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Autore: Eos BiancaLuna    15/04/2011    2 recensioni
“Lo sai che non si dovrebbe…” dissi interrompendo quel momento e maledicendomi per ciò. “Ti blocchi perché non vuoi o perché non puoi?” rispose fissandomi “adesso gradirei che non mi interrompessi più” aggiunse scherzando. Notò la mia espressione però e allentò la presa. Mi pentii subito per quello che avevo detto e lo guardai negli occhi, cosi maledettamente azzurri, “scusa” bisbigliai avvicinandomi di nuovo. Lui fece lo stesso e le sue braccia mi cinsero la vita poi le sue labbra furono sulle mie finalmente. Quando anche le nostre lingue si trovarono gli passai una mano fra i lunghi capelli dapprima lentamente poi mi ci aggrappai. Le mie ansie e le mie paure non c’erano più. Fu un bacio intenso come quello della mattina precedente nel suo letto solo che questa volta durò molto di più.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

 

 

 

Aprii gli occhi per l’ennesima volta quella notte e controllai l’orologio da polso nero che tenevo sul comodino rivolto verso di me; secondo le lancette fosforescenti erano le 4:45.

Mi girai a pancia in su richiudendo gli occhi ma Morfeo sembrava avermi abbandonata del tutto. Sbuffai e cercai nel buio con la mano sinistra il mio mp3 che avrebbe dovuto trovarsi da qualche parte sotto il cuscino quando mi accorsi del rumore, o meglio, dei piccoli rumori che si abbattevano sul vetro della mia finestra.

Pioveva.

Esattamente la condizione climatica che preferisco di più al mondo.

Sorrisi fra me e me, premetti il tasto play e mi riaddormentai cullata dalla voce di Matt sulle note si “Say goodnight”. 

 

Quando mi svegliai il mattino seguente mi sentivo totalmente scombussolata.

Prima di tutto ancora non credevo a ciò che sarebbe dovuto succedere quel sabato 15 gennaio, poi avevo gli auricolari agli orecchi con la musica della mia band preferita da circa tre ore (la batteria stava morendo) e a dirla tutta ero ancora stanca del giorno precedente.

Lo stress del lavoro e dell’università si faceva sentire.

 

Il mio cellulare diede segni di vita e questo mi costrinse ad alzarmi definitivamente dal letto per andare a rispondere alla chiamata.

«Pronto?» non guardai nemmeno il display del mio Nokia.

«Sono io, che stai ancora dormendo per caso?” domandò una voce piuttosto scocciata.

Lawrence il mio ragazzo, ha sempre avuto un caratteraccio purtroppo, un vero caso irreversibile.

«No amore ma che dici, tu invece? Come stai? Che mi racconti…», mi interruppe come spesso faceva bruscamente «Ma sei sicura? Non è che hai intenzione di rimanere fra quelle coperte ancora a lungo? Guarda che lo so che sei ancora nel letto! Poi ti lamenti che hai il culo grosso!».

Non lo ascoltai e guardai fuori la finestra: nuvoloso, wow.

«Ma che tesoro che sei, come sempre! Buongiorno anche a te» dissi ridendo, per sfotterlo.

Lui deviò subito il discorso «Senti che vogliamo fare, ci vediamo oggi? Che hai deciso? Io avrei in mente di portarti a pranzo fuori in un posticino carino però facciamo a metà eh che non ho più soldi».

Sbuffai, «Sei sempre il solito scialacquatore che non si sa tenere due euro in tasca! Sempre a spenderli in cazzate, guarda che lo dico per te! A me non interessa posso anche offrire io tanto non è la prima volta».

Lui cambiò tono all’istante «Grazie amore, veramente! Ci vediamo dopo» e riattaccò. “Cominciamo bene oggi” pensai e aprii l’armadio indecisa su cosa mettermi come al solito.

 

Quando arrivammo al ristorante giapponese io scelsi un tavolo vicino alla vetrata, il cameriere prese le ordinazioni e sparì rapido. «Bel tempo oggi eh» dissi sospirando radiosa, lui come sempre, non mi stava ascoltando perché trafficava al cellulare con la madre.

«Scusa un attimo»,  fece per alzarsi rispondendo ad una chiamata appena in tempo per accorgermi del solito tono che sua madre usava quando parlava di me: «Non è possibile anche questo fine settimana mi lasci da sola per quella li? Ma non lo capisci che lei non conta niente, sono io la donna della tua vita!».

Il mio ragazzo mi fece un sorrisetto e si allontanò rapido.

Che situazione che mi toccava sopportare!

E nonostante ciò lui negava sempre tutto dicendomi che ero io a farmi le paranoie. Una volta addirittura quella bimba di quarantatré anni si era messa a darmi della deficiente mentre era al telefono con lui cosi senza motivo.

Ogni giorno di più capivo quanto la sua famiglia non mi avesse accettata a differenza della mia con lui, e probabilmente non avrebbero mai tollerato la mia presenza.

Per i suoi genitori lui era ancora un bambino, e forse avevano ragione.

Tornò a sedersi con fare beffardo, come se non fosse successo niente di strano «Allora, dicevamo amore mio?».

Io volsi lo sguardo altrove e desiderai ardentemente essere nel mio Hotel, avrei preferito sopportare il mio capo invece che mia suocera, di quello ne ero certa.

 

 

Le 18:00 alla fine arrivarono e mi precipitai a prendere l’autobus dopo aver discusso animatamente col mio ragazzo sul fatto che lavorassi nei week-end compresa la domenica.

Quando fui quasi arrivata al mio adorato albergo a 5 stelle mi preoccupai un po’ del mio abito nero: era un tantino elegante. Per quale motivo l’avevo indossato se i Bullet non li avrei visti quel giorno?

Risi, lo facevo spesso quando pensavo a qualcosa di divertente e siccome ero da sola nessuno poteva guardarmi di traverso. Ormai era sera inoltrata e l’aria gelida si faceva sentire, c’era anche qualche lampo nel cielo.

Finalmente raggiunsi l’enorme porta girevole, stavo per entrare quando notai sul viale illuminato dai lampioni un husky.

Un bellissimo siberian husky dalle iridi celesti quasi bianche.

Per me, che adoravo quella tipologia di animali quello doveva essere un miraggio. Mi abbassai piegando le ginocchia e dissi semplicemente «Bello».

Lui, che aveva il collare slacciato, mi si avvicinò piano poi prese confidenza e si fece accarezzare. Aveva un pelo morbidissimo, era un maschio di due o tre anni. E anche il carattere era dolce! L’occhio mi si posò sulla medaglietta che aveva al collo, il nome inciso era “Wolf”. Sorrisi sapendo che il lupo era uno dei miei animali preferiti.

«Hey, io adesso devo andare sennò mi cacciano» dissi alzandomi. Il cane mi guardò e si mise in posizione seduta, era sicuramente di qualche cliente ed era molto educato.

«Spero proprio di rivederti Wolf» gli dissi, lui abbaiò come se avesse capito.

Oltrepassai la porta girevole venendo immersa dal calore che emanava la hall, notai che non c’era quasi nessuno a parte un gruppo di persone appoggiate al bancone della reception con ai loro piedi almeno una ventina di valigie.

Sussultai.

Ma poi decisi di non pensarci. “Dai” mi dissi mentre mi toglievo il cappotto nero, “Ti pare che se fossero arrivati veramente…”smisi di pensare quando sentii che parlavano tutti in inglese, la mia lingua. Notai anche l’accento gallese di quello di spalle capelli corti e maglia degli Iron Maiden.

Cavoli, era forse Moose? Gli somigliava troppo.

Per arrivare in cucina dall’interno dovevo passare per forza vicino alla reception.

“Accidenti a quando non entro dalla porta sul retro!” mi dissi e facendo un respiro profondo cominciai a muovere i passi, c’erano solo loro nella hall , erano quattro ragazzi più il receptionista di turno e un tizio che somigliava proprio al loro manager...

Mentre passavo accanto a loro si zittirono tutti per via del rumore dei miei passi enfatizzato dai tacchi, io abbassai la testa ma non smettevo di guardarli con la coda nell’occhio.

Quello più alto appoggiato al bancone con il gomito si voltò verso di me, ma che strano, aveva dei capelli abbastanza lunghi e una giacca nera di pelle.

Si alzò gli occhiali da sole mentre passavo con la testa girata verso di lui ormai, e quello che potei notare… Furono gli occhi azzurri che adoravo, che avevo sempre sognato, che avevo sempre immaginato dal vivo.

 

 Erano gli occhi di Matthew Tuck.

   
 
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