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Autore: Wendigo    16/04/2011    5 recensioni
Era notte. Tutti dormivano, eccetto una persona che, non riuscendo a prendere sonno, si alzò dal letto e si diresse verso la cucina. Durante il tragitto, notò però una debole luce provenire dallo studio: pensò che suo padre avesse nuovamente lasciato acceso il camino, ma, aperta la porta, notò un uomo seduto sulla poltrona. Che non era poi suo padre.
"Entra pure, non essere timido". Incoraggiò l'uomo seduto sulla poltrona. Teneva in mano un piccolo libro che, da come era stato posto il segnalibro, aveva appena iniziato a leggere. "Che ne dici se ti racconto una bella storia?".
La persona si guardò attorno, sospettoso. Si domandava chi fosse quell'individuo ma, dato l'aspetto innocuo, decise di assecondarlo e in pochi secondi era già seduto di fronte a lui. "Chi sei?". Domandò comunque alla fine...
"Chi sono? Se proprio ci tieni te lo dirò dopo averti raccontato qualcosa", si fermò un secondo, "Ti piacciono le storie dell'orrore?".
La persona si chiese perché fosse così ossessionato a raccontarle delle storie ma, non vedendoci niente di male, accennò un "sì" con la testa. L'uomo aprì allora il libro, da cui iniziarono ad uscire fumi neri e voci. "Bene iniziamo".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una città presso Palermo, una famiglia stava facendo l’abituale colazione a base di cornetti. Questa in totale era composta da quattro persone: due adulti e i loro due figli, Simone e Luca, aventi rispettivamente tredici e cinque anni.
La colazione stava andando come al solito. Tutto sembrava dire normalità, oppure monotonia, in quella casa, quando il campanello suonò. Il padre, infastidito nel doversi alzare, andò a vedere chi fosse e, dopo averlo visto attraverso l’occhio magico, aprì la porta al postino con faccia curiosa. Questo difatti aveva sotto le proprie braccia un pacco di raccomandata per loro, a cui, una volta ricevuta la firma, lo diede senza perdere neppure un secondo di più: infatti la porta non era stata neppure chiusa del tutto che già quello avesse acceso il motorino e fosse andato via per le altre consegne.
Ad ogni modo l’uomo di casa, una volta ritornato in cucina e circondato da tutti, cominciò ad analizzare il biglietto messo sopra il pacco: non c’era scritto nulla se non il destinatario e la via di casa loro. Ma niente che gli facesse capire chi e da dove l’avesse mandato.
Decisero di aprirlo trovandovi solo un orologio, simile a quello che avevano già in cucina: unica differenza era che quello del pacco faceva uscire un pupazzo di un uccello dal proprio interno ad ogni ora. - Oh, che idea carina che hanno avuto! - cominciò a dire l’unica donna di casa - che dici Leo lo mettiamo qui l’orologio? -.
Il bambino rispose di si. Il marito confermò il voto della maggioranza e la decisione fu effettuata: il vecchio orologio venne tolto e buttato nell’immondizia. Quello nuovo fu messo a suo posto: stranamente uscì persino intonato con il colore di quella stanza, come se, chi l’avesse spedito, avesse immaginato dove l’avrebbero messo.
Una coincidenza che fece venire un po’ di brividi a Simone. Questo tuttavia non ebbe altro tempo per rimuginarsi sopra dovendo andare a scuola, ovvero il suo inferno quotidiano dove entrava di mattina pieno di vigore e poi vi usciva distrutto, psicologicamente però.
Quel giorno fu terribile: un compito in classe a sorpresa, il bagno guasto e un brutto voto in matematica. “Peggio di così non può andare” pensò cercandosi di consolarsi un po’ sebbene subito dopo arrivò il preside annunciando che quell’anno non ci sarebbe stata neppure una gita.
Solo quando ritornò a casa, si distese sul letto, e sprofondò sotto le coperte, poté avere un attimo di pace. Una attimo appunto, prima che l’orologio facesse il recente cucu facendolo saltare in aria per lo spavento. La giornata tuttavia non andò ulteriormente peggio.
La mattinata seguente, Simone, dopo essersi lavato e vestito, scese come al solito per la colazione, di nuovo, a base di cornetti. “Strano” si disse, prima di notare che l’orologio a cucu era scomparso. “L’avranno tolto mamma e papà”.
Si sedette al suo posto, prese un cornetto e cominciò a mangiare, quando suonò il campanello. Il padre si alzò, andò alla porta, aprendola al postino. Simone lo aveva capito dal tono della voce.
Dopo qualche secondo, rivide comparire suo padre e con lui una scatola uguale a quella di ieri. “Sarà una coincidenza” cercò di convincersi. Ma non vi riuscì, come sentì che non c’era il nome dell’emittente e il luogo da dove era stato spedito. “Non può essere quello di ieri”. Peccato che dentro vi era l’orologio a cucù.
- Oh, che idea carina che hanno avuto - cominciò a dire l’unica donna di casa - che dici Leo lo mettiamo qui l’orologio? -. Il bambino disse di si e lo stava anche per dire il marito quando - No! - urlò Simone - Buttiamolo via - venendo guardato da tutti i presenti per quell’atteggiamento abbastanza insolito. Lo capì pure lui e cercò di darsi una calmata. - Volevo dire che non sappiamo chi ce l’abbia mandato -.
- Suvvia tesoro! - sbuffò la madre - è solo un orologio, mica una bomba -. Detto questo, il padre lo rimise come aveva fatto il giorno avanti. La giornata, come si era aspettato Simone, fu uguale a quella di prima.
Verso sera, dopo essersi coricato sotto le coperte, sperò, addormentandosi, che quello fosse solo stato un brutto sogno. Ma non fu così e l’orologio rintoccò.
La mattinata seguente riaccadde tutto, come la giornata di prima. Il tredicenne iniziò ad aver paura e, una volta fattasi sera, andò zitto zitto in cucina dove con un coltello distrusse quel marchingegno diabolico. Ne diete tre, quattro coltellate: le molle saltavano in ogni parte di quella stanza.
Il ragazzo si sentì molto meglio, una volta creduto di aver fatto abbastanza. Andò a dormire, senza accorgendosi però di un debole rintocco.
Arrivò la mattinata seguente, Simone, felice, fece tutto in fretta, come se non vedesse l’ora di andare a scuola. In realtà voleva solo controllare se ci fosse ancora l’orologio distrutto: ma era sparito. Sperava che i suoi avessero tolto il cadavere prima del suo arrivo, quando un suono di campanello lo rattristò: era di nuovo il postino con il pacco e, questa volta, anche con una lettera per Simone.
Allontanatosi dagli altri, i quali, come nelle giornate di prima, fecero le stesse esclamazioni, domande e azioni, aprì la lettera. Non c’era l’emittente ma solo il suo nome per destinatario.
“Non ti azzardare più a distruggere l’orologio a cucu, Simone. Questo è il primo e ultimo avvertimento”. Il viso di lui divenne bianco per la paura. Fece vedere la lettera ai suoi ma nulla: gli dissero che probabilmente era uno scherzo perché lui non aveva mai distrutto quell’orologio.
Ad ogni modo l’avvertimento non venne trascurato. Il ragazzo, nei giorni seguenti, fece finta di nulla, come se in realtà fosse tutto nuovo per lui, mentre in realtà non lo era affatto.
Dopo due settimane, credeva, decise che quella non era vita: cominciò quindi a rompere quella routine, facendo tutto ciò che gli era proibito dai suoi genitori o dallo stato, come: rubare, uccidere, ecc….
Dopo tre mesi anche questa tattica iniziò a vacillare: volle morire per smettere di vivere così. Ogni giorno provava un nuovo modo per togliersi la vita, ma dopo si ritrovava sempre sdraiato sul suo letto con il sole della mattina in faccia.
Dopo un anno, credeva, arrivò allo stremo: fattasi sera, prese il coltello più grande che c’era in cucina, distrusse facendolo in tanti pezzettini l’orologio; dopo di che lo prese e lo mise dentro il forno, acceso, lasciandolo lì per tutta la notte.
Mise le dita incrociate, pregando Dio che domani fosse un nuovo giorno anche per lui. Peccato che forse in quel momento non lo stava ascoltando.
La giornata iniziò come le altre del giorno avanti. Tutto si ripeté come era ormai da un anno: l’intera famiglia scese per fare colazione; Il campanello suonò e il pacco fu portato dentro.
Tutto si stava ripetendo, sebbene questa volta nessuno in quella famiglia si ricordasse più chi fosse Simone Roccia, né che fosse nato, cosa che difatti non era mai avvenuta.
 
Chiedo scusa se mi sono fatto attendere ma mi sono ritrovato con molte cose da fare e difatti non ho neppure visto bene la storia. Perciò chiedo clemenza in fatto di errori grammaticali
   
 
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