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Autore: goldslayer    31/01/2006    14 recensioni
Un breve momento, un attimo isolato da tutto il resto tra due personaggi che vedo più simili di quanto potrebbe sembrare. E che adoro immensamente. Cronologicamente si svolge dopo “Do No Harm” (“Non Nuocere”, per chi ha seguito in italiano), quindi attenzione a eventuali spoiler.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sawyer, Shannon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre il sole moriva dietro

La canzone all’inizio è “Devil” degli Staind.

 

 

Dedicata al mio “fratellino” Adriano, che l’ha letta per primo e mi ha detto tante cose belle. Grazie grazie grazie.

 

 

 

Poteva essere tutto diverso

 

She sits alone again
And tries her best not to pretend
That all she used to live for
Was the love that wasn't there

And she says, 'I swear I'm not the devil,
Though you think I am.
I swear I'm not the devil

 

He looks with tired eyes
At all the people hypnotized
And wonders what can save him
From his self created hell.

And he says, 'I swear I'm not the devil,
Though you think I am.
I swear I'm not the devil

 

 

Mentre il sole moriva dietro la solita distesa di acqua salata, un uomo calpestava silenziosamente i granelli di sabbia. Dopo qualche lento passo cadenzato, arrivò davanti a lei. Seduta, curva, le ginocchia strette al petto, sulla spiaggia fredda dell’umidità della sera. Titubante, per una volta nella vita, le si sedette accanto, ignorando deliberatamente le motivazioni all’origine di un così spontaneo gesto di... solidarietà.

Persa, lei. Immobile e persa in quel punto di vuoto che fissava, da ore, giorni, con un biglietto di sola andata verso i ricordi. E da lì, si sa, se nessuno ti viene a prendere, è difficile tornare.

Per un paio di minuti, due buffe ombre oblunghe si tennero compagnia sotto la fioca luce di quel sole che non scaldava più.

 

“È brutto quando ti accorgi che non puoi tornare indietro”.

 

Non era una domanda retorica, solo una semplice constatazione. È così, è brutto, punto e basta. Forse non stava neanche parlando con lei. Una frase buttata lì, tanto perché l’hai tenuta in testa troppo tempo ed era il momento di farci qualcosa.

Le ci volle un po’ per realizzare che nelle sue orecchie qualcosa aveva interrotto per una manciata di secondi il rumore delle onde. Si voltò incerta verso quell’inaspettata compagnia, e stette a guardarlo, non per molto, ma sentì il bisogno di verificare che i suoi occhi gonfi e stanchi non le stessero giocando qualche bizzarro scherzo.

Preso atto che era lì – che lui era lì – decise di non reagire, a nulla, alla sua presenza, alle sue parole o alle sue provocazioni, se avesse avuto il coraggio di farne anche in quel momento.

 

“Già.”

 

Si morse la lingua quando si rese conto di aver davvero parlato. Un altro dei suoi propositi di breve durata. Boone aveva ragione quando...

 

Un singhiozzo soffocato catturò improvvisamente l’attenzione di lui. Quando vide la ragazza al suo fianco lottare contro una nuova ondata di lacrime che insistentemente le premevano agli angoli degli occhi verdi, senza volerlo si ritrovò a chiedersi se fosse riuscito a ferire qualcuno anche l’unica volta che aveva tentato di offrire conforto. Deformazione professionale.

Passando nervosamente le dita fra i capelli ormai vessati da vento e mare, preferì allora abbandonare ogni inopportuno spunto di conversazione e lasciar correre lo sguardo sulla linea dell’orizzonte, senza parlare, facendo del suo meglio per rendersi invisibile. Per inciso, la sua seconda grande arte, dopo quella di essere un dannatissimo stronzo.

O di sembrarlo, dipende.

Gli riuscivano entrambe maledettamente bene.

 

***

 

Le prime timide stelle si stavano appena affacciando nel cielo non ancora del tutto buio. Presto sarebbe scesa la notte e, con una punta di rammarico che fece finta di non riconoscere, l’uomo non poté fare a meno di indossare il solito, consumato, sorrisetto ironico di fronte al totale fallimento di quell’imbarazzante rottura degli stereotipi che aveva incoscientemente azzardato sedendosi accanto a lei. A cosa fosse servito, o quali grandi risultati si aspettasse, non lo sapeva neanche lui. O meglio, era palese a cosa fosse servito: a confermare, ancora, il gioco delle maschere che vigeva irremovibile su quell’isola che di nuove vite e seconde possibilità ne aveva offerte, fino a quel momento, ben poche.

Spiacenti, il ruolo dell’eroe è già stato assegnato.

 

Preso dalla familiare morsa del rancore e da una crescente sensazione di disagio, si affrettò ad alzarsi, spolverando distrattamente il pesante tessuto dei jeans prima di stringere gli occhi e adocchiare la sua tenda nell’oscurità, scoprendola più lontana di quanto ricordasse, visibilmente distante dai falò che gli altri sopravvissuti avevano acceso, come ogni sera.

 

“È brutto soprattutto perché ti vengono in mente tutti quei piccoli particolari che prima erano solo le tue noie quotidiane e all’improvviso ti sembrano qualcosa di prezioso... solo perché sai che non torneranno più. E ci sono tante, troppe cose che avresti dovuto o voluto fare e non hai mai fatto… per qualche motivo che non sembra più così logico come la prima volta che l’hai pensato. E in tutto questo non puoi far altro che stare fermo, a subire, a scontare la pena a cui ti sei condannato, perché ormai quello che è stato è stato... hai presente?”

 

Come se non fosse passata almeno un’ora dall’inizio di quello che non era sembrato neanche un vero e proprio dialogo, la ragazza aveva ripreso a parlare, aggiungendo qualcosa alla sua prima e brevissima risposta. Parole serene, dopotutto, senza l’ombra del pianto a spezzare la voce, che aveva comunque scelto la forma di un flebile sussurro. L’uomo si concesse un solo istante di esitazione, prendendo seriamente in considerazione l’idea di proseguire sulla sua strada e lasciarla lì a combattere da sola con i suoi fantasmi, ma non ci mise molto a ritornare al suo posto sulla sabbia.

Strano a dirsi, per una volta il suo posto era accanto a qualcuno.

 

“Più di quanto tu creda.”

 

Si meravigliò nel notare che non era più tesa e rannicchiata su se stessa come l’aveva trovata, il suo viso sembrava, se possibile, più rilassato, seppure impiastricciato dalle troppe lacrime e attraversato saltuariamente da qualche ciocca di capelli ribelle a cui lei permetteva remissiva di coprirle gli occhi. Aveva anche disteso le gambe, e ora era lì che giocava con i granelli di sabbia come una bambina, prendendoli a piccoli pugni e lasciandoseli scivolare sulle ginocchia, per poi spazzarli via e ricominciare daccapo.

Faceva tenerezza da far male. Sensazione nuova per entrambi.

Evidentemente anche un secondo stereotipo era stato spezzato, quell’insolita sera.

 

Aspettò di vederlo seduto più o meno come poco prima, poi si voltò a piantargli addosso due occhi curiosi.

 

“Anche tu hai perso qualcuno di importante?”

 

Stavolta toccò a lui rifugiare lo sguardo in quel punto di vuoto.

Tutto, pur di non guardarla negli occhi.

Non si può rispondere a una domanda così negli occhi di qualcuno.

Raccolse un piccolo frammento di conchiglia seminascosto e lo gettò svogliatamente nel riflusso dell’onda, perdendolo di vista ancora prima che venisse travolto dalla spuma bianca. Assieme ad esso aveva, di certo momentaneamente, gettato in mare anche ironia e sarcasmo, perché quando parlò, fu in tono serio. E sincero. E triste, anche, ma questo non sarebbe dovuto trasparire.

 

“Tre persone, a dir la verità. Non sono poi così tante. I miei, da piccolo, a otto anni. E subito dopo...”

 

Strinse i denti e pregò perché quella frase morisse lì.

“…subito dopo ho perso James Ford.”

 

Un nome forte pronunciato piano. Talmente piano da mischiarsi col crepitare del fuoco, qualche metro più in là.

A lei non importò molto di aver capito bene o meno. Anche dalla poca conoscenza che aveva di quell’uomo, non le era stato difficile inquadrare il tipo di personaggio. Un po’ simile al suo, in fondo. E quella vaga scia di fragilità che la sua voce e i suoi gesti cominciavano a tradire non fece che confermare la sua impressione. Stava parlando con qualcuno che stava male quanto lei. Qualcuno che si odiava, quanto lei. Non come i tanti che giorno dopo giorno le si erano presentati davanti rifilandole quel paio di parole di supporto che bastavano per mettersi in pace la coscienza. Lui la coscienza in pace non l’aveva mai avuta. Lui di parole amichevoli non ne aveva neanche per sé. 

Tanto valeva conservarlo, allora, quel momento.

 

“Un tuo amico?”

 

La smorfia di sorriso amaro che seguì le fece temere di aver chiesto troppo. Fortunatamente, giacché si era ormai in atmosfera di confidenza, lui non si tirò indietro.

 

“Solo un tipo che conoscevo. Uno di quelli destinati a fare la fine che fanno. Un mezzo suicidio, il suo. Ha... deciso di sparire. Ogni tanto però mi chiedo come sarebbe oggi, se solo avesse avuto il fegato di restare.”

 

La ragazza si limitò ad abbozzare un piccolo cenno d’assenso, come a dire che più o meno riusciva a immaginare una situazione come quella che le era stata appena descritta.

Poi per un po’ non seppe cosa dire.

Ovvio che non c’era bisogno di confessare chi avesse perso, lei. Ce ne sarebbe stato, piuttosto, di specificare perché quella perdita pesasse più di quanto avrebbe dovuto. E, perché no, sarebbe stata persino sul punto di farlo, se uno strano fruscio non avesse catturato all’improvviso la sua attenzione.

Solo allora si accorse, infatti, di quella stropicciatissima busta da lettere che chissà da quanto l’uomo al suo fianco torceva rabbiosamente fra le mani. Le era già capitato, spesso per la verità, di vederlo rannicchiato da qualche parte con quel pezzo di carta davanti, era capace di starsene lì a leggerlo e rileggerlo per ore, senza mai distogliere lo sguardo se non per fissare la fiamma di un accendino che a intervalli regolari avvicinava all’angolo più rovinato del foglio, come per bruciarlo.

Balle, si vedeva che non l’avrebbe fatto mai.

E infatti un secondo dopo, come da copione, lo ripiegava con cura e lo faceva scivolare nella sua busta, altrettanto malridotta. Oppure ricominciava a leggerlo, o a guardarci attraverso, non era ben chiaro se quello che vedesse tra quei quattro lati di carta fossero solo parole.

A quel punto lei prese coraggio. Forse troppo.

 

Però ti contraddici…”

 

- un bel respiro –

 

Se sai che il passato non può tornare perché te lo porti sempre dietro?”

 

Non volendo aveva recuperato un po’ del suo tono standard. Quello saccente. Quello perennemente schifato.

Quello, insomma, da usare quando doveva nascondersi bene prima di dire qualcosa.

 

“Troppi rimorsi, eh?”

 

Sì, decisamente era quello saccente.

 

“Curioso che sia tu a chiedermi una cosa del genere, dato che fino a due giorni fa manovravi quel disgraziato come un burattino e ora sei capace solo di fare la vedova disperata. Vogliamo vedere chi ha più rimorsi, fra me e te?”

 

Se uno si nascondeva, l’altro non poteva certo restare allo scoperto.

Così mentre l’uomo riprese a colpire le piccole creste delle onde con sassi e conchiglie, lei richiamò le ginocchia al petto e le avvolse con le braccia sporche di sabbia bagnata.

 

***

 

Tutto quello che il silenzio ebbe come compagnia, non molto tempo dopo, fu un “Figurati” arrivato dopo uno “Scusa” che però non era stato effettivamente pronunciato.

Pensato sì, ma non pronunciato.

Anzi, per l’esattezza il momento in cui quella parola aveva deciso di saltar fuori era stato mentre lui si voltava verso la ragazza per decidere se ci fosse un altro modo per dire scusa.

Quindi, a conti fatti, quel figurati non era stato poi così fuori luogo.

 

Eliminato questo problema, l’uomo iniziò a porsi quello del rispondere alla domanda che gli era stata rivolta. La risposta offensiva non contava, chiaro.

Ne passarono di espressioni ridicole sulla sua faccia prima che si decidesse a trovare un minimo di senso compiuto a tutto quello che gli era passato per la testa.

All’improvviso arrivò uno sbuffo nervoso a collegare quelle espressioni a una frase a metà.

 

“È che... non è tanto una questione di rimpianto, o pentimento... è solo che più ci pensi e più ti rendi conto che sì, il danno è fatto, ma una voce, da qualche parte, nella tua testa, continua a ripeterti che...

 

“…che poteva essere tutto diverso.”

 

Non le serviva una lettera accartocciata fra le mani per sapere dove andasse a finire quel pensiero.

Stavolta le importò, di aver capito bene. Le importò così tanto da non accorgersi nemmeno di sorridere all’idea di aver incontrato qualcuno a cui saper finire le frasi.

Il fatto che quel qualcuno fosse un estraneo e un bastardo al momento non era poi così rilevante.

Sorrise con più convinzione quando con la coda dell’occhio lo vide annuire.

 

Ad occhi chiusi, a testa bassa, lui annuì.

Era esattamente quello che stava cercando di dire. Esattamente.

Rimuginare sul passato non serve a niente, come si dice, inutile piangere sul latte versato. Eppure non riesci a smettere di guardare la tua faccia e la sua maschera, nello specchio, ogni singola mattina della tua vita, e pensarlo.

Pensare che poteva essere tutto diverso.

Che avresti potuto essere qualcun altro. Te stesso, magari.

Divertente che anche lei avesse un’idea di cosa significasse vivere così.

Chissà, però, se come lui in quel preciso istante lei si stava chiedendo se tutto sarebbe ancora potuto cambiare. Se tutto sarebbe ancora potuto essere diverso.

In meglio, per una volta, per quella sola volta.

Fece appena in tempo a registrare quel ragionamento che si ritrovò in piedi e con una gran voglia di portarla via con sé, via da quel punto di vuoto.

 

“Ogni cosa accade per una ragione, no?”

 

La ragazza lo fissò perplessa e un po’ spaventata da quella mossa improvvisa. Non riusciva a capire perché avesse voluto interrompere quel momento di singolare complicità che si era creato tra loro. Non aveva detto niente di sbagliato, stavolta.

Quando realizzò che le stava porgendo la mano per invitarla a seguirlo si sentì un po’ meno sola e stranamente pensò di non avere poi molta voglia di piangere ancora.

Strinse quella mano con forza e si alzò. Sorridendo, per l’ennesima volta in quella buffa serata.

 

“Così dicono.”

 

 

---

 

Un grazie specialissimo alla mia Vale e al suo prezioso incoraggiamento! Love you, my dear.

  
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