Film > The Phantom of the Opera
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Autore: kenjina    15/04/2011    2 recensioni
[Dal prologo] Quanto tempo era passato da quel giorno? Non lo ricordava, ma sentiva che era troppo poco, insufficiente per sbiadire il dolore che ancora provava forte e vivido, ogni istante, come se fosse accaduto solo pochi attimi prima. [...] Ma perché rimaneva ancora così attaccato alla vita? Aveva per caso qualche ragione per cui valesse la pena continuare a nascondersi per tenersi stretta l’unica cosa che odiava con tutto se stesso? I fantasmi continuano a vagare per il mondo dei vivi finché non risolvono le loro questioni in sospeso... Forse anche lui ne aveva una? Non lo sapeva, non voleva saperlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonjour

La Vita Nova.

 

Capitolo XVIII

 

 

Phénix pensò che non fosse umano piangere tante lacrime. Nemmeno credeva di averne così tante in corpo. Si strinse le gambe al petto e un brivido di freddo la fece tremare. Era chiusa in un vecchio e piccolo magazzino nel ventre di Parigi, un tempo la sua camera che divideva con altre zingare. Ma ora era sola, a piangersi addosso e a maledire chiunque le avesse affibbiato quella vita schifosa in cui era imprigionata. Era ben consapevole che prima o poi Lucas sarebbe ricomparso, soprattutto dopo quello che era successo qualche anno prima, ma non avrebbe mai immaginato che potesse accadere in quel modo; non avrebbe mai immaginato che Erik le avesse potuto mentire su una verità così importante per lei. Si era fidata ciecamente di lui, non le aveva mai dato un’occasione per pensare il contrario; eppure l’aveva ingannata, aveva abilmente nascosto il suo passato e toccato raramente quel tasto dolente per evitare di lasciarsi sfuggire qualsiasi cosa potesse compromettere la sua menzogna.

Claire Louise Giry aveva sempre detto che lei fosse una maledettissima curiosa, con il vizio di ascoltare i discorsi altrui. Ma aveva fatto bene quella notte ad alzarsi dal suo letto per sentire il discorso tra la donna e Rosette sul suo stato di salute. Anche su quello le avevano mentito. Quando poi la domestica aveva nominato il Monsieur la curiosità era diventata irrefrenabile e non aveva impiegato molto a collegare tutti i pezzi di un puzzle che improvvisamente si erano fatti chiarissimi ai suoi occhi. Il suo volto deturpato era lo stesso di quel bambino di nove anni che aveva ucciso il padre di Lucas; quello stesso omicidio che aveva causato la pena di morte ai suoi innocenti genitori. Ancora stentava a crederci.

Possibile che tutto quello che avevano condiviso insieme fosse solo una bugia? Che fosse solo un meschino metodo per rabbonirla in vista della scoperta della verità? Un modo come un altro per rinfacciarle tutto l’aiuto che le aveva dato in cambio del suo perdono? No, non l’avrebbe mai perdonato. Mai.

Un rumore di passi affrettati le fece alzare il capo dalle ginocchia e rimase in attesa di sentire altro. Anche il piccolo Dante si svegliò dal suo sonnellino, drizzando le orecchie in ascolto. Forse Lucas era tornato per scambiare due parole dopo tutto quel tempo?

Non sentì altro, se non il ticchettio di qualche goccia che scivolava giù dalle pareti umide. Phénix si asciugò gli occhi con i palmi delle mani e si alzò silenziosa, aiutata anche dal fatto che fosse scalza contro la pietra fredda del pavimento. Scostò la logora tenda che fungeva da porta e guardò il lungo corridoio buio e fresco di uno dei tanti sotterranei che faceva parte del sistema fognario parigino. Nessuno, non c’era anima viva.

O quasi.

«Ma-mademoiselle...», sussurrò una voce alquanto spaventata.

Phénix si voltò di scatto verso la provenienza del suono e strinse gli occhi verdi, ancora velati dalle lacrime. Decisamente quello non era né Lucas né qualcun altro della sua compagnia, dato che nessuno si sarebbe rivolto a lei con quel tono cordiale, seppur tremolante.

«Chi è là?», chiese in un bisbiglio, continuando a controllarsi intorno per avvistare qualsiasi pericolo.

«Sono qui, mademoiselle Rembrant.»

Phénix guardò alla sua sinistra, verso un cunicolo buio, stretto e puzzolente in cui riuscì ad intravedere la sagoma di un uomo. «Faucon! Che ci fate qui?», chiese precipitosa, raggiungendolo e spingendolo ancora più nel buio. «Qualcuno potrebbe trovarvi.»

Jacques Faucon non era mai stato un uomo molto coraggioso, ma aveva in comune con la zingara un’incredibile curiosità. Già da quando aveva letto sul giornale la notizia di quel duplice omicidio si era incuriosito alla faccenda; quando poi si era messo in testa che la zingara dai capelli rossi potesse essere la Sophie ospite da Madame Giry niente l’aveva fermato dal continuare ad indagare per conto suo. Quella sera stava andando a trovare la giovane per assicurarsi che stesse prendendo le medicine che le aveva prescritto, ma quando l’aveva vista insieme a quell’uomo poco raccomandabile il cuore gli era balzato in gola per l’adrenalina. Aveva ragione, era lei la zingara! Non ci aveva pensato su troppo quando aveva deciso di seguirli per capire cosa stesse succedendo. E ora si trovava lì, invischiato in un bel pasticcio per un uomo d’alta classe come lui e che si teneva ben lontano dai guai.

«Mademoiselle, volete spiegarmi che succede?», chiese con il suo solito tono saccente che tanto la mandava in bestia.

«Non sono fatti vostri. E ora andatevene.», tagliò corto lei. «Non voglio più vedervi qui, è chiaro?»

Faucon fece per ribattere ma i passi pesanti di qualcuno che si stava avvicinando lo zittirono immediatamente. Phénix lo spintonò via e senza fare rumore si poggiò contro il muro in pietra. Quando Lucas la vide incrociò le braccia al petto, avvicinandosi con circospezione.

«Stai ancora piangendo, mia piccola strega?», le chiese, fermandosi davanti a lei, pochi passi li separavano.

«Non ti interessa.» Voltò il viso da un’altra parte, ma lui la costrinse a guardarlo.

«Sì che mi interessa, Phénix. Sei la mia donna, io mi preoccupo per te.» Le accarezzò con gentilezza una guancia ancora bagnata dalle lacrime, che asciugò via subito. Phénix pensò che quell’uomo sarebbe potuto diventare veramente colui che avrebbe avuto al suo fianco per tutta la vita se solo non fosse cresciuto con tutto quel risentimento in corpo. Perché in fondo Lucas non era mai stato cattivo con lei, ma sapeva bene cosa significasse mettergli i bastoni tra le ruote. La nonna che ancora giaceva sopra il suo sangue era un ottimo esempio.

«Vieni, parliamo un po’ del nostro comune amico, così cerchiamo di studiare un modo per fargliela pagare.», le disse con un ghigno che secondo lui avrebbe dovuto rassicurarla. L’effetto che sortì, invece, fu quello di farla tremare. Perché, ora che ci pensava, l’idea di uccidere quell’uomo che le aveva mentito sulla cosa per lei più importante le sembrava solo una follia? Ora che conosceva l’identità del bambino che aveva cercato per più di venti anni non pensava che ucciderlo per vendicarsi sarebbe stata una mossa saggia. Anche perché, pur volendo, non ne avrebbe avuto la forza. Sì, Erik aveva taciuto, aveva capito e non aveva mai parlato, ma era anche un uomo che aveva patito troppe sofferenze per una vita sola, e lei... lei si era affezionata così tanto a lui che non sarebbe riuscita neanche a torcergli un capello. E la consapevolezza dell’esistenza di questo ascendente potente che Erik aveva su di lei la spaventava a morte, quasi quanto l’idea di saperlo morto.

Tuttavia fu costretta a seguire quell’uomo che detestava con tutte le sue forze e si appuntò mentalmente di stare attenta a quello che avrebbe detto. Non poteva rischiare di farsi sfuggire qualche particolare importante sul conto di Erik che avrebbe potuto metterlo in pericolo. Perché per quanto Erik fosse il Fantasma dell’Opera sapeva bene quanto Lucas si sarebbe intestardito pur di farla pagare all’uomo che aveva ucciso suo padre.

 

Erano giorni che non si muoveva da lì. Seduto davanti al suo organo, con lo sguardo vacuo e perso di chi non aveva altre ragioni per andare avanti, di chi non sapeva dove sbattere la testa per riprendere in mano la propria vita. Guardava i tasti ingialliti del maestoso strumento, ma non li vedeva. I suoi occhi erano appannati, le sue orecchie ovattate sentivano solo le grida di quella giovane a cui aveva spezzato il cuore...

Ti odio, Erik! Vai all’Inferno!, gli aveva gridato, con così tanto dolore che gli mancava il respiro al solo pensiero. Non aveva più forze, né fisiche né morali, non un unico motivo valido per andare avanti. Lei se n’era andata e non l’avrebbe voluto più vedere. Anzi, desiderava vederlo morto.

Ma lui era già morto.

Lui era un fantasma.

Si mise le mani tra i capelli spettinati e poggiò i gomiti sui tasti dell’organo, che lanciò un suono sordo e profondo che risuonò per tutta la grotta. Non era possibile, no... Era un incubo, un bruttissimo incubo. Perché non poteva credere che proprio nel momento in cui stava tutto andando alla perfezione la vita avesse voluto giocargli l’ennesimo scherzo. Aveva trovato qualcuno da proteggere, da amare, qualcuno per cui avrebbe fatto di tutto pur di renderlo felice... qualcuno che lo apprezzava per quello che realmente era.

Phénix...

Era talmente fuori dal mondo che non sentì neanche i leggeri passi di ballerina che si muovevano verso di lui, con cautela e timore.

«Erik...» Christine gli si avvicinò con le mani chiuse in un pugno per la rabbia e la tristezza. Non poteva sopportare di vederlo in quello stato, non dopo quello che già lei gli aveva fatto passare. «Erik... mi sentite?» Gli posò una mano sulla spalla, ma lui non si mosse. Non sembrava né sentirla né vederla. «Erik, per favore, reagite...» Lo scrollò lievemente e solo allora lui sembrò risvegliarsi da quello stato di shock in cui riversava da un paio di giorni.

Si voltò a guardarla con lentezza e Christine si coprì le labbra con le mani nel vedere quegli occhi così carichi di tristezza.

«Christine...», sussurrò con voce roca, di chi non parlava da tempo. «Cosa... Cosa fai qui?»

Lei represse un singhiozzo di commozione e gli accarezzò il braccio che poco prima aveva scosso. «Sono preoccupata per voi. Tutti lo siamo.»

Erik sembrò interessarsi solo allora della sua presenza. Aggrottò entrambe le sopracciglia. «Tutti?»

«Sì, io, Madame Giry, Meg... Claire mi ha raccontato tutto. Mi dispiace.» Christine si mordicchiò nervosamente il labbro quando lui abbassò lo sguardo e sorrise mestamente. Non aveva mai visto un sorriso più spento e finto di quello.

«Non essere in pena per me, angelo mio. Non ne vale la pena.»

«Oh, Erik! Non dite stupidaggini!», esclamò la ragazza, rossa in viso per la frustrazione. «È lei la Salvezza di cui mi parlaste tempo fa, vero?»

«Christine, torna dal tuo fidanzato. Non c’è niente che tu possa fare per me.»

«È lei, vero?», continuò imperterrita.

Erik sospirò profondamente, voltando lo sguardo verso l’acqua che brillava per effetto delle candele accese e consumate, ed annuì con lentezza.

«Allora andate a riprendervela.»

Lui la guardò con occhi stupiti per il tono duro e deciso che sembrava non appartenerle. Andare a riprenderla? Con quale diritto? «Non posso, io... non posso

«Per l’amor di Dio, non siete voi l’uomo che ha mandato a fuoco il suo stesso teatro per conquistare la donna che amava?», strillò Christine, ormai le lacrime che scendevano senza sosta lungo le guance arrossate. «Se è vero che è grazie a Soph... Phénix che avete ricominciato a vivere, se è vero che l’amate... allora dimostratelo.»

Lui scosse la testa, impercettibilmente. «Perché lo fai?»

Christine si lasciò andare ad un sorriso. «Perché vi voglio bene e se ci fosse qualcosa che potrei fare per vedervi felice non esiterei un attimo.»

Erik deglutì a fatica, ma non riuscì a dire niente, dato che qualcuno si stava avvicinando a gran fretta alla sua dimora. Scattò in piedi appena Claire sbucò trafelata e con uno sguardo terrorizzato che mai le aveva visto in viso.

«Claire...»

«Meg... Meg, l’hanno presa!»

Christine trattenne il fiato, gli occhi sbarrati per l’apprensione, mentre Erik, al suo fianco s’irrigidì di colpo. «Chi?»

«Lui, Lucas.», soffiò Louise, prima di accasciarsi sul pavimento di pietra, per un calo di pressione. Erik si precipitò a soccorrerla, prendendola in braccio e portandola sul suo letto. Christine, intanto, aveva raccolto in un contenitore un po’ di acqua e ci aveva bagnato un pezzo del suo abito, che aveva prontamente strappato.

Erik tornò con una fialetta di liquore, che usò per bagnarle le labbra e per farglielo annusare. Claire riprese coscienza solo una decina di minuti dopo, completamente sudata.

«Erik, non... non andare da lui.», sussurrò, preoccupata. «È una trappola, è solo un modo per prenderti.»

«Non mi interessa, Claire. So difendermi.»

Christine alzò lo sguardo su quell’uomo che aveva riacquistato in così poco tempo la sicurezza e l’autorità di cui andava fiero e tremò al pensiero dei suoi metodi difensivi.

«Erik, non capisci... Ti vuole morto, Faucon l’ha sentito.», continuò la donna.

«Chi?»

Christine la guardò senza capire. «Monsieur Faucon? Dove l’ha sentito? Come?»

«Li ha seguiti, qualche giorno fa e sa anche come tornare al loro accampamento.», spiegò la donna, prendendo un bel respiro e chiudendo gli occhi per un lieve giramento di testa. «Per questo ti dico di non andare, Erik. Raoul e i soldati si stanno già preparando per l’incursione, lascia fare a loro.»

«No.», fu la secca risposta dell’uomo, che non voleva sentire ragioni. «Tua figlia è in pericolo per causa mia, sempre e solo per questo. Non permetterò a Lucas né a nessun altro di farle del male.»

«Erik, per favore...»

«Claire Louise Giry, non voglio ripetermi. Ora ti riporto di sopra così ti farai medicare. Christine, tu seguimi.» Erik prese nuovamente in braccio la donna e si incamminò con una certa fretta e attenzione per i cunicoli dell’Opera, finché non sbucò nel camerino in cui si era mostrato, per la prima volta, alla sua musa.

«Erik, promettetemi che starete attento.», lo supplicò Christine, fermandolo prima che potesse sparire nuovamente.

Lui esitò qualche secondo, il cuore che gli batteva veloce più per l’adrenalina e la rabbia che per altro. Quella sarebbe stata l’occasione buona per far pagare anche al caro Lucas tutti gli anni di soprusi che aveva dovuto sopportare.

 

“Ehi, mostriciattolo!”, gridò un bambino dai capelli scuri e lasciati andare sopra le spalle, lo sguardo strafottente e un sorrisino cinico sulle labbra. “Che stai facendo con quell’arnese?”

L’altro bambino, smunto e col capo coperto da un sacco bucato in prossimità degli occhi, si strinse al petto il suo giocattolo preferito: una scimmietta con i cembali tutta consumata e sporca.

“Oh, stai pensando che persino quella scimmia è più bella di te?”, continuò a deriderlo quello, strappandogliela di mano e guardandola con disgusto. La lanciò lontano, tra le risate degli altri bambini.

“C’è solo un problema, mostriciattolo.”, gli disse, con un tono di voce più basso e serio. S’inchinò verso di lui, afferrando la stoffa del copricapo e tirandola via; il viso deturpato del bambino fece ridere ed esclamare tutti i presenti e fu lesto a coprirsi il viso con le mani sudice.

“È proprio questo il tuo problema. Tu non sarai mai bello. Tu sei un mostro.”

 

Erik strinse gli occhi a quel pensiero, ma tornò a guardare la ragazza spaventata di fronte a sé e sorrise mestamente. «Non posso prometterti niente, mon ange.»

Christine si lasciò cadere sul pavimento, non distogliendo lo sguardo dal grande specchio in cui Erik sparì subito dopo. Aveva paura, paura che non tornasse più, paura che proprio quando l’aveva visto splendere di una nuova gioia questa potesse spegnersi di colpo e farlo precipitare nuovamente nelle tenebre. Non poteva permetterlo... non se lo meritava.

«La salverà, me lo sento.», sussurrò Claire, sdraiata con un braccio sulla fronte.

«Non ne dubito, Madame.», fu la risposta della giovane cantante, che si strinse le gambe al petto come per cercare conforto. «È per la sua incolumità che mi preoccupo.»

 

 

Quando l’aveva vista raggomitolata contro le gambe in uno stanzino, dietro una grata arrugginita di ferro, per un attimo credette di esserselo sognato. Ma gli occhi di Meg, velati di lacrime, quel visino sempre pulito e sorridente ora smunto e pallido più del dovuto la riportarono alla realtà.

«Meg! Meg, mi dispiace!», esclamò Phénix, appendendosi alle sbarre e tendendole una mano che subito la ragazza strinse con forza. Era gelida.

La ballerina strinse le labbra, cercando di non singhiozzare, e la guardo con occhi supplicanti. «Sophie, portami via.»

La voce flebile più simile ad un lamento le strinsero il cuore, così come il fatto che l’avesse chiamata con il suo falso nome. «Te lo prometto, ti tirerò fuori di qui. Te lo prometto, Meg.»

La biondina chinò il capo e poggiò la fronte contro le sbarre, lasciandosi andare all’ennesimo pianto isterico che in quelle ultime ventiquattro ore l’aveva sfiancata.

Phénix strinse le mani contro il ferro umido e si sentì muovere da una rabbia che mai avrebbe pensato di provare dopo la delusione di Erik. Corse da Lucas, furibonda, e quando lo trovò intento a discutere con Faust, l’uomo che aveva ferito in un impeto di rabbia pochi mesi prima, e qualche altro suo compagno dall’aria poco raccomandabile.

«Tu, ti odio! Ti odio!», gridò, correndogli contro e scaricandogli una serie di pugni sul petto che su di lui ebbero l’effetto di carezze.

«Oh, non ne dubitavo, Phénix.», rispose lui divertito, con il solito ghigno malevolo stampato sulle labbra. «Hai trovato la tua amichetta?»

«Lascia stare Meg, mostro! Lei non c’entra niente!», continuò Phénix, mentre i suoi polsi venivano immediatamente bloccati dalle mani forti e ferme dell’uomo.

«Come mi hai chiamato?»

Phénix, gli occhi rossi per le lacrime, gli sputò in viso. «Mostro, mostro!»

Lucas strinse i denti per la stizza e lo schiaffo che le tirò sulla guancia ebbe il potere di farle perdere l’equilibrio, spedendola direttamente per terra. «Non. Osare. Mai. Più. Sono stato sufficientemente chiaro?»

La ragazza serrò i pugni, sbattendoli contro la pietra del pavimento. Perché Meg? Perché non l’aveva lasciata fuori da quella storia in cui non ci azzeccava niente? Maledetto il giorno in cui aveva incontrato Erik, maledetto!

Lucas la strattonò per un braccio e la costrinse a rialzarsi. «Si dia il caso, mia piccola strega dalla lingua lunga, che la graziosa biondina l’ho presa in prestito per qualche giorno. Se il nostro amico Erik si comporterà bene potrà tornare libera al pascolo, altrimenti... Beh, lascio a te l’immaginazione.»

«Sfiorala anche con il solo sguardo e giuro che ti uccido.»

Il silenzio tombale che era calato nell’intera stanza venne interrotto dallo scrosciare fragoroso delle risate dei presenti, Lucas compreso. «Grande prova di coraggio, tesoro. Ma non devi dimostrare niente a nessuno qui.», le disse duramente. «Ora tornatene da brava nel tuo buco, e non uscirne finché non te lo dico io.» Fece un cenno del capo a due uomini che, dopo aver annuito, le si avvicinarono per prenderla di peso ed allontanarla, tra le sue esclamazioni contrariate.

Lucas si passò una mano tra i capelli sporchi e lunghi e sbuffò con fare divertito. «Quanti grattacapi mi da, quella ragazzina insolente.»

Faust si poggiò contro il muro, incrociando le braccia. «Ancora non capisco perché ti ostini tanto ad averla.»

«Per principio, amico mio. Solo principio.» L’uomo strinse gli occhi, riportando alla mente ciò che si erano promessi qualche anno prima. «Sarebbe dovuta essere la mia compagna, per sempre. E sai benissimo quanto io odio che qualcuno non mantenga la parola data. Soprattutto se è una donna.»

Ed era vero, lui era un uomo di parola. Se faceva una promessa l’avrebbe mantenuta, su quello non si poteva discutere. E quando questo non avveniva da parte di terzi lui si arrabbiava, e anche tanto. Sarebbe potuto arrivare anche ad uccidere, per la sua contrarietà. Ma Phénix era una donna, aveva dei sani principi anche da quel punto di vista. Non le avrebbe fatto del male, così come non avrebbe sfiorato la ballerina bionda che aveva requisito la sera prima. Erano donne ed in quanto tali meritavano rispetto. Ma era anche ben consapevole dei suoi limiti di pazienza, quindi non avrebbe potuto escludere un prossimo momento di follia anche nei loro confronti. Lo schiaffo che aveva dato a Phénix solo pochi minuti prima era solo un assaggio.

 

 

 

Continua...

 

 

Più morta che altro dal caldo, vi saluto tutti! ;)

Marta.

   
 
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