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Autore: BlackPearl    17/04/2011    12 recensioni
La domanda del giorno, da una settimana a questa parte è: "Ma Iz, non sei contenta?"
La mia risposta? No!
Ma siete stupidi o cosa? Cos'è tutta questa voglia di avere fratelli? A me essere figlia unica andava più che bene. E mio padre mica lo capisce che io un fratello non lo voglio!
Tantomeno quel decerebrato. Meno che mai quel decerebrato.
Che oltre ad essere decerebrato è cafone, testardo, odioso e anche bello. Il che è ancora peggio, perché non c'è giustizia divina!
Col caratteraccio che si ritrova, doveva avere il naso grosso e gli occhi storti, invece è dannatamente bello...
[Momentaneamente in stand-by]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Prologue
Blend





Break of dawn


«Iz, il tè è pronto!»
«Arrivo!» Trillai, mentre scendevo le scale a velocità supersonica. Papà se ne stava appoggiato alla cucina con un giornale in una mano e una tazza di caffè nell'altra. Gli occhiali da vista pendevano un po' a sinistra, sul suo naso grosso, ma lui sembrava non accorgersene.
«
Per caso l'hai anche zuccherato?» Chiesi, avvicinando la tazza alle labbra.
«Sì, ma attenta, è boll...»
«AAAH!» Trattenni una miriade di imprecazioni decisamente poco ortodosse e mi portai una mano alla bocca. Papà mi porse un bicchiere d'acqua che afferrai piagnucolando.
«Te l'avevo detto.» Doveva avere sempre l'ultima parola, anche quando sua figlia si era appena carbonizzata le papille gustative.
Emisi un suono simile a un grugnito e addentai un muffin.
«Dove stai andando? Non mangi?»
Come voleva che mangiassi, con mezza lingua fuori uso? Guardai l'orologio: era tardissimo!

«No, papà, devo correre... oggi ho la prova d'esame!» Gli schioccai un bacio sulla guancia e agguantai la borsa.
«Aspetta, ti può accompagnare Johnny.»
«Chi?» Mi bloccai sulla porta di casa, che si aprì e rivelò un viso semisconosciuto. L'avevo visto in una foto di qualche anno prima, ma il ragazzo era cresciuto parecchio. Dietro di lui, Betty mi salutò con la mano, mentre cercava di trascinare con sé una valigia enorme.
Dio, non credevo arrivassero così presto.
«Cara entra, entra.» Papà le corse subito incontro scodinzolando. Si baciarono per un nanosecondo e lui cincischiò qualcosa, indicandomi. A vederli così affiatati mi si attorcigliò lo stomaco.
«Johnny, caro, potresti accompagnare Izzie a scuola?» Fece Betty, sbattendo gli occhioni carichi di rimmel.
Johnny mi guardò dall'alto in basso e fece una specie di cenno affermativo. Non si era nemmeno presentato. Che idiota.
«Ma guarda, non fa niente, posso andare benissimo a piedi... arrivo alla fermata dell'autobus, è proprio lì, guar-» Non feci in tempo a finire la frase che il suddetto autobus mi sfrecciò davanti lasciandomi basita col dito puntato di fronte a me.
Johnny fece una risatina stupida e si avviò verso l'auto. «Andiamo va.»

«"Andiamo va" lo dici al tuo cane.» Borbottai tra me, mentre lo seguivo controvoglia.
Salii in auto sbuffando come un treno, già stanca di quella orrenda giornata.
Va bene, forse si comporterà così perché l'ennesimo trasloco è stato traumatico, poi la separazione, un nuovo patrigno... no. No, non aveva giustificazioni. Anch'io stavo per accogliere una matrigna e un intruso nella mia vita e nella mia stanza, e non mi comportavo come se avessi le emorroidi! Ohhh...

Sfregai la lingua che ancora doleva per la scottatura contro il palato, cercando di alleviare la sensazione di indolenzimento.
Se il buongiorno si vede dal mattino...

«Visto che ti sto facendo un piacere potresti anche smetterla di sbuffare.» Sbottò irritato il signorino accanto a me, scuotendo la testa sprezzante.
«Nessuno ti ha obbligato. Ti sto mica puntando una pistola contro la tempia?» Alzai le mani scuotendole a mo' di presa in giro. Poi tornai ad appoggiarmi al sedile, a braccia conserte.
«Che razza di scostumata.» Fu un soffio ma lo sentii ugualmente. Bene, se prima volevo dare una possibilità a te e alla tua stupida madre, ora te la sei giocata completamente.
«Scostumata io? E tu, che non ti sei nemmeno presentato? Piombi in casa mia come se niente fosse, ti lamenti perché mi stai offrendo un semplice passaggio e sono io la scostumata?»

Oggi ho la prova di matematica. Devo restare calma. Mi massaggiai le tempie, prevedendo il grande mal di testa che non mi avrebbe risparmiato se mi fossi alterata ancora.
Johnny non rispose.
«Gira a sinistra alla prossima.» La mia voce quasi rimbombò nell'abitacolo silenzioso. Finalmente arrivammo a destinazione.
Recuperai borsa e giacca e aprii lo sportello dell'auto. Indugiai per un istante soltanto, indecisa se salutare o meno.
Ma ero una scostumata, giusto?
Al diavolo.


Bianca mi accolse con un sorriso, liberando il posto accanto a sé. «Dio santo, ce l'hai fatta. Sei venuta a piedi?»
Magari. «Lasciamo stare.»
Non riuscii a dire nient'altro, perché la professoressa mi zittì e iniziò a distribuire i compiti.
Alla fine della quarta ora avevo consegnato i miei due fogli a quadretti, fitti di numeri e lettere, soddisfatta di me stessa.
Il mal di testa non mi aveva risparmiato alla fine, ma almeno potevo andarmene a casa.
Ignorai il dolore pulsante e salutai Bianca con un bacio.

Feci uno squillo a papà e un minuto dopo lui mi richiamò. «Hai già finito? Oh, d'accordo. Ora ti mando Johnny.»
«No, papà, no! Non...» Guardai il telefonino incredula. Aveva riattaccato.
«Ohhh, Gesù.» Uscii dalla scuola e mi sedetti su uno dei muretti che la circondavano. Mi presi la testa tra le mani, cercando di muovermi il meno possibile per evitare di moltiplicare le ondate di dolore che mi trafiggevano il cranio.
Pensai alla prova, doveva essere andata bene per forza. Le derivate mi piacevano, dopotutto... qualche dubbio sui flessi ma insomma, almeno un tredici avrei dovuto strapparlo.

Il giorno dopo non avevo nessuna interrogazione, constatai con un sospiro di sollievo. Potevo riposarmi e magari farmi la manicure. Un ottimo programma, soprattutto perché avrei evitato i nuovi arrivati...
«Ehi, ragazzina.» Una mano mi si posò sulla spalla, facendomi sussultare dallo spavento.
Mi ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il viso di Johnny. Era già arrivato? Quanto tempo era passato?
«Muoviti, devo passare da un mio amico.» Lo guardai incredula e ancora un po' intontita.
«Allora vai e torna a prendermi. Non farmi spostare più del necessario.» Riportai la testa al suo posto, tra le mie mani fredde.
«Non ho benzina da sprecare. Sal abita sulla strada di casa, di certo non faccio il tragitto due volte.»
E va bene. Mi alzo, brutto idiota insensibile e menefreghista.

«Potevi passarci prima di venire qui, no? Fallo funzionare il cervello, non costa niente quello.» Sputai acida, mentre ci dirigevamo in macchina. Il dolore mi aveva sempre fatto un brutto effetto.
«Mi ha chiamato mentre stavo parcheggiando, Einstein. E fatti una camomilla, sei una vipera oggi.» Sbattè lo sportello e io imprecai, il rumore di certo non aiutava. «E forse non solo oggi.» Aggiunse, tra sé.
«Senti, stronzo, vedi di stare un po' zitto che la tua voce mi irrita. Ho mal di testa, lasciami in pace.»
Inspirai lentamente ed espirai altrettanto lentamente, come a voler scacciare la negatività e la voglia di picchiare quell'animale.

La sosta da "Sal" fu più lunga del previsto. Sentivo i ragazzi ridere, scherzare e bere. Il rumore delle bottiglie che urtavano tra loro mi rimbombava nella testa e avrei tanto voluto un fucile per abbatterli tutti e quattro, o quanti ne erano. Uno dei ragazzi si avvicinò all'auto e battè due volte la mano sul finestrino, dicendo qualcosa che non capii bene.
Aprii gli occhi e lo guardai implorante. Volevo solo essere lasciata in pace, volevo solo tornarmene a casa e prendere un analgesico.

«Perché non scendi, piccola?» Lo vidi ridere e chiamare un altro membro dei Fantastici Quattro. Quest'ultimo stava per raggiungere l'auto, ma Johnny lo fermò prendendolo per un braccio.
«Lasciatela stare, è la mia nuova sorellastra.» Disse qualcos'altro che non riuscii a capire, suscitando altre risa. Poi bevve un ultimo sorso di birra e salutò il ragazzo seduto accanto a lui, probabilmente il Sal di cui parlava. Tornò in auto e finalmente ripartimmo.
«Scusali... sono degli idioti.» Ah, certo. Scusali. Lui era l'eroe, lui era il cavaliere senza macchia e senza paura. E senza cervello, quello era sicuro.

«Non l'avevo notato, guarda.»
Lui espirò irritato, innestando la marcia. Non parlò più.
Quando spense l'auto, una volta giunti a casa, aprii la portiera e mi alzai di scatto, pronta a chiudermi nella mia stanza e non uscirne mai più.
Arrivati alla porta Johnny suonò il campanello e io fui colta da un lieve capogiro. Sentii di stare per cadere ma non riuscii ad aggrapparmi alla porta. Allungai la mano di riflesso e Johnny la prese, riportandomi in posizione verticale. Lo guardai per un momento e poi ritirai la mano, un attimo prima che Betty aprisse la porta.
«Oh, eccovi! Venite, venite, si mangia.»

Io feci una via diretta per le scale e mi rifugiai in camera, buttandomi a peso morto sul letto. Nascosi la testa sotto il cuscino, pronta ad addormentarmi, se ci fossi riuscita.
Nemmeno due minuti dopo, sentii i passi pesanti di mio padre per il corridoio. Entrò in camera senza bussare.
«Isabel, per l'amor del cielo! È il primo pranzo in famiglia, ma che hai in testa?»
«Un martello pneumatico.» Biascicai, con la testa ancora sepolta sotto il cuscino.
«Ohhh, non ci posso credere!» E se ne andò così com'era venuto.
Tre minuti dopo, toc toc.

«Izzie cara? Johnny mi ha detto che hai mal di testa. Posso farti una camomilla? Non vuoi mangiare qualcosa? Non vuoi...»
«No, grazie.» Faceva già la mammina premurosa. Avevo diciotto anni, mica cinque.
Non che ce l'avessi così tanto con lei, in fin dei conti. Non la conoscevo bene ma mi sembrava una brava persona; che volesse prendere il posto di mia madre però, mai.
«Ma davvero, una camomilla può farti stare meglio...»
«Mmh...» Mi limitai a mugugnare qualcosa invece di risponderle di malo modo. Sospirai sollevata quando sentii la porta chiudersi. E, finalmente, il silenzio.


«Ragazzina.»
Chi?
Cosa? 
Aprii gli occhi lentamente, scollando le palpebre una alla volta. Alzai appena il cuscino e intravidi un paio di jeans e due scarponi neri.
Dio, ma proprio non capivano la frase 'lasciatemi in pace'? Stavo quasi per prendere sonno...
«Che c'è?»
«Risparmiami la tua acidità, mi hanno mandato loro.» Ribadì ancora il suo evidente disinteresse nei miei confronti. Grazie tante.

«Non scendo, se non l'avessero ancora capito.»
Lui non rispose. Passò qualche secondo e sentii una cosa bollente premermi sul braccio.
«Ahia! Ma sei impazzito?!» Mi misi a sedere e scoprii che l'avevano mandato a portarmi la famosa camomilla. Mi massaggiai il braccio scottato guardandolo torva.
«Uh, scotta?» Domandò, con fare ingenuo. Gli tirai un calcio sulla gamba e lui fece finta di versarmi addosso la camomilla.
Sbiancai per un momento, credendo che l'avrebbe fatto davvero.
«Grazie, ora te ne puoi anche andare.» Presi il bicchiere bollente e lo posai sul comodino.
Sarebbe stato l'inizio di una lunga ed estenuante ma soprattutto continua lotta quotidiana? Speravo proprio di no.






Non potete capire quanto sia felice. Grazie dell'accoglienza meravigliosa...
Spero davvero di non deludervi. 
Beh, insomma. Torno nel mio angolino a mangiarmi le unghie!
Un abbraccio,
Sara.
   
 
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