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Autore: Yuri_e_Momoka    11/04/2011    4 recensioni
VII. “Devi capire che era l’unica soluzione” insistette [...] “Sapevo che tu eri fuori dalla porta, ti sentivo bussare. Quando ha aperto l’armadio e mi ha visto gli ho tappato la bocca. Lo ammetto, non è stato facile, mi guardava supplice. Ma io l’ho spinto giù. Almeno non ha sofferto, non pensi? So che non vuoi sentirtelo dire, ma te lo ripeterò. Tutto questo l’ho fatto per te."
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Austria/Roderich Edelstein, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6-Impiccato Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 6 - L'impiccato
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 6,880 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Questo capitolo è costruito da continui flashback, perciò tenete d'occhio le ore per capire cosa sta succedendo.
2. La casa dell'impiccato


VI. L’impiccato

 
 
Ore 5.10
 
Arthur non sapeva trattenere la soddisfazione quando sapeva che finalmente le cose sarebbero andate secondo i suoi piani. Sapeva chi avrebbe trovato oltre quella porta, sapeva perché si trovasse lì e sapeva che si sarebbe trattato dell’assassino.
Tenendo la candela accesa di fronte a sé, aprì la porta della cantina. L’ambiente era immerso nell’oscurità, ma lui portò all’interno una debole luce dorata che bastò a rivelare l’individuo che vi era al suo interno.
Era lì, proprio dove Arthur aveva previsto. Davanti alla cassa che conteneva il corpo di Francis c’era…
 
 
Ore 4.16
 
Grazie alle copie delle chiavi avute da Roderich e alla confusione provocata da Ivan, Arthur aveva tutto il tempo per curiosare in giro. Il primo luogo dove si diresse fu la camera di Gilbert: doveva controllare se, per un caso fortuito, la chiave originale fosse ancora sul caminetto.
Trovò la stanza ancora chiusa. L’interno era rimasto inviolato, la sedia era ancora in mezzo alla stanza, le bende insanguinate erano a terra, gli schizzi costellavano le pareti e il soffitto. L’aria era permeata del nauseante odore del sangue vecchio.
Arthur andò diretto al caminetto, guardò dappertutto, cercò anche sul tappeto, vicino all’attizzatoio e tra i ciocchi di legno intonsi, ma della chiave nessuna traccia. Era ovvio che l’avesse presa l’assassino.
Nonostante il disagio, decise di trattenersi ancora un po’ per dare un’occhiata generale, ora che aveva il tempo e la calma dalla sua parte. Studiò la disposizione degli schizzi di sangue: del tutto casuale. Sicuramente non erano stati provocati direttamente da Gilbert, anche perché se avesse avuto le mani libere avrebbe reagito all’aggressione. Arthur non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto l’assassino a legare Gilbert senza che lui potesse difendersi. O l’assassino era straordinariamente forte, o l’albino era stato stordito. Per ora non aveva prove a sostegno di una delle due ipotesi.
Inoltre, sussisteva ancora il problema del vestito sporco. Imbrattare i muri con il sangue sarebbe forse stato possibile, ma far arrivare gli schizzi fino al soffitto senza sporcarsi era impensabile. Inoltre, l’assassino avrebbe dovuto usare un contenitore per raccogliere il sangue di Gilbert, ma in quella stanza non vi era traccia di un recipiente o qualcosa di simile usato per quello scopo.
Nessun segno di lotta, il bagaglio era ancora intatto. In una camera così in ordine, qualcosa nascosto in una piega della coperta attirò la sua attenzione. Era un oggetto piccolo, brillante. Un bottone, o meglio, un gemello.
Arthur lo prese delicatamente tra le dita. Era indubbiamente un gioiello lussuoso, poteva appartenere a Gilbert, oppure…
Guardò nuovamente il sangue sul soffitto e finalmente le cose parvero acquisire un senso.
Uscì dalla camera con il gemello in tasca e si diresse alla tappa successiva: lo studio di Roderich. Nessuno si era ancora preoccupato di controllare se il ritrovamento del cianuro da parte di Natalia fosse vero o no.
L’arredamento era sobrio e classico e c’era molto ordine. Buon per lui. Cercò di pensare a dove avesse potuto nascondere una fiala di veleno, ma in uno studio ordinario come quello avrebbe potuto essere ovunque. Era chiaro che Roderich avesse dato ad ogni oggetto una precisa disposizione. Arthur controllò prima di tutto nei cassetti, ma non era molto fiducioso, anche perché nessuno di questi era stato chiuso a chiave. Passò agli scaffali, ma nascondere una fiala lì sarebbe stato rischioso, ci sarebbe voluto poco per romperla.
Si concentrò sugli sportelli e sulle ante, finché non si imbatté in quello che sembrava uno schedario. Quando provò ad aprirlo notò che era chiuso a chiave, e ciò non fece che alimentare la sua curiosità. Nel mazzo a sua disposizione non era presente la chiave dello schedario e non l’aveva trovata nemmeno frugando dappertutto, quindi optò per la soluzione più semplice: forzò la serratura con il tagliacarte finché questa non cedette.
All’interno c’erano moltissimi documenti, tutti ordinati secondo le lettere dell’alfabeto, stampate su delle cartelline che separavano i vari fogli. Guardò la lettera C e la banalità del suo ragionamento lo sorprese. Trovare una fiala di cianuro sotto la C sarebbe stato incredibilmente scontato, tuttavia chi era più scontato di un maniaco dell’ordine?
Esitò ancora un istante, pensando alla delusione e all’imbarazzo che avrebbe provato se lì in mezzo non avesse trovato il contenitore, ma alla fine iniziò a cercare sotto la C.
Spostò tutti i fogli, guardò tra le pieghe della carta, controllò che non ci fosse un doppio fondo, ma niente. Era stata un’idea stupida. Richiuse il lungo cassetto pentendosi si averlo rotto per niente, quando si rese conto dell’errore. Cianuro in tedesco si diceva zyanid…
Con qualche timore spostò le carte raccolte attorno alla lettera Z e notò subito che tra quei fogli c’era qualcosa che non c’entrava. Infatti, sul fondo del cassetto, c’era una piccola fiala. La alzò e la osservò contro la luce della lampada a olio che aveva portato con sé. All’interno della fiala c’era una polvere bianca, ma il contenitore non era del tutto pieno. Attaccate internamente al vetro intravide tracce biancastre che segnavano il limite originario della sostanza. La dose mancante era ampiamente sufficiente per uccidere qualcuno.
Infilò anche la boccetta nella tasca e tornò velocemente verso la porta, quando uscendo notò qualcosa che svolazzava. Aveva fatto alzare qualcosa di leggero con il suo spostamento d’aria, qualcosa che atterrò ondeggiando vicino ai suoi piedi: era un banconota. Arthur non l’aveva mai vista, non era di nessun paese che conoscesse. La raccolse e la esaminò, leggendovi dei caratteri in cirillico su sfondo marrone chiaro. La stampa era recentissima, sul fondo c’era la data 1887.
La banconota fu la terza e ultima prova che si infilò in tasca, poi tornò dagli altri. Quando fece il suo ingresso nel salotto, trovò gli invitati vicini a conversare. Quando lo notò, Roderich gli riferì.
“Poiché abbiamo deciso di stare svegli ad attendere il mattino, ho pensato di portarvi nella stanza del biliardo.”
Poteva sembrare assurdo dedicarsi al biliardo in un momento come quello, ma ad Arthur poco importava, ormai si era fatto un’idea ben chiara su chi fosse il colpevole. Per riuscire a incriminarlo aveva bisogno di tempo per studiarlo.
“Cosa facciamo con lui?” chiese riferendosi a Ivan.
“Credo sia innocuo ora” rassicurò Alfred. “L’unica cosa che gli interessa è assistere al prossimo omicidio e divertirsi di fronte ai nostri sforzi.”
Ivan sedeva sul divano con aria serafica come se stesse assistendo a uno spettacolo teatrale.
“In ogni caso intendo restituirgli il pugno!”
“Non essere infantile” lo redarguì Arthur.
 
 
Ore 4.33
 
La stanza del biliardo era abbastanza piccola, ma ciò contribuiva a far sentire tutti più al sicuro, avendo la possibilità di sorvegliarsi più da vicino. Roderich entrò con una candela e andò ad accendere le lampade a olio appese ai muri, le quali faticarono un po’ a illuminare l’ambiente, nonostante le piccole dimensioni.
Il tavolo da biliardo era al centro, lungo la parete erano disseminate sedie e poltrone, in un angolo vi era un carrello con dei liquori, e poi una libreria e qualche mobile in ombra.
Il padrone di casa si azzardò a offrire dei cocktail, ma tutti rifiutarono saggiamente, Arthur compreso.
Furono Alfred e Feliciano a giocare per primi e l’italiano si rivelò essere sorprendentemente abile. Ludwig osservava dalla poltrona, con aria assente. Ivan, invece, era tutt’altro che disinteressato, mentre Elizabeta sedeva schiacciata contro lo schienale e scrutava con ansia ogni angolo oscuro.
Arthur si avvicinò a Roderich.
“Come fa a mantenere un tale autocontrollo e un eccellente grado di ospitalità in una situazione simile?”
L’austriaco gli rispose con la sua tipica aria altezzosa. “Si tratta di un altro interrogatorio?”
“Semplice curiosità.”
“La mia reputazione sta già venendo intaccata abbastanza da questi omicidi, non intendo macchiarmi anche del titolo di persona poco ospitale.”
Arthur incrociò le mani dietro la schiena, ostentando sicurezza. “Ho capito subito che lei è un uomo rigoroso.”
“La precisione o l’ordine sono ciò che ci avvicinano alla perfezione.”
“Già, è proprio quello che ho pensato osservando il suo studio.”
Roderich non sembrò affatto gradire quel complimento. “Noto con piacere che si è dato all’esplorazione.”
“Deve pur esserci qualcuno che cerca di far luce sulle morti, mentre lei è impegnato nell’ospitalità.”
L’austriaco sollevò il mento. “In ogni caso l’ordine denota anche l’assenza di segreti.”
“Vero. Per questo ritengo che la mancanza di cura riveli ciò che si preferisce celare.” Avvicinò la mano al collo di Roderich e accarezzò il colletto inamidato. “Per esempio, se lei avesse prestato più attenzione al suo abito, avrebbe notato che all’interno del suo colletto c’è una minuscola macchia di sangue.”
Roderich si portò immediatamente la mano al collo, ma non gli ci volle molto per recuperare la sua maschera superba. “Che imperdonabile svista. Dev’essere successo quando ho aiutato mia moglie a cambiarsi l’abito sporco. Oppure è stato il sangue sul soffitto nella stanza dell’albino.”
“Mi trova d’accordo.”
Quella che apparve sul volto di Roderich era senza dubbio una profonda ira.
Arthur si allontanò, proprio mentre Alfred chiedeva: “Signor Bonnefoy, non sarebbe il momento che ci facesse un po’ divertire con uno dei suoi spettacoli?”
Francis era sprofondato in una poltrona e poggiava stancamente il mento su una mano. “Suonerebbe così strano se dicessi che non sono in vena?”
“A dire il vero, sì” rispose Arthur. “Cos’hai?” gli domandò, vedendolo stranamente pensieroso.
Francis non sembrava avere molta voglia di rispondere, oppure non sapeva esattamente cosa dire.
“Quando una persona ha a che fare con la magia, i riti e le evocazioni come me, una domanda che gli viene sempre posta è: hai mai predetto la tua morte? È una domanda stupida.” Protese un braccio verso Arthur, che era in piedi di fianco a lui, e lo afferrò per i fianchi. “Tuttavia devo ammettere che quando il momento è vicino, lo si avverte. Non lo senti anche tu, nell’aria? È come una pessima sensazione.”
“Non sento niente eccetto le tue dita che mi serpeggiano addosso.”
Francis lo guardò a lungo negli occhi, poi dal nulla disse: “Mi dai un bacio?”
Arthur lo spinse più lontano. “Non ti do proprio niente!” Era oltraggiato. Se anche gli era capitato di pensare vagamente ad un proseguimento di quella storia oltre quella serata da incubo, sicuramente non voleva lanciarsi in effusioni teatrali di fronte a tutti.
“Che egoista.”
Francis interruppe subito i suoi tentativi, accontentandosi di stringergli una mano.
“Si può sapere cosa ti prende?” Si era insospettito perché il francese gli era parso pensieroso, ma ora che aveva rinunciato così facilmente alle sue avances  era preoccupato.
“Manca pochissimo ormai.”
All’improvviso si fece buio, le luci si spensero contemporaneamente e non si vide più nulla. Arthur voleva indietreggiare verso la porta ma inciampò in un tappeto e perse la presa su Francis. C’era molto rumore, le persone si alzavano e cercavano di capire dove fosse il problema, cadevano gli oggetti e, per qualche inspiegabile motivo, il fatto che non ci fosse più luce sembrava significare che nessuno riuscisse più nemmeno a sentire: molti gridavano invece che parlare e ciò non contribuiva a tenere lontano il panico.
Arthur sentì Elizabeta camminare avanti e indietro senza sosta urlando al nulla. “Sei qui, non è vero?! Non nasconderti e vieni fuori! Chi è il prossimo, sono io?!”
“Dove sei, Feliciano?” chiamò Ludwig.
“Perché non ti fai avanti e non vieni a prendermi?!”
Si sentì il rumore di qualcosa che cadeva, dei cigolii sinistri che il buio rendeva ancora più lugubri, specialmente se nell’aria aleggiava la risata di Ivan.
“È magnificamente divertente!”
“Arthur!” Era la voce di Alfred. “Non ti muovere, vengo io!” Un attimo dopo sentì un corpo cadere.
“Stai fermo! Peggiori solo le cose. Dov’è Edelstein?!”
C’era troppa confusione per capire cose stesse succedendo. Un attimo dopo comparve dal nulla una luce a mezz’aria che illuminò solo il volto serio di Roderich.
“Sono qui” rispose il padrone in tono grave. “Ho recuperato un fiammifero, ora vediamo di calmarci. Elizabeta, smettila di gridare.”
La luce si mosse e di colpo diventò più potente e stabile. Roderich aveva acceso una candela.
“Facciamo il punto della situazione. Qualcuno si è fatto male?”
“Io sono caduto su qualcosa di duro…” si lamentò Alfred.
“Credo sia il pavimento” svelò Arthur. “Ci siamo tutti?”
“Feliciano?” chiamò nuovamente Ludwig.
“Sono qui. Ho sentito… qualcosa di strano.”
“Alfred, controlla Ivan.”
“Ci sono, non temete, non mi perderei lo spettacolo per nulla al mondo!”
“Non è questo che mi preoccupa. Francis?” Nessuna risposta. “Francis, non riesco a credere che tu non abbia ancora provato a palparmi.”
Ci fu ancora silenzio, incrinato da un urlo di Elizabeta che trafisse le orecchie dell’inglese con la sua disperazione. Ad Arthur si raggelò il sangue quando la donna cadde per terra e si coprì gli occhi con le mani.
“Che è successo?!”
Non si capiva se Elizabeta stesse piangendo o se fosse terrorizzata.
“Oh mio Dio! È lì! È lì!” Indicò l’angolo più lontano, quello vicino alla libreria.
C’era un’ombra, più nitida delle altre. Pendeva da una trave del soffitto, ondeggiava appena.
Arthur non riuscì a capire più niente. Alfred e Ludwig lo superarono di corsa.
“Possiamo fare in tempo se lo tiriamo giù subito!”
“Non c’è niente sotto! Com’è possibile che non ci sia una sedia?! Come ci è arrivato lassù?”
“È l’impiccato” disse Feliciano con voce tremante.
Arthur si guardò la mano: prima lo stava toccando… era lì!
“Dobbiamo spostare una poltrona.”
Era un oggetto pesante, ci vollero due uomini per spostarla e spingerla fin sotto a Francis e sempre in due dovettero collaborare per riuscire di sganciare la corda dalla trave, mentre la candela di Roderich illuminava i loro maldestri tentavi a intermittenza. Sembrò volerci un’eternità, Arthur non si era ancora mosso, d’un tratto non sapeva più cosa fare, e quando il corpo fu finalmente a terra e tutti gli si raggrupparono attorno, ebbe l’irrefrenabile impulso di allontanarli.
“F-Fermi tutti, andate via, non toccate niente!”
Indietreggiarono. Ora avrebbe dovuto semplicemente cercare di capire se fosse vivo… Aveva un segno livido attorno al collo, poteva vederlo anche in quella penombra, come riusciva anche a vedere che non respirava. Anche lui trattenne il respiro e poggiò una mano sul suo petto, e attese a lungo. Era tutto così assurdo, com’era possibile che un attimo prima gli stesse parlando e ora…
“Ah… Arthur” Alfred tentò di attirare la sua attenzione, “dici che è ancora…”
L’inglese stava ancora aspettando qualcosa che non sarebbe mai accaduto.
“No.”
“Aspetta, fammi vedere…”
“No!” Scacciò la mano tesa di Alfred. Era furioso, con se stesso e con tutti. Come potevano restare così indifferenti? Come potevano essere così ipocriti? Alle sue spalle, in mezzo a tutti, c’era l’assassino che osservava quello scempio magari ostentando innocenza o magari anche dispiacere. E lui… come aveva potuto lasciare che accadesse? Lui che aveva la soluzione in pugno…
Si piegò sul corpo, si sentiva senza forze, senza speranza. Era a pochi centimetri dal viso di Francis, immaginando di sentire il suo respiro sulla pelle.
“Mi spiace, Arthur” tentò nuovamente Alfred, sfiorando la schiena di Arthur.
“Stai fermo” gli intimò. “Non ti muovere.” Strinse tra le dita un lembo della giacca sul petto del francese. “Non ci sono più casse.”
“Come?”
“Non ci sono più casse. Lui è l’ultimo.” Avrebbe interrotto la catena di morti, ora poteva farlo. Ma l’ultimo era stato proprio lui…
“È strano” intervenne Roderich. “Questo dovrebbe essere La casa dell’impiccato. Ma in quel quadro l’impiccato non si vede.”
“Appunto” gli rispose Feliciano. “Noi non lo vedevamo, era sceso il buio.”
“Mh. Un tocco decisamente originale.”
Arthur insisteva a restare appoggiato al petto di Francis, non gli importavano più le insinuazioni e i sotterfugi. La verità era che l’unico responsabile di quella morte era lui. Non era stato abbastanza abile né abbastanza veloce a trovare il colpevole, e quello era stato il prezzo da pagare.
“Sei un idiota” gli sussurrò all’orecchio. Aveva fatto quella sceneggiata per cosa? Se era davvero così sicuro di morire, perché non aveva fatto niente per evitarlo?
“È ora di portarlo di sotto” disse Ludwig.
“Alfred, aiutami tu.” Arthur non voleva nessun altro, non voleva essere aiutato dall’assassino.
“Un attimo…” li trattenne Roderich ma l’inglese non accettò interruzioni.
“Stia al suo posto, Edelstein! Non è il momento.”
Uscirono senza prestare più attenzione ai commenti degli altri. Trasportare quel corpo fino alla cantina fu più faticoso di come Arthur aveva immaginato, forse perché aveva l’impressione di essere rallentato anche dal peso del senso di colpa, e queste sensazione per lui era intollerabile.
La cassa in cantina era davvero l’ultima rimasta, Francis ci stava appena. Sembrava assurdo che avessero avuto a disposizione quei contenitori di fortuna della forma giusta. Arthur richiuse in fretta il coperchio e uscì dalla stanza, non aveva motivo di trattenersi lì.
“Perché corri via?” gli domandò Alfred andandogli dietro. “Fermati un attimo…”
Arthur continuò per la sua strada senza rallentare, allontanandosi il più possibile dalla cantina e dai cadaveri, non fece caso alla direzione che prese. Si ritrovò nel grande atrio, appena illuminato dalle candele e dai radi ricordi di decorazione barocca.
Quando si fermò, i passi di Alfred rimbombarono attraverso le alte pareti. L’americano aveva il fiatone. “Avanti, lo sai che sono troppo muscoloso per correre.”
Attese che Arthur rispondesse e che il fiato gli tornasse. Non avvenne nessuna delle due cose. L’inglese gli voltava le spalle.
“La morte del francese ti rende così triste? Non pensavo…”
Non era mai stato particolarmente bravo come oratore, così passò ai fatti. Arthur sentì le sue braccia cingergli le spalle.
“Non avrai paura dell’assassino, vero? Non devi, credo di aver capito chi è. Appena torneremo di là, lo costringerò a confessare.”
La sua ingenuità era così patetica, ma allo stesso tempo così rassicurante. Forse non era così egoista come Arthur aveva pensato, forse sbagliava solo l’ordine di importanza che conferiva alle cose. Forse il suo modo di pensare era troppo diverso da quello di un inglese. In ogni caso adesso Arthur aveva bisogno della sua piena concentrazione. Si voltò e si assicurò di avere la sua attenzione.
“Ascolta bene, Alfred.”
“Cosa?”
“Ora mi aiuterai a fare qualcosa di importante. Non ti separare mai da me.”
Non attese la sua risposta perché non c’era più tempo da perdere. Si avviò nuovamente verso la sala del biliardo, con Alfred al seguito.
“Di che si tratta? Cosa dobbiamo fare?”
“Devi fare quello che faccio io.”
“Ma non capis…”
Arthur fece irruzione nella stanza ancora buia, rischiarata dalla candela di Roderich che ormai si stava estinguendo.
“Ci siamo tutti?” domandò entrando.
I presenti furono chiaramente sorpresi nel vederlo così attivo dopo ciò che era successo.
“Edelstein  è andato a prendere l’olio per le lampade” rispose Ludwig.
“Certo” concordò Arthur. “Voglio che mi seguiate tutti.”
Usò la candela per illuminare la strada verso la cantina. Camminò spedito seguito dagli ospiti, alcuni dei quali gli domandarono il perché di quella scelta immotivata.
Arthur non si preoccupò di rispondere, avrebbero compreso tutto coi propri occhi.
 
 
Ore 5.10
 
Arthur non sapeva trattenere la soddisfazione quando sapeva che finalmente le cose sarebbero andate secondo i suoi piani. Sapeva chi avrebbe trovato oltre quella porta, sapeva perché si trovasse lì e sapeva che si sarebbe trattato dell’assassino.
Tenendo la candela accesa di fronte a sé, aprì la porta della cantina. L’ambiente era immerso nell’oscurità, ma lui portò all’interno una debole luce dorata che bastò a rivelare l’individuo che vi era al suo interno.
Era lì, proprio dove Arthur aveva previsto. Davanti alla cassa che conteneva il corpo di Francis c’era Roderich.
“È qui che nasconde l’olio per le lampade, herr Edelstein?”
L’austriaco si voltò trasalendo, interrotto senza preavviso nel mezzo delle sue operazioni.
“Che ci fai qui?” chiese Elizabeta insospettita.
“Ho io le risposte, se lui non intende parlare.” Arthur si avvicinò a Roderich per illuminarlo meglio, per rivelare la sua espressione sorpresa e tormentata.
“Herr Edelstein, vuole che sia io a svelare gli omicidi che lei ha compiuto?”
“Quali omicidi?!” Sebbene tentasse di indietreggiare, non aveva alcuna via di scampo.
“Eviterò di rispondere a questa insulsa domanda, rispondendo invece a quella intelligente di sua moglie. In realtà tutte le risposte sono estremamente semplici, mancava solo qualcosa che le mettesse in luce. Partiamo dal principio. La morte di Zwingli è chiaramente avvenuta a causa della manomissione del fucile, manomissione che lei avrebbe tranquillamente potuto operare in qualunque momento visto il livello di confidenza che avevate.”
“Non ho mai fatto nulla del genere!” si difese Roderich, ma fu stupido pensare che Arthur si sarebbe fermato ora che lo aveva in pugno.
“Zwingli lo stava aiutando col problema dei fratelli Beilschmidt, ma quando ha scoperto che stava anche collaborando con sua moglie per annullare il vostro matrimonio, la prima questione ha perso importanza. Lei stesso mi ha detto che era a conoscenza delle loro trame e anche che non avrebbe voluto uccidere sua moglie. Per cui, l’unico modo che aveva per impedire la fine del matrimonio era quello di eliminare il notaio che se ne stava occupando.”
Gli occhi di Roderich erano ricolmi d’odio e disprezzo. “La avverto che se prosegue con queste oltraggiose insinuazioni potrebbe pagarla a caro prezzo.”
“Passiamo alla morte di Beilschmidt. Il movente è semplice, è stato Ludwig a farmelo capire. Anche se Gilbert le doveva dei soldi, lei non si fidava dell’albino, tutt’altro, pensava che sbarazzandosi di lui le trattative col fratello sarebbero state più semplici. Ed è a questo punto che ha pensato bene di sfruttare le qualità di uno dei vostri ospiti. Magari le qualità di una spia russa, facilmente corruttibile e senza troppi scrupoli.”
Estrasse dalla tasca la banconota. “Le ha offerto denaro per uccidere Beilschmidt, e lei ha accettato.”
“Non l’ho fatto!”
“Sì invece. Questo è stato l’omicidio più complesso, ma ora le dirò come è andata. La signorina Natalia non era certamente in grado di legare da sola Gilbert, ma avrebbe potuto farlo se lei stesso lo avesse drogato nel momento in cui ci ha offerto il cognac. Ha calcolato bene i tempi, una volta giunti in camera, Natalia è riuscita a legarlo senza troppi problemi, dopodiché ha solo dovuto tagliargli i polsi, ecco perché è tornata così presto.”
“Le sue sono fantasie.”
“Non le mie, al contrario. Deve aver avuto una bella fantasia per pensare di imbrattare la stanza di sangue. L’avrà fatto per suscitare un po’ di panico, ma ad ogni modo è stato un ingegnoso espediente. Mentre il sangue di Gilbert veniva raccolto in qualche contenitore approntato da Natalia, lei è tornato in quella stanza con la copia delle chiavi e si è divertito a tinteggiare le pareti.”
“Ma… ma lei stesso ha detto che sarebbe stato impossibile senza sporcarsi!” obiettò Elizabeta.
Fu allora che Arthur prese in mano il gemello. “È vero, ammetto di essere stato davvero uno sprovveduto a non capirlo prima. Esisteva un modo semplicissimo per non sporcarsi i vestiti, ovvero quello di non averlo affatto. Lei si è spogliato e si è rivestito, questo è uno dei suoi gemelli che ha lasciato in quella stanza al momento di rivestirsi. E questo spiega anche il sangue che ho trovato sul suo colletto, era quello gocciolato dal soffitto.”
“Come può provarlo?”
“Già, si è cambiato la giacca per un valido motivo, ma ci arriveremo dopo. Apriamo una piccola parentesi su di me, se non le dispiace. Abbiamo notato tutti che l’avvelenamento è stato un tentativo alquanto maldestro, ma è stato consapevole. Voleva sviare i sospetti, farli ricadere su chiunque, poiché in realtà lei sapeva benissimo chi ero io. Sapeva che ero un ispettore perché aveva parlato con mio zio, il quale non è assolutamente tipo da rifiutarsi di sparlare a piacere di un suo parente. Quando mi ha visto alla mostra ha capito chi ero, perciò ha preparato il brandy col veleno appena siamo arrivati qui. Voleva fare in modo che smettessi di investigare, oppure, nel caso fossi sopravvissuto, avrei dovuto indagare sulla falsa pista che lei stava preparando e incolpare la persona sbagliata.”
Roderich trasse un sospiro, poi si lasciò sfuggire una debole ristata. “Si sta mettendo in ridicolo, signor Kirkland. I suoi sono vaneggiamenti senza fondamenta.”
“Torniamo alla sua giacca” proseguì Arthur ignorandolo. “Questa è facile, herr Edelstein, me l’ha servita su un piatto d’argento. Aveva promesso a Natalia una ricompensa per l’omicidio di Gilbert, ma non aveva intenzione di dargliela. Non tutta, almeno. Infatti c’erano delle banconote russe nel suo studio. Dato che ormai ci aveva preso gusto, perché non uccidere anche lei? Con la scusa della coperta, ha usato la scala di servizio che portava alle camere degli ospiti, è entrato in bagno e ha sgozzato Natalia con il rasoio, poi è andato a cambiarsi la giacca, che questa volta si era sporcata.”
Roderich era tornato serio. “Non ha prove.”
“Oh, certo che le ho.”
Fu in quel momento che Arthur si ritrovò con una pistola puntata alla fronte. Senza pensarci indietreggiò di un passo. Non aveva previsto un simile sviluppo. Si rivolse ad Alfred scioccato.
“Gli hai ridato la pistola?!”
“Io non volevo, ma era sua! Cosa dovevo fare?” si difese l’americano.
“Roderich, non fare stupidaggini!” lo avvertì Elizabeta.
“Vattene, o sparerò anche a te! Non verrò incolpato di qualcosa che non ho fatto!”
“Rifletta un attimo, Edelstein!” Arthur doveva trovare un compromesso per uscire da quella situazione che era improvvisamente precipitata. “Se mi uccide allora si condannerà con le proprie mani. Verrà incolpato ufficialmente, anche perché quella pistola non possiede colpi sufficienti per ucciderci tutti.”
Purtroppo, Roderich sembrava tutt’altro che preoccupato. “Non intendo uccidervi tutti, solo lei, Kirkland.”
“Aggraverà solo la sua posizione. Come si giustificherà?”
“Una mente acuta e fantasiosa come la sua non ci arriva? Sono amico dei potenti, dei ministri e dello stesso imperatore! A chi crede che daranno retta, quando racconterò la mia versione?”
Roderich caricò l’arma.
“Fermati subito, lui ha ragione!” gridò Elizabeta.
Non c’era alcuna soluzione, Arthur dovette ricorrere a un espediente disperato. Estrasse velocemente la propria pistola e la puntò a sua volta contro Roderich. Fortunatamente, nessuno di loro sapeva che quell’arma non aveva proiettili, ma se l’intimidazione non avesse avuto successo, allora non aveva più nulla da tentare. Cercò di mantenere un tono di voce fermo e deciso, nonostante avvertisse il panico risalirgli lungo la spina dorsale.
“A questo punto si trova davanti a una scelta, Edelstein. Vuole rischiare un duello contro un poliziotto addestrato?”
Roderich rise di nuovo con disprezzo. “Un poliziotto alcolizzato in astinenza e con la mano tremante? Penso di poter correre il rischio.”
La stanza era talmente piccola che il boato dello sparo fu assordante.
 
 
Ore 3.58
 
“Cosa contengono quelle ampolle?”
La domanda lo sconvolse.
“Non ho il dovere di risponderti” ribatté Francis spiazzato.
“Piuttosto, non ne hai il coraggio” lo provocò Arthur.
“Stupidaggini. Ti sei divertito a farmi credere che i miei baci di prima ti piacessero, vero? Sei senza cuore.”
Non era vero, ad Arthur erano piaciuti sul serio. Ma come poteva il francese non rendersi conto che in quel momento c’erano cose più importanti in ballo?
“Finiscila di fare la primadonna e rispondimi, altrimenti andrò a scoprirlo per conto mio.”
Francis lo squadrò ancora per qualche istante, sperando che ci ripensasse, ma non fu così. Tirò un sospiro esasperato dicendo: “Sei davvero un lord incontentabile e viziato.”
“Non sono un lord!” puntualizzò Arthur per l’ennesima volta. “E ora piantala di temporeggiare e rispondi!”
“Sono attrezzi scenici. Mi servono per i miei spettacoli” rispose Francis a braccia conserte.
“Cioè… sono i tuoi trucchi?”
“Attrezzi scenici!”
“E cosa ci facevano nella tua stanza?”
“Sono un artista, viaggio, faccio spettacoli in tutta Europa! Cosa dovrei fare, farmeli spedire ogni volta? È ovvio che me li porti dietro, anche perché non sono cose che possono essere viste da tutti.”
Il ragionamento non faceva una piega. “E perché sei andato a controllarle di nascosto?”
“Con tutto quello che sta succedendo è ovvio che mi preoccupi dei miei tesori.”
“In ogni caso non hai ancora risposto alla mia domanda iniziale. Cosa contengono le ampolle?”
Francis si arricciò una ciocca attorno al dito, cercando le parole. “Durante le mie esibizioni mi è capitato di fare qualcosa come… riportare in vita qualcuno.”
Arthur fu disorientato da quelle parole. “Cioè fai davvero credere alla gente di poter resuscitare i morti?!”
“Più o meno sì, ma non vado certo di casa in casa a fare il buon samaritano.”
L’inglese non si capacitava comunque di quella faccia tosta. “Ma davvero pensi che le persone credano a tutto questo?”
“Ci credono, è per questo motivo che io sono famoso in tutta Europa e tu sei un ex ispettore ubriacone.”
Arthur fece scivolare le braccia lungo i fianchi, completamente spiazzato e rinunciò a controbattere. “Bene, e allora?”
“Si tratta… di una sostanza che induce morte apparente…”
“Quindi è tutto un trucco.”
“Ovviamente sì, credi davvero che io sia in grado di resuscitare i morti?” lo canzonò Francis in modo estremamente irritante. Tuttavia quella scoperta faceva proprio al caso di Arthur.
“Allora approfitteremo delle tue arti ingannatorie…”
“Illusorie” corresse Francis con convinzione.
“Sì… per far uscire allo scoperto l’assassino.
“Hai scoperto chi è?!”
“Ne sono praticamente certo, ma sarai tu a smascherarlo definitivamente.”
“Oh.” Francis riacquistò all’improvviso tutto il suo buonumore. “Cosa dovrei fare?”
“Devi fingere di morire.”
“Nessun problema, l’ho fatto un sacco di volte. Come lo preferisci? Veleno, annegamento, colpo d’arma da fuoco, impiccagione, pene d’amore…”
“L’impiccagione andrà benissimo, dobbiamo farlo sembrare uno degli omicidi del nostro assassino seriale.”
Francis assunse un’aria pensosa. “Posso simulare un’impiccagione molto facilmente, ho anche l’attrezzatura che serve.”
“Ma dovrai farlo alla presenza di tutti” puntualizzò Arthur, “perciò devi anche fare in modo che non sembri un suicidio.”
“Facile, basterà usare una carrucola nascosta, così potrò issarmi come se fossi stato appeso da qualcun altro.”
“Poi prenderai la tua sostanza speciale che ti farà sembrare morto” proseguì l’inglese, ma Francis non sembrò d’accordo con quest’ultima istruzione.
“Non posso farlo.”
“Perché?” esclamò Arthur deluso, stava andando tutto così bene…
“Quella sostanza ha un effetto abbastanza lungo e, sebbene io sia retto da un’imbracatura che distribuisce il peso e fa sì che non mi impicchi, è comunque un procedimento rischioso, devo essere cosciente nel caso andasse male qualcosa o rischio di lasciarci la pelle per davvero.”
Non ci voleva. Arthur cercò un piano alternativo.
“Non c’è alcun problema, ho sempre inscenato morte apparenti senza l’aiuto del filtro” lo rassicurò Francis.
“Ma qui non siamo a teatro, gli altri noteranno che respiri.”
“Non penso. Posso trattenere il respiro a lungo, per il resto del tempo tu dovrai fare in modo che gli altri non possano avvicinarsi troppo.”
Arthur non vedeva alcuna soluzione in quella proposta. “E come dovrei fare? Minacciarli con una pistola scarica? Non sarebbe un comportamento normale.”
“Lo sarebbe se tu ti dimostrassi addolorato per la mia improvvisa dipartita.”
L’inglese non riuscì a cogliere immediatamente le implicazioni di quella frase. “Cioè… cioè dovrei fingermi disperato per la tua morte e recitare la parte della vedova?!”
Francis risultò deluso. “Intendi dire che non ti dispereresti se morissi davvero?”
“Non dire stupidaggini! Non potrei mai piangerti addosso e fare lo sdolcinato!”
Il francese si portò una mano al petto. “Questo mi ferisce profondamente.”
Arthur era infuriato e imbarazzato, tuttavia era costretto ad ammettere che quella di Francis fosse l’unica soluzione plausibile.
“Bene… allora… faremo così.”
Francis riacquistò vivacità in un attimo. “Sarà magnifico, ricorderò questo momento per sempre. Finalmente vedrò il tuo freddo cuore in scatola sciogliersi per me…”
Arthur non voleva udire una parola di più, si avviò verso il piano di sopra senza esitazioni.
“Dove andiamo adesso?”
“A svuotare un po’ di lampade a olio. Prepareremo la scena per il tuo spettacolo.”
 
 
4.52
 
“È l’impiccato” disse Feliciano con voce tremante.
“F-Fermi tutti, andate via, non toccate niente!”
Indietreggiarono. Ora avrebbe dovuto semplicemente cercare di capire se fosse vivo… Aveva un segno livido attorno al collo, poteva vederlo anche in quella penombra, come riusciva anche a vedere che non respirava. Anche lui trattenne il respiro e poggiò una mano sul suo petto, e attese. Sentì il cuore battere tranquillamente e comprese che era andato tutto secondo i piani.
“Ah… Arthur” Alfred tentò di attirare la sua attenzione, “dici che è ancora…”
L’inglese però non aveva a disposizione molto tempo, presto Francis avrebbe avuto bisogno di respirare.
“No.”
“Aspetta, fammi vedere…”
“No!” Scacciò la mano tesa di Alfred. Era furioso, con se stesso e con tutti. Si sentiva un perfetto idiota a recitare quella parte e posticipava il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto appoggiarsi al suo petto fingendo di essere disperato. Che umiliazione.
Si piegò sul corpo. Era a pochi centimetri dal viso di Francis, e dopo qualche istante sentì il suo leggero respiro sulla pelle.
“Mi spiace, Arthur” tentò nuovamente Alfred, sfiorando la schiena di Arthur.
L’inglese non prestò attenzione alle parole confortanti dell’americano poiché si accorse con immensa preoccupazione che una parte dell’imbracatura usata da Francis sporgeva leggermente dalla giacca. Se ci fosse stata appena più luce l’avrebbe già notata tutti, ma doveva fare qualcosa per nasconderla.
“Stai fermo” intimò al francese. “Non ti muovere.” Strinse tra le dita un lembo della giacca sul petto e nascose l’imbracatura. “Non ci sono più casse.”
“Come?”
“Non ci sono più casse. Lui è l’ultimo.” Non sapeva esattamente cosa dire per sembrare plateale, era semplicemente certo che mai e poi mai avrebbe finto di piangere.
“È strano” intervenne Roderich. “Questo dovrebbe essere La casa dell’impiccato. Ma in quel quadro l’impiccato non si vede.”
Arthur trattenne il respiro. Roderich aveva fatto esattamente l’osservazione che stava aspettando.
“Appunto” gli rispose Feliciano. “Noi non lo vedevamo, era sceso il buio.”
“Mh. Un tocco decisamente originale.”
Arthur insisteva a restare appoggiato al petto di Francis, doveva trovare il momento giusto per andarsene, la recita aveva sortito il risultato sperato. Così concentrato, sobbalzò quando sentì qualcosa sfiorarlo da dietro, poi comprese con raccapriccio che Francis gli stava accarezzando il sedere.
“Sei un idiota” gli sussurrò all’orecchio. Cercando di non farsi notare gli afferrò saldamente la mano, sperando di fargli molto male.
 
 
Ore 5.27
 
Lo sparo gli rimbombava ancora nelle orecchie, era rintronato, era caduto sulle ginocchia, era come se una campana gli stesse suonando in testa.
“…I…or Kirk…!”
Feliciano gli urlava contro ma non riusciva a sentirlo distintamente.
“Si…or Kirkla… Signor Kirkland! Sta perdendo sangue, sta bene?”
No che non stava bene, ma non riusciva a capire dove l’avesse colpito, non sentiva male da nessuna parte, eccetto alla testa. Si sfiorò la tempia con la mano e quando la ritrasse la vide sporca di sangue. Una parte della sua visuale era tinta di rosso, ma divenne velocemente di un nero profondo.
“L’ha colpita vicino all’occhio, solo di striscio però!” spiegò Feliciano, tamponandolo con un fazzoletto. “È meglio se non lo sforza per un po’, è stato fortunato” disse legandogli il fazzoletto attorno alla testa e sull’occhio.
“Maledizione.” Arthur si alzò traballante. “Maledizione, volevi aspettare che mi ammazzasse?!”
Davanti a lui Roderich era saldamente trattenuto dalle braccia di Francis, che stava ancora seduto dentro la cassa.
“Si era incastrato il coperchio!” si giustificò il francese.
“Dannazione… legalo stretto” gli ordinò e andò personalmente a strappare la pistola di mano a Roderich. “Le invierò la parcella del mio medico.”
“Che cosa sta succedendo?!” chiese Elizabeta volgendo lo sguardo dal marito ad Arthur a Francis che si era appena rivelato come un morto vivente.
“Era tutta una farsa?” chiese Ludwig per niente contento.
“Esatto. Se si fosse verificato un omicidio al di fuori dello schema di Edelstein, sicuramente sarebbe andato a controllare, in quel caso avrei avuto la prova definitiva che l’assassino era lui.”
“Non è stato affatto divertente.”
“Ah no? Io invece mi sono divertito un sacco prima che mi sparassero. Non è vero Ivan?”
“Fenomenale!” concordò il russo. “Ma devo confessare che me lo aspettavo, il riferimento all’impiccato è stato rivelatorio. Avete scelto quel quadro perché l’impiccato non si vede, non a causa del buio, ma perché non c’è proprio!”
“E sarei io lo strumento del vostro divertimento?!” esclamò Roderich tentando di liberarsi dalla stretta delle corde che Francis gli aveva avvolto attorno al corpo. “Lasciatemi andare, chi siete per trattarmi così?”
Il francese uscito dalla sua bara spinse Roderich verso la porta. “Andremo ad aspettare l’alba in salotto, tutti insieme.”
Elizabeta si avvicinò al marito con occhi umidi. “Che cosa hai fatto? Cosa ti è venuto in mente? Che ne sarà di noi, adesso?”
Non si recarono in salotto, bensì nella stanza della musica. La grande finestra di quell’ambiente si affacciava a Est, così avrebbero potuto osservare il conforto dell’alba. Per Arthur quella era stata la notte più lunga della sua vita, qualcosa che avrebbe volentieri dimenticato, sebbene la sua soddisfazione per il successo finale lo avrebbe spinto a decantare quell’avventura per molto tempo.
“Avete un telefono qui?” domandò ad Elizabeta.
“Sì, lo trova vicino all’ingresso, sulla destra.”
“È ora di far venire la polizia.”
La donna si trovava in uno stato di profondo conflitto interiore. “Va bene” acconsentì infine.
Arthur andò a cercare il telefono. Era nel bel mezzo del suo momento di gloria, la polizia non avrebbe dovuto far altro che venire e arrestare l’uomo che lui aveva smascherato e catturato. Sicuramente questo gli sarebbe valsa la riassunzione all’interno di Scotland Yard, non avrebbero più niente da ridire sulle sua capacità investigative e deduttive e finalmente si sarebbe riguadagnato il rispetto che meritava.
Trovò l’apparecchio e si mise in contatto con la centrale del luogo. Nonostante il suo tedesco non proprio perfetto, spiegò ciò che era accaduto nel dettaglio, suscitando lo stupore di chi si trovava dall’altro lato della cornetta. Gli fu detto che sarebbero stati mandati rinforzi entro un’ora e così riagganciò, sentendo finalmente il suo ego rigonfiarsi.
Tornò a sedersi nella sala della musica, dove erano disposte alcune sedie a formare un’intima platea di fronte a un pianoforte a coda. Roderich era stato fatto sedere allo sgabello davanti allo strumento, legato, in modo da essere controllato facilmente.
“Tra quanto saranno qui?” chiese Alfred.
“Un’ora al massimo.”
Si accorse di Francis che sgattaiolava fino alla sua sedia. “Quindi staremo a guardare l’alba assieme, piccolo vedovo affranto.”
“Se parlerai di questa storia all’infuori di queste mura, stai certo che ti ritroverai impiccato per davvero” lo minacciò Arthur senza ottenere alcun risultato.
“Non puoi immaginare quanto fossi tenero in quei momenti di disperazione. E questa benda ti conferisce un’espressione piratesca affascinante.”
“Finiscila di dire fesserie.”
“Ludwig…” All’improvviso udì Feliciano singhiozzare e alzarsi frettolosamente. “Non voglio… non voglio più.” Il ragazzo piangeva copiosamente e corse fuori dalla sala.
“Feliciano! Non ti allontanare!” lo richiamò Ludwig, ma sapendo di non ottenere nulla gli andò dietro.
“Ehi! Avevamo stabilito di restare assieme, una buona volta!” li rimproverò Arthur senza tanta grazia. Con tutto quello che era successo e tutta la fatica che aveva fatto per mettere fine a quella storia da incubo, loro si sentivano così liberi da andare a scorrazzare per il castello?
“Lascia perdere, l’assassino è qui!” Francis lo costrinse a tornare seduto.
Ad ogni modo Arthur non poteva fare a meno di chiedersi cosa avesse spinto Feliciano a reagire in quel modo. Forse non aveva ancora confessato a Ludwig di volerlo lasciare? Oppure c’era sotto qualcos’altro?
Un paio di dita striscianti sulla sua coscia lo sottrassero con un brivido ai suoi pensieri.
“Che ne pensi di proseguire quest’affiatata relazione anche al di fuori dell’Austria?” fu la proposta indecente di Francis.
“Che ne pensi di finirla con questa storia?! Ti sembra il momento?”
“Certo che è il momento: la bella principessa si è levata sana e salva dalla sua bara e il prode principe ha catturato il malvagio signore del castello, quale altro sarebbe il momento per il lieto fine?”
“State zitti!” ordinò Alfred alzando la mano. “Cos’è questo rumore?”
Arthur si concentrò e udì dei suoni ripetitivi e sordi… sembravano dei colpi, venivano dall’alto.
“È una finestra che sbatte?” propose Elizabeta. Fu un grido a farle da risposta, e immediatamente dopo qualcosa cadde dal cielo, passò di fronte alla vetrata del salone a grande velocità, una macchia scura sul cielo che si stava timidamente schiarendo, per poi atterrare con un frastuono agghiacciante.
Si alzarono tutti in piedi facendo cadere le sedie.
“Cos’era?!” gridò Elizabeta.
“Non vorrei che la domanda giusta sia… chi era” azzardò Francis mentre tutti gli altri si stavano già precipitando fuori, compreso Roderich.
Dovettero uscire dall’entrata principale e fare il giro del castello, schivando le grandi pozze d’acqua create dalla pioggia e finendo più volte bloccati dal fango. Poi raggiunsero il retro, dove il fiume scorreva a parecchi metri sotto di loro nel suo letto oscuro. Lì si trovava la vetrata della sala e a poca distanza dal precipizio un corpo minuto e scomposto spiccava tra le rocce.
“Ma… è…”
“È impossibile.”
“È Feliciano?!”
“È vivo?”
Alfred si avvicinò cautamente. “C’è… tanto sangue e credo che quello sia…”
“Oh mio Dio…”
“Maledizione, ve l’avevo detto che il colpevole non ero io!” si infuriò Roderich tentando di liberarsi dalle corde. “Vargas è caduto dalla torre e lassù c’è Beilschmidt!”
“Correte su, bloccatelo!” ordinò Arthur cercando di non farsi prendere dal panico ma ciò che era appena successo era assurdo, inconcepibile… “Muoviamoci, non deve scappare!”
Si mossero come un sol uomo, precipitandosi all’entrata, ma prima di correre via l’attenzione di Arthur fu attratta da qualcosa che i primi raggi del sole fecero brillare.
A pochi metri dal corpo di Feliciano c’erano dei frammenti di vetro. Guardò su, vide la finestra dalla quale era precipitato il ragazzo, tuttavia non sembrava rotta e nessuno aveva sentito rumore di vetri infranti.
Da dove provenivano quelle schegge?




Continua





Nonostante tutto sono riuscita a pubblicare anche questo capitolo. Perdonate il ritardo, si sono accumulati vari esami da preparare anche per la mia beta personale ed eravamo entrambe sommerse di roba. Oltretutto è stato un capitolo difficilissimo, e immagino sia stato lo stesso anche per voi. Tuttavia è stato soddisfacente. Momoka mi ha confessato fin dall'inizio di sospettare di Feliciano e io, fin dall'inizio, sapevo che si sarebbe spiaccicato sulle rocce. Amo queste cose.
Il prossimo capitolo sarà ufficialmente l'ultimo, perciò, vista la svolta inaspettate, vi invito a indovinare chi sarà l'assassino. A chi vincerà faremo una fanart con tutto ciò che desiderate (a sfondo hetaliano, ovvio).
Alla prossima!



Quattro chiacchiere col morto
 
 
Yuri: Bentrovati! Stasera abbiamo un ospite inaspettato. Il signor Bonnefoy doveva essere presente ma all’ultimo momento ha declinato l’invito, quindi eccoci qui con Feliciano.
Feliciano: Buonasera bella signorina! Le darei un bacio di saluto se potessi ma il mio cervello fuoriuscito non è la cosa più semplice da gestire!
Y: Capisco perfettamente. Ha fatto un bel volo! Ci può spiegare cos’è successo? Nessuno l’ha capito.
F: Ahahaha si figuri cosa ho capito! Ero troppo occupato ad ammirare la luna! Non trova che ricordi una mozzarella?
Y: Vero! Ha fame? Ha lasciato sulle rocce anche lo stomaco?
F: *controlla velocemente* No, per fortuna ce l’ho ancora! E sì, ho un profondo buco nello stomaco! Ahahah, non vedo l’ora di farmi un piatto di pasta con Gilbert e Vash! Con Natalia no, non apprezzerebbe.
Y:  Si ricordi che in paradiso i cuochi sono francesi… desidera che le mandi su anche Francis?
F: No penso che Francis si divertirebbe di più dov’è! E poi penso che Ludwig sarebbe geloso, anche se non è più con me…
Y: Cos’è successo tra voi? Come mai si è messo a piangere? Ha forse cotto troppo i wurstel?
F: No, pensi, ha detto che si è stancato della mia pasta! Ma come può essere possibile? La mangiavamo soltanto tre volte al giorno!
Y: Imperdonabile, posso capire perché ha voluto lasciarlo… Ho un certo languorino, le andrebbe di mettere a cuocere una lasagna?
F: Sììì! Volentieri! Non ho gli ingredienti però… e non voglio chiederli a lei! Ho paura di cosa potrebbe essere il “suo” ragù..
Y: Solo carne genuina appena macellata!
F: Veee~ , quando mai si placherà la sua sete di sangue! *fugge disperato in lacrime*
Y: ……. Amo il carpaccio.
   
 
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