutti gli scompartimenti avevano accese le luci traballanti delle lampade a olio che sovrastavano passeggeri e bagagli, ma Tom si era guardato bene dall’accendere la sua.

Il treno prese a rallentare gradualmente e con crescente intensità le voci dei ragazzi presero a emozionarsi. Quando raggiunse tra sbuffi di vapore argenteo la banchina della cittadina magica di Hogsmeade che aveva subito attratto lo sguardo interessato di Tom, un fiume di divise nere si riversò sul marciapiede e defluì verso carrozze dalle forme strane e senza destrieri e barchette di legno dall’aria paurosamente fragile in riva ad un enorme lago scuro.

Tom scese per ultimo, guardando per la prima volta con un interesse più vivo, ma pur sempre moderatamente controllato, il grande castello arroccato che sovrastava lo specchio d’acqua sottostante con imponenza. Un rosso scuro si impadronì per un momento dei suoi occhi per lasciare immediatamente posto al nero più intenso; così era arrivato. Quella era Hogwarts, dunque. Ancora un sorriso. Tra quelle mura lo attendeva una nuova vita. Una vita migliore e… finalmente avrebbe potuto realizzare il suo più grande desiderio. Il desiderio che era nato in lui fin da bambino, e che lo attanagliava ancor di più negli ultimi giorni coprendolo di una selvaggia inquietudine.

 

Pochi minuti dopo si trovava nell’ingresso di quella antica scuola insieme ad un gruppo numeroso e fastidiosamente rumoroso e eccitato di ragazzini di 11 anni, dal quale sembrava e voleva eclissarsi il più possibile. Avevano appena attraversato il lago con quelle barche di legno poste sull’acqua e ora attendevano che qualcuno desse loro indicazioni sul da farsi. Una donna dallo stravagante cappello a punta e gli occhi grandi e acquosi si presentò, apparendo dall’ombra, come insegnante di Erbologia, scusandosi per aver dovuto sostituire un altro professore incaricato solitamente del ruolo di accoglienza delle matricole che quella sera non era presente a scuola ma che sarebbe arrivato l’indomani. Molti studenti si guardarono con delusione afflitta, ma Tom non poté fare a meno di sorridere all’idea. Si trattava sicuramente di quel tipo insopportabile, Silente, che il giorno del loro primo, e ultimo fin ora, incontro si era premesso di dargli degli ordini. Una scossa di rabbia percorse la schiena del moretto che chiuse gli occhi e cancellò il ghigno dal volto dai lineamenti finemente delicati.

Presto le porte della sala che accoglieva cinque enormi tavoli di legno di quercia si spalancarono e il gruppo dei ragazzi si ritrovò all’interno.

La sala grande, tappezzata di drappi di seta e velluto, si rivolse interamente a fissare i nuovi venuti, persino le candele volanti si affollarono verso l’ingresso, suscitando gli squittii eccitati dei più piccoli. Tom si sentì molti sguardi puntati addosso ma non si preoccupò di guardarsi intorno a controllare a chi appartenessero. Guardava con rapimento e critica lo sgabello a tre gambe che accoglieva un vecchio e logoro cappello a punta e che era posto in bella mostra davanti a tutti, nella parte più alta della sala, quella che accoglieva un tavolo posto trasversalmente rispetto agli altri, quello degli insegnanti.

Le voci gli arrivavano soffocate e lontane alle orecchie, mentre si perdeva nell’analisi di tutto c’ho che gli era attorno e avanzava lentamente con il gruppo di undicenni verso lo sgabello.

 

- Voglio capitare in Grifondoro!-

- Ah! Macchè! Corvonero!-

- I Serpeverde sono sicuramente i migliori, sciocchi! Non farete parte di quella specie di magi scialbi che fanno gli amiconi dei babbani, vero?-

- E anche se fosse, che problema ci sarebbe, è?-

- Tsk, povero stupido…-

- Cosa hai detto?-

- Non litigate!-

 

I due ragazzini che avevano cominciato a surriscaldarsi si azzittirono, continuando a guardarsi in cagnesco a qualche passo di distanza.

Chi diavolo erano questi Grifondoro e Serpeverde? Tom rimase in ascolto, perplesso, quella discussione aveva attirato la sua attenzione.

Dunque vi era la possibilità di andare a finire in una di queste sezioni…? Se era così lui doveva capitare a ogni costo nella migliore.

Si portò una mano alla bocca, sfiorandosi il labbro inferiore con il dito indice, pensando. Che fosse quella specie di sudicio ammasso di stoffa a decidere dove lui sarebbe dovuto capitare? Forse avrebbe potuto convincerlo a metterlo dove voleva, in fondo non sarebbe stata la prima volta se avesse fatto in modo che si avverasse ciò che desiderava… no? Però… lui cosa doveva volere? Quale era la sezione che accoglieva davvero i migliori?

Il suo orgoglio non gli permetteva di chiedere consiglio a qualcuno di quei ragazzini, così, mentre rivolgeva lo sguardo con noncuranza verso lo sgabello, tese le orecchie e ascoltò i discorsi degli altri.

 

Poco distante dal gruppetto di ragazzi in piedi, in attesa dello smistamento, seduta ad uno dei lunghi e antichi tavoli di quercia, vi era una ragazza dai capelli mossi e castani che insieme ai suoi amici guardava con curiosità davanti a se. Il suo sguardo cadde immediatamente su un ragazzo in particolare e si perse ad osservare i tratti singolarmente belli ed eleganti, ombreggiati ancora da quell’aria sinistra che riusciva a farle scorrere brividi di disagio sulla schiena e che non riusciva a spiegarsi. Lo vide osservare con quei suoi occhi distanti da tutto e tutti il tavolo degli insegnanti, mettersi un dito sulle labbra e immergersi nei propri pensieri.

 

- Ohoh!- esclamò improvvisamente una voce al suo fianco, con l’intonazione di chi coglie qualcuno in pieno svolgimento di una malefatta.

 

- Ma guarda, guarda… sembra che ti sei andata a pescare un tipo di prima scelta… è? Allora anche tu pensi ai ragazzi ogni tanto!- continuò la ragazza alla sua destra, che guardava estasiata verso la stessa direzione della prima, mordendosi le labbra. 

 

- Non dire assurdità, Elly! Lo sto osservando solo perché l’ho gia incontrato… oggi! Sul treno!- spiegò in tutta fretta la ragazza, arrossendo sotto lo sguardo indagatorio e accusatorio dell’amica.

 

- Quello non era lo sguardo di una che guarda qualcuno che ‘ha gia incontrato’…- esclamò un'altra ragazza al fianco sinistro di quella che aveva appena controbattuto, guardandola di traverso e sorridendo sotto i baffi.

 

- Ti ci metti anche tu! Avanti ragazze… non fate le sciocche, non mi piace qualcuno solo perché è carino… non sono così superficiale!-

 

- Si, bè… quello non è carino… quello è proprio bello…- disse sognante la ragazza di sinistra, osservandolo, mentre l’altra e un altro paio in ascolto della conversazione annuivano convinte e sorridenti.

 

- Ma smettila!- la schernì l’amica castana, dandole una pacca sulla spalla.

Improvvisamente dal tavolo degli insegnanti si alzò l’uomo che sembrava essere il preside, vestito di un blu notte intenso e con la barba perfettamente tagliata e bianca. Il silenzio tardò ad arrivare, ma non appena calò l’uomo godé della piena attenzione. Accennò a quello che sembrava un sorriso stanco e forzato e parlò:

 

- Benvenuti ragazzi, prima di tutto vi invito a seguire lo smistamento dei nuovi venuti, dunque procederemo con alcuni annunci.- Si rimise a sedere sempre con quel sorriso vago. I ragazzi attesero ma non successe nulla, poi, il cappellaccio prese a cantare. Tom non fu sicuro di aver nascosto subito come voleva l’espressione stupefatta che era sicuro di aver assunto quando sentì il cappello aprirsi e cominciare a intonare un canto solenne e imperioso, ma nessuno sembrò accorgersene, forse in parte anche perché la sua massima espressione di sorpresa equivaleva a una comune espressione di interesse di qualsiasi altro.

Comprese dunque chi fossero quel Serpeverde, Grifondoro, Corvonero e anche un certo Tassorosso di cui aveva sentito parlare: I fondatori di quella scuola. E comprese anche cosa pretendevano dai loro componenti. Sangue puro e astuzia, coraggio, intelligenza e cuore puro. Si disse che per i primi tre ne aveva a bizzeffe, ma esaminandosi nel quarto egli stesso non ci si rispecchiò affatto.

La donna dagli occhi acquosi che li aveva accolti all’entrata, cominciò a chiamare i ragazzi undicenni per nome, dopo aver spiegato loro che avrebbero dovuto sedersi sullo sgabello e attendere finché il cappello non li avesse smistati. Dopo brevi istanti Tom ebbe la prova che le sue supposizioni erano reali, il cappello cominciò a assegnare i ragazzi alle varie case, come le aveva appellate la professoressa, e i nomi che prima lo avevano colpito ora riecheggiavano ogni volta nella sala.

 

- I Serpeverde sono i migliori, casa di nobili dal sangue puro! Altro che questi sciocchi, stupidi mezzosangue e babbanofili…- sibilò nuovamente ad un suo compagno il ragazzo che poco prima aveva discusso con l’altro undicenne, proprio mentre quest’ultimo veniva smistato nei Grifondoro e gli lanciava un’occhiata sprezzante.

 

- Non sono discorsi da fare… - mormorò una ragazza guardandolo di traverso. Questo gli rivolse una smorfia di disgusto ma non disse nulla, troppo spavaldo per prenderla in considerazione.

D’improvviso il ragazzo si accorse della presenza di Tom e osservando le reazioni che suscitava negli altri, gli si avvicinò con un sorriso mellifluo e conciliatorio allo stesso tempo.

 

- E tu? In quale casa vorresti capitare?- chiese spalleggiato da un altro paio di ragazzi che lo sostenevano nelle sue idee riguardo Serpeverde e dalle occhiate degli altri.

Tom si voltò e lo guardò diritto negli occhi.

 

- Che domande… in quella dei migliori, no?- sorrise. Gli occhi rimasero freddi e impassibili nel fissare il volto del ragazzo e il sorriso non si estese che a una lieve increspatura delle labbra. Il suo interlocutore lo fissò, il ghigno completamente scomparso dal viso.

 

- Riddle Tom- risuonò la voce della professoressa e il ragazzo voltò con indifferenza le spalle all’altro e si diresse verso lo sgabello. Lo raggiunse, vi si sedette con naturalezza e si trovò a fissare tutta la sala dall’alto in basso, con ogni singolo sguardo che lo fissava, scrutava.

 

- Serpeverde-  disse chiaramente il cappello e un urlo di approvazione si alzò dal lato sinistro della sala dove rilucevano tendaggi verde e d’argento.

Tom si alzò sotto gli sguardi assorti di ogni singolo studente e insegnante, si diresse verso il tavolo dei suoi nuovi compagni di casa oltrepassando con indifferenza il ragazzo mellifluo che aveva cercato di ottenere il suo interesse, si sedette e accolse, pur con vaga e sottile irritazione, le pacche sulle spalle dei ragazzi.

Il ronzio di voci si riaccese e lo smistamento terminò. Presto comparvero leccornie di ogni sorta che ricoprirono i tavoli e i ragazzi si servirono di ogni piatto.

 

La ragazza dai capelli castani lo fissava. Nessuna delle sue amiche stavolta se ne accorse, troppo prese a ridere e scherzare.

Tom alzò lo sguardo diritto verso di lei e, come era successo poco prima nel treno, la ragazza rimase immobile, pietrificata e affascinata da quegli occhi neri in cui era sicura di poter scorgere qualcosa di più che in qualunque altro. Sorrise. Naturalmente, dolcemente, un sorriso, puro, semplice.

La ragazza rimase ancor maggiormente disarmata, inerme ad affrontare quel viso. Poi abbassò lo sguardo non appena lui le diede la possibilità di farlo distogliendo il suo e arrossì.

 

- Ehi, tutto bene?- le chiese una amica guardandola giocare imbarazzata con un puré di patate.

 

- Si- mormorò di rimando la castana. Certamente non poteva sapere che quel sorriso più unico che raro le era stato rivolto per puro divertimento da parte del ragazzo, che era solo un suo gioco personale. Eppure forse, era meglio così.

 

Ma tu… chi sei? Si chiese la ragazza più tardi, mentre il moro che l’aveva lasciata senza fiato più volte quel giorno le passava davanti insieme ad altri serpeverde.

 

Chi sei…?

 

 

CONTINUA…

 

  

Bene, alla prossima^^ Aspetto le vostre recensioni^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

gelidi del ragazzo, come se ne fosse ipnotizzata.re con discreto interesse gli occhi o di assenso.

-         impassibille el moro di aver

 

 

  
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