CAPITOLO
3
Entrai in cucina
sconvolta.
Come accidenti
era possibile che la
mia band preferita in assoluto era li, nell’Hotel in cui
lavoravo, l’Hotel di
proprietà di mio padre?
Sharon non era
presente, che strano, eppure il suo turno doveva già essere
iniziato. Mi
cambiai nel bagno ancora confusa e con mille pensieri per la testa.
Cioè, i
Bullet For My Valentine erano li con me, in Irlanda!
Tornai in cucina
e mi pizzicai la
mano, cosi, per testare ancora di più la realtà
quando Antonio apparve alle mie
spalle.
«Lizbeth…» disse senza
tono di rimprovero, «Mi raccomando
oggi abbiamo ospiti importanti dopo le 21:00 la
sala è riservata esclusivamente a loro».
Mi voltai.
«E Sharon?» chiesi
nervosamente, lui sorrise malvagiamente
«Oh non devi
preoccuparti è malata, oggi la sostituirai tu qui
in cucina».
E meno male che
non dovevo
preoccuparmi!
«Cioè
cucinerò io? Da sola?» sbottai
facendolo diventare serio «Hai tempo
un’ora e mezza per preparare i menu del giorno che
ti ho lasciato sulla lista, non mi deludere!»
bisbigliò arcigno e se ne andò.
In quel momento
mi sentii davvero
sola.
Presi
il mio Nokia e chiamai Sharon, ma
rispose la segreteria telefonica.
Lasciai un messaggio vocale dopo il beep «Hey bella
complimenti ti sei ammalata
proprio oggi! E io adesso come faccio? Mica solo una maga dei fornelli
come te…
Uffa! Dai richiamami appena puoi, un bacio”.
Decisi di
mettermi al lavoro cercando
di non perdere la cognizione del tempo. Ma sopportare i punzecchiamenti
dei
camerieri non era certo cosa facile….
Verso le 20 e 30
ebbi un momento di
pausa, mi era anche arrivato un sms da Sharon “Lizzz stasera
li con te ci sono
i Bullet!! Mi raccomando eh le ricette speciali sono nel cassetto in
alto
vicino alle stoviglie a sinistra. Buona fortuna Liz!”.
Mi fece davvero
tornare il buonumore
per un attimo.
Poi ricominciai
a preparare risotti
alla crema di scampi, vitello in salsa tonnata e soufflé al
cioccolato (le
ultime ordinazioni della serata). Alle 20:55 decisi si dare
un’occhiata alla
sala da pranzo.
Al centro vi
avevano messo un tavolo
rotondo abbastanza grande con un grande centrotavola blu con tanto di
candelabro e segnaposti con rose blu, io sfiorai quello con il nome
“Matt” poi
dalle porte a vetro li intravidi arrivare e sgattaiolai di nuovo in
cucina,
questa volta con il fiatone aprii il cassetto delle ricette speciali.
Lucy era rimasta
l’unica cameriera di
turno.
Mi si
avvicinò acida «Allora hai visto
anche tu che bei ragazzi che ci sono di là
eh? Ma dimmi un po’, ho sentito dire che tu li conoscevi
già non è cosi?».
Non risposi
perché ero alle prese con
un timballo di pasta e gnocchi. Ma vedendo che insisteva le dissi
infine «Senti
perché non vai a sbiancarti i guanti e a servire loro
dello champagne?» lei non
replicò e spari.
Quando Matt,
Jay, Padge e Moose
finirono di mangiare e io mi ero rimessa il mio abito troppo elegante
ed avevo
sciolto i capelli, Lucy tornò in cucina ridendo come al
solito, «C’è
quello più alto, quello bello con gli occhi celesti che
dice di volerti vedere».
La guardai
incredula, «A me?» chiesi confusa.
«Eh già» rispose
picchiandomi una mano sulla
spalla, «Io me ne vado ci
vediamo!».
Non mi resi
conto dell’ultima frase
che disse e mi avvicinai all’oblò della porta che
dava sulla sala e li vidi
mentre bevevano lo champagne, Matt era in piedi cosi io aprii
lentamente
un’anta della porta e lo sentii dire allegramente «Dov’è?
Fatemela conoscere!».
Indietreggiai…
«Ma questi qua
sono già ubriachi» pensai fra me e
me, ma era anche
vero che certe occasioni capitano una sola volta nella vita, quindi non
potevo
certo starmene li in cucina tutta la sera. Addrizzai le spalle ed uscii
dalla
cucina coraggiosamente.
Jay, Padge e
Moose mi sorrisero e si
alzarono perché si erano accorti della mia presenza, lui
invece era di spalle e
stava dicendo «Devo
assolutamente conoscere la cuoca».
Gli altri erano
venuti a presentarsi
dandomi la mano, baciandomi sulle guance e congratulandosi per il cibo.
Io
avevo ringraziato e ad ogni «Piacere io
sono…» avevo risposto «Lo so lo so, vi
seguo da un bel po’
ormai» e tutti avevano
sorriso.
Poi mi avvicinai
a Matt che in
quell’istante si voltò.
Il suo sguardo
mi incollò ferma
dov’ero, cercai di non guardarlo troppo negli occhi;
indossava una camicia nera
a mezze maniche e jeans grigi strappati. Mi sorrise guardandomi fisso
in viso.
Non so
perché ma gli altri erano
rimasti in silenzio.
Poi padge disse «Allora, un altro
bicchiere ce lo facciamo?», «Ma si» aveva risposto
Jay e insiema a Moose
ricominciarono a fare baldoria. Matt decise finalmente di rompere il
ghiaccio e
mi si avvicinò, io istintivamente sussurrai «Sono io che ho
cucinato stasera ma
non sono lo chef».
«Non
vedo dove sia il problema»
rispose. Non smetteva di guardarmi negli occhi e sorridere, io mi ero
fatta
piccola piccola. «Qual è il tuo nome
fanciulla?» mi chiese.
Scoppia in una
timida risatina,
«Lizbeth» risposi.
«Liz
per gli amici, il nome completo
per gli altri…» non finii la frase
perché mi prese la mano destra e se la portò
alla bocca «Incantato Liz…».
Perfetto,
già si considerava un
amico.
Mi
baciò la mano e non la finiva di
sostenere il mio sguardo finché Padge non diede un colpo di
tosse.
Riuscii a
distogliere lo sguardo
dall’azzurro di quelle iridi e mi rivolsi ai ragazzi «Scusate se vi ho
disturbato».
«Ma quale disturbo» mi disse Jay,
si alzò e mi passò un
braccio intorno al collo «Siediti e bevi
qualcosa con noi dai,
alla salute!».
Accettai
volentieri e notai che Matt
lo fulminò per un attimo con lo sguardo.
La serata
durò a lungo finché i
ragazzi non furono stanchi e decisero di andare a letto. Li salutai e
ricordandomi
che Lucy se ne era andata cominciai a mettere in ordine le sedie. Matt
però non
era andato con gli altri. Dopo qualche istante mi accorsi che era
ancora li,
cosi mi voltai verso di lui incuriosita.
«Che fai ancora
qui?” gli chiesi allegra.
«Mi sono
ricordato di non essermi presentato» sorrise, c’era una
luce particolare nei suoi occhi.
«Non vedo dove
sia il problema» risposi
imitandolo, «Io so chi sei tu», a quelle
parole rise.
«Però
da una parte hai ragione sai? Mi piacerebbe conoscere
Matthew Tuck al di fuori dall’essere il cantante dei Bullet» questa frase
l’avevo pensata ad alta voce e me la lasciai
sfuggire distrattamente.
«Non vedo dove
sia il problema»
sibilò.
«Non vedi
problemi da nessuna parte?» gli chiesi «La fai facile,
io devo ancora finire
di mettere apposto perché i camerieri mi hanno lasciata sola».
Lui si
guardò intorno staccandosi
dalla parete dove era appoggiato, poi rivolse di nuovo lo sguardo a me,
cosi
continuai «Adesso puoi
andare a nanna, scusami non vorrei essere
scortese rimarrei qui a parlare con te ma devo finire di lavorare».
«Non se ne parla
proprio!»
sbottò lui.
«Guardati; hai
dei polsi cosi magri, la pelle cosi diafana che
sembri di porcellana. Sicuramente sei molto delicata, perciò
non posso farti
stancare» disse impilando i
piatti sporchi dal tavolo rotondo, «Ti do una mano
io, anche due» sorrise di
nuovo.
Che bello che
era quando mi sorrideva
cosi.
Io rimasi a
bocca aperta «Mah…» dissi, «Niente mah»
M’interruppe appoggiandomi l’indice
sulle labbra mentre mi passava accanto.
Cosa potevo
fare?
In pochissimo
tempo lavammo i piatti,
il pavimento e mi aiutò a risistemare i tavoli e le sedie
per il giorno seguente.
Era un angelo
sicuramente mandatomi
dal cielo.
«Ora mi chiederai
il risarcimento, vero?» gli chiesi
scherzando in ascensore, “Mmh… Per il momento no,
per il futuro vedremo” rispose ridendo.
Lo accompagnai
fino alla porta della
suite in cui avrebbe dormito «Allora buonanotte» dissi piano
mentre cercava la chiave.
Mi sorrise di
nuovo «Anche a
te… Hey ma tu come torni a casa a quest’ora?», quella domanda
mi colse alla sprovvista anche perché era
mezzanotte passata e non mi ero resa conto di quanto fosse trascorsa
velocemente quella serata.
«Di solito,
quando faccio il turno di sera posso prendere una
stanza, questo albergo è di mio padre… Ma come
mai ti interessa saperlo?» non potei fare
a meno che chiederglielo.
«Non hai la
patente?» chiese lui
serio.
«Non ancora» risposi,
sicuramente si aspettava
che l’avessi già presa da un paio d’anni
ma non mi andava di spiegargli che
preferivo spostarmi con la mia bici.
«Ok scusami se mi
sono fatto gli affari
tuoi» aveva aperto la
porta. «Allora a domani»
abbozzò.
«Figurati…
Si a domani» dissi io. Come
suonava bene.
Si
voltò e abbracciandomi forte mi
baciò sulla guancia.
«Grazie ancora
per la cena e per la compagnia» disse
sottovoce, io che stavo per avere un mancamento lo
ringraziai cercando di restare in piedi «Ma grazie a te
di avermi aiutata!».
Mi diressi cosi
verso l’ascensore e
prima che le porte mi si chiusero davanti lo vidi ancora sulla soglia
della sua
camera, a fissarmi.