Epilogo
“Volere è poco, occorre
volere con ardore per raggiungere lo scopo”.
Uno
scroscio incessante, una muraglia invalicabile per qualsiasi voce, odori o
percezioni che non erano quelle della sua mente; ascoltava in religioso
raccoglimento le pareti di roccia che sussurravano sotto l’influsso dell’acqua
gelida versi incomprensibili, ma che avevano note rilassanti ed armoniose,
capaci di condurre la mente attraverso i meandri dell’interiorità e della
concentrazione.
Ascoltava,
captava ciò che la sua memoria gli faceva arrivare e nonostante fosse ben
cosciente del posto in cui si trovava, non riuscì ad evitare che un brivido gli
corresse lungo la spina dorsale, al solo rievocare quelle immagini e quelle
sensazioni, percezioni mai dimenticate e che neanche l’acqua della cascata
avrebbe potuto lavare via…
Cercò di mantenere la posizione fino a
che una violenta scossa non percosse la terra e una folata d’aria a seguito
dell’esplosione non lo fecero sbalzare di parecchi metri insieme a tutti gli
altri. Per qualche secondo Rei osservò il proprio corpo proiettarsi in velocità
lontano dal promontorio e gettando un’occhiata preoccupata verso i propri
compagni, poté intravvedere Daichi infrangersi sulla sabbia impregnata d’acqua
appena sotto di lui. Il cinese cercò gli altri, ma complice la pioggia ed il
vento non riuscì a vedere chiaramente nessuno; i suoi occhi vagarono solo per
qualche breve attimo verso il centro della stella, dove la luce abbandonava il
corpo di Hilary e la ragazza si lasciava cadere senza un sostegno sul terreno,
sprofondando con il viso nella terra.
Quell’immagine turbò moltissimo l’animo
di Rei che per un momento si perse nell’osservare quel cielo coperto di nubi
nere da cui pochi raggi di luce tentavano di far breccia, disperdendosi come se
stessero abbandonando il campo…Forse era stato davvero tutto perduto, non ci
sarebbe stata un’altra possibilità, quella distruzione, quel dolore,
quell’inevitabilità era davanti ai suoi occhi e non c’era alcun modo di
vincerla. Forse avrebbe semplicemente dovuto chiudere gli occhi e non vedere
più, non assistere con i sensi alla loro Fine, ma invece attendere che la morte
calasse anche sui suoi occhi, assorbendo la loro luce e divorandola con la
stessa rapidità con la quale si era avvicinata a loro. Strinse il pugno mentre
il vento che gli tagliava il viso si faceva più affilato e la terra si preparava
ad accogliere il suo corpo. Rei chiuse gli occhi dopodiché avvertì il gelo
assorbirlo e la sensazione di essere privato dell’aria intrisa di pioggia.
Forse sarebbe morto in un modo dopotutto poco doloroso, si ritrovò a pensare
mentre l’acqua dell’oceano lo sommergeva portandolo verso il fondo…
Si lasciò cadere per la prima volta in
vita sua senza il desiderio di combattere, senza la grinta che lo aveva sempre
spinto a graffiare con le unghie il suo ostacolo per lacerarlo, senza quella
forza d’animo che lo avevano reso degno di essere il protettore della Tigre
Bianca…
“Un uomo giusto può essere degno di Lei”
Le parole del nonno di Lai gli tornarono
alla mente insieme a tutti i ricordi legati alla sua fedele compagna di tante
avventure. Avevano girato il mondo assieme, avevano combattuto contro gli
avversari più vari e temibili, avevano provato la sofferenza della lontananza e
l’ebbrezza della vittoria…Avevano – e questo Rei non lo poteva dimenticare –
condiviso la tristezza legata alla rottura dell’amicizia con Mao e avevano
riavuto vita quando la cinese lo aveva guardato intensamente per augurargli
buona fortuna. Immagini rapide di quello che era stato gli passarono davanti
come un film, rivide gli scontri a beyblade, la prima volta che si scontrò
contro Takao, la formazione dei BBA, la nascita della loro amicizia che si andò
consolidando attraverso il mondo e le varie tornate; davanti agli occhi vide
Kai che voltava loro le spalle, lo rivide tornare sui suoi passi, rivide il suo
sguardo fermo mentre gli prometteva che avrebbe salvato Driger dagli Scudi
Sacri, e poi eccola Mao, il suo sorriso, la sua emotività connotata da quel
viso sinonimo di dolcezza e forza allo stesso tempo…Tutto quello che aveva provato
riaffiorò dalle acque dell’Oblio, scuotendo la tigre e facendola ruggire con
forza e vigore.
Che idiota che era stato, mai
arrendersi, mai cedere, mai pensare che sia finita, non fino a quando hai
ancora così tanto per cui lottare. Rei strinse i pugni e con una spinta si
raddrizzò muovendo le braccia e le gambe per spingersi verso la superficie.
L’acqua fredda scivolava come un velo di seta sulla pelle, questa volta non lo
feriva, non lo terrorizzava non poteva lenirlo e più si portava verso la luce
più continuava a volerlo, a gridare nella sua testa quel desiderio di non
arrendersi che ora riconosceva come il richiamo della Tigre Bianca.
-
Rei! –
Aprì
appena gli occhi ambrati intravvedendo oltre la muraglia causata dall’impatto
dell’acqua della cascata sul suolo roccioso, il profilo morbido e sinuoso di
Mao che non si avvicinava all’acqua, ma saltellava per attirare la sua
attenzione. Il cinese si riscosse dai suoi pensieri preferendo lasciarli
all’interno della conca rocciosa in cui si era rintanato per meditare, deciso e
consapevole che li avrebbe ripresi alla prima occasione in cui l’acqua gli
avrebbe sfiorato la pelle.
Il
blaider uscì con i capelli bagnati che gli avevano in parte fatto scivolare la
lunga coda, rendendo così ancor più stretta e compatta la criniera corvina. Si
avvicinò alla ragazza che con un sorriso gli porse un asciugamano bianco
tenendo qualcosa dietro la schiena. Rei le rivolse un sorriso indagatore
accorgendosi sempre come gli piacesse vederla accanto a sé. Il suo viso,
baciato dal sole sapeva di fresco e di aria pulita, anche se ancora nei suoi
occhi di tanto in tanto scorgeva tratti d’amarezza e tristezza per quello che
aveva aiutato a fare, e che di certo non avrebbe mai dimenticato.
-
Ehi Mao, ma allora è un vizio! Quante volte te lo dobbiamo dire di non
disturbare i nostri allenamenti! – sbraitò Lai che evidentemente si era
lasciato distrarre dalla voce della ragazza e aveva perso la concentrazione
nell’incontro che stava disputando contro Kiki, che gioì per la vittoria
inaspettata.
-
Tanto avresti comunque trovato il modo per distrarti – lo riprese la cinese con
un ghigno misto ad un sorriso. Rei li osservò beccarsi come due bambini
sorvolando con lo sguardo appena dietro di loro, dove la vita del loro
villaggio continuava come se niente fosse successo, qualche albero caduto e
spezzato a parte. Tutto era tornato alla normalità e poteva dire che lo era
proprio tutto, soprattutto vedendo Mao e Lai. Intanto la ragazza ancora teneva
una mano dietro la schiena e non accennava a scansarla.
-
Mao, si può sapere che hai lì dietro? – chiese Kiki dopo che l’ebbe notata.
La
ragazza sembrò ricordarsene di colpo perché mise a tacere il fratello
voltandosi immediatamente verso Rei con un’espressione leggermente meno forte
di quella di prima. Rei le si avvicinò circospetto e vedendo che la giovane non
osava neanche alzare lo sguardo verso di lui, ma lo teneva saldamente ancorato
al terreno. – Mao? –
-
E’ arrivata una lettera…Della BBA – disse lei in un sussurro tendendo la busta
bianca al capitano dei Bahiutzu che la prese con insolita tranquillità.
Accarezzò la carta leggermente stropicciata e per qualche minuto rimase in
contemplazione del simbolo della BBA, come sotto l’influsso di un deja-vu…Dove
l’aveva già vista quella scena? Sorrise gettando la busta verso Lai che
stranito per il gesto improvviso e inspiegabile non la prese neanche al volo. –
Ma Rei? E’ la convocazione per il prossimo torneo…Non sei felice? – chiese Kiki,
incredulo anche lui che Rei non l’avesse aperta e letta con la solita
scrupolosa attenzione.
Il
cinese rilassò le spalle gettando un’occhiata complice a Mao che lo osservava
con muto stupore. L’altra volta se ci rifletteva era iniziato tutto da lì, da
una lettera che gli aveva fatto perdere il contatto con le cose davvero
importanti e non sarebbe successo ancora.
–
Oh lo so benissimo…Lai fammi un favore, pensa tu a rispondere a Daitenji e a
stilare il programma di allenamento – disse sereno il capitano beandosi
dell’espressione incantata di Mao. La prese per mano incrociando i loro sguardi
con una meravigliosa sincronia e posandole sul palmo il suo bey rosa appena
recuperato dal tascapane. – Mi aiuti a fare la lezione di bey ai piccoli? –
Mao
sgranò gli occhi annuendo di slancio e precipitandosi verso la piazza centrale
insieme a Rei mentre Lai ancora teneva la busta incredulo. – Rei che non parte
in quarta con l’allenamento? – domandò all’Aria.
-
Beh mi pare ovvio – obiettò Kiki
-
Capisco il suo dovere verso il villaggio, ma insomma si tratta di un
allenamento! E va bene ci penserò io! – disse orgoglioso Lai battendosi una
mano sul petto e dirigendosi come un perfetto soldato verso la piccola casa in
legno dove avrebbe preparato la risposta da inviare a Daitenji. Il piccolo Kiki
si schiaffò una mano in fronte sconsolato…Possibile che Lai non avesse ancora
capito che Rei e Mao stavano insieme?
-
Non sei felice di rivederli? –
-
Certo che lo sono, ma non voglio che pensi ancora a quello che è successo…Non
sarà come l’altra volta te lo prometto – le sussurrò Rei stringendola per la
vita e appoggiando il mento sulla sua nuca e carezzandole delicatamente i
capelli rosa, che lisci e morbidi gli scivolavano fra le dita. – E’ che ancora
non riesco a crederci…Di notte ho ancora l’immagine di quel giorno e degli
Obsc.. – Rei le posò un dito sulle labbra prima che quel nome uscisse dalla sua
bella bocca macchiandola. – Non torneranno…E se lo faranno li ricacceremo
indietro – la osservò da vicino mentre i suoi occhi si coloravano delle sfumature
degli iridi di lei, e mentre si avvicinava sempre di più alle sue labbra prima
di adagiarsi leggero su di esse e stringerle in un tenero bacio sotto gli occhi
del sole caldo di giugno. Mao gli cinse il collo con le braccia stringendosi a
lui e ricambiando il contatto causando a Rei una meravigliosa sensazione
all’altezza del cuore che sembrò quasi ricevere una scossa. Come aveva anche
solo potuto pensare di perdere tutto quello? Come aveva potuto anche solo per
un istante pensare di abbandonare tutto e di lasciarsi morire? No, aveva voluto
arrivare lì, aveva combattuto per quello che ora lo circondava e per quello che
l’avrebbe circondato e aveva raggiunto la sua cima…Ma non l’aveva semplicemente
desiderato, l’aveva voluto con ardore e determinazione, ed era per questo che
probabilmente la Tigre lo aveva scelto…
“Let me go home
I’m just too far
From where you are
I wanna come home”
Lasciò
la busta bianca sulla sua scrivania precipitandosi fuori dall’elegante stanza
all’ultimo piano dell’Istituto PPB con ancora stampati nella mente i caratteri
di quelle parole che aveva letto poco prima ed il cuore che batteva all’impazzata
per l’informazione, attesa da mesi, cercata incessantemente da quando si era
risvegliato poco dopo l’esplosione.
Max
corse fino alla terrazza dell’Istituto che, dolcemente accarezzata dal vento
estivo di giugno, lasciava disperdere lo sguardo per gli elevati e slanciati
grattacieli con ampie vetrate, e la strada sotto di lui, un immenso mosaico con le auto che formavano
delle minuscole tessere immerse nel caotico quadro newyorkese. Max si concesse
qualche minuto in compagnia del suono della città, lasciando che le cuffie gli
scivolassero giù dalla maglietta per ciondolare accompagnate dal vento; osservava
incantato la calma e rassicurante frenesia di New York, quel rumore di clacson
che si levava per l’aria tiepida e dava quella sensazione di familiarità e
quotidianità che alle volte temeva di non ritrovare più una volta andato a
dormire.
Perché
il ricordo lo sommergeva con i suoi violenti flutti e davanti agli occhi aveva
sempre il cieco timore di stare vivendo un sogno, di essere immerso in una
bella e colorata bolla d’acqua che sarebbe potuta scoppiare da un momento
all’altro. Scosse il capo come a voler togliere l’acqua dai capelli e si
appoggiò al parapetto del terrazzo osservando con quelli che sembravano gli
specchi esatti di scaglie di cielo.
Ad
un tratto dei passi pesanti, anticipati da un ben noto mormorio rock si
diffusero insieme ai clacson per l’aria, facendo spuntare un sereno sorriso sul
viso di Max. “E’ tutto proprio come prima”
-
Ehi Maxino che ne pensi di scrostarti dalla tua aria di poeta sognatore e
venire giù prima che Emily parta senza di noi? –
Max
si volse verso l’amico che dai capelli platinati e dall’imponente corporatura
con l’aria di chi non ha ben capito cosa avrebbe dovuto fare e soprattutto
perché.
-
Non guardarmi così, lo sai che quell’isterica di Emily ci mette due secondi
contati a preparare la trasferta. Secondo me se l’aspettava ed aveva già
preparato tutto e… -
-
Aspetta Rick non ho capito niente! Di che trasferta parli? – domandò Max.
Rick
lo fissò con un cipiglio inarcato – Scusa ma non hai saputo la novità? Il
campionato…L’hanno indetto in una conferenza stampa e sono arrivate già le
lettere di comunicazione…Ma scusa quella che hai ricevuto non lo diceva? –
domandò Rick leggendo lo stupore sul viso dell’amico, che improvvisamente
dirottò il capo da tutt’altra parte cercando di non guardarlo in faccia. – Ehi
Maxi che c’è? – chiese il colosso americano avvicinandosi con un sorrisino
ironico stampato in faccia.
-
Non mi dire che… -
-
E’ arrivata Rick! Non riesco a crederci! – Max si volse verso l’amico con un
sorrisone a trentadue denti ed allargando le braccia come se volesse
abbracciarlo simbolicamente, o come se volesse prendere il volo, almeno secondo
il modesto parere di Rick.
-
Eh dove sarebbe? –
-
Non c’è scritto, ho solo il nome del volo e l’ora – Max chinò il capo calando
appena il tono della voce come se forse avrebbe preferito che l’ultima parte
non venisse neppure udita. Tanto non avrebbe portato a nulla.
-
Questa faccia afflitta che significa? – domandò Rick
-
Che mi hai appena fatto crollare la terra sotto i piedi…Abbiamo il campionato
del mondo da preparare – ammise Max con voce sottile. Strinse i pugni mentre
avvertiva un fiume ribollente scorrergli nelle vene al posto del sangue; ad un
passo dalla sua vittoria…Aveva passato un periodo anonimo e triste dopo il suo
risveglio in ospedale, aveva sopportato il lento scorrere del tempo senza poter
fare nulla, né per muovere la sua barca più velocemente, né per poter cambiare
direzione, era semplicemente rimasto in balia della placida e monotona avaria
del tempo…Fino a quando…
Aprì gli occhi e li richiuse non notando
immediatamente una netta differenza, ma pian piano i suoi occhi azzurri
riuscirono a distinguere delle forme scure attorno a lui e dei minuscoli
puntini rossi e verdi che lampeggiavano. Lentamente avvertì l’oscurità
diradarsi ed assumere sfumature sempre più nette, fino a che un debole raggio
di luna non si andò a posare sul suo braccio e su quel qualcosa di bianco e
morbido che lo sorreggeva; un ticchettio elettronico intermittente ed un
tubicino collegato al suo braccio destro gli fecero capire di essere in un
ospedale.
Max attese che i suoi occhi si fossero
abituati al buio quando un rumore appena accennato lo sorprese insieme alla
sensazione di una presenza accanto a sé. Si voltò quasi spaventato quando
sgranando gli occhi si rese conto di conoscere quella testa blu china sul bordo
dell’alto materasso e la mano lunga e sottile che teneva stretto il suo polso.
Il ragazzo sorrise di cuore mentre continuava ad accarezzare con gli occhi la
figura di Mariam seduta sulla sedia accanto al suo letto, profondamente
addormentata e…Viva. Avrebbe voluto svegliarla, vedere i suoi splendidi occhi
verdi, abbracciarla, ma non lo fece, sia per via del suo braccio che gli
impediva qualsiasi movimento, sia perché senza neanche accorgersene seguì la
ragazza in un mondo cosparso di sogni finalmente sereni.
Quando aprì gli occhi la luce del sole
lo colpì in pieno e lo costrinse a girarsi di lato, ma una fitta alla spalla lo
fece desistere.
- Ehi Max non girarti così
bruscamente - Max sentì il cuore
mancargli un battito e non ebbe quasi la forza di girarsi verso il suo
interlocutore.
- Rei? – C’erano anche Emily e Rick. –
Ohi come stai moccioso…Dovevi proprio far preoccupare –
- Soprattutto lo scimmione qui
presente…Non starlo a sentire Max, era preoccupato tanto quanto noi – lo
smascherò Emily con una sola frase.
- Ma figuriamoci –
Max sorrise davanti a quella scena, ma
inavvertitamente, dirottò lo sguardo verso la sedia vuota alla sua destra. – Se
ne sono andati questa mattina presto – disse semplicemente Rei come se avesse
compreso. Max chinò il capo sconsolato, avvicinando il braccio munito di flebo
al suo gemello e sfiorandosi la porzione di pelle su cui la notte prima la mano
ed i capelli di Mariam si erano posati. – Oh sì, la tua ragazza non si è mossa
da lì per quattro giorni. Ti vegliava in silenzio senza muoversi – spiegò
sbrigativamente Rick sempre con il suo tono superficiale ed ironico.
- E poi questa mattina all’alba, quando
i medici hanno visto dai test d’impulso che ti saresti risvegliato presto, beh
lei…Se ne è andata – finì Emily quasi sussurrando l’ultima frase.
Ma annuì sentendo le loro parole quasi
ovattarsi, lasciarlo solo in balia di quel gorgo nero e profondo che si era
nuovamente aperto sotto e sopra di lui…Se ne era andata…Di nuovo.
Ci
aveva messo più tempo del previsto a rimettersi in forze, la sua spalla aveva
riportato qualche frattura, ma alla fine era tornato a New York, se possibile
più demotivato e abbattuto di prima; il ritorno alla quotidianità era stato
piacevole, essere vivi, consapevoli di essere sfuggiti ad una Catastrofe lo
rendeva orgoglioso di sé…Sapere di aver perso Mariam per l’ennesima volta lo
faceva sentire un idiota e lo incupiva come una nuvola carica di pioggia. Rick
gli aveva consigliato di lasciar perdere, Emily di buttarsi sul beyblade, Rei
di cercarla…Peccato che quella ricerca si fosse dimostrata quantomeno
disperata. Voleva trovarla, lo voleva con ogni fibra del suo essere, ma sembrava
non essere mai sufficiente…
- Max, c’è
qualcuno che vuole parlarti – la voce di Emily risuonò per qualche istante da
dietro la porta della sua stanza. Non voleva neanche alzarsi, era troppo
concentrato ad osservare e consultare atlanti e internet alla ricerca di una
qualsiasi informazione ancora non verificata circa la collocazione di quello
stramaledetto villaggio.
- Max, è importante – il ragazzo sbuffò
coprendo tutto il materiale e andando ad aprire quasi trascinandosi.
- Dimmi Emi… - sgranò gli occhi quando
dei piccoli occhi verdi e severi gli si pararono davanti.
- Ciao Max –
- Dunga?! Che cosa? Come…? –
- Come ti ho trovato? Beh non è un
mistero sapere dove vivi Cavaliere e sul cosa sono venuto a fare? Beh penso che
tu sia abbastanza intelligente…Amico puoi aspettare che ti cadano tutti i
capelli prima che tu riesca a cavarci qualcosa sul nostro villaggio a furia di
consultare inutili pezzi di carta – Dunga lo squadrò ironico bellamente
accomodato sulla sua sedia, mentre l’americano non si era minimamente scrostato
dalla parete.
- Vi ho cercati d’ovunque! Si può sapere
dove diavolo vi rintanate? – sputò Max con il viso che iniziava a tingersi di
rosso per aver alzato troppo la voce.
- Se fossimo così facilmente reperibili
che villaggio segreto sarebbe? – rispose Dunga senza scomporsi –
Cavaliere…Dobbiamo parlare –
Max rimase in piedi con una strana
sensazione all’altezza del petto – E’ successo qualcosa a Mariam? –
- E’ una testarda, lei non sa che sono
venuto qui e mi ammazzerebbe se lo sapesse, ma a dispetto di quanto sembra da
fuori, io le voglio bene, è come una sorella per me e voglio che sia felice –
Max ricambiò lo sguardo serio e
concentrato del colosso biondo deciso a fargli capire che lui non aspettava
altro, che avrebbe trovato Mariam anche in capo al mondo; già una volta l’aveva
persa per colpa di un Demone ed ora Max era fermamente intenzionato a chiederle
scusa. – Avrai presto mie notizie Max –
E
le aveva avute; una lettera, un misero pezzo di carta sbiadita, poche parole
scritte, il numero di un volo con data e orario che però non avrebbe potuto
rispettare…Strinse il pugno attorno a Draciel sotto gli occhi seri di Rick.
-
Non capisco dove sia il problema – disse d’un tratto.
Max
chinò il capo afflitto. Aveva ragione lui.
-
Beh Max mentre tu rimugini e fai l’idiota io vado che ho una valigia da
preparare –
-
Dove dobbiamo andare? Che posto hanno scelto? – domandò Max giusto per tirar
fuori qualche parola.
-
Noi andiamo in Kansas…Ah Max portami qualcosa chiaro?! –
Max
alzò gli occhi verso l’imponente statura dell’amico che lo guardò con sguardo
fisso e per una volta serio – Ascoltami moccioso…Certe opportunità non tornano.
Quando giochiamo spesso in tutta una partita abbiamo un solo momento per
sferrare il nostro attacco vincente, quello che può salvare le sorti di tutto,
come si è trovata a dover fare Hilary. Se non sfrutti ora quest’opportunità potresti
rimpiangerla a lungo – sembrava lo stesse quasi rimproverando, ma c’era
dell’altro dietro le sue parole, quello strano ed inusuale modo che aveva Rick
di manifestare la propria amicizia. – E l’allenamento? –
-
E chi ti ha visto? – Max sorrise ricambiando l’espressione di Rick
precipitandosi verso la rampa di scale che lo avrebbero portato verso la sua
stanza. - Grazie Rick! – urlò quando fu oramai inghiottito dalle scale.
-
Di nulla – sussurrò il colosso americano con un sincero sorriso sul viso mentre
le note di “Home” si disperdevano nell’aria.
“Sto
arrivando Mariam”
The future's open wide
beyond believing
To know why hope dies
And losing what was found, a world so hollow
Suspended in a compromise
But the silence of this sound is soon to follow
Somehow sundown”
Fece ancora un giro su se
stessa, lasciando che i veli colorati che le rivestivano il corpo, disegnassero
in aria luminosi e colorati arabeschi, mentre Thunder Pegasus vorticava a ritmo
della musica seguendola come un’immagine riflessa. Julia da dietro i veli
colorati del suo costume osservava con occhi lucenti i volti estasiati ed
incantati dei bambini che la guardavano a bocca aperta. Era una bella
sensazione, beveva dai loro sorrisi, dalle loro espressioni ridenti e felici,
sentendo Thunder Pegasus vorticare ancor più velocemente spinto dalle sue
percezioni. Era tutta carica, emozione, sentimento a guidare i passi di
danzatrice e beyblade, e quella meravigliosa sensazione irrompeva nelle sue
vene e nei suoi muscoli facendole compiere un altro giro, e poi un altro
ancora, sempre più energica senza fermarsi mai, lei che mai e poi ma si era
fermata e mai si sarebbe fermata.
Con
un salto all’indietro fece volare il nastro arancione ed il bastone per poi
riafferrarli con una presa rapida e salda incrociando nuovamente le
acclamazioni del suo piccolo pubblico che esultava per lei ma insieme a loro la
sfiorarono il calore di due perle color ghiaccio che per una volta non entrarono
in contrasto con il suo fuoco.
Con
un rapido e sinuoso movimento si accinse a concludere la sua coreografia sempre
seguita dal suo fedele bey e compiendo numerosi giri accerchiata dal nastro
come se fosse stata una trottola, per poi fermarsi nel medesimo istante di
Thunder Pegasus, che tornò fedele nella sua mano.
La
ragazza ansimò appena volgendo un vistoso inchino verso i piccoli spettatori
che la applaudirono con vigore. Li osservò beandosi delle loro voci, quando una
ventata di aria gelida, che fino a poco prima non l’aveva sfiorata le fece
ricordare che forse era meglio mettersi qualcosa addosso.
Fece
un nuovo inchino mentre una piccola bambina bionda con i codini le porse una
giacca per coprirsi che Julia accettò con un sorriso. Un altro bambino biondo
le portò un mazzo di fiori intrecciati con un nastro arancione e dicendole
qualcosa che lei non capì ma che immaginò fosse un complimento o qualcosa del
genere.
-
Ti ha chiesto se puoi rifare il numero –
Si
girò verso il suo interlocutore squadrando la figura alta e slanciata che la
osservava con le braccia incrociate, le sopracciglia leggermente inarcate, due
sottili ciocche vermiglie che gli delimitavano i bordi regolari e decisi del
viso e due occhi azzurri come il ghiaccio…Un ghiaccio meravigliosamente caldo.
-
Si può fare…Ma solo per i piccoli, i grandi non sono invitati – rispose la
spagnola scompigliando la testa della bambina che teneramente sfiorava i
ciondoli colorati dei bracciali che portava ai polsi, che le erano serviti per
la coreografia.
La
figura davanti a lei la osservò a con velata attenzione prima che i piccoli si
disperdessero richiamati dalla voce perentoria di Sergay e li lasciassero soli,
in un pezzo di mondo, di cielo e terra che era loro, loro e dei loro ricordi.
Le tese la mano attirandola rapidamente fra le braccia ed avvolgendola da dietro
mentre davanti a loro il sole si buttava oltre i ghiacci delle alte montagne
russe colorando d’oro le rigide spigolature delle montagne, rendendole lastre
evanescenti con scaglie d’oro rosso e tingendo le loro menti con quella scena
dannatamente già vissuta e meravigliosamente ricordata…
L’energia che fluiva via dal suo corpo
portandosi via pezzi della sua forza vitale e rendendogli sempre più difficile
mantenere il contatto con il braccio del suo Cavaliere. Doveva resistere, non
poteva cedere, non lui, non il grande Ivanov, non ora che poteva porre fine a
tutto quel dolore e mandare all’Inferno la Causa che aveva portato la morte di
sua sorella.
Cercò di mantenere il contatto oltre le
sue possibilità, fino a che non avvertì il corpo incredibilmente leggero
accasciarsi verso il basso come un fantoccio di carta; perse Takao ma
probabilmente non si rese neanche conto di aver sbattuto il viso contro il
suolo fangoso, perse conoscenza dopodiché fu buio.
- Si è ripreso con una velocità
impressionante rispetto ai suoi compagni – storse le labbra a quelle parole,
come se le trovasse acide, amare, pesanti sullo stomaco, ma intanto il continuo
ed inesorabile passare dei giorni non facevano altro che lasciare dentro di lui
un sempre più gravoso peso, ed una sensazione di orrore crescente. Si era
ripreso, l’unico fino a quel momento, avrebbe dovuto essere felice, o
quantomeno soddisfatto…Eppure si faceva schifo, non sopportava il suo riflesso
e passava le ore a camminare per i corridoi inamidati dell’ospedale come il
fantasma di se stesso, osservando i suoi compagni apparentemente addormentati,
prede in realtà di quello stadio d’ombra dal quale non era certo che si
sarebbero risvegliati. E lui li osservava, in silenzio, quasi senza un
controllo diretto dei suoi gesti, si muoveva semplicemente andando da una
camera all’altra sperando di intravvedere un viso muoversi, e rendendosi sempre
più conto della realtà nuda e cruda: era preoccupato per loro, talmente
preoccupato che non trovava neanche lo spazio per essere felice della sua
guarigione, anzi tutto ciò non faceva altro che farlo imbestialire ancora di
più; qualcuno là in alto doveva veramente avercela a morte con lui per
lasciarlo in quella situazione…Un vivo che era più morto dei morti.
E ora si sentiva solo; la cosa non lo
aveva mai veramente impensierito, la solitudine non era mai stata una compagna
spiacevole, anzi lui si era sempre murato dietro la soddisfazione di essere
immune alla necessità di aver bisogno di qualcuno. Lui era orgoglioso della
propria resistenza, del proprio essere e mai l’aveva minimamente sfiorato
l’idea che avrebbe potuto soffrire per solitudine…Eppure ora si sentiva
ingannato, tradito da quella luce che aveva intravisto per un breve istante e
che gli era stata portata via.
Luce che lo osservava deridendolo ogni
volta che posava gli occhi sul viso di Julia, a cui più di ogni altro aveva
rivolto le sue attenzioni e quasi le sue preghiere. Lui che non pregava mai.
Non era mai sceso nell’obitorio dopo la
guerra e solo una settimana dopo ebbe il coraggio di farlo. L’aria era fredda
già in prossimità della rampa di scale, e mentre metteva un piede innanzi
all’altro Yuri si rendeva conto che forse non avrebbe avuto la forza di
scendere oltre, ma poi stendeva la gamba ancora una volta.
Il silenzio urlava dentro ed attorno a
lui, infastidendolo e rendendogli sempre più ostica la discesa, ma sarebbe
arrivato fino in fondo, almeno questo lo doveva.
Arrivò in fondo alla scalinata con il
fiato sospeso e senza aggrapparsi alla sbarra laterale, quasi temesse di
sfiorare con la pelle quel gelido metallo su cui respirava l’aria di Morte.
Doveva affrontare quella sua paura,
doveva vincerla, doveva superare quel senso di disprezzo non tanto verso la
morte, quanto più verso se stesso; era quella l’ineluttabile verità: si odiava,
aveva permesso che sua sorella gli morisse davanti agli occhi e non l’aveva
impedito, aveva visto Crystal allontanarsi da loro ed intraprendere un cammino
tortuoso e infido e non l’aveva fermata…Era ora lei era oltre quella porta
mentre lui era vivo e perfettamente in piedi.
Strinse le labbra fino a farle
sanguinare abbassando la gelida maniglia e varcando la soglia di quella stanza
fronteggiando inutilmente le ombre ed il gelo della sua colpa che lo assalirono
con un muto attacco, un unico fendente sferrato da una creatura dal volto
bianco, quasi tendente al violetto con ciocche di capelli vermigli sparsi ad
aura su un lettino metallico, gelido e trasparente come le lacrime che caddero
sulle sue labbra secche non più baciate dal respiro.
-
A che pensi Yuri? –
Lui
si scostò appena dall’immagine di quel tramonto cremisi rivolgendosi a Julia
che ancora poggiava la schiena sul suo petto godendosi il tepore di
quell’abbraccio insieme alla vista di quel meraviglioso tramonto.
Yuri
la strinse più energicamente a sé, come ad accertarsi che fosse veramente lì
accanto a lui, continuando ad osservare come rapito quel sole che si tuffava
oltre le montagne dorate della sua terra, ripercorrendo quel film da dove
l’aveva interrotto…
Corse fino a che non arrivò in
prossimità della porta, senza pensare di essere in un ospedale, senza
preoccuparsi delle occhiate di rimprovero dei medici e degli infermieri,
semplicemente corse, colpendo inavvertitamente nella foga Kate che camminava
nella direzione opposta alla sua brandendo un paio di cuffie per le orecchie un
filo che andava a nascondersi nella tasca di quei pantaloni troppo grandi per
lei.
La superò senza degnarsi di rivolgerle
un cenno, arrestandosi di colpo quando la vide muoversi sulla porta sorretta da
Rei e Raul.
Per un millesimo di secondo si disse che
giusto per quell’occasione avrebbe preferito che gli altri avessero continuato
a dormire.
- Ciao Yuri, direi che sei in forma
smagliante – disse Rei alludendo alla sua corsa frenetica.
Raul gli rivolse uno sguardo infastidito
stringendo la presa sul fianco della sorella che gli scoccò un’occhiataccia. –
Non perforarmi il fianco, grazie –
Yuri si sentì come se qualcuno gli
avesse preso quel masso che aveva portato fino a quel momento e l’avesse scaraventato
via con forza, lasciandolo libero di respirare normalmente.
Lei si volse verso di lui con un sorriso
appena accennato, mostrando un’espressione che però tradiva una felicità
incredibile, ed una voglia di esplodere in tutta la sua irradiante energia.
Pallida, con qualche graffio, ma con due occhi ridenti e svegli come quelli che
aveva scoperto di adorare, di amare probabilmente, in ogni caso, occhi che gli
faceva bene avere su di sé.
E lei lo continuava a sondare, quasi lo
studiasse, quasi cercasse di leggergli nella mente come già tante volte era
riuscita a fare, quasi si aspettasse di essere in grado di prevedere le sue
mosse…Dimenticando per un solo fatale istante chi avesse davanti.
Un abile giocatore sa quando è il
momento di attaccare, sa che l’importante per assicurarsi la vittoria è essere
imprevedibile, mai valutabile o analizzabile all’avversario, e lui su questo
era il migliore.
Si avvicinò a loro senza staccare gli
occhi dalla ragazza e senza preoccuparsi dell’espressione vagamente intimorita
di Raul che lo scrutava con sospetto. – Non disturbatevi – con un rapido
movimento prese il busto della spagnola circondandolo con il braccio e
sorreggendola non appena cedette per la mancanza di sostegno. Julia sgranò gli
occhi sorpresa e lasciando librare un meraviglioso sorriso sul volto che poi si
tramutò una risata, limpida e cristallina come la luce che per la prima volta
inondò gli occhi vitrei del russo.
Ricordava
ancora come si era appesa al suo collo e di come si era trascinata a fatica insieme
a lui all’ultimo piano dell’ospedale per osservare un tramonto molto simile a
quello che ora stavano guardando insieme. Da allora era passato un anno, un
periodo di tempo in cui non avevano smesso di rincorrersi, di affrontarsi, di
scoprirsi pagina per pagina, consapevoli di non aver letto rispettivamente
ancora l’ultima pagina.
Un
colpetto al petto seguito da un bacio alla base del collo lo risvegliò dalle
sue riflessioni, facendogli volgere l’attenzione su un altro film, di gran
lunga più vivido e presente. La baciò chinandosi su di lei ed intrappolando le
sue labbra in una morsa pericolosa, tentatrice, famelica come l’indole del lupo
della Steppa, irruente come quella del Cavallo del tuono, ricercando senza
fiato il suo respiro, rendendolo proprio e soffocando una lieve risata sulla
sua bocca..Mentre dietro di loro gli ultimi raggi dell’aura si lanciavano
dietro le montagne, lasciando la pagina alla Notte, affinché potesse continuare
a seguire lei la loro storia…Perché il passato era passato, non lo si poteva
cancellare, ma lo si poteva superare, voltando pagina e ricominciando a
scrivere…
“For so long,
I’ve tried to shield you from the world
You couldn’t face the freedom on your own
Here I am
Left in silence
I’ve
been so lost since you’ve gone
Why not me before you?
Why did fate deceive me?”
-
Ci sono prima io! –
-
Non penso proprio! –
-
Ehi guarda che tocca prima a me! –
No,
questo era troppo anche per lui.
-
Boris dare una mano ti costerebbe tanta fatica? – lo squadrò Ivan di sbieco
mentre il ragazzo continuava imperterrito a fare i suoi esercizi. Calma, doveva
mantenere la calma o per lui non ci sarebbe stato un ultimo campionato
mondiale. – Sto per fare una strage di mocciosi – sibilò quando l’ennesimo urlo
lanciato dai piccoli animati blaider gli fece perdere il controllo con Falborg
che fece un bel volo nell’acqua ai lati del suo campo da gioco.
Sbuffò
adirato piegandosi per l’ennesima volta a raccogliere il suo bey fradicio e
preparandosi a rilanciare…Tanto l’avrebbero distratto sicuramente.
Normale
amministrazione la definiva Ivan, piacevole routine secondo Sergay, una nuova
pagina secondo Yuri…Un Inferno per
lui. Non perché avesse qualcosa contro la nuova gestione del monastero Vorkof,
oramai di esclusiva amministrazione della Neoborg e di proprietà della famiglia
Hiwatari, solo che non era mai stato tagliato per avere un diretto contatto con
i bambini, per quanto tutti lì dentro lo trovassero un mito e cercassero di
imitarlo.
Boris
si preparò a lanciare gettando prima uno sguardo ai suoi piccoli pargoli che
ancora stavano accanitamente discutendo per decidere chi dovesse combattere per
primo con i nuovi modelli di bey approntati dai loro esperti. “Che danno…La
prossima volta a loro diamo trottole di legno” pensò accingendosi a tirare, seguendo
con attenzione il timer che gli indicava i tempi.
-
Tre – perché il nuovo campionato sarebbe iniziato a breve e doveva essere in
forma.
-
Due – perché dovevano soffiare il titolo ai BBA G-Revolution
I
passi si moltiplicavano, si facevano più vicini, ma lui li ignorava, c’erano
lui ed il suo obiettivo.
-
Uno – perché ora aveva veramente tutto,
il campionato sarebbe stato il suo palcoscenico…
-
Boris aspetta vogliamo vedere anche noi! –
Una
spinta alla sua gamba lo fece sbilanciare ed il lancio deviò completamente la
sua traiettoria andando a cozzare violentemente contro la parete infrangibile a
qualche metro di distanza.
Boris
sbatté il gomito contro il pilastro più vicino non sapendo se mettersi a ridere
o appendere i mostri al soffitto secondo la vecchia usanza di Vorkof.
-
Boris…Ed erano solo dei bambini; non vorrei vedere che cosa faresti se avessi
una diversa distrazione – la voce che lo derise sopraggiunse dal corridoio
davanti a loro, venendo illuminata a fasce dalla luce artificiale della palestra
e dagli argentati raggi lunari che s’intrecciavano fra loro disegnando eleganti
riflessi sul corpo meravigliosamente formato della donna in avvicinamento.
Boris sorrise con un ghigno lanciandole uno sguardo d’intesa che lei colse al
volo.
-
Su ragazzi, di là è pronto, andate a mangiare – ordinò la donna con fare
autoritario ma con una sottile nota di dolcezza che usava solo per rivolgersi a
qui pidocchi.
-
Grazie Crystal! – se Boris avesse saputo prima cosa li avrebbe allontanati
dalla palestra avrebbe ordinato cibo giapponese per tutti.
-
Tu non mangi? – chiese il russo una volta che la palestra si fu svuotata e dopo
che Boris ebbe annuito in direzione di Sergay che aveva accuratamente accostato
le porte, lasciandoli soli.
Lei
si strinse nelle spalle rimanendo ancorata al suo posto, illuminata dai raggi
della luna e specchiandosi sul lucido pavimento della stanza, che rivelava una
ragazza dai rigidi lineamenti e capelli rossi vagamente mossi. Nessuno sapeva
cosa fosse successo a Crystal, se ricordasse qualcosa dei momenti
immediatamente precedenti al suo risveglio, ma lei in ogni caso pareva non
volerli menzionare, diceva di non ricordare, ma nonostante fosse sempre stata
una brava mentitrice, Boris non ci aveva mai creduto, ma non l’avrebbe forzata a dirgli qualcosa per cui non era
pronta.
Ciò
che sapeva era che ora Crystal era lì, viva, bella e soprattutto felice. Ancora
quando l’osservava temeva che potesse svanirgli davanti agli occhi come una
nuvola di vapore in una giornata d’inverno e quando si addormentava gli
apparivano davanti al viso gli occhi spenti della ragazza che amava, i suoi
capelli bruciacchiati e spezzati, il labbro tumefatto ed il volto ridotto ad
una maschera di sangue e dolore che chiedeva solo di non lasciarla andare…Si
svegliava di soprassalto e correva fino alla camera di Crystal controllando che
fosse lì e che respirasse, poi tornava indietro cercando di sfuggire ai ricordi
di quel dolore che non accennava a scomparire, nonostante fosse stato
abbondantemente ricoperto da nuovi ed emozionanti ricordi…
Accarezzò il suo viso ancora una volta,
immergendo le dita in quei crini sottili, desiderando che gli rimanessero
sempre fra le mani, e scrutando con dolore quelle palpebre d’avorio fragili
come argilla. Non riusciva a staccarsi, sapeva che non doveva rimanere lì, il
freddo di quella stanza era incredibile e nelle sue condizioni avrebbe dovuto
stare a riposo, ma non ce la faceva…Non poteva allontanarsi da quel letto.
Prese una mano gelida fra le dita e la
chiuse tra le sue in modo da scaldarla fino a quando non avvertì il freddo
contatto diramarsi in lui scorrendogli lungo la spina dorsale e raggelandogli
tutto il corpo.
Era ingiusto, se lo ripeteva senza
sosta, senza smettere di guardarla consapevole quanto fosse inutile, ma che
venisse pure qualcuno a dirgli che era un idiota a fissare un
cadavere…L’avrebbe preso a pugni riducendolo in uno stato ben peggiore di
Crystal. Perché nessuno poteva giudicare il suo dolore, nessuno poteva
permettersi di dire una parola su tutto quello che le era successo…Nessuno,
perché se erano lì lo dovevano solo a lei.
Yuri si rialzava a fatica cercando di
trovare in Julia un punto di forza, Rei, Max, Takao e tutti gli altri si erano
ripresi e presto avrebbero ricominciato…Mentre loro no. Lui non sapeva se ci
sarebbe riuscito, e francamente non gli interessava, voleva fare le cose a modo
suo, nessuno doveva dirgli cosa fare, nessuno poteva capire cosa stava provando
in quel momento…Nessuno.
Le mancava, si detestava per averle
permesso di fare di testa sua…L’aveva consegnata lui ai Demoni su un piatto
d’argento; avrebbe dovuto proibirle di andarsene quella sera…Avrebbe dovuto
fare tante cose che non aveva fatto e dire tante cose che non aveva detto.
- Maledetta testarda – ma lei aveva
voluto rischiare, aveva messo il suo senso dell’onore, il suo amor proprio
davanti a tutto…Ed era morta per salvare loro. Ironia della sorte, come lui
fosse stato salvato proprio dalla ragazza che in realtà avrebbe protetto a
costo della sua vita…C’era una sorta di gioco sadico dietro e Boris non poteva
che vedere come quell’orrenda pianta si fosse aperta sotto i suoi occhi,
lasciando che tutti i pedoni cadessero uno dietro l’altro portandosi dietro
anche la sua regina.
- Sei una stupida…Non avrei dovuto farti
fare di testa tua –
- Ti avrebbe odiato se glielo avessi
impedito –
Si voltò con un moto di rabbia
improvviso incrociando lo sguardo raggelante ed apatico della figura appoggiata
alla parete che lo osservava senza una minima inclinazione nell’espressione.
- Da quanto sei qui? – chiese tagliente
facendo ben presente che la sua presenza non era gradita.
- Abbastanza per vedere quanto può
essere facile demolire le difese di una persona –
- Bene, ora che hai constatato questo te
ne puoi anche andare – sibilò lui.
La figura non parve scomporsi, tanto che
non si allontanò, anzi si portò davanti a Boris squadrandolo con i suoi occhi
azzurri dannatamente familiari.
- Che ci fai ancora qui Hiwatari? –
oramai non era più un mistero e non riusciva quasi a credere che avrebbe potuto dare quel cognome ad una donna. Aveva
tutto della famiglia di Kai, stessa espressione, stesso sguardo, ma anche la
stessa sfacciataggine… - Nel caso non avessi ancora acquisito la percezione
emotiva te lo ripeto…Vattene o..- lei lo prese per le spalle avvicinando il
viso ad una distanza millimetrica dal suo e perforandolo con quei dannati
stiletti azzurri. – Piangi, disperati, ucciditi se ti farà sentire meglio…Se
lei fosse qui pensi che sarebbe fiera di te? –
- Frasi fatte tesoro, comprane una nuova
–
- Non sono frasi fatte, sono fatti veri.
Sono sensazioni devastanti, ti corrodono da dentro, non riesci a respirare, non
riesci a capire come mai l’aria invece di darti la vita te la tolga –
- Non accetto morali da una che non vive
da neanche una settimana! – non riuscì a controllare la rabbia, la furia cieca
ed il dolore che gridava una vana vendetta verso ignoti; si scagliò sulla
ragazza tentando di scrollarsela ma lei con un’abile mossa lo ancorò alla
parete sferrandogli un pugno in pieno viso e prendendosi a sua volta un colpo
sul collo. – Non provarci Huzenstov…Non credere di essere il solo ad aver visto
la sofferenza…Piangerti addosso, scagliarti come una belva non ti ridarà
nulla…Ma tu a differenza di altri hai una possibilità impagabile. Hai Hilary
che può riportarla indietro…- chinò il capo come se facesse fatica a parlare e
Boris rimase quasi colpito da quella reazione.
- Devi fidarti di lei –
- Tu ti fidi? Non ci conosci neanche –
Lei alzò lo sguardo verso il suo
scontrandosi con un dolore che evidentemente doveva trovare molto simile al
suo, tanto che Boris per un piccolo istante riuscì quasi ad avvertire una sorta
di somiglianza fra loro.
- Se mi fermo a piangermi addosso non lo
saprò mai -
Per
una volta dalla bocca di un Hiwatari era uscita una frase sensata.
Quando
l’aveva vista sulla soglia del Monastero, con i vestiti logori, il viso sporco
e bagnato dalla pioggia invernale di gennaio, aveva creduto di vedere un
fantasma, ma rischiando quasi un infarto l’aveva guardata come se si aspettasse
che svanisse da un momento all’altro. Tuttavia quando lei gli sfiorò il braccio
quasi con le lacrime agli occhi, solo allora si risvegliò dall’iniziale
incredulità e l’abbracciò con forza, stringendola a sé come per riassorbire il
suo profumo, come per tornare ad avere familiarità con la sua pelle fredda e
liscia color avorio e quando l’avvertì ricambiare seppur timidamente il
contatto si sentì scoppiare dalla felicità e dall’euforia. I suoi occhi si
erano riempiti di lacrime sorridenti, di un’emozione che in un lampo cancellò
tutto il dolore e la morte che per mesi aveva covato nel cuore e gli permisero
nuovamente di tornare a spalancare le ali e volare in alto, questa volta non da
solo.
-
Pensi troppo Boris –
Alzò
lo sguardo accorgendosi di aver divagato troppo solo quando la vide a pochi
centimetri da lui con ancora Seraphion tra le dita. Si volse verso di lei
ancora ringraziando il cielo per averla lì.
-
Sai che non mi piace essere osservata – gli fece notare lei.
-
Esci dal mio campo visivo allora – lui si fece più vicino.
-
Questa è originale te lo concedo – scherzò lei alzando i palmi sui suoi occhi e
chiudendogli le palpebre oscurandogli la vista, ma irradiandogli le membra
quando due fredde labbra si poggiarono sulle sue con un’iniziale dolcezza, che
crebbe rapidamente in una lotta per assorbire uno il respiro dell’altra; la
strinse a sé con una naturalezza che oramai era loro, che aveva faticato per
trovare e che non avrebbe perso per nulla al mondo…Erano andati oltre il
passato, oltre la gelosia, oltre il dovere e la morte, sorvolando difficoltà e
lacrime con ali sempre più forti, sempre più motivate e decise ad arrivare fino
in fondo…Non l’avevano raggiunto ancora, non l’avrebbero mai raggiunto, ma
avrebbero continuato a volare: un Falco sotto un Cielo di Stelle.
“And at the end of the day remember the days
When we were close to the end
And wonder how we made it through the night
At the end of the day
Remember the way
We stayed so close to the end
We'll remember it was me and you”
-
Povero piccolo, sorpreso di rivedermi? –
Serrò
violentemente i pugni conficcandosi le unghie nei palmi ed ignorando il dolore
mentre un’ansia crescente prendeva possesso del suo corpo e gli faceva
contorcere i muscoli dal terrore e ricoprire la pelle di un viscido sudore
gelido.
-
Tu dovresti… -
- Povero piccolo Takao, guardati temi la
mia ombra come i bambini temono l’uomo nero. Sei patetico –
Ancora
la sua voce, ancora i suoi occhi rossi come il sangue, ancora quel
dolore…Ancora Lei.
-
Tu sei…-
- Morta? Già come se bastasse questo a
pulirti dalle tue colpe amore mio…Guardati attorno. Ti hanno lasciato tutti. Tu
hai tradito loro e ora ti hanno abbandonato. Tutta quella grande amicizia che
credevi vi legasse in realtà non è altro che un tuo castello di carte –
-
Non è…Menti – tremava ed il freddo gli bloccava il respiro impedendogli di
respirare. Doveva fare qualcosa, ma non riusciva a sottrarsi anche questa volta
a quegli occhi.
-
Vattene via… -
- Cosa fai piangi Takao? –
La
odiava, non la voleva più stare a sentire, ma non riusciva ad uscire da quel
tunnel, scappava e lei era sempre davanti, dietro, dentro di lui e lo tallonava
senza lasciargli tregua solo con occhi e voce.
- Vattene! –
-
Takao –
-
Lasciami stare! – agitò le braccia davanti al viso per allontanare quel volto
da sé, per colpirla, per liberarsi dalla sua presa, per sottrarsi a quella
forza che ora l’aveva immobilizzato.
-
Cavaliere…Takao! – si sentì sollevare verso l’alto e scuotere con energia ed
improvvisamente la voce cessò, gli occhi cremisi di Samantha svanirono,
lasciando solo una scia di paura e sudore, mentre davanti a lui apparvero i
visi di Daichi e Kate, il primo preoccupato e spaventato, la seconda seria e
concentrata.
Takao
sbatté le palpebre rendendosi conto di aver appena avuto un incubo, l’ennesimo.
-
Sto bene, scusate – si scusò imbarazzato massaggiandosi la nuca con la mano che
Kate gli aveva appena lasciato libera, mentre non la smetteva di analizzarlo,
come a voler ricercare dentro di lui la risposta alle domande che le
imperversavano nella mente.
-
Sto bene davvero Daichi – aggiunse notando l’espressione dubbiosa dell’amico,
che seppur titubante annuì e tornò ad immergersi nel suo futon
riaddormentandosi di getto.
Takao
si prese la testa fra le mani cercando di isolare i suoi estranei dalla mente,
ma non appena chiuse gli occhi, la paura di tornare nuovamente a fare i conti
con il suo passato lo terrorizzò profondamente.
Alzò
lo sguardo verso la russa quando si accorse della sua presenza ancora fissa su
di lui.
-
Kate, sto meglio…Torna a dormire – la rassicurò lui stendendosi e cercando di
riaddormentarsi dandole le spalle, come a proteggersi dal suo studio. – Non
puoi dimenticare il passato, ma puoi liberarti dalle sue catene portando con te
la loro chiave –
La
sentì alzarsi e tornare al suo posto senza più aggiungere altro, lasciando a
lui l’onere di trovare quella chiave e con essa l’arma per sconfiggere le sue
Ombre.
Il
giorno successivo alla vista della convocazione personale di Daitenji nel suo
studio Takao avvertì come un brivido lungo la schiena, ma essendoci anche
Daichi non volle apparire troppo inquieto. Imbracciarono le biciclette e in
pochi minuti arrivarono nello studio restaurato di recente delle BBA, e
salirono all’ultimo piano, nella stanza del presidente che li fece entrare
immediatamente.
-
Oh cari ragazzi, finalmente siete arrivati – li salutò cordialmente il vecchio,
mentre nella poltroncina accanto alle due lasciate libere, una Kate
indifferente li osservava senza mostrare né disappunto né felicità.
-
Ciao Kate, come mai qui? – domandò Takao-
Lei
si strinse nelle spalle senza rispondere.
-
E’ qui per la convalida dei suoi documenti. Kai da Mosca è stato bravo, ha
risolto tutti i problemi legati al suo riconoscimento. Sono finalmente lieto di
presentarvi non più Kate Sumeragi, la cugina lontana di Daichi, ma Kate
Hiwatari – la presentazione enfatica e carica di solennità del presidente
lasciò interdetti i due ragazzi, che comunque si voltarono verso la bruna che
pareva ancora inconsapevole dell’importanza della novità.
-
Non sei contenta? – domandò Daichi
-
Non ne vedo il motivo –
-
Beh…Ora hai il tuo vero cognome! – esultò il ragazzino cercando di farle capire
cosa significasse.
-
Emozionante…Oltre che per un aspetto prettamente giuridico, a cosa serve? –
chiese Kate rigida. Takao sbuffò vagamente divertito; gli risultava ancora
difficile credere che Kate dovesse ricominciare tutto da capo, dal crearsi
un’identità, al capire il mondo, al comprendere le persone e le loro emozioni.
Sembrava veramente una creatura apatica, scolpita nel ghiaccio in una caverna,
ma non perché fosse ottusa o granitica, ma semplicemente perché le mancava il
contatto umano con il mondo e tutto ciò che possedeva era dato dai pochi
ricordi dei suoi primi mesi di vita e quelli legati all’Oblio nel Limbo.
Ora
da quasi otto mesi la ragazza si era trasferita a Tokyo dove alloggiava in uno
degli appartamenti messi a disposizione dalla BBA per i suoi blaider in
trasferta, anche se capitava spesso che Nonno Jay la costringesse a rimanere da
loro insieme agli altri.
Era
maledettamente un Hiwatari e di questo Takao se ne rese conto fin dal primo
momento in cui decise di non seguire il fratello a Mosca mesi addietro; disse
che aveva bisogno di conoscere, di assaporare la vita, prima di tornare in
Russia, lì dove tutto era iniziato e dove certamente avrebbe corso il rischio
di doversi trovare faccia a faccia con Hito, il quale l’aveva venduta per un
Bit-Power…Inoltre Takao pensava che lo facesse un po’ anche per Hilary…Il suo
ricordo bruciava come un marchio ardente sui cuori di tutti…Il suo in modo
particolare.
Non
era stato facile per lei iniziare a vivere, rapportarsi con la gente, persino
accettare il ringraziamento di una vecchietta quando la si aiutava a portare il
cestino della spesa era qualcosa di insolito per lei, e Takao si era reso conto
di quanto tentasse di adattarsi a quel mondo così nuovo per lei e di come ci
provasse nonostante le difficoltà, a vivere libera dal suo passato.
Un
po’ come lui.
Già
peccato che lei aveva visto il vero Inferno e si stava rialzando, lui invece
non riusciva a dimenticare qualcosa di molto più piccolo ed insignificante se
messo in paragone…
Lanciò
la pietra perfettamente levigata e piatta sull’acqua facendole compiere lunghi
salti sul pelo dell’acqua tinto d’arancione e seminato con piccole scaglie
d’oro che ne facevano risaltare le sfavillanti increspature. Il rumore di un
treno sulla rotaia sopra di lei coprì appena il suono delle note che partivano
dal suo lettore musicale custodito nella tasca. Le piaceva la musica, le
piaceva camminare osservando tutto ciò che le si presentava davanti, ed al
contempo guardare in un mondo a parte, nascosto fra le pieghe sottili delle
note, mimetizzato tra gli intrecci delle parole con il ritmo, ora lento, ora
movimentato.
Inoltre
sembrava quasi che per uno strano gioco del Caso, le musiche seguissero il filo
dei suoi pensieri, sembravano quasi modellarsi per dare forma ai suoi stati
d’animo, cantando insieme a lei il tormento, la paura, l’inadeguatezza ma anche
la gioia, la sorpresa ed il coraggio.
Trasse
un respiro profondo prendendo Dike dalla tasca e rigirandoselo attentamente fra
le dita. – Ce l’abbiamo fatta…Siamo fuori. Non so se riuscirò mai ad abituarmi
a tutto questo…Non riesco sempre a comprendere come funzionino le persone –
Si
erano mostrati tutti gentili con lei, le avevano mostrato rispetto e non aveva
avuto particolari fastidi, il signor Kinomiya sembrava quasi trattarla come una
di “famiglia” e persino il presidente
Daitenji le aveva offerto senza alcuna pretesa un alloggio…Perché dovevano
tutti essere così?
Sentiva
come se dovesse anche lei dimostrare loro qualcosa, ma non riusciva a capire
cosa, non sapeva esternare ciò che provava e per questo si sentiva in difetto,
confusa in un universo forse troppo in avanti per lei.
-
Sono rimasta troppo indietro Dike? – Aveva promesso a Jean che si sarebbe
liberata del loro ricordo, ma era difficile…Maledettamente difficile.
-
Forse direi giusto un po’ –
Si
volse di scatto indispettita per il semplice fatto che qualcuno l’avesse spiata
e fortemente irritata quando riconobbe l’intruso. – Kinomiya – sibilò
-
Ah ma è una mania, Hiwatari. Tale
fratello tale sorella! – sbottò Takao scherzando sedendosi sul prato accanto a
lei.
Lei
lo scrutò di sottecchi nascosta appositamente dai lunghi capelli castani che le
scendevano ribelli ai lati del viso e per una ciocca anche sull’occhio destro.
Era
incredibile quel ragazzo. Solo la sera prima l’aveva visto contorcersi in preda
agli incubi, legati probabilmente al suo recente trascorso, e ora invece
sembrava in vena di scherzare. Eppure Kate sapeva che cercava in tutti i modi
di celare la sua preoccupazione e quella paura che lo teneva ancorato al
ricordo di Samantha e Hilary…Ma allora perché cercare di dissimulare il
disagio? Questo Kate non lo capiva.
-
Allora è qui che vieni…Potrei quasi chiederti la tassa sai? –
Kate
lo osservò dubbiosa e lui si tolse il berretto appoggiandolo sul prato e
osservando il sole che si specchiava nelle acque del fiume. – Questo posto è
molto importante per me…Per tutti noi a dir la verità. Sai, sei seduta proprio
sul punto in cui per la prima volta vidi Kai, e se non sbaglio era proprio in
un’ora simile a questa. Ricordo che c’era un tramonto rosso e la sciarpa di Kai
sembrava una mano nera in avvicinamento –
Kate
lo ascoltò attentamente, sforzandosi di mostrare un viso interessato anche se
le riuscì male, tuttavia Takao non se ne curò, continuando a parlare come se le
parole gli stessero per sfondare le labbra per la voglia di uscire. – Quante ne
abbiamo passate! Questo era il posto in cui ci allenavamo, in cui abbiamo
incontrato gli Scudi Sacri, in cui Hilary vide il suo primo Bit-Power, in cui
ho atteso il ritorno di tuo fratello prima della Justice Five…Insomma qui trovi
tutti i nostri ricordi –
Kate
avvertì come una scossa partire dalla terra a quelle parole. La terra, l’erba,
le singole pietre le apparivano come impregnate di tutte le parole di Takao,
riusciva a captare il legame tra il ragazzo e quel luogo e per un momento ebbe
il desiderio di scappare via, di allontanarsi da quel posto così “ricco”, ma
una parte di lei si sentì quasi fiera dell’aver scelto di sedersi su quel
prato. Kate sgranò gli occhi: da quando lei si sentiva “combattuta”?
-
Ecco perché dovrei chiederti il pedaggio, sei in una “proprietà privata” –
scherzò il giapponese.
Lei
inarcò un sopracciglio incrociando le braccia al petto con un’espressione che
fece scoppiare a ridere l’altro, cosa che succedeva di rado – Oddio ma sei
proprio la sorella di Kai che diamine! –
-
Come fai ad essere così allegro? – tagliente, precisa, diretta. Non aveva molto
tatto doveva riconoscerlo.
Fu
Takao però a sorprenderla – Forse è il posto…Samantha non è mai venuta qui,
questo posto non l’ha conosciuta, qui lei non esiste e mi piace ricordarlo come
l’ha lasciato Hilary –
-
Ma la notte… -
-
E’ il mio incubo. Mentre per te lo è di giorno – finalmente il ragazzo si volse
verso di lei scrutandola a sua volta.
Kate
si sentì presa in contropiede – Tu di notte sei tranquilla, mentre il giorno… -
-
E’ il mio incubo – finì Kate distogliendo lo sguardo da lui e tornando a
puntarlo sul sole che oramai stava lasciando il posto alla sua dama vestita
d’argento.
-
Beh allora direi che abbiamo due chiavi da trovare – fece lui ricordandosi di
quello che gli era stato detto la notte prima. Kate strinse il pugno contraendo
la mascella. Avevano quindi un obiettivo comune.
Quando
la mano di Takao le si presentò davanti agli occhi la osservò sconcertata per
qualche istante – Non ci dobbiamo presentare – disse lei
-
Questo gesto significa anche “patto” – le rispose lui in piedi davanti a lei.
Lei
lo osservò ancora un attimo concentrandosi sui suoi occhi che finalmente
sembravano più “vivi” e quando anche lei ricambiò la stretta avvertì di aver
fatto la cosa giusta.
-
Allora che ne dici di vedere se sei pronta per queste eliminatorie? Guarda che
ci sono molti blaider in gamba e tutti aspirano al posto da titolare al fianco
del sottoscritto –
-
Chi ti dice che sarai nuovamente titolare? – lo rimbeccò lei di getto
sorprendendosi di averlo fatto.
-
Ma perché io sono il campione del mondo! –
-
Solo perché io non ne facevo ancora parte –
Takao
sorrise a quella frase preparando Dragoon – Ma che brava Hiwatari ora facciamo
anche battute di spirito, impari in fretta –
Kate
lo guardò con quello che poteva definirsi il suo primo sorriso – Taci Kinomiya
e combatti –
-
Tre – avrebbero sconfitto i loro demoni
-
Due – avrebbero trovato le due chiavi che li tenevano ancora ancorati ai loro
ricordi
-
Uno – avrebbero volato sui cieli dell’inquietudine e della colpa sempre più
veloci
-
Pronti…Lancio! – e forse avrebbero scoperto che il peso del Passato è più
leggero se lo si porta in due…
*
- Ti amo, tanto – un sussurro appena
udibile con le orecchie, ma dolcemente adagiato sulle sue labbra come una
piuma. Rimase qualche istante ad osservarlo dormire illuminato dai raggi della
luna, che sottili e delicati depositavano polvere d’argento sulla sua pelle
chiara e sui triangoli blu tatuati sul viso. Cercò di imprimersi nella mente
quei lineamenti rigidi e perfetti, quel profilo austero e all’apparenza severo,
per non dimenticarlo mai.
Si alzò delicatamente dal letto su cui
erano stati abbracciati tutta la notte, lei con ancora il maglione che le aveva
mandato Mao quando aveva saputo che avrebbe trascorso Natale e Capodanno in
Russia dal suo ragazzo. In realtà lei aveva progettato tutto fin dall’inizio,
Kai non era stato d’accordo, poi aveva ceduto ma con la condizione che ci
avessero provato insieme, ma lei sapeva che non era una cosa che avrebbero
potuto fare insieme…No, solo lei poteva farlo, solo lei…La Custode dei Portali.
Si infilò una giacca pesante e cercando
di fare meno rumore possibile s’incamminò attraverso i lunghi corridoi del
Monastero Neoborg dove la vita era tornata quasi totalmente alla normalità;
lungo le pareti e sulle porte s’intravvedevano delle ghirlande e dei fiocchi
rossi, ma tutte quelle modeste decorazioni sembravano capitate lì per caso,
come se in realtà non avessero alcuna voglia di trovarsi lì, o come se chi le
aveva appese avesse trasferito la sua tristezza in loro.
Hilary avvertì il cuore stringersi quando
passò davanti all’unica camera su cui non vi era neanche un fiocco o un
festone, ma da cui proveniva un gemito di dolore simile ad un pianto
silenzioso. La ragazza s’accostò alla porta intravvedendo la figura longilinea
di Yuri, ora piegata in due sul letto vuoto di Crystal.
La giapponese strinse le mani sul
tessuto della giacca tenendo a freno le lacrime e cercando di non farsi vedere
o sentire dal russo. Solo per Julia aveva visto Yuri in quello stato, le faceva
male vederlo soffrire in quel modo, lui che aveva fatto tanto per loro e che ci
aveva rimesso per tutti. Strinse i pugni allontanandosi da quella stanza e
scendendo lentamente le scale, decisa a compiere il suo dovere, consapevole del
rischio, conscia del fatto che probabilmente non sarebbe tornata indietro; Kai
l’aveva salvata donandole parte della sua energia vitale durante lo scontro con
Algor, quel raggio più intenso degli altri era stato un ponte fra loro, e
attraverso di esso il Cavaliere era riuscito a darle parte della sua energia,
salvandola di fatto da morte certa…Ma ora era il suo turno e nessuno l’avrebbe
potuta aiutare; sua era la forza e suo era il Potere.
Non poteva lasciare che Crystal pagasse
per tutti.
Non poteva permettere che Yuri e Boris
perdessero una sorella e un amore senza che lei avesse tentato.
Non poteva continuare a vivere sapendo
che qualcuno era morto per darle la possibilità di vincere, anche se la persona
in questione li aveva traditi. Crystal era stata forse quella che più di tutti
aveva seguito il cuore, se stessa, che aveva ascoltato l’istinto, nel bene e
nel male…
Uscì dalla porta sul retro e percepì
immediatamente i fiocchi di neve scivolare delicati sulla sua testa ed insinuarsi
fra i suoi capelli scuri per poi scendere freschi e lisci sul collo e lungo la
schiena. Una nuvola di vapore si levò dalle labbra della ragazza dissolvendosi
sul suo viso arrossato per il freddo. Hilary fece qualche passo avanti
fermandosi a qualche metro dall’edificio dove tutto attorno a lei era bianco e
tutto danzava come a volerla invitare a fare altrettanto, a scivolare in
quell’Oblio di candore e perdizione in cui gli uomini precipitano senza
rendersene conto quando perdono coscienza di sé…
“Nike…E’ ora”
SI svegliò di soprassalto, una
sensazione di freddo, di elettricità, di fuoco, vento…Pericolo.
Un sesto senso, come quelli che si
attivano quando si avverte un pericolo, un male, un…
“Hilary” pensò tastando il letto accanto
a sé e trovandolo vuoto. Il panico lo prese alla gola e allo stomaco, il cuore
gli si contorse in una morsa d’acciaio e per qualche istante non respirò.
Secondi di panico, di terrore di paura…Non seppe perché, probabilmente era
dovuto al fatto che la conosceva fin troppo bene, ma Kai capì immediatamente
dove fosse la sua ragazza e cosa stesse per fare. Scattò in piedi e come un
fulmine e rapido gettò un’occhiata alla finestra che dava sul cortile interno e
gli si raggelò il sangue quando una luce prese forma da dentro il corpo della
giovane al centro del giardino immacolato.
Sgranò gli occhi paralizzato dopodiché
prese a correre verso le scale senza preoccuparsi di chi avrebbe potuto
svegliare a quell’ora, con la testa che gli urlava di correre, di affrettarsi,
di essere più veloce, di spingersi sempre più a fondo, di non respirare se
fosse stato necessario, ma di arrivare in tempo.
Il sangue premeva sulle tempie, il cuore
pompava violentemente il sangue ed il respiro di Kai si faceva sempre più
pesante, ma non si fermava…”Hilary no!”
“Kai non la prenderà bene”
“Ne abbiamo già parlato Nike, mi pare”
“Sì, ma almeno avresti potuto
sentirlo…Ti sei chiesta cosa farà quando lo saprà?”
Hilary congiunse le braccia verso l’alto
e quando la luce le uscì dai polpastrelli scrisse in aria, come se avesse avuto
un foglio immenso come il cielo il nome della persona che sarebbe tornata
indietro.
“Lo so Nike, ma nessuno può aiutarmi e
questo lo sappiamo entrambe. Kai capirà…Sono certa che capirà”
Aprì la porta sul retro con un calcio e
si precipitò fuori finendo per poco lungo disteso sulla neve fredda. – Hilary!
Fermati! – era lontana, distante da lui qualche metro e non si riusciva quasi
più a vedere nulla per via dell’intensa luce che la avvolgeva in ogni
centimetro di pelle. Kai sentì il dolore stilettargli il petto ed il sangue
impregnare l’aria – Hilary no! – si lanciò in avanti sperando di arrivare in
tempo.
“Kai” si volse verso la voce distante
del ragazzo e per un momento fu tentata di rinunciare a tutto e di tornare fra
le sue braccia, ma il pensiero di Boris e Yuri tristi chini sul cadavere di
Crystal le diedero forza e convinzione. Non li metteva prima di Kai, questo
mai, ma si sentiva portatrice di un dovere nei loro confronti e sapeva di avere
il potere di salvare quella ragazza. Non poteva farlo con nessun altro, non
avrebbe mai avuto la possibilità di ridare la vita a nessun altro e sull’unica
carta che aveva c’era stato appena scritto il suo nome: Crystal Ivanova.
Sperava solo che Kai la potesse
perdonare.
- Hilary no! – tese la mano nel
disperato tentativo di prendere la sua, ma quando le sue dita toccarono la luce
quella scomparve, proiettandosi verso l’alto e dissolvendosi in mille
coriandoli luminosi lasciando come unica reliquia a terra un misero giaccone di
pelle marrone senza neanche un corpo avvolto al suo interno.
Tutto attorno a Kai si bloccò, tutto
perse voce, suono, colore, gusto, sensibilità…Non c’era più niente.
Crollò al suolo davanti alla giacca e
con il viso umido di quella che avrebbe potuto essere l’acqua dei fiocchi di
neve, ma non lo era neanche per metà…E non aveva alcuna intenzione a
nasconderle.
- Ehi che cos’è successo?! C’è stato un
lampo e così…Kai? – era Boris, o forse Yuri, non ebbe neanche la forza per
voltarsi e controllare. Si sentiva annientato, privo di un sostegno, della
voce, del respiro…Come un uomo in mezzo ad una tempesta che non capisce più se
ciò che lo sovrasta sia il cielo in tumulto o i flutti dell’oceano.
-
Partiremo fra qualche giorno…Alessandria d’Egitto ha un beyblade Stadium di
recente costruzione ed il nostro alloggio sarà piuttosto vicino alla struttura
– finì di riepilogare Crystal con voce neutrale dopo che ebbe mostrato al
proiettore tutto quello che riguardava il torneo, le squadre partecipanti e
ovviamente i nuovi componenti dei beyblade della NeoBorg.
-
Sulla partecipazione di Kate avete avuto novità? – chiese Boris
Kai
che non li stava neppure ascoltando, al nome della sorella si strinse nelle
spalle. – Non ha fatto domanda qui, presumo che parteciperà con i giapponesi –
L’aveva
sentita giusto qualche ora prima, e sebbene la ragazza si fosse tenuta sul vago
era certo che avrebbe partecipato al campionato con i colori nipponici; non si
sentiva né tradito né tantomeno lasciato in secondo piano, ammirava anzi il
comportamento della sorella: lei si era data da fare, aveva scelto di
ricominciare una vita lontano dai suoi fantasmi e dai suoi demoni incorrendo in
quelle piccole sciocchezze quotidiane che per quanto infime in realtà rendono
la vita un’eterna corsa…Era lui che si era fermato.
Certo
non tutti i sensi, a modo suo anche lui aveva cercato di reagire alla scomparsa
di Hilary, allenandosi, facendo ristrutturare la villa distrutta che ora sapeva
essere appartenuta ai suoi genitori e quindi a lui e Kate, aveva preso in mano
le redini del Monastero rivoluzionandolo completamente anche grazie all’aiuto
di Crystal e tutti gli altri ragazzi. Aveva fatto di tutto e di nulla per
tenersi occupato, per non pensare, ma alla fine il ricordo, a distanza di sei
mesi tornava sempre a lei. L’aveva vista svanire davanti a lui, aveva visto la
sua ragazza andarsene e portarsi via non solo la sua vita, ma anche la vita di
chi aveva scoperto d’amarla. Proprio ora che avevano sconfitto i Demoni,
proprio ora che aveva compreso di essere innamorato di lei, proprio ora che
aveva messo a tacere il suo orgoglio…
-
Kai mi ascolti? –
Il
russo sbatté le palpebre tornando al presente e venendo subito scrutato dallo
sguardo rigido di Crystal – Dicevo…Per te non ci sono problemi se ripetiamo la
stessa formazione dello scorso torneo? –
-
No – con quella risposta si alzò dirigendosi verso l’uscita dello studio,
deciso a prendere un po’ d’aria e ad allontanarsi dai loro sguardi…Occhi che
non provavano pietà per lui, ma che di certo sapevano di aver ottenuto qualcosa
a suo discapito.
Calciò
ancora lo stesso sasso con cui aveva percorso diversi metri, prima di spararlo
direttamente contro il tronco di un albero e lasciarlo lì riprendendo il suo
cammino solitario. Forse doveva semplicemente riprendere da dove si era interrotto,
da chi era prima di conoscere Hilary Tachibana e ricominciare ad essere il
“vecchio Kai”, quello arcigno, quello egoista, quello sicuro di sé…Eppure
questo non era cambiato.
Hilary
non aveva modificato il suo modo di essere, ma l’aveva semplicemente legato a
sé amando ogni sfumatura della sua incostante personalità e facendolo sentire
bene nonché amato.
Non
sarebbe mai potuto tornare nulla di quanto già non fosse, e dimenticare Hilary
sarebbe stato impossibile, perché oramai lei era stata scolpita dentro di lui e
mai niente l’avrebbe potuta rimuovere o sommergere.
L’aveva
ammirata, il suo coraggio, la sua lealtà avevano dato prova alla sua validità
in quanto Custode e lui era fiero di lei…E lo sarebbe stato per sempre.
-
Però se fossi qui ti direi che ti ho odiato per quello che hai fatto – avvertì
Dranzer scalpitare nella sua tasca come a volerlo rimproverare per
quell’affermazione così lo prese fra le dita osservandolo attentamente. – La
verità è che non ho avuto neanche il tempo di dirle quello che avrei voluto –
Lo
squillo del suo cellulare lo distrasse da tutti quei pensieri e quasi per noia
lesse il messaggio. “Yuri”
“Muoviti a
tornare”
Come
se fosse una novità.
Kai
sospirò sommessamente riponendo Dranzer e voltandosi per tornare indietro quando
in un flash di secondi i suoi sensi di blaider si attivarono percependo un
rumore a lui fin troppo noto. Oramai capitava fin troppo spesso che dei blaider
russi esclusi dalle eliminatorie tentassero di sfidare in incontri non
ufficiali i titolari per soffiare loro il posto, e Kai non si sarebbe fatto
trovare impreparato da un pivellino di quart’ordine.
Si
diresse qualche metro più avanti quando il ronzio della trottola si fece sempre
più forte fino a che un forte fascio di luce non si diresse verso di lui, che
in un lampo di secondi estrasse Dranzer dal caricatore e lanciò con tutta la
sua forza.
“Fatti
sotto moccioso”
-
Fatti vedere! Non sopporto i codardi! –
Dranzer
si librò nell’aria ondeggiando aggressivo in attesa di un bersaglio da puntare,
ma tutto attorno a Kai per privo di forme di vita umane; solo il bey, ancora
illuminato e pertanto non visibile chiaramente era l’unica cosa “anomala”.
-
Dove diavolo sei? – urlò Kai al Vuoto.
Improvvisamente
vide Dranzer indietreggiare davanti al bey e questo lo impensierì. “Che ti
prende Dranzer!”
-
Vai Dranzer, Tempesta di fuoco! – ma la trottola blu non si mosse.
Kai
sgranò gli occhi e li concentrò sul bey avversario. Possibile che quella luce
avesse messo fuori uso tutti i suoi attacchi? No, nessuno poteva fare una cosa
simile, una cosa era la tecnologia o l’energia dei Bit-Power, ma questa poteva
quasi difinirsi…Magia.
-
Beh almeno non sono totalmente arrugginita! E fa un piacere immenso vedere che
sono stata riconosciuta da una trottola di metallo e non dal mio ragazzo! La
prossima volta mi metto insieme con un pezzo di metallo! – una risata
cristallina come la rugiada di montagna, calda come il sole di quel giugno
appena iniziato, limpida come le acque di un ruscello di montagna, colorita
come gli immensi e sconfinati prati illuminati dal sole.
“Non
è possibile”
-
Dove…Non è possibile –
-
Dietro di te – si volse di scatto con il cuore in gola trovandosi a pochi metri
da due occhi color cioccolato che lo osservavano ridenti e con la chiara
espressione di chi sa di essere riuscito a sorprendere.
Hilary
era lì, e non era un’allucinazione, era viva in piedi davanti a lui vestita con
abiti che non le aveva mai visto addosso e che sembravano quelli degli…
-
Scudi Sacri? – domandò riconoscendo la tunica.
-
Non chiediamoci il perché…Mi sono risvegliata pochi giorni fa al loro
villaggio. A quanto mi ha detto Mariam sembra che la prima Custode sia stata
originaria di quel villaggio e che quindi tutte le Custodi siano legate a quel
luogo…Io per qualche motivo sono stata portata lì. Mariam sostiene che non ero
morta e che quindi la mia magia mi abbia portato nel mio luogo “d’origine”…Alla
mia fonte – si calò il cappuccio di cuoio rivelando il suo sorriso luminoso e
quel viso che tante volte Kai aveva sognato davanti a lui.
Non
poteva crederci, era incredibile, impossibile alla mente, naturale invece per
il cuore che finalmente sciolse la parete di ghiaccio che per mesi di era
formata attorno a lui lasciandolo nuovamente capace di avvertire la felicità
inondargli a sprazzi il corpo e l’anima.
Le
si avvicinò senza smettere di guardarla temendo che svanisse come una nuvola di
fumo e solo quando l’avvertì posare le mani fredde sulle sue guance e
osservarlo con quegli occhi che solo lei poteva possedere si sentì davvero rinascere…Avvertì
le sue ali ramate riemergere dalle ceneri e spiccare il volo, inondando quel
cielo coperto di nubi di una luce calda e divampante…Come il suo Fuoco.
La
baciò senza pensarci, riprendendo contatto e confidenza con quelle labbra che
erano sue, che sapevano della donna che amava e che non gli sarebbe stata
portata via da niente e da nessuno…La strinse a sé con possesso quasi
respirando la sua aria e avvertendo una meravigliosa scossa quando lei gli
avvolse le braccia attorno al collo insinuando le dita fra i suoi capelli e
premendosi sempre più verso di lui.
-
Ti amo…Tanto – sussurrò lei
“Anche
io” non glielo disse ma la strinse con maggior forza come a farle capire con
dei gesti quello che avrebbe avuto tutto il tempo per dirle a parole…
“Ho trovato una ragione per me,
Per cambiare tutto quello che ero solito essere.
Una ragione per ricominciare di nuovo,
La ragione sei tu”
Bene, dopo mesi finalmente possiamo dirlo: E’ finita.
Spero di non cadere nel retorico, ma ciò che penso e scrivo è
tutto vero e sentito…Con queste ultime parole non si è chiusa una semplice
storia, ma la storia con la quale tutto è iniziato…Nata da quel semplice
prologo che avevo scritto ovunque…E’ una creazione alla quale ho lavorato con
un amore assoluto, passavo le ore ad immaginare le scene, sempre
indiscutibilmente accompagnata dalla musica e dalle sensazioni che mi evocavano
ritmi, melodie e parole…Beh così è nata e sviluppata “I Cavalieri dei Sette
Regni”.
Sono contenta, soddisfatta e felice per questa storia, la mia
prima fic in assoluto e alla quale sarò eternamente legata; grazie a lei ho
potuto conoscere EFP e questo fantastico mondo popolato da persone eccezionali
che con i loro commenti e rapporti sono sempre state vicino a me. Grazie
infinite^^
Questa storia vi deve molto e vi ringrazio per esserci state.
Grazie per chi ha inserito la storia fra i preferiti:
Akidu Hiromi91 Linn Chan SMDO Sweetstar92
Anima HollyShort91 Lirin Lawliet The Raindrop
Benny92 Junkochan Littlefairy Violinist
Bubii Kamy Mik92 Scarlettheart
Chelsea_ Layly_Lily Rakuen Lilla5
Daffyna Lenn Chan Red_Eagle Heiapple
E grazie ai seguiti!:
Abusiva Alelely Ametista Benny92 Bixx91
BlueHinata BLUe_DrEaM Cherry_88 Clithia Helens
Death_Princess Elena_Chan Inuyasha_Fede Iryael Juls18
Julia Fernandez Kiki3ciento Kuchi Lenn
Chan Littlefairy
MaRmOteLla Miharu81 Padme86 Pilatigirls Red_Eagle
Ria Romualdo Seleliu Violinist Sweetstar92
E ovviamente ai da
ricordare^^:
Cartacciabianca Pich Shrooms Pilatigirls Sixy_Chan
E non meno importanti le carissime persone che mi hanno seguita
durante questo percorso e che mi hanno dato tantissimo. Vi ringrazierò in
separata sede xD
Bene, ora qualche minuscola delucidazione sul capitolo:
I vari spezzoni si svolgono tutti ad un anno dall’inizio del
passato torneo, i flash back mostrano più o meno ciò che ne è stato dei blaider
nei mesi appena trascorsi…Ma vero che si era capito? xD
Per quanto riguarda i pezzi all’inizio di ciascuna parte…
Per Rei ho usato un passo tratto dall’Ascesa al Monte Ventoso di
Petrarca (Familiari IV,1)
Per Max mi sono affidata alle parole di “Home” di Michael Bublè
Per Yuri siamo su “Shattered” dei Trading Yesterday
Per Boris andiamo sulle note dei Within Temptation con “Forgiven”
Per Takao e Kate abbiamo “High” dei Lifehouse Family
Mentre per finire per Kai e Hilary abbiamo “The Reason” degli
Hoobastank
Bene, direi che è tutto…Posso solo sperare che questa storia sia
stata di vostro gradimento, che vi abbia donato qualcosa magari di bello…Sarebbe
la più grande soddisfazione!
Non credete che Avly chiuderà i battenti in ogni caso^^Come ho
scritto…Si finisce una pagina e se ne riapre un’altra, anche se ovviamente non
si sa quando!
Spero di ricevere le vostre ultime opinioni su questa storia e
vi ringrazio di cuore!
Only for you,
my Friends
Avly