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Autore: Natalja_Aljona    14/04/2011    3 recensioni
-D’altronde è così che cominciano le migliori storie d’amore-
-Con un pugno?-
-Magari non dato proprio alla protagonista-
-L’hai detto-

George alzò gli occhi al cielo. Era scuro, quella notte. Non scuro come le altre volte.
Scuro di tempesta e d’invidia, perché si preparava al ventisette Febbraio.
Perché quella notte, quegli irremovibili illuministi dal cuore tenero, se la dovevano illuminare da soli.
(dall'ultima one-shot aggiunta, "I bassi s'inalbereranno")
-Ero un metro e sessantadue, allora. Come facevo a piacerti?-
-Oh, eri bello, bello da morire, anche se un po' troppo ossessionato dall'altezza-
-Ero basso!-
-Sai che ti dico, Gee?-
-Che sono un cretino?-
-Che sei un cretino e che i bassi s'inalbereranno-
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Introduzione


Brian George non è esattamente il genere di ragazzo che una comune donzelletta anglosassone seguirebbe all'altare.

Prima di tutto, George, di inglese non ha nemmeno un pelo del naso.

Nonostante suo padre sia innegabilmente liverpooliano, lui sembra aver preso tutto dai suoi illustri antenati greci.

Sì, perché George è nato a Sparta, e a Liverpool la gente non ricorda un solo giorno in cui non se ne sia vantato.

Da quando è al mondo, vale a dire dalla tempestosa notte tra il 26 e il 27 Febbraio del 1821, George è conosciuto come il ragazzino più folle, anticonformista, spettinato e rivoluzionario di Liverpool.

Gira per la città pagando i suoi acquisti in dracme e sfoggiando, sopra la divisa marinara di suo padre, autentici capi di vestiario dell'Antica Grecia.

Pur avendo i capelli più neri della lava, sostiene di essere "biondo in incognito", suona la chitarra al contrario, ha un gatto di nome Ettore di Troia, e sul suo comodino fa bella mostra di sé la miniatura di Voltaire.

Ma quando Natal'ja -Luce- Morrison, la sua piccola protetta, la spietata Rivoluzionaria siberiana che ha giurato di sposare sotto l'Acropoli di Atene, colei che è stata designata da Lachesi, la moira greca del Destino, come eterna padrona del suo cuore, minaccia di compiere tredici anni e, tra le altre cose, di sfuggirgli per sempre, le cose cominciano a precipitare...



Antefatto

Timeo Danaos et dona ferentes


George le aveva chiesto di sposarla a Micene, davanti alle rovine della tomba di Atreo.

Quella notte le aveva portato anche un fiore: un crisantemo, raccolto dalla tomba di un eroe di guerra.

Poi l'aveva guardata e le aveva detto: “Presto la Grecia sarà libera, Lucy. Mi sposerai?”-

Gliel'aveva chiesto secondo la regola più semplice del mondo: prima la dichiarazione d‘indipendenza, poi quella d’amore.

E lei avrebbe anche accettato, se non fosse stato che, oltre ad averle dichiarato il suo amore, il giovane spartano le aveva anche attaccato la varicella.

Sì, era perdutamente innamorata di lui anche allora.



Lei era russa e lui greco, ma erano sempre stati amici.

Sia il padre di George che quello di Luce erano di Liverpool, e Liverpool era stata il loro campo di battaglia.

Anche per quella notte.


Improbe Amor - 27 Febbraio 1838


What I feel, I can't say

Quello che sento, non posso dirlo

(What is Life, George Harrison)



-Nessuno mi ha chiesto di ballare, sai?-

George esitò prima di rispondere. Voleva essere sicuro di aver lasciato trascorrere la quantità di secondi necessari per cancellare dal suo viso ogni traccia di esultanza e sollievo.

Non finse dispiacere, non gli sarebbe riuscito affatto bene. Sarebbe stato inutile.

Inarcò appena le sopracciglia, distogliendo lo sguardo dal sasso che aveva preso ad osservare con esagerata insistenza.

Era un bel sasso, però.

Scosse la testa. Era un pensiero talmente stupido! Possibile che per dissimulare si fosse messo a passare in rassegna i sassi del giardino? Possibile eccome.

-Proprio nessuno?- chiese con estrema cautela, smettendo finalmente di pensare al sasso.

-Cera un ragazzo, insomma, non proprio un ragazzo, doveva essere poco più giovane di mio padre, che forse me lavrebbe anche chiesto, ma prima ha voluto sapere quanti anni avessi. Vuoi sapere una cosa? Quando glielho detto, è praticamente scappato via-

George sospirò, prendendole la mano sinistra e appoggiandosela sul ginocchio.

-Ti dirò, amica mia, questo signore non è stato affatto giusto con te. Hai quasi tredici anni, non sei proprio una bambina. Sei qualcosa di più. Sei quasi una ragazza-

-Ma tu ci balleresti, con una quasi ragazza?-

-Non potrei, e lo sai bene, dal momento che non so ballare. Ehi, ma tu non sei una quasi ragazza qualsiasi! Tu sei sempre stata una sorprendente quasi ragazza, a dir la verità. Tu sei nata il ventisette Febbraio, come me. Sai chi nasce quel giorno? Solo i Migliori-

Luce abbozzò un sorriso.

-Crepi la modestia, mi raccomando-

-Modestia? Oh, non credo di averne mai avuta. Non che questo costituisca un particolare problema. Io sono nato a Sparta, lì non cè tempo di farsi tanti complessi-

-Non per niente sei un esibizionista-

George incassò il colpo.

-Non per niente-

-A dirla tutta, con le armi non sei un granché. Eppure sei un Eroe. Almeno quanto Ettore domatore di cavalli, Aiace rocca degli Achei e Achille piè veloce. Perché i tuoi sogni, il tuo coraggio, non li raggiunge nessuno. Sei come un fuoco dartificio, che esplode di mille luci e colori, lascia sempre un bel ricordo, ma non lo puoi stringere tra le mani. Mai per davvero- Luce sorrise lievemente. George era il fuoco dartificio più luminoso e distruttivo che avesse mai conosciuto.

-Puoi tenerlo in mano per un secondo, alla fine sulla pelle rimane solo il colore del sangue. Ha un cuore tagliente come la lama di un oplita, batte troppo forte o troppo lento, e prima o poi, con estrema incoerenza, fa fermare il tuo-

-Tu assomigli di più a un colpo al cuore. Che saresti stata una quasi ragazza memorabile, già si sapeva. Fai male in uguale misura a quanto fai bene. Hai un orgoglio che ferisce, tu stessa sei stata ferita dal tuo orgoglio, ma non impari mai. Hai una caparbietà da denuncia, una fantasia che uccide, una fermezza di pensiero che farebbe impallidire una scogliera. Sai cosa succede se vai contro una scogliera? Come minimo ti ammazzi. Tu uccidi piano, con astuzia. Sei una freccia di Filottete scagliata nel petto, sei come la tunica di Nasso. Sei una maledettissima ribelle. Sai una cosa, Lucy? Sei una disgraziata- George la guardò, poi sorrise.

-Però ti fai volere bene. Sarà perché il più delle volte sono più disgraziato di te, sarà anche per questo. Sarà che di colpi ne ho presi di molto più violenti, a Sparta, e tu assomigli di più a una carezza. Non una carezza dolce, però. Una carezza che a volte strappa la pelle, ma pur sempre una carezza damore. Sì, più damore che d’altro- si guardò intorno per una manciata di secondi, poi scosse la testa, ridendo e stringendosi le ginocchia al petto.

-Oh, che dichiarazione cretina. Peggio ancora di quella che avevo immaginato-

-Stai facendo tutto da solo, lo sai?-

-Sì, lo so. Credo di averlo messo in conto-

-Sai? Mi sa che sei più matto che disgraziato-

-La tua invece è proprio una caratteristica radicata-

-E della mia dichiarazione non dici niente? Che delusione-

-Chiamala dichiarazione! Però è stata carina-

-Cosa ti aspettavi? Che ti buttassi la braccia al collo giurandoti amore eterno? Che poi, a pensarci bene, sarebbe stato anche meglio-

-Per carità, da stamattina ho un torcicollo invidiabile. Anche perché poi, se rifletti, tu amore eterno me lo giuri ad ogni sguardo. Anche con quelli più obliqui che mi lanci-

-Si capisce. Sei bello quanto cieco, su questo cè poco da fare-

-Comunque era sottinteso: se mi abbracci, magari, il torcicollo mi passa-

-Hai una filosofia talmente contorta, Georgie, che già che ci sono ti abbraccio due volte. Con una te lo faccio passare, con laltra magari ritorna-

-Sei una strega, ma provaci lo stesso. Peggio di così-

L'abbracciò e George le sorrise, dandole un buffetto sulla guancia.

Lei gli sputò in un occhio, per poi voltargli le spalle.

Per sbaglio, poi, la sua mano scivolò verso quella del ragazzo.

La strinse.


Ed eccoli lì, quei due ragazzini a metà tra il tardo, il tordo e l'insolente, con i loro bei visetti arrossati dallemozione, gli occhi lucidi lucidi, offuscati d'amore.

Perchè di più forte della luce dei loro sorrisi di quella notte, c'era solo la Rivoluzione.


-Lucy?-

Luce inclinò leggermente la testa, guardandolo.

-Potresti buttarmi le braccia al collo e giurarmi amore eterno, adesso? Voglio dire- George smise di stropicciarsi il colletto della camicia, cercando di darsi un minimo di serietà -Con un bacio, magari-

Luce contò fino a ventisette, muovendo nervosamente le dita sulle ginocchia.

La sua mano era ormai scivolata via da quella di George, ed era intenta a tormentare con febbrile frenesia il nastro dei capelli.

Poi socchiuse gli occhi, alzandosi in piedi.

Lentamente, si sfilò gli stivaletti di pelle blu, abbandonandoli miseramente sulla terra scura, poi alzò nuovamente le sguardo.

George abbozzò un sorriso, sebbene un poco confuso dalle manovre della sua quasi ragazza.

-Alzati, per favore. Non voglio baciare uno gnomo-

-Lucy, il mio torcicollo-

-Aumenta con lo spostamento daria, per caso? Faccio tutto io, non ti preoccupare-

-Come sarebbe faccio tutto io? Hai dodici anni! Anche se, in effetti, te lo dimentichi facilmente- E lo fai dimenticare, aggiunse mentalmente, mordendosi le labbra per assicurarsi di non tradire quel recondito pensiero nemmeno con un filo di voce.

-Sarà, ma il primo bacio hai voluto darmelo quando ne avevo nove. So come si fa-

-Daccordo, ma perché ti sei tolta gli stivali?-

-Indovina, Aristotele-

George ci pensò per una manciata di secondi, poi capì. Sorrise.

Per una volta -una volta sola- non maledì il suo metro e sessantasei.

-Questo tuo centimetro in più è sempre stato di unirriverenza terrificante-

-Lo è ancora. Ma mi hai chiesto un bacio, mi risulta. O è forse solo una blanda presa in giro?- gli occhi di Luce luccicarono sospettosi -Non ti perdonerei facilmente-.

George alzò gli occhi al cielo. Era scuro, quella notte. Non scuro come le altre volte.

Scuro di tempesta e dinvidia, perché si preparava al ventisette Febbraio.

Perché quella notte, quegli irremovibili illuministi dal cuore tenero, se la dovevano illuminare da soli.

-Nessuna presa in giro, Lulù-

Luce non disse niente, allinizio. Si limitò a prendergli le mani e a sbuffare, negli occhi una scintilla un po severa un po divertita.

-Non chiamarmi così-

-Non fare la complicata, Lucy. Non farlo più. Pensa allatmosfera che hai appena mandato a quel paese. Pensa a tutte le altre che ci manderai-

-Gee, noi abbiamo fatto dei voti-

-Voti da illuministi davanti alla miniatura di Voltaire, già. Ma pensa a stamattina, come ci veniva tutto più facile. Pensa a ieri notte, come ti ho stretto la mano, che non mi hai voluto lasciare fino allAlba, che a momenti me la staccavi pur di tenertela vicino-

-Stamattina era tutto più sottinteso. Adesso vorrei baciarti, George. Io non vorrei innamorarmi, non ancora. Non tanto quanto mi fai innamorare tu. E se ti bacio mi innamoro, testone, e lo sai-


Poi lo strinse, quel suo George così dannatamente sfuggente, così dannatamente illuminista e sdolcinato, così dannatamente anticonformista e incoerente, disperatamente innamorato e disperatamente vittima di un Luogo Comune.

Il più grande e pericoloso di tutti, forse.

Lo strinse perché George li aveva fatti scappare via, quei suoi inutili, meravigliosi dodici anni, che adesso erano tredici, talmente tredici che, se li avesse fatti sedere a tavola, i suoi anni, avrebbe provocato una catastrofe.

Perché per Luce, in quel momento, tredici era il numero più bello del mondo, alla faccia di tutti i superstiziosi.

Perché George aveva scelto proprio quel momento per baciarla -forse perché gli era miracolosamente passato il torcicollo, o perché si era stancato di aspettare lei, ferma e smarrita come un pipistrello trovatosi di colpo a testa insù- proprio allo scattare della mezzanotte.


Suonavano come le campane di Notre Dame, i suoi tredici anni.

Era il ventisette Febbraio, fino a prova contraria, e, come lei aveva compiuto tredici anni, George ne aveva compiuti diciassette.

Diciassette, tanto per restare in argomento con i numeri sfortunati.

-Buon compleanno ebuona fortuna- gli disse alla fine del primo e unico atto di quella tragica commedia che era stata la scena del loro bacio, quando entrambi non se ne scambiavano uno da ben quattro anni -esclusi gli occasionali sfioramenti di guancia- e sembravano quasi essersi dimenticati non tanto come si baciasse una persona, quanto come si baciassero due anticonformisti.

Per la cronaca, Natal'ja Luce Lulù Morrison e Brian George GeorginoGibson, Georgos allanagrafe di Sparta, si erano baciati davvero.

Si erano baciati tanto realmente da meritare, forse, un trafiletto sulla cronaca nera di una qualche rivista illuministica del Settecento.

Purché non ci prendessero gusto, però. Avevano pur sempre una reputazione da mantenere.


Ad un tratto scoppiò a ridere, George, proprio come se non sapesse cosa altro fare.

Rideva di cuore, perché in quel momento era stato colto da un pensiero, un pensiero tanto strano quanto divertente, un pensiero bello e irrealizzabile, un pensiero simile a un desiderio.

Luce lo guardò, lo guardò e si accorse di non sapere cosa fare, perché ridere dopo un bacio era proprio un comportamento da George, ma un comportamento che non sapeva come interpretare.


-Ebbene?- gli chiese, scrutando i suoi occhi belli e inspiegabilmente divertiti, forse per quello che era successo, forse per quello che doveva succedere ancora.

George la guardò e smise di ridere. Sì, il suo era più simile a un desiderio che ad un pensiero. Uno di quei desideri per cui continui a ripetere vorrei, vorrei, usando il condizionale e non lindicativo, perché lo sai bene che non si avvereranno mai.

-Questo sarebbe il momento di dire una bella frase- sussurrò, talmente piano da costringerla ad avvicinarsi di nuovo, tanto, troppo, come prima, come per un altro bacio.

Una bella frase. Luce aveva gli occhi sbarrati, sbarrati e scintillanti dincredulità.

Una bella frase. Che razza di richiesta era mai quella?

Una bella frase. Da certi baci ai ranocchi spuntano occhi di diamante, splendenti armature e biondi capelli, da altri gli illuministi sognano le belli frasi?

Rimase in silenzio, pensierosa e stordita.

Ad essere sinceri, lei non ci pensava tanto spesso, alle belle frasi.

Le suonavano stucchevoli, stucchevoli come lo zucchero e il cioccolato al latte.

Lei di zucchero preferiva quello di canna, scuro, che si poteva sentire sotto i denti, e di cioccolato quello fondente, amaro amaro, che allinizio aveva un sapore quasi dolce, ma poi pizzicava la lingua, e allora si sentiva, che non era dolce per niente.

Le suonavano false, perché le dicevano in tanti, sempre le stesse, come in un circolo vizioso.

A lei piacevano le improvvisazioni, le frasi belle e originali, oppure quelle delle opere antiche, che erano tanto belle ma nessuno se le ricordava.

A lei piacevano le frasi nuove, spettacolari, che esplodevano sulla punta della lingua e si ricordavano per sempre, di giorno, di notte, in cui ogni parola aveva un significato, e ogni parola in relazione alla persona che laveva pronunciata era come un piccolo fremito, come un respiro che andava di traverso, che bisognava inghiottirlo per mandarlo giù, fino al cuore.

Quelle frasi che facevano ballare i battiti, che facevano cadere nel vezzo di fare infantili giravolte con la gonna, di portarsi la mano al cuore e chiudere gli occhi, per la sorpresa e la felicità.

Così fece appello alle sue conoscenze, alle sue capacità di creare o ricordare una frase che potesse assomigliare alla bella frase che aveva in mente George.

Ma certo, doveva essere così.

George aveva la sua stessa idea di bella frase, come poteva essere diversamente?

Continuò a pensarci e infine la trovò, una frase che a lei personalmente faceva scintillare gli occhi, e che anche a lui di sicuro sarebbe piaciuta.

-I numi ti largir cortesi pari alla forza e ad al valore il senno, e nel valor tu vinci ogni altro Acheo-

Poi lo guardò, lo guardò che sorrideva, che la guardava, che forse cercava di dirle, in silenzio, che purtroppo non aveva capito.

-Cosa posso dirti? Il Libro VII è memorabile-

Lo pensava davvero, su questo Luce non aveva assolutamente intenzione di dubitare.

George amava lIliade quanto e più di lei, amava il duello tra Ettore e Aiace, amava il Libro VII quanto e anche più degli altri libri.

-Ma non era la frase che aspettavi-

Allimprovviso, Luce ne fu certa.

-Non era la frase che aspettavo- convenne lui, ma con dolcezza, senza fargliene una colpa.

-Quale sarebbe la frase che aspetti?-

-La frase che mi è aspetto non me la dirai mai-

Va bene, va bene, dicevano i suoi occhi. Dove vuoi arrivare, George?, chiedevano, confusi e smarriti.

Ma dove vuoi tu, Lucy, rispondevano i suoi. Perché un giorno me la dirai, una bella frase, vero?.

-Perché disperare?-


Con estrema lentezza, George le sfiorò la mano, per poi posarsela sulla guancia e stringerla delicatamente.

-Kai eísai ómorfi, to xéreis?-

Adesso anche Luce guardava il sasso. E anche lei, come era prevedibile, lo trovava estremamente bello.


-Uhm, non ti sembrava una bella frase?-

-Ha un suono fantastico, ma temo di non aver capito-

-Come dimenticare. Tu sei…uhm, russa?-

-Siberiana

-Lo stesso-

-George, la Siberia è…-

-sempre in Russia, quindi poche storie-

-Villano-

-Sarà-

Luce scosse la testa, voltandosi per mascherare il divertimento nei suoi occhi.

-Incorreggibile-

-Come te-

Luce sembrò soddisfatta del paragone.

-E sei bella, lo sai?-

Luce sollevò un sopracciglio.

-Ti sembra pertinente con il discorso?-

George sorrise seraficamente.

-Era la traduzione-

Luce deglutì. La traduzione. Eh già.

-Cosa ti fa pensare che io non lo sappia?-

George le lanciò uno sguardo tremendo, uno di quelli che riuscivano a inquietare persino lei, l'imperturbabile e sfrontata Natal'ja Morrison – in arte Luce.

-Lei si diverte a stroncare ogni accenno di dichiarazione. E io la amo come uno stupido- constatò, accigliato.

-Cosa ti fa pensare che io non ti senta?-

-Il fatto che, tanto, non mi ascolterai-

Luce afferrò il ragazzo per un lembo della camicia, guardandolo di traverso.

-Cè qualche problema, Gee?-

George sospirò, alzando gli occhi alle stelle spettatrici.

-Ce ne sono tanti-

-Sii più preciso-

-Infandum, regina, iubes renovare dolorem-

-Potrebbe non essere un male-


-Ricordi il supplizio di Prometeo?-

Luce storse la bocca. Codesto era uno dei miti greci più raccapriccianti.

-Ricordi Prometeo, il titano amico degli uomini, che rubò il fuoco a Zeus per portarlo sulla Terra, e che per punizione venne incatenato ad una roccia del Caucaso? Ricordi laquila che ogni giorno gli strappava il fegato dal petto, dilaniandolo, ogni giorno, ogni maledetto, maledettissimo giorno?-

-Cera bisogno di rigirare il coltello nella piaga?-

George ignorò la sua domanda, procedendo senza esitazioni nel suo monologo.

-Ti sei mai messa nei panni dellaquila?-

George scrutò il grigio chiaro degli occhi di Luce, leggendovi la prevedibile risposta.

-Sei sempre stata poco empatica, tu- commentò, scuotendo la bruna chioma con rassegnazione.

-Questo è relativo-

-Meno di quanto tu possa pensare-

Luce premette i pugni contro la terra fredda, infastidita.

George la sfidava con lo sguardo, continuando a parlare per enigmi.

-Ergo?-

-Edipo ha sconfitto la Sfinge, Lucy. Mi stai forse lasciando intendere che, stasera, la Sfinge avrà lonore di sconfiggere Edipo?-

-Se solo tu avessi il buonsenso di essere più pragmatico e diretto-

-Eh no, Lucy. Se mi metto a essere pragmatico e diretto, finisce male. Ti assicuro che finisce male-

-Finisca come deve finire-

-Se mi dici che non ti sei mai sentita come laquila di Prometeo, nemmeno adesso, giuro che ti tiro un pugno-

-Daltronde è così che cominciano le migliori storie damore-

-Con un pugno?-

-Magari non dato proprio alla protagonista-

-Lhai detto-

George sorrise, gesto che Luce, dopo pochi attimi di attesa, ricambiò.

Ma subito dopo i suoi occhi si allarmarono, il suo sorriso sincupì.

-Perché dovrei sentirmi come laquila di Prometeo, Gee?- chiese, la voce flebile, lo sguardo triste, confuso.

Aveva capito che era una cosa seria, aveva capito che non le sarebbe piaciuta.

Aveva capito che fare larrogante le sarebbe servito a poco, in quel momento.

Aveva capito che quello che ancora non era stato detto a George faceva male, e che presto avrebbe fatto male anche a lei.

-Te lo dirò, Lucy. Pazienta e te lo dirò. Per te ho perso la testa, fin dalla notte dei tempi, direi. Per te ho perso il controllo, allincirca quattro minuti fa. Io vorrei solo sapere quando hai preso nel becco il mio disgraziato cuore e lhai portato via. Vorrei saperlo, perché mi pare che tu labbia dilaniato bene, da quel giorno. Vorrei sapere dove te ne sei volata-

Luce sgranò gli occhi e tacque, tacque sgranando gli occhi, sconvolta, ferita.

L’aquila di Prometeo. No, non si era mai sentita così.


-Perchè?-

Un filo di voce. Più di questo non le era uscito dalle labbra.

Per una volta aveva paura, Natal'ja Morrison. Paura del suo cuore.

-Perchè tu mi uccidi, ragazzina. Che dea crudele, che aquila spietata sei. Perchè, sai, in una notte come questa, io...-

George si morse la lingua. Lui che era "romantico" solo davanti agli scritti di Rousseau...no, non ce la poteva fare.

-Se mia vradiá ópos aftó, egó…- In una notte come questa, io…

-…tu?-

-I, egó, Georgòs, se gyrévo to say you…- Io, io, George, sto cercando di dirti…

-Sì?- Luce non era affatto d’aiuto, e lo sapeva.

-S’ agapó opos agapó to mia zoí…ti thálassa…Spárti…mia zoí to Elláda…mazí-

Ti amo come amo la vitail mareSpartala vita in Greciainsieme.

-Kai den katalavaíno- E non capisco

-Tu mi ami?-

-Zoí, you don’t understand. Son las palabras “s’ agapó” that don’t persuaded me. I’m not used-

-George, perchéperché stai parlando in spagnolo?-

George sospirò, seppur ridendo sotto i baffi.

-Lagitazione-

-Lagitazione, giusto. Ma in tre lingue, davvero, non riesco a seguirti-

-Ricapitoliamo. Sono le parole ti amo che non mi convincono. Non ci sono abituato, davvero. E tu, naturalmente, hai il livello di comprensione di un paguro-

Luce arricciò il naso.

-Je comprendre-

George sorrise, poi le prese una mano, portandosela sulla guancia.

-Vita, mare, Sparta Luce, i tuoi occhi sono grigi-

-Come la cenere arsa, dicono-

-Come lEgeo-

Luce gli sorrise.

-Non ci avevo mai pensato-

-Io sì-

George esitò, dopodichè riprese la parola.

-E i tuoi capelli sono biondi-

-Come i fiocchi di grano-

-Come il sole di Sparta-

-Sono la tua Grecia in miniatura, praticamente-

-Oh, no. Per niente. Tu sei Lucy. La mia piccola -non più tanto piccola-, adorabile Lucy-

-Mi ami, Gee?-

-Vieni qui, zoí, per favore. Vieni qui, sole di Sparta, occhi d’Egeo. Siediti vicino a me e, possibilmente, non parlare. Taci, perchè non ci metto niente a scaraventarti nel Mersey insieme alle trote e alle pantegane. Non è il momento, piccola dea. Non rovinare tutto-

Luce si sedette sulle sue ginocchia, tremante.

Lo guardò, quel delinquente del suo Gee, quant'era bello. Estasiata.

George era George. Come sempre. Come mai.

George, nella sua divisa marinara, con l’himation sulle spalle e gli stivali neri fino alle ginocchia.

I capelli arruffati, che lo facevano assomigliare a un barbagianni.

L’aria persa, stordita, rivoluzionaria.

Gli occhi lucidi, scintillanti, pieni di luce, meravigliosi. Da eroe.

La pelle scura scura testimone di un’abbronzatura perenne, la sua pelle da greco.

Era bello. Era felice. Era George. Ed era il giorno prima del suo compleanno.

Diciassette anni. Quasi non ci si credeva. Ne dimostrava quindici, forse addirittura di meno, certe volte. Ne dimostrava diciannove e anche di più, quando tornava all’alba, con la rete carica di pesci e belle speranze, sulla nave di suo padre.

Ma era sempre lui. Sempre.

George, che quando era piccola la chiamava mou zoí” -e non aveva perso l'abitudine- , la faceva sedere sulle sue ginocchia e le raccontava i brani più avventurosi dell’Iliade.

George, che le voleva bene, tanto bene, anche se faceva fatica a dimostrarlo.

George, che alla fine gliel'aveva data, quella benedetta risposta.

Perchè l'amava sì, la sua piccola dea.

La sua disgraziata.

-San trelós- Come un matto.

-Davvero?-

-Sovará- Davvero.

-Egó- Luce si morse il labbro inferiore, pensierosa. Come accidenti si diceva anche in greco? -egó too-

George la guardava con un sopracciglio inarcato, lo sguardo beffardo, quasi divertito.

-Era ora, aquilotto-

Sorrise, George. Sorrise tra le righe, fugacemente.

Sorrise, perché si era innamorato di una ragazzina di un altro pianeta.

Sorrise, perché negli occhi di Luce aveva visto l’impietosa Lachesi, la Fatalità.

Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis!

Sorrise, perché Virgilio aveva ragione.



I once had a girl or should I say she once had me

Una volta avevo una ragazza, o forse dovrei dire che lei aveva me

[Norwegian Wood(This Bird Has Flown), The Beatles]



Succedeva, a volte, che un giovane greco desiderasse un umano più di tutti gli dei messi insieme.

Perché gli dei erano tanto belli, era vero, ma raramente un giovane greco avrebbe potuto ricevere da loro quell’amore.

Quell’amore terribilmente platonico che da un capo all’altro dell’Ade colora le onde nelle pozzanghere sbiadite, che vive tra le ombre, forse, ma non è un’ombra, quell’amore.

Quell’amore che fa allungare i capelli di sette centimetri alla volta e pescare un dugongo con la canna da pesca girata dalla parte sbagliata.

Quell’amore che fa confondere i predicati verbali con quelli nominali e fa risultare 242 ad una divisione a due cifre.

Quell’amore che fa sbattere la testa contro un capitello dorico e brindare con un bel bicchiere di ouzo fumante in mano con Ettore di Troia e Aiace Telamonio.

Quell’amore che fa inventare gli avverbi e i tempi verbali e suonare la chitarra al contrario.

Quello che farebbe riappacificare Sparta e Atene, volendo.

Quello che ucciderebbe i conservatori e i luoghi comuni.

Quello che farebbe tanto, volendo. A volerlo.

Succedeva, quell’amore.



Anche la notte del 27 Febbraio 1838.



You're asking me will my love grow

I don't know, I don't know

Tu mi chiedi se il mio amore crescerà

Non lo so, non lo so

(Something, The Beatles)



Note


Timeo Danaos et dona ferentes (Eneide, Libro II): Temo i Greci anche quando portano doni.

Infandum, regina, iubes renovare dolorem (Eneide, Libro II): Tu mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore.

Filottete: Eroe greco che uccise il troiano Paride con una pioggia di frecce.

Tunica di Nasso: secondo il mito greco, era la tunica avvelenata che causò la morte di Eracle tra agonie ed atroci tormenti.

Himation: Componente del vestiario dell'Antica Grecia, era indossato come cappotto sopra una spalla, tendenzialmente sopra al chitone (tunica).

Mersey: Fiume che attraversa Liverpool, città in cui George e Lucy si trovano.

"Mou zoí" (greco): Letteralmente "La mia vita", ma in questo caso "Vita mia".

Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! (Eneide, Libro IV): Spietato amore, a quali mortali peccati non costringi!

Sparta è stata ricostruita nel 1834, tre anni dopo la fine dei conflitti per l'Indipendenza dai Turchi Ottomani -che George ha vissuto-.


Questa storiella è un estratto della prima versione di “Sic Volvere Parcas”, storia a capitoli che sto pubblicando da circa tre settimane.

Dalla prima versione a quella che sto pubblicando passano un'immane quantità di differenze -sebbene alcuni passaggi e frasi siano rimasti, come per esempio alcuni pezzi di questo capitolo, che potreste ritrovare, uguali o magari un poco rivisti, anche in Sic Volvere Parcas- ma questo capitolo mi era davvero molto caro, e ho deciso di pubblicarlo comunque, nonostante tutto.

E' un momento a parte, che si può tranquillamente leggere senza conoscere la storia -che comunque potete trovare nella stessa sezione, se vi va di farci un salto ;)- ma ci tengo particolarmente, così...eccolo qua ;)

Spero che vi siano piaciuti i personaggi, come li ho raccontati cercando di farli “raccontare” da soli, i loro caratteri, tutte le stranezze che passano per la testa a questi due anticonformisti che cadono nel più dolce dei luoghi comuni...insomma, spero che l'abbiate trovata originale, divertente, simpatica come avrei voluto fosse, che vi sia piaciuta almeno un pochino ;)

Mi farebbe molto piacere leggere un vostro parere, quantomeno per far contenti quei due testoni di George e Lucy ;)

Grazie per essere arrivati fino a qua ;)

Marty

  
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