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Autore: AleAndDreams    09/04/2011    0 recensioni
Salve a tutti. Inizio con il dirvi che 'Là dove ha perso le sue ali' è la prima storia che pubblico qui, anche se ne ho scritte altre che però ho preferito lasciare nella mia cartella sul pc. Questa la sto scrivendo davvero con tutta me stessa, con solo la musica a farmi da musa e l'immaginazione da guida.
La storia è basata su un amore difficile ma allo stesso tempo 'angelico' dato che il personaggio maschile è un angelo caduto con un passato tutto da scoprire e la protagonista, anch'essa con un passato non molto semplice, è vittima del suo destino che dopo tanto dolore, le permetterà di sentirsi felice e al sicuro dandole l'occasione di vivere un amore senza pari. Lo stesso amore che farà fatica ad accettare ma che saprà apprezzare e rendere la cosa più importante della sua vita. Lasciando ovviamente, un piccolo spazio nel suo cuore al Canada,'la terra della neve' dice lei, dove è cresciuta, dove ha amato per la prima volta, dove ha i suoi affetti più cari e i suoi ricordi più importanti.
Grazie a tutti quelli che mi renderanno felice leggendo questa storia.
AAD
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Stranezze.

Avevo preso a correre poiché ero in ritardo nero, inoltre pioveva, non sapevo dove fosse la scuola e per di più ormai ero zuppa e stavo congelando. Mi sembrava quasi un film quello che stavo vivendo dove improvvisamente mi ero trasformata in una Newyorkese frettolosa. Sentii un’improvvisa ondata di calore sulle guance e mi accorsi che stavo piangendo. Piangevo perché mi sentivo un punto minuscolo in una città immensa. Perché mi sentivo vuota e impaurita. Perché per l’ennesima volta avevo ferito la zia Amy che stava facendo di tutto per me. Correvo. Correvo. Correvo. Ancora lontano da tutto e tutti, dalle mie paure, da me stessa. Quanto avrei voluto fermarmi e lasciar perdere, allontanarmi anche da questo nuovo ostacolo. Ma no, non l’avrei fatto, non questa volta, dovevo essere forte perciò continuai a correre, non per allontanare me stessa ma per raggiungere me stessa. Sorpassai negozi, persone…correvo così forte che non sentivo più la pioggia cadermi sui vestiti e sui capelli. Stavo per attraversare la strada quando grazie all’interminabile attesa per passare sul marciapiede opposto decisi di guardarmi intorno. Ero avvolta dal grigio dei palazzi, dei grattacieli e dai colori vivaci o meno degli ombrellini che avevano sepolto, se visti dall’altro, l’intera cittadina. Mi voltai e sentii un tuffo al cuore. Alle mie spalle un cancello nero ma oramai in parte arrugginito era aperto e mostrava un grande cortile con tanto di panche di legno e alberi, tanti alberi. Dopo il cortile si stagliava un grande edificio bianco con delle finestre allineate nello stesso modo sui quattro piani che lo sorreggevano. In cima all’edificio un’insegna “Green-Frederick High School”. Ero arrivata. ‘Forza Hann, ce la puoi fare’ dissi a me stessa e mi allontanai dalla gente che si preparava ad attraversare, sorpassando di fretta il cortile spopolato. Le lezioni erano iniziate da un quarto d’ora e io ero tremendamente in ritardo soprattutto perché avevo delle cose da sbrigare in segreteria. Aprii la porta ricorrendo a tutta la forza d’animo che possedevo, avanzai e all’improvviso mi ritrovai con il sedere a terra e con la voce imprecante di una donna sulla mia testa. Alzai lo sguardo rossa in viso per la figuraccia appena fatta: un cespuglio di capelli ricci e biondi, con tanto di occhi castani e un po’ di rughe sparse per il viso mi guardava piuttosto…stupito.
-Mi scusi. Dissi mentre mi alzavo.
La donna non parlava ma il suo sguardo non prometteva niente di buono, la cosa più strana è che sembrava cercasse di leggermi.
-Non ti ho mai vista qui, ragazzina. Ad un tratto disse.
-Si, no...cioè no, sono nuova. Balbettai
-Su avanti alzati o vuoi restare lì? Sai non te lo consiglio tra mezz'ora sarai sommersa da troppi piedi per essere ripescata viva!  Mi disse, spero scherzando.
Mezz'ora. Maledizione mezz'ora.Scattai in piedi e scivolai di nuovo ma la donna mi afferrò per un braccio e mi impedì di cadere
-Accidenti, fa attenzione. Devi per forza non essere di New York. Ogni Newyorkese sa di dover portare l'ombrello...sempre. Mi rimproverò.  
Come se poi non me ne fossi già resa conto ma era troppo tardi per pensare che ero completamente fradicia e che dovevo correre in classe.
-Mi scusi devo scappare, è tardissimo. Mi dispiace per aver sporcato il pavimento, arrivederci. E corsi via in preda al panico per l'orario. Ma prima di essere abbastanza lontana dalla donna mi voltai nella sua direzione e chiesi
-Mi scusi ancora... La sentii sbuffare ma proseguii 
-Dov'è la segreteria? Non alzò neppure gli occhi dal pavimento che stava ripulendo e rispose
-Ultimo corridoio a destra, ultima porta a sinistra.
-Grazie! esclamai già correndo.
Era tutta la mattina che non facevo che correre e stavo cominciando a dare i primi segnali di completa escandescenza. Percorsi un lungo corridoio bianco e mi ritrovai davanti a una porta color mogano con un'insegna di ottone su cui era scritto “Preside Green” e bussai, un attimo dopo un uomo un po' più alto di me, senza neanche più un capello e un paio di occhialetti tondi mi aprì la porta.
-Buongiorno.  Dissi incerta
-Tu devi essere… una pausa e notai che mi stava scrutando…-Annah Bailey.
Non era una domanda, mi conosceva e sapeva il mio nome. Lo sapeva. Sembrava lo sapessero tutti.
-Si sono io. Confermai, ma forse non ce n'era bisogno.
-Avanti, sei in ritardo nero, non noti? Entra su.
 Feci per entrare ma all'improvviso mi bloccò
-Ehi, ehi  un attimo. Ferma lì, non vorrai entrare nel mio ufficio con le scarpe così ridotte spero. Ripassa dopo le lezioni, anzi spero ti faccia piacere essere accompagnata dal tuo nuovo preside in persona, nella tua nuova classe.  Sembrava si stesse prendendo in giro da solo
-Certo.  Dissi cercando di essere più convincente possibile ma quella mattina sembravano essere convincenti solo le mie scarpe fradice che mi tenevano ancora più a distanza, e forse era meglio.
Il preside premette il pulsante dell'ascensore, con le porte in metallo, accanto alla vetrata da cui si intravedeva una parte del cortile che non avevo notato prima, forse per fretta o per distrazione. Ma un attimo. Io ero claustrofobica. Paura dei luoghi chiusi. Terrore delle ascensori.
 -Ecco...io. Abbassai gli occhi
-Si avanti, dimmi. Mi incoraggiò
-Ho paura delle ascensori. La mia voce tremò e arrossii lievemente. Mi guardò per un istante e solo allora mi accorsi del suo abbigliamento. Portava un abito blu con una camicia bianca a righe blu chiaro, nessuna cravatta. Ed ebbi la visione improvvisa di mio padre: era un bell'uomo, con i capelli chiari e gli occhi come i miei, il suo lavoro lo impegnava parecchio, e me lo immaginai proprio in quel momento seduto alla sua scrivania, nel suo studio nel retro della nostra casetta in campagna. Con migliaia di pratiche da sbrigare ma sempre disposto ad ascoltarmi se ne avevo bisogno. Capii in quel momento che tutto ciò che mi legava a lui e di conseguenza a mio nonno erano le cose che mi mancavano di più al mondo.
-Bailey? La voce del preside mi riportò alla realtà  -Allora, preferisci andare a piedi? Il suo tono di voce era diverso, più familiare, quasi come se mi avesse letto nel pensiero, se avesse visto gli occhi tristi di mio padre quando alla stazione dei treni mi aveva salutato trattenendo le lacrime. E io feci segno di si con la testa, sarebbero venute fuori solo lacrime se avessi provato ad aprire bocca.
La distanza dallo studio del prof. Green e la mia classe era meno di quanto pensassi, e mi chiesi perchè il preside aveva optato per l'ascensore. La mia classe si trovava nell'ala sud della scuola, zona adibita alle classi terze, avevo capito da quello che il preside aveva detto durante il tragitto. La scuola era più grande di quello che pensavo, avrei impiegato un po' per memorizzare le diverse stanze e i diversi laboratori. Poi mi ritrovai davanti ad una porta grigia con la maniglia antipanico rossa, da uno scatto compresi che si stava aprendo e che a momenti mi sarai ritrovata a un passo dal ricominciare, a un passo dal nuovo ed ero totalmente impreparata. Restai immobile lì, a pensare a mille cose, a frugare tutti i momenti, se pur brevi, in cui avevo parlato con il “ragazzo con il grembiule” così l'avevo chiamato dato che di lui nn sapevo assolutamente nulla, e mi continuavo a chiedere perchè mi interasse sapere tanto di lui, mentre il preside presentava alla classe il mio arrivo. Poi alzò il tono della voce rivolgendosi a me e disse
-Avanti Annah, entra. Feci un bel respiro, mi feci forza ed entrai.
Appena varcai la soglia una fitta mi travolse come se quella stanza fosse impregnata dei miei ricordi. Volevo scappare ma non potevo. Arrossi quando mi accorsi che mi guardavano tutti. La professoressa, una donna di mezza età, grassoccia, con i capelli lunghi e lisci si accorse del mio imbarazzo e mi guardò sorridendo come per incoraggiarmi. Poi parlò
- Allora Annah, benvenuta tra noi, prendi il posto che preferisci.
Entrando avevo notato un posto vicino la finestra, era lì che mi stavo dirigendo quando percepii di nuovo la sensazione di aver vissuto quella situazione ricca di ricordi.  Una sensazione che venne spazzata via da una voce stridula
-No, dai prof, vogliamo sapere di più su questo pulcino inzuppato. Mi voltai rossa in viso -…Ed anche arrossito! Finì di dire la ragazza che mia aveva dato del pulcino. Con la sua si alzarono tante risate chiassose. Io ero sempre più imbarazzata, eppure c'era una forza strana che percepivo in quella stanza. Come quando succede con una delusione d'amore: si soffre tanto le prime volte, poi si sa gestire e dimenticare più velocemente così sentivo come se quella sensazione l'avessi vissuta così tante volte da riuscirla a controllare. La professoressa tornò a parlare
- Avanti fate silenzio. La classe tacque, poi si rivolse a me quasi con tono di scuse
-Hai voglia di parlarci di te Annah?” No. No. No avrei voluto rispondere, ma non mi andava di iniziare male il mio primo giorno alla Green High così di nuovo con tutte le mie forze risposi
-Certo. Pensai di dire le cose più insignificanti in modo da non toccare ciò che non avevo voglia di ricordare ma ahimè...sembrava impossibile. Ci facevo i conti tutti i giorni. Ero lì a causa del mio passato e ora per la prima volta mi ritrovavo a doverne parlare.
-Vengo dal Canada… iniziai …- La terra della neve, l'ho sempre chiamata così. Accennai un sorriso -Ho avuto dei problemi e per questo sono dovuta venire a vivere qui dai miei zii. Non volevo dire nient'altro, non credevo che quei problemi avevano la necessità di essere raccontati. Ma prima che decidessi di andare finalmente a sedermi, la ragazza mora e riccia di poco prima, si quella che mi aveva dato del pulcino, disse
-Avanti...quali problemi? Siamo qui per aiutarti cosa credi. E tutti, insieme a lei tornarono a ridere. Mi voltai verso la professoressa che sembrava più sconfortata di me. E poi parlai con la stessa velocità con cui un treno consuma chilometri o la mia vita aveva toccato il fondo e non capii come tali parole erano potute uscire dalla mia bocca.
- Ho perso una persona importante, forse la più importante della mia vita. E voi siete esseri insensibili. Mi si legge in faccia che vivo nella merda da qualche tempo e voi non avete fatto altro che accogliermi in questo modo. Forse mi sbagliavo quando credevo di poter ricominciare da qui.  Esplosi. Quando mi resi conto delle facce sbalordite dei miei compagni di classe, del preside e della professoressa arrossii violentemente e tra le lacrime corsi fuori dalla classe. Mi sentivo soffocare da tutto e avevo bisogno d'aria. Mi precipitai verso la prima porta d'emergenza e l'aprii. La sentii chiudersi poco dopo dietro di me. Fuori si gelava e l'umidità non aiutava. Per lo meno avevo modo di concentrarmi su qualcosa di diverso. Ma cosa mi era saltato in mente? Come avevo potuto dire quelle cose? Come avevo potuto usato quelle parole e quel tono? Dovevo essere sembrata una matta.  Ma ne avevo abbastanza. Mi portai le mani tra i capelli e  testai con le mie stesse mani quanto fossi impregnata di pioggia. Di freddo. Di vergogna e tristezza. Ad un tratto le mie riflessioni furono interrotte da una voce calda, così calda che sembro' riscaldarmi dentro.
-Non devi starli a sentire.  L'avevo già sentita quella voce, ma non capivo da dove provenisse, dato che non avevo avvertito la porta aprirsi dietro le mie spalle e nemmeno chiudersi.
Mi voltai e lo vidi. Ancora. I capelli castano scuro erano leggermente più in ordine di poco prima quando erano raccolti sotto il cappellino blù. Gli ricadevano sulla fronte e per metà sul collo sottoforma di ciuffetti ribelli. Aveva un'espressione incuriosita, ancora di più di quella che mi aveva fatto conoscere nello Satrbucks.Il viso magro, pulito e dolce o forse intenerito, poteva essere definito bello. Gli occhi grigi seri e impossibili da leggere, ciglia lunghe e folte, un naso leggermente a punta. Le labbra non erano ne sottili ne piene. La carnagione era chiarissima.

- Sembrava la versiona maschile delle bambole di porcellana che mi aveva regalato Alfred per non farmi piangere quando i miei genitori, assenti come sempre, mi lasciavano dai miei nonni per la notte perchè si...loro avevano i turni notturni. Più in là venni a sapere che almeno tre volte a settimana erano invitati da Michelle "un'amica" di mamma a delle feste che lei, essendo proprietaria di un locale in centro, organizzava per farsi amici quelli che in realtà la consideravano solo un'approfittatrice. Mamma un giorno mi raccontò che nessuno di sua conoscenza vedeva di buon occhio la donna. Allora mi chiedo perchè andarci, perchè lasciare una figlia, anzi due figlie, sole. Più sole di quanto non fossero già? E perchè mentire? E' normale voler trascorrere del tempo insieme, se questo non fosse successo avrei dovuto preoccuparmi anche per il rapporto tra i miei genitori ma rinunciare almeno a una di quelle serate avrebbero alimentato il legame familiare con due bambine che avrebbero avuto bisogno della presenza delle persone più importanti della loro vita. Ma questo non è mai successo. Hanno iniziato a preoccuparsi per me solo quando, alla morte del nonno, ero ridotta così male che il mio dolore aveva svegliato la loro sensibilità ma forse era troppo tardi per ricordarsi di essere genitori. Il nonno si era preso cura di noi, con così tanto amore che ogni suo ricordo era una lama che lacerava il mio cuore. -

Il ragazzo indossava una felpa grigia con le maniche leggermente tirate su e dei jeans neri, era snello, alto e nel complesso bello ma poi decisi che la sua bellezza non era nei miei ideali. Ma probabilmente lo feci per ignorare che era terribilmente attraente.
-Sei frutto della mia immaginazione vero? Dissi con una calma inaudita poiché ormai sapevo di essere impazzita.




Detto...fatto, anche se forse è un pò corto. Come sempre scusate per i possibili errori. A presto.


AADream
  
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