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Autore: Nikkina Cullen    14/04/2011    1 recensioni
e se una famiglia come i Cullen vivesse vicino casa vostra?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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  Ritornare a casa fu dura. Non avevo ancora capito in pieno quanto la mia voglia di stare ancora con la famiglia di Gabriele fosse profonda, ma la capii quando fui sulla soglia di casa e dovetti salutare il mio accompagnatore. "Buona cena" mi disse prima di salutarci io gli risposi grazie e con rammarico mi sentii da sola mentre aprivo il pomello della porta di casa mia e una volata di capelli mi annunciava la sua separazione da me.
I miei genitori erano già a tavola. Mia madre era con il cellulare in mano. Mi stava per chiamare ma i rumori della porta l'avevano fermata.
Mi venne incontro abbracciandomi era ansiosa, mio padre affamato e indifferente all'ansia di mia madre che probabilmente aveva cercato di calmare in mia assenza.
"Hai visto che sta bene! Che ti avevo detto?" le disse lui mentre lei ancora mi abbracciava portandomi al tavolo della cucina.
Mi sedetti anche se non avevo fame. Avevo mangiato due fette della torta di Cris squisita, anche se lei diceva che la mia fosse solo educazione e per confermarle vere le mie parole avevo mangiato un'altra fetta.
Quello era bastato a riempirmi lo stomaco.
Uno stomaco non proprio di ferro dopo la storia che avevo sentito. Sapevo che May non l'aveva raccontata per farmi spaventare ma un conto era leggere la guerra sui libri di scuola e un altro conto era sentirla da chi l'aveva vissuta. E i superstiti che raccontavano di quelle guerre erano uomini o donne rugose che prestavano la loro testimonianza a emittenti televisive per un reportage completo. Non avevano una pelle levigata come la pietra, bianca e splendente e occhiaie sotto gli occhi.
"Dove sei stata tutto il pomeriggio?" non era un interrogatorio. Mio padre doveva aver raccontato a mia madre dell'episodio sui compiti che le mie compagne mi avevano portato. Quando stavo male da piccola se ne occupava lei di chiamare una mamma di un mio compagno di classe per chiedere queste informazioni. Alle superiori avevo pregato di non farlo più ed ero io stessa che il giorno dopo al rientro a scuola dalla mia convalescenza, cercavo quelle informazioni dalla mia vicina di banco. Era senza alcun dubbio una novità che due mie coetanee erano venute apposta a casa per farmi quel favore.
La risposta che diede non fui quella che si aspettavano.
"Sono stata dai Marini."
Mio padre mi guardò circospetto, mia madre dubbiosa.
"Come mai?"
"Beh la signora voleva vedere se stavo bene, si era preoccupata per me dopo l'episodio di ieri e quindi sono passata da casa loro per tranquillizzarla."
"Che persona premurosa e gentile a preoccuparsi di te!"fu la risposta materna di mia madre, accarezzandomi il volto. Mio padre non disse niente, continuò a mangiare gli spaghetti nel piatto prima che il sugo li raffreddasse. Notai però che non fu tranquillo sulla mia risposta.
"Ieri hai corso proprio un brutto rischio, se non ci fosse stato lui … non voglio nemmeno pensarci. Hai fatto bene ad essere cosi educata da ringraziarli personalmente  dell'aiuto che ti hanno dato. Credo che io ero troppo sconvolta dalla notizia e sinceramente non ricordo se ho detto grazie alla signora Marini o al figlio!" continuò a dire mia madre, velando le parole del dubbio di cui si era impossessa.
"Non ti preoccupare mamma, credo di averli ringraziati io per tutti noi."
Cercai di tranquillizzarla.
E non sapevano quanto la nostra cittadina doveva a quei Marini. Quanto li doveva ringraziare sinceramente per come tenevano al sicuro il nostro paese da esseri che non avevano nulla a che fare con animali feroci come orsi.
Io naturalmente fui l'ultima persona ad aver visto orsi nel bosco vicino al paese. Il mio compagno non era una persona, quindi non potevo catalogarla come tale. Anche se agli occhi delle altre persone eravamo in due gli ultimi essere umani che avevano visto quell'orso che girovagava nel bosco.  Dopo ciò che era accaduto a me, da nessuno come turisti o avventurieri senti più  nominare le parole orsi nel bosco. Ciò accade perché non c'erano mai stati veri orsi nel bosco e quindi nemmeno se ne trovarono per davvero. Quindi gli avventurieri che speravano in qualche colpo di fortuna ne furono delusi tanto che dopo qualche settimana, iniziarono a spargere la voce nel nostro paese che le acque si erano calmate. Quando quelle voci iniziarono a spargersi io sapevo che dicevano il vero. Sapevo che l'orso era sparito dal bosco. Sapevo anche che forse un vero e proprio orso non c'era mai stato nel bosco. Come sapevo che le voci sui Marini non erano vere. Sapevo chi erano veramente, ma sapevo anche che loro facevano di tutto per non essere parte di quella loro natura spietata che li voleva mostri. Mostri come quello che girovaga nel bosco e aveva ucciso delle persone. Ma loro con il mio aiuto in quella occasione, cercavano di scacciare quel mostruoso pericolo che incombeva su tutta la cittadina.
Sapevo che non era la prima volta che accadeva una cosa del genere e sapevo anche che loro se ne erano occupati per me e per tutto il resto degli essere umani nelle loro vicinanze.
Mi pesavano maggiormente i pettegolezzi nei loro riguardi perché benché sapevo fossero in parte spinti da una paura razionale alla loro presenza, sapevo anche che quella paura nei loro riguardi era irrilevante, ma non pensavo sarebbe bastata a loro per farli passare per buoni. Restavano solo i cattivi davanti agli occhi di chi non avrebbe capito,  di chi non avrebbe voluto capire. La paura spinge a mosse veramente incomprensibili. E specialmente genera sentimenti come odio e invidia verso chi provoca insicurezza.
Alle persone non piace sentirsi insicure specie sulle loro convinzioni anche se in realtà non sono vere per loro lo sono e basta.
La mia vita era cambiata. Io ero cambiata.
Nuove certezze si insinuavano in me. Certezze che portavano dentro di loro altre domande. Domande e risposte di un mondo di cui non avrei dovuto sapere la conoscenza, ma io oramai ero parte di quel mondo e mi ero impegnata nel momento in cui ne ero entrata a mantenere il segreto.
Le loro storie sembravano simili una all'altra. Un morso dal loro simile ed erano diventati quello che erano.
Cris mi raccontò la sua storia.
"Ero una bella ragazza degli inizi del secolo del novecento. Bruna e con gli occhi scuri. Alta e magra. Aspettavo il mio principe azzurro che mi portava via dal luogo isolato della mia campagna e mi facesse scoprire il mondo. Mio padre era un coltivatore. Mia madre si prendeva cure dei pezzi di terra con lui. Eravamo benestanti. Io molto presto mi sarei dovuta sposare con un loro amico di famiglia. Ai miei tempi i matrimonio erano ancora combinati specie della menti chiuse come mio padre che non accettavano la donna come essere uguale a loro ma come strumento nelle mani loro capace di creare un futuro migliore alla sua famiglia. Il suo amico era un uomo di alta società. Io gli piacevo molto ma lui per me era solo un amico di famiglia. Io sognavo ancora il principe non avendo capito che il mio principe era lui. Credevo di poter scegliere, di poter dire di no. Quando pronuncia quella parola mi resi conto solo dopo di non poterla dire. Mio padre si infuriò e mi caccio di casa. Io mi ritrovai persa e da sola con me stessa ma libera. Assorbivo la libertà che mi ero concessa disobbedendo a quell'uomo che non voleva accettare il mio futuro.  Non avevo il cavallo bianco che mi era venuta a prendere da quel luogo sperduto. Qualcosa era andata a male. Ero io stessa a cavalcare un cavallo scuro, come me, che mi portava lontano da quella terra che non avrei mai più rivisto. - i suoi occhi dorati si erano accessi mentre raccontava quegli eventi - lui mi salvò. Era un nomade. Io stavo per essere assalita da delle guardie ubriache. Dicevano di volermi dare una mano, ma io sapevo cosa volevano veramente da me. La loro malizia e le loro risate fra di loro mi spaventavano moltissimo. Essere donna ai miei tempi era difficilissimo ed essere sola lo era ancora di più. Io non conoscevo la mia vera condizione chiusa nelle mura della mia campagna. Non avevo capito di aver peggiorato la mia condizione quando avevo scelto il mio futuro e non ero sottostata alla scelta della mia famiglia. Ma lo capii quando mi ritrovai inerme davanti a quegli uomini. Sentii la mia libertà sgretolarmi sotto le mani.
Essere pestata dai piedi di quei delinquenti.
Ero sola. Potevo urlare quanto potevo ma nessuno sarebbe venuto a salvarmi. Avevo il terrore negli occhi mentre la mia vita stava per finire. Poi una luce bianca mi accecò. Chiusi gli occhi. Quando gli riaprii avevo la sensazione di volare. Mi chiedevo se fossi morta. Il freddo si era preso possesso di me. Ma non era il mio corpo. Era il corpo dell'uomo che mi portava in braccio a se. Non avevo il coraggio di chiedere cosa stava succedendo. Avevo paura. Non ne capivo il senso. Avevo paura di qualcuno che mi aveva salvato?
Mi portò nel suo rifugio. Era sazio. Aveva fatto di tutto per nutrirsi di quegli uomini pur di non farmi del male a me. Per me aveva tutto un altro destino. Ricordo solo che qualcosa affilata come una lama, mi tagliò il collo. Urlavo. Non capivo cosa stava succedendo. Il dolore aumentava invece di diminuire ed era lento maledettamente lento. Dopo circa tre giorni aprii gli occhi il dolore era passato. Io mi sentivo diversa. l'essere era ancora affianco a me e mi spiegò cosa ero diventata e chi era lui. Mentre ero umana non poteva dirmi niente. Doveva mantenere il segreto oppure avrebbe dovuto uccidermi. Era uno che prendeva molto sul serio le leggi dei nostri simili. Sapeva che un passo falso gli sarebbe stato fatale. E lui era troppo orgoglioso della sua esistenza per poter anche solo pensare di fare qualcosa che la potesse mettere fine.
Restò con me giusto il tempo di spiegarmi le cose come andava fatte poi se ne andò per la sua strada, lasciandomi sola. Io avevo sperato fino all'ultimo che qualcosa lo facesse stare con me ma non  andò come speravo. Senza il mio creatore non aveva senso la mia nuova vita. Mi aveva parlato dei Volturi come i nostri protettori e giustizieri. Mi stavo recando da loro quando incrociai Andrea nel mio cammino. Lui veniva da loro e io ci stavo andando per due motivi completamente opposti. Entrambi però eravamo stanchi di uccidere quelli che una volta eravamo stati noi. Andrea mi parlò di Carlisle. In me si accese una speranza. Potevo essere diversa da quella che ero. Non era vero quello che aveva detto il mio creatore. Le cose non dovevano andare per forza in  quel modo. Sostenendoci l'un l'altra con Andrea, iniziammo ad inseguire quello stile di vita. All'inizio fu difficile. Come ogni sacrificio, richiedeva costanza. Ma con il passare del tempo le cose iniziarono ad andare meglio. Per chi non ha mai assaggiato sangue umano è diverso, come Roby ad esempio per lui è più facile sopprimere tutto perché non conosce il peso della sua sofferenza in pieno. Per noi fu un altro paio di maniche. Ma insieme siamo riusciti a sopportare quel sacrificio e ad avere molto di più in cambio, come la  nostra famiglia. Durante le guerre ci siamo impegnati nel sociale, salvando le vite che credevano gli umani essere morte. Noi ci siamo mai permessi a salvare qualcuno di loro a renderlo come noi, perché non sapevamo quanto fosse giusto rendere un essere umano uno di noi, anche se il destino che gli toccava era la morte. Quando incontrammo May cambiammo la nostra opinione. Inizialmente però non avevamo nessuna intenzione di infliggere la nostra natura ad una ragazza cosi graziosa rispettosa ed educata specie nei nostri riguardi. May non aveva paura di noi, come il resto degli essere umani che ci circondavano. Aveva una visione del mondo tutta sua, molto particolare. Lei era particolarmente insofferente a quelle distinzioni sociali che io avevo vissuto da privilegiata. Lei era una cameriera quasi una schiava, in un periodo in cui quel termine stava affievolendo. Fu in cerca di lavoro quando venne a bussare alla nostra porta. Io ne restai basita. Credimi, nessun essere umano aveva osato tanto ma la sua disperazione la determinava molto. Io accettai molto volentieri anche se le differenze sulla nostra natura e la sua iniziarono ad essere palesi. Noi non mangiavamo in casa. Per lei eravamo in qualche ristorante di lusso a cenare, anche se sotto sapeva che non era la verità. Noi non eravamo molto favorevoli alla vita mondana e in città se potevano ci stavano lontani. Anche a May iniziarono a trattare come noi nonostante lei era come loro. May non se ne lamentava le piace il lavoro che svolgeva presso di noi. All'epoca ebbi l'idea di ricostruire la fattoria da cui ero scappata quando ero ancora umana. Questo ci dava dei vantaggi a me e Andrea, gli animali venivano spesso da noi perché volevano attaccare il nostro raccolto. Successero due cose contemporaneamente. May ci vidi una sera cacciare e ne restò traumatizzata. Io non potevo raggiungerla presa come ero dalla caccia le avrei fatto del male e la lascia scappare cosi fece Andrea. Qualche settimana dopo ci arrivò una chiamata dall'ospedale: May stava morendo. Era stata investita da una macchina. Le sue condizioni erano gravi e non aveva altro che noi da chiamare per chiedere aiuto. Voleva essere salvata, ma da noi. Sapeva chi eravamo. Non aveva detto niente a nessuno per proteggerci. Voleva essere come noi. Andrea esaudì il suo desiderio e da quel momento lei ha sempre fatto parte della nostra famiglia. Ci seguiva ovunque andavamo e noi eravamo lieti di avere la sua presenza cosi come accade tutto ora."
Una voce leggera e sinuosa interrupe il racconto di Cris.
"Stavo morendo, lo sentivo, giorno dopo giorno, notte dopo notte, nessuno mi avrebbe dato una mano per sollevarmi da quella agonia. Nessun essere umano. Conoscevo la mente dei miei simili, se non avevi credibilità nel loro giro non eri nessuno. Io ero solo una cameriera perché sprecare tempo con me? Avevo ancora quelle immagini nella testa che mi terrorizzavano ma loro a me non mi avevano mai fatto del male, quando avevano gli occhi neri cercavano di starmi il più lontano possibile. Sapevo che loro mi avrebbero salvato, a modo loro certo, ma se non mi avevano mai fatto dal male, non doveva essere un modo brutto di vivere. Per questo mi decisi a chiamarli. E quella chiamata ha cambiato totalmente la mia vita ma mi ha salvato, come volevo."
Le sue parole mi sembravano cosi ovvie anche se strane dette da lei. Aveva rinunciato a morire per esistere per sempre. In un modo però tutto diverso da come avevano iniziato Cris e Andrea. La speranza perpetua nei suoi occhi proveniva da questo. Ora la potevo comprendere. Man mano che le loro storie mi si snodavano davanti agli occhi potevo capirne la sofferenza della loro natura ma anche la speranza. La sofferenza e la speranza in un mondo cosi diverso dal mio ma in un certo senso simile per molti aspetti. Il loro mondo quanto meno. Il mondo degli occhi dorati. Quali segreti racchiudeva il mio mondo? Il mondo che non avevo ancora conosciuto ma dal quale provenivo. Sapevo che non ero solo umana e volevo conoscere quella parte di me che mi mancava proprio come la conoscevano Cris e May.
 
 
 

   
 
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