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Autore: Wendigo    14/04/2011    5 recensioni
Era notte. Tutti dormivano, eccetto una persona che, non riuscendo a prendere sonno, si alzò dal letto e si diresse verso la cucina. Durante il tragitto, notò però una debole luce provenire dallo studio: pensò che suo padre avesse nuovamente lasciato acceso il camino, ma, aperta la porta, notò un uomo seduto sulla poltrona. Che non era poi suo padre.
"Entra pure, non essere timido". Incoraggiò l'uomo seduto sulla poltrona. Teneva in mano un piccolo libro che, da come era stato posto il segnalibro, aveva appena iniziato a leggere. "Che ne dici se ti racconto una bella storia?".
La persona si guardò attorno, sospettoso. Si domandava chi fosse quell'individuo ma, dato l'aspetto innocuo, decise di assecondarlo e in pochi secondi era già seduto di fronte a lui. "Chi sei?". Domandò comunque alla fine...
"Chi sono? Se proprio ci tieni te lo dirò dopo averti raccontato qualcosa", si fermò un secondo, "Ti piacciono le storie dell'orrore?".
La persona si chiese perché fosse così ossessionato a raccontarle delle storie ma, non vedendoci niente di male, accennò un "sì" con la testa. L'uomo aprì allora il libro, da cui iniziarono ad uscire fumi neri e voci. "Bene iniziamo".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una città presso Cagliari, esisteva un negozio temuto da tutti i cittadini del luogo per via delle numerose leggende sul suo conto: chi ci credeva,  aveva persino tentato un’azione legale per toglierselo dai piedi, mentre chi pensava che fossero solo storielle per spaventare i bambini cattivi, faceva finta che non esistesse neppure un negozio simile. Ad ogni modo, nessuno aveva più messo piede lì dentro dopo il fatto del 42 di Rosa Croce.
Questa era stata la prima e ultima cliente. La prima perché, a quei tempi, il negozio era stato appena aperto; l’ultima perché il giorno seguente scomparì. Tutti senza nemmeno rimuginarci sopra allungo diedero la colpa al proprietario del negozio. Il quale si era salvato dall’intervento della polizia e dal carcere, grazie a un documento dove la signora Rosa aveva testimoniato di essere al corrente del pericolo dei suoi giochi.
La storia, sfortunatamente, ha il brutto vizio di ripetersi nel corso del tempo. Questa parla di un normale ragazzo di nome Giovanni, per i suoi amici Gianni. Contrariamente a loro, non credeva affatto a qualcosa che non potesse spiegare scientificamente o che non avesse mai visto. Una sorta di San Tommaso, o forse più scettico.
Un giorno come gli altri, mentre discuteva con alcuni dei suoi coetanei, saltò in ballo per l’ennesima volta il negozio “Stige”. Nessuno aveva il coraggio però di entrare nei dettagli in un tema come quello, eccetto lui, il nostro ragazzo che, come al solito, accusò tutti di codardia, non avendo neppure il coraggio di parlarne.
Una parola troppo grossa era stata usata; l’effetto: una scommessa: tutti sarebbero dovuti andare lì per dimostrare il contrario, ma Gianni avrebbe dovuto fare di più, avendo difatti lui accusato tutti di essere dei fifoni: entrare dentro e infine comprare un cosa qualunque.
La sfida venne accettata. L’ora prefissata. E il luogo d’incontro scelto. C’erano tutti. Nessuno mancava all’appello. “Bene” pensò Giovanni “almeno non sono proprio dei polli, come credevo”.
Aspettarono che il negozio venisse aperto. Pure l’orario, a dir la verità, aveva contribuito molto ad allargare la convinzione su quelle leggende: chi mai aprirebbe il suo negozio di giocattoli alle nove di sera? Posso capire un pub o un nightclub.
Finalmente videro la luce accendersi e una mano che girava il cartello esponendo la parte su cui c’era scritto “Aperto” all’esterno. Iniziarono a muoversi verso quella direzione: fino ad ora tutto tranquillo. Inutile dirlo che Gianni iniziò come a vantarsi di quella piccola vittoria: difatti si diceva in giro che, chiunque si fosse avvicinato al negozio, si sarebbe ucciso con le proprie mani. Peccato però che loro fossero ancora tutti vivi e vegeti.
Ciò diede più coraggio ai ragazzi di quel gruppo, sebbene ci fosse sempre qualche d’uno ancora titubante a continuare l’impresa; tuttavia questi preferivano rischiare anziché sentirsi poi dietro le spalle - Pollo! -. Potete capire che ci andava di mezzo il loro orgoglio.
Arrivarono davanti alla porta. Ebbero tutti dei brividi, eccetto Giovanni che era sempre guidato dal suo scetticismo, per  via dell’iscrizione di un altro cartello, appena sotto a quello del “aperto”. - Se volete morire, siete i benvenuti -. A quel punto alcuni proposero di tornare indietro, essendo ancora in tempo di poterlo fare.
- Lo fa solo per spaventarci, non abbiate paura - disse Gianni per poi continuare - ma non vi costringerò ad entrare. Se volete, potete tornare a casa, polli -. La paura svanì all’improvviso: tutti si diedero una calmata. Il nostro protagonista sapeva essere proprio persuadente quando lo voleva.
Aprirono la porta: all’interno non sembrava per niente inquietante o anche lontanamente strano, ma solo un normale negozio di giochi per bambini. C’erano bambole, di cui una su cui era inciso il nome Sorry, pupazzi, statuine e infine giochi da tavolo.
Il cuore di ciascuno per poco non volò via per la bocca, quando il proprietario dello “Stige” non comparì all’improvviso e con un tono, non per niente adatto a uno di quella professione (troppo autoritaria), chiese - Che cosa volete, mocciosi? -.
Nessuno rispose. Ciò mise ancore più rabbia a quella persona - Comprare un gioco da tavolo - disse infine Giovanni, indicandone uno proprio vicino a lui. L’uomo andò a prenderlo, ci passò sopra la sua mano per togliere la polvere che in tutti quegli anni si era accumulata, e la diede al ragazzo. - Fanno 13 euro, moccioso -. Il ragazzo pagò.
Stavano già per uscire tutti in fretta e furia, quando sempre il proprietario non li fermò, mettendo davanti a loro dei fogli, delle liberatorie dove lo avrebbero esonerato da qualunque danno causato dai suoi giochi. Non permise a nessuno di uscire se non avesse prima filmato quel documento. Gianni fu il primo a farlo e ad uscire da lì e, alla fine, anche gli altri.
Decisero di voler vedere cosa si trattava: era una scatola di color nero con inciso di bianco sopra il nome del gioco, Tabù. Nel momento in cui pronunciarono quella parola, il lampione più vicino a loro si spense. La paura generale aumentò.
Cominciarono dunque ad allontanarsi da lì. Andarono verso la casa di un loro amico, dove i genitori, solo per quella serata, sarebbero stati fuori fino all’alba. Si misero nel salotto e aprirono la scatola nera: dentro c’erano solo dei bigliettini, in tutto sette, lo stesso numero dei ragazzi.
Gianni prese le istruzioni e cominciò a citarli ad alta voce - Regola numero uno: ognuno prende un biglietto e senza farlo vedere a un altro giocatore dovrà leggere la parola in alto. Regola numero due: ognuno dovrà far indovinare ad almeno un giocatore tale parola senza usare le parole scritte sotto. Pena: la morte. Come la morte? -.
Si guardarono fra di loro. Alcuni sembrava dire “siamo ancora in tempo”. - Regola numero tre: ognuno, a partire dal più grande d’età, avrà mezz’ora di tempo per far indovinare la propria parola. Se si fallisce la pena è comunque la morte. Regola numero cinque: vince chi sopravvive al proprio turno -. Giovanni smise di leggere - Tutto qui. Adesso possiamo iniziare -.
Continua…
 
Un po’ di suspense farà bene a tutti. Mi dispiace che l’ho dovuto dividerlo in due parti ma sarebbe uscito troppo lungo. Ad ogni modo vi avviso che il capitolo Il Lupo di Nebida è stato cancellato perché, come mi ha fatto notare Hellister, l’avevo come preso da un video che avevo bensì visto ma che non me lo ricordavo più. Le mie storie devono essere almeno del 90% originali, questa è la mia condizione. Un grazie a chi mi ha recensito: Hellister, LadyGuns56 e Little Aleph Un grazie a chi ha messo la mia storia tra i seguiti: Gnesina, LadyGuns56, NY_Nicki
   
 
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