La Vita Nova.
Capitolo XVIII
Phénix pensò che
non fosse umano piangere tante lacrime. Nemmeno credeva di averne così tante in
corpo. Si strinse le gambe al petto e un brivido di
freddo la fece tremare. Era chiusa in un vecchio e piccolo magazzino nel ventre
di Parigi, un tempo la sua camera che divideva con
altre zingare. Ma ora era sola, a piangersi addosso e
a maledire chiunque le avesse affibbiato quella vita schifosa in cui era
imprigionata. Era ben consapevole che prima o poi
Lucas sarebbe ricomparso, soprattutto dopo quello che era successo qualche anno
prima, ma non avrebbe mai immaginato che potesse accadere in quel modo; non
avrebbe mai immaginato che Erik le avesse potuto mentire su una verità così
importante per lei. Si era fidata ciecamente di lui, non le aveva mai dato
un’occasione per pensare il contrario; eppure l’aveva ingannata, aveva
abilmente nascosto il suo passato e toccato raramente quel tasto dolente per
evitare di lasciarsi sfuggire qualsiasi cosa potesse compromettere la sua
menzogna.
Claire Louise Giry
aveva sempre detto che lei fosse una maledettissima curiosa, con il vizio di
ascoltare i discorsi altrui. Ma aveva fatto bene
quella notte ad alzarsi dal suo letto per sentire il discorso tra la donna e
Rosette sul suo stato di salute. Anche su quello le avevano mentito. Quando poi
la domestica aveva nominato il Monsieur la curiosità era diventata irrefrenabile e non aveva
impiegato molto a collegare tutti i pezzi di un puzzle che improvvisamente si
erano fatti chiarissimi ai suoi occhi. Il suo volto deturpato era lo stesso di
quel bambino di nove anni che aveva ucciso il padre di Lucas; quello stesso
omicidio che aveva causato la pena di morte ai suoi innocenti genitori. Ancora
stentava a crederci.
Possibile che tutto
quello che avevano condiviso insieme fosse solo una bugia? Che fosse solo un
meschino metodo per rabbonirla in vista della scoperta della verità? Un modo
come un altro per rinfacciarle tutto l’aiuto che le aveva dato in cambio del
suo perdono? No, non l’avrebbe mai perdonato. Mai.
Un rumore di passi
affrettati le fece alzare il capo dalle ginocchia e rimase in attesa di sentire
altro. Anche il piccolo Dante si svegliò dal suo sonnellino, drizzando le
orecchie in ascolto. Forse Lucas era tornato per scambiare due parole dopo
tutto quel tempo?
Non sentì altro, se
non il ticchettio di qualche goccia che scivolava giù dalle pareti umide.
Phénix si asciugò gli occhi con i palmi delle mani e si alzò silenziosa,
aiutata anche dal fatto che fosse scalza contro la pietra fredda del pavimento.
Scostò la logora tenda che fungeva da porta e guardò il lungo corridoio buio e
fresco di uno dei tanti sotterranei che faceva parte del sistema fognario
parigino. Nessuno, non c’era anima viva.
O quasi.
«Ma-mademoiselle...», sussurrò una
voce alquanto spaventata.
Phénix si voltò di
scatto verso la provenienza del suono e strinse gli occhi verdi, ancora velati
dalle lacrime. Decisamente quello non era né Lucas né
qualcun altro della sua compagnia, dato che nessuno si sarebbe rivolto a lei
con quel tono cordiale, seppur tremolante.
«Chi è là?», chiese
in un bisbiglio, continuando a controllarsi intorno per avvistare qualsiasi
pericolo.
«Sono qui,
mademoiselle Rembrant.»
Phénix guardò alla
sua sinistra, verso un cunicolo buio, stretto e puzzolente in cui riuscì ad intravedere la sagoma di un uomo. «Faucon!
Che ci fate qui?», chiese precipitosa, raggiungendolo
e spingendolo ancora più nel buio. «Qualcuno potrebbe trovarvi.»
Jacques Faucon non
era mai stato un uomo molto coraggioso, ma aveva in comune con la zingara
un’incredibile curiosità. Già da quando aveva letto sul giornale la notizia di
quel duplice omicidio si era incuriosito alla
faccenda; quando poi si era messo in testa che la zingara dai capelli rossi
potesse essere
«Mademoiselle,
volete spiegarmi che succede?», chiese con il suo solito tono saccente che
tanto la mandava in bestia.
«Non
sono fatti vostri. E ora andatevene.», tagliò corto
lei. «Non voglio più vedervi qui, è chiaro?»
Faucon fece per
ribattere ma i passi pesanti di qualcuno che si stava avvicinando lo zittirono
immediatamente. Phénix lo spintonò via e senza fare
rumore si poggiò contro il muro in pietra. Quando Lucas la vide
incrociò le braccia al petto, avvicinandosi con circospezione.
«Stai ancora
piangendo, mia piccola strega?», le chiese, fermandosi davanti a lei, pochi
passi li separavano.
«Non ti interessa.» Voltò il viso da un’altra parte, ma lui la
costrinse a guardarlo.
«Sì che mi interessa, Phénix. Sei la mia donna, io mi preoccupo per
te.» Le accarezzò con gentilezza una guancia ancora
bagnata dalle lacrime, che asciugò via subito. Phénix pensò che quell’uomo
sarebbe potuto diventare veramente colui che avrebbe
avuto al suo fianco per tutta la vita se solo non fosse cresciuto con tutto
quel risentimento in corpo. Perché in fondo Lucas non era mai stato cattivo con
lei, ma sapeva bene cosa significasse mettergli i bastoni tra le ruote. La
nonna che ancora giaceva sopra il suo sangue era un ottimo esempio.
«Vieni, parliamo un
po’ del nostro comune amico, così cerchiamo di studiare un modo per fargliela
pagare.», le disse con un ghigno che secondo lui avrebbe dovuto rassicurarla.
L’effetto che sortì, invece, fu quello di farla tremare. Perché, ora che ci
pensava, l’idea di uccidere quell’uomo che le aveva mentito sulla cosa per lei
più importante le sembrava solo una follia? Ora che conosceva l’identità del
bambino che aveva cercato per più di venti anni non
pensava che ucciderlo per vendicarsi sarebbe stata una mossa saggia. Anche
perché, pur volendo, non ne avrebbe avuto la forza.
Sì, Erik aveva taciuto, aveva capito e non aveva mai parlato, ma era anche un
uomo che aveva patito troppe sofferenze per una vita sola, e
lei... lei si era affezionata così tanto a lui che non sarebbe riuscita neanche
a torcergli un capello. E la consapevolezza dell’esistenza di questo ascendente potente che Erik aveva su di lei la
spaventava a morte, quasi quanto l’idea di saperlo morto.
Tuttavia fu
costretta a seguire quell’uomo che detestava con tutte le sue forze e si
appuntò mentalmente di stare attenta a quello che avrebbe detto. Non poteva
rischiare di farsi sfuggire qualche particolare importante sul conto di Erik
che avrebbe potuto metterlo in pericolo. Perché per quanto Erik fosse il Fantasma
dell’Opera sapeva bene quanto Lucas si sarebbe
intestardito pur di farla pagare all’uomo che aveva ucciso suo padre.
Erano giorni che
non si muoveva da lì. Seduto davanti al suo organo, con lo sguardo vacuo e
perso di chi non aveva altre ragioni per andare avanti, di chi non sapeva dove
sbattere la testa per riprendere in mano la propria vita. Guardava i tasti
ingialliti del maestoso strumento, ma non li vedeva. I suoi occhi erano
appannati, le sue orecchie ovattate sentivano solo le grida di quella giovane a cui aveva spezzato il cuore...
Ti odio, Erik! Vai all’Inferno!,
gli aveva gridato, con così tanto dolore che gli mancava il respiro al solo
pensiero. Non aveva più forze, né fisiche né morali, non un unico motivo valido
per andare avanti. Lei se n’era andata e non l’avrebbe voluto più vedere. Anzi,
desiderava vederlo morto.
Ma
lui era già morto.
Lui era un fantasma.
Si mise le mani tra i capelli spettinati e poggiò i gomiti sui
tasti dell’organo, che lanciò un suono sordo e profondo che risuonò per tutta
la grotta. Non era possibile, no... Era un incubo, un
bruttissimo incubo. Perché non poteva credere che proprio nel momento in cui
stava tutto andando alla perfezione la vita avesse voluto giocargli l’ennesimo
scherzo. Aveva trovato qualcuno da proteggere, da amare, qualcuno per cui avrebbe fatto di tutto pur di renderlo
felice... qualcuno che lo apprezzava per quello che realmente era.
Phénix...
Era talmente fuori
dal mondo che non sentì neanche i leggeri passi di ballerina che si muovevano
verso di lui, con cautela e timore.
«Erik...» Christine gli si avvicinò con le mani chiuse in un
pugno per la rabbia e la tristezza. Non poteva sopportare di vederlo in quello
stato, non dopo quello che già lei gli aveva fatto
passare. «Erik... mi sentite?» Gli posò una mano sulla spalla, ma lui non si
mosse. Non sembrava né sentirla né vederla. «Erik, per favore, reagite...» Lo scrollò lievemente e solo allora lui sembrò
risvegliarsi da quello stato di shock in cui riversava da un paio di giorni.
Si voltò a guardarla
con lentezza e Christine si coprì le labbra con le
mani nel vedere quegli occhi così carichi di tristezza.
«Christine...», sussurrò con voce roca, di chi non parlava da tempo.
«Cosa... Cosa fai qui?»
Lei represse un
singhiozzo di commozione e gli accarezzò il braccio che poco prima aveva
scosso. «Sono preoccupata per voi. Tutti lo siamo.»
Erik sembrò
interessarsi solo allora della sua presenza. Aggrottò entrambe le sopracciglia.
«Tutti?»
«Sì, io, Madame Giry, Meg... Claire mi ha raccontato tutto. Mi dispiace.» Christine si mordicchiò nervosamente il
labbro quando lui abbassò lo sguardo e sorrise mestamente. Non aveva mai
visto un sorriso più spento e finto di quello.
«Non
essere in pena per me, angelo mio. Non ne vale la pena.»
«Oh,
Erik! Non dite stupidaggini!», esclamò la ragazza,
rossa in viso per la frustrazione. «È lei
«Christine,
torna dal tuo fidanzato. Non c’è niente che tu possa fare per me.»
«È lei, vero?»,
continuò imperterrita.
Erik sospirò profondamente,
voltando lo sguardo verso l’acqua che brillava per effetto delle candele accese
e consumate, ed annuì con lentezza.
«Allora andate a
riprendervela.»
Lui la guardò con
occhi stupiti per il tono duro e deciso che sembrava non appartenerle. Andare a
riprenderla? Con quale diritto? «Non posso, io... non posso.»
«Per l’amor di Dio,
non siete voi l’uomo che ha mandato a fuoco il suo stesso teatro per
conquistare la donna che amava?», strillò Christine,
ormai le lacrime che scendevano senza sosta lungo le guance arrossate. «Se è
vero che è grazie a Soph... Phénix che avete ricominciato a vivere, se è vero che l’amate... allora dimostratelo.»
Lui scosse la
testa, impercettibilmente. «Perché lo fai?»
Christine si lasciò
andare ad un sorriso. «Perché vi voglio bene e se ci
fosse qualcosa che potrei fare per vedervi felice non esiterei un attimo.»
Erik deglutì a
fatica, ma non riuscì a dire niente, dato che qualcuno
si stava avvicinando a gran fretta alla sua dimora. Scattò in piedi appena Claire
sbucò trafelata e con uno sguardo terrorizzato che mai le aveva visto in viso.
«Claire...»
«Meg... Meg, l’hanno presa!»
Christine trattenne
il fiato, gli occhi sbarrati per l’apprensione, mentre Erik, al suo fianco
s’irrigidì di colpo. «Chi?»
«Lui, Lucas.»,
soffiò Louise, prima di accasciarsi sul pavimento di pietra, per un calo di
pressione. Erik si precipitò a soccorrerla, prendendola in braccio e portandola
sul suo letto. Christine, intanto, aveva raccolto in un
contenitore un po’ di acqua e ci aveva bagnato un pezzo del suo abito,
che aveva prontamente strappato.
Erik tornò con una
fialetta di liquore, che usò per bagnarle le labbra e per farglielo annusare. Claire
riprese coscienza solo una decina di minuti dopo, completamente sudata.
«Erik, non... non andare da lui.», sussurrò, preoccupata. «È una
trappola, è solo un modo per prenderti.»
«Non mi interessa, Claire. So difendermi.»
Christine alzò lo
sguardo su quell’uomo che aveva riacquistato in così poco tempo la sicurezza e
l’autorità di cui andava fiero e tremò al pensiero dei suoi metodi difensivi.
«Erik, non capisci...
Ti vuole morto, Faucon l’ha sentito.», continuò la
donna.
«Chi?»
Christine la guardò
senza capire. «Monsieur Faucon? Dove l’ha sentito?
Come?»
«Li ha seguiti,
qualche giorno fa e sa anche come tornare al loro accampamento.», spiegò la
donna, prendendo un bel respiro e chiudendo gli occhi per un lieve giramento di
testa. «Per questo ti dico di non andare, Erik. Raoul
e i soldati si stanno già preparando per l’incursione, lascia fare a loro.»
«No.», fu la secca
risposta dell’uomo, che non voleva sentire ragioni. «Tua
figlia è in pericolo per causa mia,
sempre e solo per questo. Non permetterò a Lucas né a nessun altro di farle del
male.»
«Erik, per favore...»
«Claire
Louise Giry, non voglio ripetermi. Ora ti riporto di sopra così ti farai
medicare. Christine, tu seguimi.» Erik prese
nuovamente in braccio la donna e si incamminò con una
certa fretta e attenzione per i cunicoli dell’Opera, finché non sbucò nel
camerino in cui si era mostrato, per la prima volta, alla sua musa.
«Erik, promettetemi
che starete attento.», lo supplicò Christine, fermandolo prima che potesse
sparire nuovamente.
Lui esitò qualche
secondo, il cuore che gli batteva veloce più per l’adrenalina e la rabbia che
per altro. Quella sarebbe stata l’occasione buona per far pagare anche al caro
Lucas tutti gli anni di soprusi che aveva dovuto sopportare.
“Ehi, mostriciattolo!”, gridò un bambino dai capelli scuri e lasciati
andare sopra le spalle, lo sguardo strafottente e un sorrisino cinico sulle
labbra. “Che stai facendo con quell’arnese?”
L’altro bambino, smunto e col capo coperto da un sacco bucato in
prossimità degli occhi, si strinse al petto il suo giocattolo preferito: una
scimmietta con i cembali tutta consumata e sporca.
“Oh, stai pensando che persino quella scimmia è più bella di te?”,
continuò a deriderlo quello, strappandogliela di mano e guardandola con
disgusto. La lanciò lontano, tra le risate degli altri bambini.
“C’è solo un problema, mostriciattolo.”, gli disse, con un tono di
voce più basso e serio. S’inchinò verso di lui, afferrando la stoffa del
copricapo e tirandola via; il viso deturpato del bambino fece ridere ed
esclamare tutti i presenti e fu lesto a coprirsi il viso con le mani sudice.
“È proprio questo il tuo problema. Tu non sarai mai bello. Tu sei un mostro.”
Erik strinse gli
occhi a quel pensiero, ma tornò a guardare la ragazza spaventata di fronte a sé
e sorrise mestamente. «Non posso prometterti niente, mon ange.»
Christine si lasciò
cadere sul pavimento, non distogliendo lo sguardo dal grande specchio in cui
Erik sparì subito dopo. Aveva paura, paura che non
tornasse più, paura che proprio quando l’aveva visto splendere di una nuova
gioia questa potesse spegnersi di colpo e farlo precipitare nuovamente nelle
tenebre. Non poteva permetterlo... non se lo meritava.
«La salverà, me lo
sento.», sussurrò Claire, sdraiata con un braccio sulla fronte.
«Non ne dubito, Madame.», fu la risposta della giovane cantante, che si
strinse le gambe al petto come per cercare conforto. «È per la sua incolumità
che mi preoccupo.»
Quando l’aveva
vista raggomitolata contro le gambe in uno stanzino, dietro una grata
arrugginita di ferro, per un attimo credette di
esserselo sognato. Ma gli occhi di Meg, velati di lacrime, quel visino sempre pulito e sorridente ora smunto e pallido più del dovuto la
riportarono alla realtà.
«Meg!
Meg, mi dispiace!», esclamò Phénix, appendendosi alle
sbarre e tendendole una mano che subito la ragazza strinse con forza. Era
gelida.
La ballerina strinse
le labbra, cercando di non singhiozzare, e la guardo con occhi supplicanti.
«Sophie, portami via.»
La voce flebile più
simile ad un lamento le strinsero il cuore, così come
il fatto che l’avesse chiamata con il suo falso nome. «Te
lo prometto, ti tirerò fuori di qui. Te lo prometto,
Meg.»
La biondina chinò
il capo e poggiò la fronte contro le sbarre, lasciandosi andare all’ennesimo
pianto isterico che in quelle ultime ventiquattro ore l’aveva sfiancata.
Phénix strinse le
mani contro il ferro umido e si sentì muovere da una rabbia che mai avrebbe
pensato di provare dopo la delusione di Erik. Corse da Lucas, furibonda, e
quando lo trovò intento a discutere con Faust, l’uomo che aveva ferito in un
impeto di rabbia pochi mesi prima, e qualche altro suo compagno dall’aria poco
raccomandabile.
«Tu,
ti odio! Ti odio!», gridò, correndogli contro e
scaricandogli una serie di pugni sul petto che su di lui ebbero l’effetto di
carezze.
«Oh, non ne
dubitavo, Phénix.», rispose lui divertito, con il solito ghigno malevolo
stampato sulle labbra. «Hai trovato la tua amichetta?»
«Lascia
stare Meg, mostro! Lei non c’entra
niente!», continuò Phénix, mentre i suoi polsi venivano
immediatamente bloccati dalle mani forti e ferme dell’uomo.
«Come mi hai
chiamato?»
Phénix, gli occhi
rossi per le lacrime, gli sputò in viso. «Mostro, mostro!»
Lucas strinse i
denti per la stizza e lo schiaffo che le tirò sulla guancia ebbe il potere di
farle perdere l’equilibrio, spedendola direttamente per terra. «Non. Osare. Mai. Più. Sono stato sufficientemente chiaro?»
La ragazza serrò i
pugni, sbattendoli contro la pietra del pavimento. Perché Meg? Perché non
l’aveva lasciata fuori da quella storia in cui non ci azzeccava niente?
Maledetto il giorno in cui aveva incontrato Erik, maledetto!
Lucas la strattonò
per un braccio e la costrinse a rialzarsi. «Si dia il
caso, mia piccola strega dalla lingua lunga, che la graziosa biondina l’ho
presa in prestito per qualche giorno. Se il nostro amico Erik si comporterà bene potrà tornare libera al pascolo, altrimenti... Beh,
lascio a te l’immaginazione.»
«Sfiorala anche con
il solo sguardo e giuro che ti uccido.»
Il silenzio tombale
che era calato nell’intera stanza venne interrotto
dallo scrosciare fragoroso delle risate dei presenti, Lucas compreso. «Grande prova di coraggio, tesoro. Ma
non devi dimostrare niente a nessuno qui.», le disse duramente. «Ora tornatene
da brava nel tuo buco, e non uscirne finché non te lo dico io.» Fece un cenno del capo a due uomini che, dopo aver
annuito, le si avvicinarono per prenderla di peso ed
allontanarla, tra le sue esclamazioni contrariate.
Lucas si passò una
mano tra i capelli sporchi e lunghi e sbuffò con fare divertito. «Quanti
grattacapi mi da, quella ragazzina insolente.»
Faust si poggiò
contro il muro, incrociando le braccia. «Ancora non capisco perché ti ostini
tanto ad averla.»
«Per
principio, amico mio. Solo principio.» L’uomo strinse
gli occhi, riportando alla mente ciò che si erano promessi qualche anno prima. «Sarebbe dovuta essere la mia compagna, per sempre. E sai
benissimo quanto io odio che qualcuno non mantenga la parola data. Soprattutto
se è una donna.»
Ed era vero, lui
era un uomo di parola. Se faceva una promessa
l’avrebbe mantenuta, su quello non si poteva discutere. E quando questo non
avveniva da parte di terzi lui si arrabbiava, e anche
tanto. Sarebbe potuto arrivare anche ad uccidere, per
la sua contrarietà. Ma Phénix era una donna, aveva dei
sani principi anche da quel punto di vista. Non le avrebbe fatto del male, così
come non avrebbe sfiorato la ballerina bionda che aveva requisito la sera prima. Erano donne ed in
quanto tali meritavano rispetto. Ma era anche ben
consapevole dei suoi limiti di pazienza, quindi non avrebbe potuto escludere un
prossimo momento di follia anche nei loro confronti. Lo schiaffo che aveva dato
a Phénix solo pochi minuti prima era solo un assaggio.
Continua...
Più morta che altro
dal caldo, vi saluto tutti! ;)
Marta.