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Autore: OfeliaMillet    17/04/2011    3 recensioni
" [...] Il moro iniziò a ridere coprendosi la bocca con la mano smaltata, quella tipa era davvero assurda!
Anthea lo guardò interrogativa -Ma vi siete messi d'accordo tu e tuo fratello per prendermi per il culo stasera?-
-Scusami...- Si ricompose passandosi due dita sotto gli occhi per evitare che le lacrime facessero colare il suo make up -No, non ci siamo messi d'accordo e se proprio lo vuoi sapere dopo andrò pure a dirgliene quattro a quel coglione...Comunque, non mi sono ancora presentato...- Fece per tendere la mano alla ragazza e proferire finalmente il suo vero nome, quando lei lo precedette -Si, sei Tom Kaulitz il fratello di Bill-
Il moro rimase bloccato, con la mano destra tesa a mezz'aria mentre la ragazza completava la sua frase in modo decisamente errato.
-Già...Tom...- [...] "
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I get down on you






Capitolo 1: Sorridi

Tokio Hotel...Ma che cazzo di nome era quello?
Anthea arricciò il naso continuando a scrutare i due gemelli, membri della band dal nome discutibile che, con i loro sguardi ammiccanti, sembrava volessero portarsi a letto il malcapitato obbiettivo della macchina fotografica.
Non riusciva a capire come quei due riuscissero a mandare in tilt gli ormoni di un così gran numero di donne, certo doveva ammettere che erano tutto fuorché orribili, ma trovava insensato tutto quel fanatismo e quell'adorazione per due semplici ragazzi.
Chiuse il giornale per poi voltarsi verso l'ingresso dell'appartamento.
-Miriam, ci sono quei cosi Hotel sul giornale...vuoi che te lo metta da parte?-
Un rumore sordo seguito da un'imprecazione epica la fecero iniziare a ridere
-Guarda Miri che non sono qua in carne ed ossa, non serve che ti spezzi il collo-
-Aspetta arrivo!-
Dopo qualche secondo una ragazzina con un'ondata di riccioli color ebano arrivò in cucina zoppicando e con un sorriso eccitato.
-Molla il giornale!-
Anthea sbuffò per poi lanciarle il giornale in grembo -Devi ancora spiegarmi che ci trovi in questi due...-
Miriam si lanciò sul divano con la rivista fra le mani guardando avidamente il servizio fotografico -Guarda che i Tokio Hotel sono quattro, questi sono solo Bill e Tom- Rispose saccente alla sorella maggiore -E poi...Dio, non sono magnifici?-
Anthea alzò un sopracciglio -Il mondo è bello perché è vario e a me quei cosi non piacciono un granché...-
-Smettlila di chiamarli cosi!-
La piccola riccia alzò lo sguardo dalle foto dei suoi idoli per fulminare la sorella -E guarda di non fare tanto l'altezzosa perché ti ho vista ieri mentre canticchiavi " Dogs Unleashed " con sculettamento annesso!-
-Ma che stai dicendo?- La ragazza si girò verso il piano cottura per versarsi del caffè in una tazza.
-Inutile che fai finta di nulla dato che ti ho beccata in pieno!- Miriam sogghignò
-Ah, bella bionda, non si può sfuggire a questi pezzi di manzo!-
Anthea iniziò a ridere -Pezzi di cosa? Miri sei un'arrapata..sei solo papà ti sentisse capirebbe che non sono io la pervertita di casa!-
La sorellina le rispose tirando fuori la lingua e facendole il verso per poi continuare a leggere la sua rivista.

-Cosa dovrei sentire?- Un uomo brizzolato entrò nella stanza sorridendo per poi avvicinarsi alla più piccola delle figlie e stamparle un bacio sulla fronte.
-Niente pà, è solo Anthea che rompe- La ragazza scosse una mano con sufficienza facendo ridere sonoramente.
-Papà, ora che mi viene in mente...- La riccia guardò l'uomo con gli occhi luccicanti -Ho un piccolo favore da chiederti-
-Sentiamo...- L'uomo si accomodò sul divano guardando la figlia.
-Ecco, domani è il compleanno di Brigitte e avevamo pensato di andare tutti al Tresor...- Miriam guardò il padre speranzosa.
Sapeva che con qualche moina avrebbe ceduto facilmente; era la più piccola di casa e per questo viziata e coccolata dall'uomo che l'adorava in modo smodato.

-Non lo so Miri...che posto sarebbe?-
-Ecco...è una discoteca ma non pensare subito male perchè sono tutti miei coetanei lì dentro...il più grande avrà 16 anni ed è molto controllato quindi non ci sono persone pericolose...- Si guardò un po' intorno, in cerca di aiuto, e trovò la sorella che la fissava appoggiata al bancone della cucina -Ci lavora Anthe lì, chiedilo a lei, pà...-
Anthea a quella descrizione inverosimile del locale sgranò gli occhi guardando la sorella che cercava di ingraziare la fiducia del padre.
La bionda sapeva bene che il Tresor non era posto per una ragazzina di 14 anni e di certo non era così sicuro e raccomandabile come la piccola manipolatrice stava raccontando.
-Miriam, non mi fido delle discoteche, sei troppo piccola per quei posti...-
La riccia guardò il padre delusa, non poteva non andare a quella festa, Brigitte era la più popolare della scuola e lei aveva avuto l'onore di essere invitata, che figura ci avrebbe fatto se si fosse sparsa la voce in giro che suo padre non le aveva dato il permesso?
-Ma papà! Anthea ha iniziato prima di me ad andare in discoteca!-
-Lo so piccola, ma i tempi sono cambiati e non mi fido delle persone che potresti incontrare in quel posto-
-Dai pà, per favore!- Unì le mani per pregarlo guardandolo con gli occhi lucidi -Laverò i piatti per una settimana e metterò in ordine la camera, ti prego!!-
L'uomo la guardò dubbioso per poi voltarsi verso la figlia maggiore che guardava la scena divertita.
-E va bene però- Non fece in tempo a finire la frase che la ragazza gli saltò in collo esultando -Grazie!-
-Ok ok, sei felice ma fammi finire, per piacere-
La ragazzina si immobilizzò a guardarlo con un sorriso sulla faccia che si estendeva da orecchio a orecchio.
-Io non mi fido a mandarti da sola là dentro quindi, se Anthea quella sera lavora, ti chiedo di andare con lei...-
La bionda, soffocata dal caffè appena ingerito, iniziò a tossire rumorosamente mentre sua sorella si avvicinava a lei saltellando -Anthe, ti prego ti prego ti prego ti prego!-

-Ma siete tutti matti? Io dovrei andare al Tresor con questa mocciosetta e fare da baby-sitter ad un gruppo di adolescenti imbufaliti?- Sgranò gli occhi verso il padre -No, grazie, rinuncio volentieri e poi domani sera è la mia serata libera-
Si girò verso il bancone e mise la tazza, ormai vuota, nel lavandino.
-Dai Anthe, ti prometto che starò buona buona e quando vorrai andare via non farò storie, per favore!- Buttò le braccia attorno al collo della sorella -E poi, se non vuoi portarmi dico a tutti che ti piacciono i Tokio Hotel!-

La risata del padre rieccheggiò nella stanza -No, Anthea...ti sei fissata pure tu?- Guardò divertito la figlia maggiore che, imbarazzata, scuoteva la testa vigorosamente - Non mi piacciono quei cosi!-
-Allora se non vuoi rovinarti la reputazione portami al Tresor!- La riccia, ancora aggrappata al collo della sorella la guardò maligna e continuò il suo discorso -So la tua password di Facebook e sai che colpo sarebbe per i tuoi amici vedere che condividi foto e video di quei "cosi"?- Marcò l'ultima parola sogghignando mentre lo sguardo della bionda si riempiva di odio puro.
-E va bene, brutta stronza, ti ci porto al Tresor -
Un urlo assordante sfondò l'orecchio di Anthea facendole strizzare gli occhi dal fastidio.

-Dio ci divertiremo un sacco!- Miriam iniziò a sbattere le mani e a saltellare per tutta la casa mentre la sorella era rimasta immobile nella cucina -Ci divertiremo un sacco- Fece il verso alla sorella per poi fulminare il padre - Ti avverto: questa me la pagherai molto cara-

***


Era Sabato 14 Maggio e la temperatura berlinese raggiungeva tranquillamente i 24 gradi mentre il sole illuminava la città facendo bocheggiare i suoi abitanti non abituati a quel clima.
Anthea, appena uscita dall'università, si sdraiò su una panchina per godersi quell'atipico caldo primaverile che investiva la capitale berlinese.
Adorava quelle giornate calde e, avere il sole che le riscaldava tiepidamente la pelle, le faceva venire in mente la sua vecchia vita e la sua adorata Italia.
Ricordava ancora l'odore di salsedine che impregnava i suoi capelli dopo una giornata passata al mare, la sabbia che si infilava in ogni punto del costume e sua madre che pur di portare la sua bambina in spiaggia si muniva di mascherina e foulard e camminava a testa alta sulla riva, sfidando gli sguardi compassionevoli dei bagnanti.
Le mancava tremendamente l'Italia e il suo mare ma mai quanto la presenza di sua madre.
Era sempre vissuta con lei, quella donna forte e sempre di buon umore che riusciva a mostrare il suo splendido sorriso anche negli ultimi giorni della sua vita.
Leucemia linfoblastica acuta, solo il nome metteva paura ma Cinzia sorrideva inforcando la sua mascherina e creando assurde acconciture con foulard di tutti i colori.
" Anthea, fammi un sorriso, non fare quel faccino triste perchè quando le labbra si distendono i problemi diventano piccoli piccoli e persino le malattie si impauriscono di fronte al più splendido dei sorrisi " Le ripeteva quella frase ogni giorno finchè, una mattina di Dicembre le sue labbra si distesero in un sorriso rilassato ed eterno. Era troppo debole, aveva lottato ma non era servito e così Anthea si ritrovò con un biglietto di sola andata, destinazione Germania per andare a vivere col padre di cui aveva un ricordo vago dato che, dopo che i suoi avevano divorziato lui aveva accettato un lavoro nella capitale tedesca, sua citta natale.


Arrivata nell'enorme aereoporto della capitale tedesca la sua nuova " famiglia " l'aspettava con un'enorme cartello con su scritto il suo nome e, in quel momento, ringraziò mentalmente la madre per averle insegnato il tedesco fin da quando era piccola se no poteva pure impiccarsi dato che quei personaggi, con cui avrebbe dovuto vivere, non riuscivano nemmeno a pronunciare un semplice " ciao " in italiano.

Era partita dall'Italia portandosi dietro solo una valigia mezza vuota lasciando sulla penisola ogni emozione e ricordo doloroso con la certezza che, salita su quell'aereo, avrebbe abbandonato anche la sua capacità di sorridere e, infatti, appena vide quell'uomo biondo e rigido, che nemmeno sotto tortura avrebbe chiamato papà, e la sua avvenente moglie, sentì la voglia di possedere un mantello dell'invisibilità per scappare via e rannicchiarsi in un angolino buio per il resto dei suoi giorni.

A quel breve e doloroso flashback, Anthea sospirò guardando quella parola italiana tatuata sul suo esile polso e sorrise ricordandosi il momento in cui chiese il permesso per imprimere quella scritta sotto la pelle.

Non era passato nemmeno un mese dal suo arrivo nella capitale tedesca e, una sera, dopo aver messo davanti a suo padre il faticato 1,1 preso a storia dell'arte si sedette silenziosamente a tavola aspettando il momento opportuno per chiedergli il permesso per farsi quel maledetto tatuaggio.
Se avesse usato le parole giuste forse sarebbe riuscita nel suo intento.
La sua nuova, e tanto temuta, famiglia berlinese non era così male come si era sempre immaginata e, suo padre e Annette cercavano in ogni modo di rendere la sua nuova vita tedesca più tranquilla e serena possibile.

Annette, la moglie di suo padre, era una donna veramente affascinante dalle curve generose e i lineamenti mediterranei- pur essendo al 100% tedesca- e un sorriso gentile era sempre stampato sulle sue labbra; perfino suo padre, l'avvocato Conrad Weber, pur essendo abbastanza rigido e poco incline a manifestazione affettuose era terribilmente gentile e accondiscendente con la figlia, forse più per la pena che provava per lei o per i sensi di colpa per averla abandonata quando non aveva ancora compiuto due anni ma questo ad Anthea non interessava molto, sapeva di essere nata da un "incidente" di percorso
la piccola persona che l'aveva colpita di più in quel nucleo familiare era Miriam, uno scricciolo di sei anni pieno di boccoli, che riusciva a metterla di buon'umore in ogni situazione
grazie alla sua tenera goffaggine.

Scrutò i volti delle tre persone sedute attorno alla tavola, intenti a mangiare quelli che loro definivano spaghetti al pomodoro ma che lei preferiva chiamare " vermi giganti al ketchup ". Un terribile rifacimento del primo piatto preferito da sua madre che Anthea doveva pure far finta di trovare squisito per non fare un dispiacere alla povera Annette.
Prese un gran respiro e facendosi un pò di coraggio si alzò dalla sedia.
-Io mi faccio un tatuaggio- Lo sguardo della piccola bionda si posò su quello del padre che si era immobilizzato con la forchetta a mezz'aria.
-Piccola ma...hai tredici anni e potresti pentirtene, aspetta qualche anno- Annette, la moglie di suo padre la guardò comprensiva, carezzandole la testa -C'è un tempo per tutto, fra qualche anno forse sarai più matura e potremmo riparlarne-
-Io voglio un tatuaggio- Anthea fissò insistentemente l'uomo che, abbandonata l'idea di cenare in modo tranquillo, posò la forchetta nel suo piatto e sospirò -Sentiamo, cosa vorresti farti tatuare?-
-Voglio una scritta...una parola semplice, in italiano proprio qui- Indicò il piccolo polso destro -Voglio ricordarmi la mamma, voglio tatuarmi quello ch mi diceva sempre, la voglio vicino a me e quindi iovoglio il tatuaggio-
A quelle parole Annette si girò verso il marito sospirando.
-Che è? Lo voglio pure io il tatuaggio mamma!- Miriam dondolava sulla sua sedia sbattendo una barbie sul tavolo -Si, lo voglio anche io, Anthe...lo facciamo insieme? Io voglio farmi una farfalla rossa rossa sulla guancia!- Gli occhioni color cioccolato della piccola si puntarono sulla sorellastra che, a quelle parole, sorrise intenerita -No, Miri io sono più grande e lo faccio per la mia mamma-
-Anche io lo faccio per mamma!- La riccioluta si voltò verso la madre che in quel momento era impegnata a discutere sottovoce col marito -Mamy, ti piacciono le farfalle vero??-
La donna, richiamata dalla bambina, sorrise scuotendo il capo per poi guardare Anthea -Allora va bene ma sai che un tatuaggio non è il modo migliore per ricordarla...-
La bionda le sorrise scuotendo la testa in modo affermativo -Grazie-
Così, grazie all'intercedere della moglie di suo padre, pochi giorni dopo la parola " Sorridi " era incisa in piccole lettere corsive sul suo polso.

Era stato un gesto avventato, impulsivo e abbastanza puerile ma, pur essendo passati otto anni, guardando quella scritta non poteva fare a meno di sorridere.
Il rumore della suoneria del suo telefono la risvegliò da quel piccolo angolo fatto di ricordi, riportandola alla realtà.
-Pronto?-
-Anthe, dove sei???- La voce isterica della sorella le penetrò l'orecchio -Sono già le sei e dobbiamo cenare in fretta perchè alle dieci dobbiamo essere davanti alla discoteca!-
Miriam non si smentiva mai, il suo nervosismo era una malattia patologica senza cura -Miriam, calmati...mancano ancora un sacco di ore e abbiamo tutto il tempo per cenare con calma e aarrivare là in perfetto orario-
-No...Anthe io devo decidere cosa mettermi, farmi i capelli e infine truccarmi...-
-Non so se lo sai ma quattro ore per fare queste due o tre cose sono tantissime- La bionda rise immaginando la sorella davanti all'armadio nel panico più completo.
-No, cara la mia sorellina io stasera devo essere almeno guardabile e ho bisogno di tutto il tempo di questo mondo per rendermi presentabile quindi muoviti, ti prego!-
-Ok, tranquilla, fra dieci minuti sono lì- Staccò la chiamata sospirando e pensando che, se alla fine di quella serata, Miriam non le avesse fatto una statua l'avrebbe strozzata con le sue stesse mani.
Ah, l'amore fraterno non ha proprio limiti!

To be continued...


Note: Allora, inizio col dire che questa è la prima fan fiction che scrivo sui Tokio Hotel quindi, vi prego, siate terribilmente sinceri!
Mi piacerebbe molto vedere anche un piccolo commentino che segni il vostro passaggio così da farmi continuare a postare ^^
Detto questo vi saluto, spero che apprezzerete.
Ofelia
  
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