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Autore: Beatrix Bonnie    11/04/2011    4 recensioni
Extraiures, fuorilegge... o meglio, fuori dagli schemi. Questo è il racconto della vita e dell'amicizia di Reammon e Septimius, due maghi irlandesi che hanno imparato ad andare oltre i pregiudizi del loro tempo e a vivere fuori dagli schemi.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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La banshee

Agosto 1967, Wexford

Reammon afferrò al volo un panino alla marmellata dal vassoio che la mamma aveva preparato e sconsideratamente abbandonato in cucina; poi sgattaiolò fuori di casa, nella speranza di non essere visto.
«Reammon!» chiamò invece mamma Joey, affacciandosi alla finestra del salotto.
Il ragazzino si bloccò fuori dall'uscio di casa e nascose il suo bottino dietro la schiena, ma la bocca sporca di marmellata rivelava il delitto.
La madre gli riservò un'occhiataccia, ma non era quello il motivo per cui l'aveva richiamato. «Dove stai andando?» gli chiese con circospezione.
Reammon fece spallucce. «In città» rispose semplicemente, ma lo sguardo di sua madre lo fece preoccupare.
«Ieri pomeriggio, la signora O'Finn mi ha detto che quando comincerete la scuola, a settembre, potrai andare a dormire a casa loro tutti i venerdì sera» gli annunciò in tono di rimprovero.
Reammon si ficcò in bocca il resto del panino, con distratta nonchalance, ma il risultato fu che rischiò di soffocare e fu costretto a sputacchiare buona parte del cibo. Il sorriso innocente che riservo alla madre, alla fine di quel teatrino, non migliorò la situazione.
«Quando hai intenzione di dire a Sebastian che l'anno prossimo andrai al Trinity?» gli chiese mamma Joey.
Reammon si ripulì la bocca con il braccio, poi tentò un altro sorriso.
«Non fare quella faccetta innocente» lo rimproverò sua madre. «Parla con Sebastian, oggi. E digli che non frequenterai il liceo di Wexford con lui».
Reammon annuì malamente, poi si diresse con il capo chino verso la sua bicicletta. Il cottage dove abitava la famiglia Boenisolius si trovava in campagna, poco fuori dalla cittadina di Wexford. Reammon aveva frequentato la primary school Babbana e, per quanto i suoi coetanei lo considerassero un po' strambo, almeno aveva avuto l'occasione di socializzare un po'. Aveva stretto amicizia con Sebastian O'Finn, l'unico che non lo prendeva in giro per le sue stranezze, ma anzi, condivideva con lui la passione per folli giochi d'avventura, come la caccia alle zanne di mammut o lo studio delle tane dei Lepricani.
Solo che Sebastian era un Babbano, mentre lui era un mago. Sebbene settembre non fosse poi così lontano, Reammon non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare al suo amico che non avrebbero frequentato il liceo assieme, perché lui sarebbe andato al Trinity. Come avrebbe potuto dirglielo?
«Ehi, Mon, è mezz'ora che ti aspetto!» protestò una voce che lo strappò dai suoi pensieri.
Sebastian lo stava aspettando con le braccia incrociate, fermo davanti alla sua bicicletta. Aveva una finta aria di rimprovero sul volto, ma Reammon sapeva che doveva essere arrivato sì e no da dieci minuti: la puntualità non era il loro forte.
«Mamma mi ha beccato a rubare la marmellata» si giustificò con una scrollata di spalle, anche se detta così sembrava davvero una scusa. «È vero!» aggiunse infatti, poco dopo, in risposta alla faccia perplessa del suo amico.
«Dai, andiamo alla spiaggia nascosta, così possiamo catturare i granchi» disse invece Sebastian, alludendo alla riva del fiume Slaney, dove i ragazzi avevano individuato una piccola baia riparata. «Ehi, ma che hai?» esclamò d'un tratto, vedendo la faccia pensierosa del suo amico.
Reammon alzò le spalle. «Niente, niente. È meglio se andiamo, o comincerà a piovere».
E con quelle parole i due amici si avviarono con le loro biciclette verso la spiaggetta.
Sebastian riuscì a mettere nel suo secchiello almeno sette diversi esemplari di granchio, oltre a qualche inutile e spaurito paguro, mentre Reammon si limitò a un misero granchietto che aveva l'aria di essere piuttosto malaticcio. Quando Sebastian controllò il bottino del suo amico, rimase piuttosto sorpreso: di solito era lui che si lasciava prendere dall'entusiasmo in quel genere di giochi, mentre quel giorno era decisamente troppo apatico. «Reammon, si può sapere che hai?»
Il ragazzino si stritolò le mani a disagio. «Io ti devo dire una cosa, Sebastian».
Dopodiché prese un profondo respiro e sputò il rospo: «Non verrò al liceo con te, l'anno prossimo».
Ecco, l'aveva detto. Solo che in quel momento non si sentiva affatto più leggero, anzi. Adesso sarebbe arrivata la parte difficile: far capire al suo amico il motivo per cui doveva frequentare il Trinity, senza potergli dire la verità.
«Perché non vieni al liceo?» domandò scioccato Sebastian. «Credevo che avessi scelto, ormai. Vuoi fare un professionale?»
Ovviamente il ragazzino non poteva sapere che la scuola che avrebbe frequentato il suo amico non era un normale istituto Babbano.
Reammon evitò di guardarlo negli occhi, come se dovesse confessare una malefatta e non ne trovasse il coraggio. «Io andrò al Trinity College» annunciò in fine, con un filo di voce.
Sebastian rimase interdetto per qualche secondo, poi...
«College? Vuol dire che... starai via per tutto l'anno?» esclamò incredulo. «Ma... perché?»
Già, perché... come avrebbe potuto spiegarglielo? Reammon si azzardò ad alzare gli occhi sul suo amico e quello che vide non gli piacque per niente: Sebastian pareva essere parecchio arrabbiato per quello storia.
«È che...» cominciò a dire Reammon. «Vedi, ci sono andati anche i miei genitori ed è una scuola molto prestigiosa».
In realtà quella non fu la scusa migliore da dire, perché Sebastian si arrabbiò ancora di più. «Ah, scusa! Il liceo di Wexford non è abbastanza per il nobile Boenisolius!» lo insultò con sarcasmo.
Reammon fece per dire qualcosa, ma un suono in lontananza richiamò la sua attenzione: sembrava un grido straziante di un animale ferito. «L'hai sentito anche tu?» domandò il ragazzino, strizzando gli occhi per vedere meglio.
Sebastian nemmeno rispose, convinto che si trattasse di un pessimo tentativo dell'amico per cambiare discorso. Ma poco dopo sentì anche lui uno strano lamento. «Che cosa diavolo...?» domandò, voltandosi anche lui nella direzione in cui stava guardando Reammon, ma la voce gli morì in gola.
Una cosa... non sapeva come definirla; sembrava una donna, con un vestito cencioso e strappato e con dei lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso scheletrico e verdastro. Emetteva un pianto stridulo, come un lamento funebre, e si avvicinava velocemente verso di loro, ma non sembrava che camminasse... aleggiava ad un palmo da terra.
Sebastian non sapeva bene di cosa si trattasse, ma non gli piaceva per niente quella situazione. Si voltò verso Reammon e vide che il suo amico era praticamente pietrificato. «Mon!» lo supplicò, aggrappandosi alla sua manica.
Finalmente il ragazzino si girò verso di lui, ma il suo sguardo era perso nel nulla. «È Smer, la banshee degli O'Brian» sussurrò in tono apatico. E poi...
«Nonno!»
A quelle parole prese a correre verso la sua bicicletta e, senza dare nessuna spiegazione al suo amico, cominciò a pedalare velocemente verso la città.
Sebastian, spaventato dalla strana donna che si avvicinava sempre di più, prese ad inseguire Reammon, finché questo non imboccò un vicoletto. Lo ritrovò inginocchiato davanti ad un tombino, che cercava di aprire a fatica. «Reammon, si può sapere che caspita succede?» gli domandò, cercando di riprendere fiato dopo la veloce pedalata.
Il suo amico aveva una faccia sconvolta. «Smer era la banshee degli O'Brian» spiegò il ragazzino, in tono concitato.
Sebastian aveva sempre saputo che il suo amico era un tipo un po' strano e a volte se ne usciva con storie che non stavano né in cielo né in terra, ma questa volta gli sembrava davvero esagerato. «Mon. Le banshee non esistono: è solo cultura popolare» gli disse in tono perentorio.
Reammon, che era finalmente riuscito ad aprire il tombino, si alzò da terra e prese il suo amico sulle spalle, per squadrarlo con serietà. «No, Sebastian. Stammi a sentire: tutte quelle cose del folclore, le banshee... sono vere. La magia esiste e io sono un mago, come tutta la mia famiglia. Il Trinity è una scuola di magia ed è per quello che ci devo andare, capisci?»
Sebastian scosse la testa, allibito. Di solito si divertiva a seguire il suo amico nelle sue folli avventure, ma quel gioco non gli piaceva per niente, soprattutto per il tono serio con cui Reammon gli stava dicendo tutte quelle cose. Gli metteva addosso paura.
«Senti, Sebastian. Quella che abbiamo visto era una banshee, una vera banshee, di quelle che con il loro pianto annunciano la morte di un membro della famiglia che proteggono. E lei... era Smer, la banshee protettrice degli O'Brian» gli disse ancora Reammon. I suoi occhi verdi erano pieni di angoscia e non sembrava affatto che si trattasse di un gioco. «Fidati di me. Ti spiegherò tutto quando sarò tornato».
«E adesso dove vai?» domandò preoccupato Sebastian, visto che il vicolo dove si trovavano era cieco.
Reammon si diresse verso il tombino che aveva aperto. «Dai miei nonni» rispose, voltandosi un poco verso il suo amico. Dopodiché si gettò nel buco, gridando nel frattempo: «Castello degli O'Brian!»

Sebastian non riuscì a reagire in tempo, quando il suo amico si buttò nel tombino. «Reammon!» gridò con gli occhi sgranati. Si affacciò a spiare dentro il buco, ma del ragazzino non c'era più traccia. «Reammon!» provò ancora, ma gli rispose solo l'eco della sua voce. Dove diavolo era finito?
«Ehi, senti, ci mettiamo ancora molto?» domandò una voce alle sue spalle.
Sebastian si voltò verso l'uomo che aveva appena parlato: indossava un bizzarro abito lungo fino ai piedi e un cappello a punta con ricamato un gufo che Sebastian avrebbe potuto giurare di averlo visto muovere. «No...» sussurrò il ragazzino, con gli occhi fissi sull'uomo.
«Be', allora spicciati oppure levati!» rispose quello, agitando il suo bastone da passeggio in direzione del tombino dentro cui era appena sparito Reammon.
Sebastian si scostò leggermente, troppo intimorito per rispondere. Esattamente come aveva fatto il suo amico, anche l'uomo si gettò nel buco, gridando uno strano nome che non aveva mai sentito.
Oh, sì, Reammon avrebbe dovuto spiegargli un bel po' di cose, una volta tornato a casa.

Reammon sbucò dal metrombino collegato con il castello di proprietà degli O'Brian, dove vivevano i suoi nonni materni. Appena aveva visto apparire Smer, aveva capito che doveva essere successo qualcosa a suo nonno: era tempo che il vecchio mago era malato, ma nessuno avrebbe potuto immaginare una tale precipitosa caduta. Eppure, se Smer gli era apparsa, non poteva che essere per la morte del membro più anziano della famiglia, suo nonno Galwayn O'Brian.
Reammon corse attraverso il prato curato per raggiungere l'entrata delle mura. Ma quando fece per attraversare l'arcata di ingresso, sbatté contro qualcosa e cadde a terra. Alzò gli occhi verso l'entrata, massaggiandosi la testa dolorante, ma non capì che cosa lo avesse fermato. Si alzò e si avvicinò all'arcata: allungò la mano ma una parete invisibile bloccò il suo tentativo. Strano. Di solito era sempre aperta. Forse avrebbe potuto usare l'entrata sul retro. Si incamminò velocemente per aggirare le mura, finché non sgattaiolò nel grande giardino sul retro attraverso il cancellino laterale. Si diresse con passo svelto verso la scalinata che portava al castello, ma ancora una volta qualcosa gli impedì di avvicinarsi al suo obiettivo. Questa volta fu una fattura pietrificante ben lanciata che lo colpì alla schiena, facendolo piombare al suolo come un peso morto.
Chiunque lo avesse atterrato, poco dopo si avvicinò e gli fece la controfattura.
Reammon rotolò su se stesso, finché non entrò nel suo campo visivo un giovane mago con la divisa da Auror che gli puntava contro la sua bacchetta. «Dove pensavamo di andare, eh?» gli domandò, con un sorrisetto provocatorio.
Reammon si alzò da terra, con i palmi rivolti verso l'Auror, per dimostrare le sue buone intenzioni.
Il mago lo lasciò fare, ma non smise di puntargli contro la sua bacchetta.
Una volta in piedi, Reammon poté osservare meglio l'Auror: aveva la mascella squadrata, i capelli neri lunghi fino alle spalle e un pizzetto curato. I suoi occhi blu erano fissi in quelli del ragazzino, come se volessero carpire qualche verità nascosta. «Allora?» gli domandò, con un sorriso che a Reammon ricordò tanto quello di uno squalo.
«Io... devo entrare, per favore» supplicò il ragazzino.
«Non se ne parla nemmeno» rispose l'Auror, in tono categorico. «Nessuno può mettere piede qui dentro, fintanto che ci sono io di guardia: c'è il Presidente del Parlaimint e dobbiamo proteggerlo».
Il Presidente del Parlaimint... certo, suo nonno era stato Parlamentare per ben quattro legislature e gli O'Brian avevano una tradizione all'interno del Parlamento, ma Reammon temeva di sapere il motivo della presenza al castello dell'alta carica della Repubblica. «Che cosa ci fa qui?» chiese, con il cuore in gola.
«Fa le condoglianze alla vedova O'Brian» rispose tranquillamente l'Auror.
Reammon si portò le mani alla bocca e si lasciò sfuggire un singhiozzo. Allora era successo davvero... suo nonno era morto. Non appena aveva riconosciuto Smer, aveva capito quello che era accaduto, ma una parte di lui sperava che si fosse sbagliato. Invece... non riuscì ad evitare che un paio di grossi lacrimoni gli attraversassero le guance. Il nonno se n'era andato: non gli avrebbe più raccontato le storie della sua infanzia, non l'avrebbe più tenuto sulle sue ginocchia, non lo avrebbe più guardato con quei suoi luminosi occhi verdi che si accendevano ogni volta che sorrideva.
«Ti prego, fammi entrare» supplicò rivolto verso l'Auror.
Il giovanotto scoppiò a ridere di gusto. «Non ci penso nemmeno» rispose, mettendogli una mano sulla spalla. «Anzi, sai che ti dico? Ora chiamo il mio superiore» continuò, premendo con la punta della bacchetta una piccola arpa celtica ricamata sul petto della divisa da Auror.
Una manciata di secondi dopo, un uomo dall'aria austera si materializzò al loro fianco. «Che succede?» chiese il mago, gonfiando il petto per mostrare la sua autorità.
Il giovane Auror accennò con il capo a Reammon. «Cercava di sgattaiolare dentro».
«È così, ah? Ti volevi intrufolare?» gli domandò il capo Auror, con un tono indagatore.
«Signore, vi prego...» mormorò Reammon, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «Galwayn O'Brian era mio nonno».
Quelle parole furono seguite da un attimo di silenzio, poi i due Auror scoppiarono a ridere. «Questa è la scusa più assurda che io abbia mai sentito» esclamò il capo, scuotendo la testa divertito. «Vorresti davvero farci credere che un ragazzetto sporco di fango e vestito da Babbano sia il discendente di una delle più nobili famiglie d'Irlanda?» lo provocò, guardandolo dritto negli occhi.
Lo stavano sfidando apertamente.
«Sì» rispose Reammon, con un moto di coraggio.
«Mon!» gridò una voce alle loro spalle, proprio in quel momento. Una donna con un nugolo di capelli rossi stava correndo loro incontro.
«Mamma!» esclamò il ragazzino, gettandosi tra le braccia della strega. La donna lo strinse a sé con foga, baciandogli delicatamente i capelli.
«Il nonno...» sussurrò Reammon, tra i singhiozzi. Madre e figlio si fissarono per una frazione di secondo negli occhi, entrambi così verdi ed espressivi, e non ci fu bisogno di parole.
«Come hai fatto a scoprirlo?» gli domandò teneramente Joey, accarezzandogli la nuca.
«Ho visto Smer, sulla spiaggia, con Sebastian» rispose Reammon, anche se le sue parole si capirono a stento, visto che aveva il volto soffocato dall'abbraccio della madre.
Infine, lo sguardo di Joey si posò sui due Auror, di cui aveva completamente ignorato la presenza fino a quel momento. «Ho visto dalla finestra che non volevate farlo entrare!» li aggredì con il tono che solo un O'Brian sapeva usare.
«Signora» intervenne il giovane Auror, ritto sull'attenti, ma per nulla intimorito dalla donna. «Stavo solo facendo il mio lavoro: mi hanno espressamente ordinato di non far entrare nessuno».
Il suo capo gli mise una mano sulla spalla. «Sempre così scrupoloso, il mio ragazzo» lo lodò con un sorriso compiaciuto. «Credi a me: tu farai strada, giovane McPride».





Ecco qui il capitolo dedicato al dodicenne Reammon... questa volta è un po' meno spensierato, ma ho cercato di affrontare l'argomento con la maggiore serenità possibile e anche con un pizzico di allegria. Quanto alle banshee, mi sono rifatta alla tradizione popolare, che vede in questi spiriti di donne, delle protettrici dei più importanti clan irlandesi: le banshee, infatti, piangono (con le urla stridule che tanto spaventavano Seamus Finnegan) per la morte dei più importanti membri della famiglia e accompagnano le loro anime nell'aldilà.
Qualcuno, tempo fa, in una recensione, mi aveva detto che i miei babbani erano sempre antipatici... be', ora ho rimediato con Sebastian: lui è un tipo a posto e, non temete, farà pace con Reammon!
Infine, passiamo al personaggio sorpresa di questo capitolo: chi aveva riconosciuto nell'Auror scrupoloso il giovane McPride? XD Alla fine del secondo racconto, mi pare, avevo detto che McPride aveva cominciato come Auror durante la prima guerra magica: be', qui siamo nel '67 e lui ha appena passato l'esame (mica per niente gli assegnano noiosi compiti di sentinella che svolge con troppi scrupoli!), ma presto il suo nome diventerà famoso. Per chi non lo sapesse, il caro McPride è destinato a diventare Presidente della Repubblica Magica d'Irlanda! Per questo il capo gli rivolge quella battuta finale che è un po' una profezia!
Ecco, sono riuscita ad aggiungere qui il link dell'immagine: sono McPride con la divisa da Auror che tiene la mano sulla spalla di un giovane e spaurito Reammon; sullo sfondo Smer, la banshee degli O'Brian. (ps. ho scelto questo nome per la banshee perché “smer” è la radice indoeuropea per indicare il destino!).
Queste invece sono due immagini di Castel Thun (in Trentino) al quale mi sono ispirata per il Castello degli O'Brian: avanti (dove Reammon sbatte contro la parete invisibile) e retro (dove sta di guardia McPride).
Alla prossima,
Beatrix

EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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