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Autore: Wendigo    18/04/2011    4 recensioni
Era notte. Tutti dormivano, eccetto una persona che, non riuscendo a prendere sonno, si alzò dal letto e si diresse verso la cucina. Durante il tragitto, notò però una debole luce provenire dallo studio: pensò che suo padre avesse nuovamente lasciato acceso il camino, ma, aperta la porta, notò un uomo seduto sulla poltrona. Che non era poi suo padre.
"Entra pure, non essere timido". Incoraggiò l'uomo seduto sulla poltrona. Teneva in mano un piccolo libro che, da come era stato posto il segnalibro, aveva appena iniziato a leggere. "Che ne dici se ti racconto una bella storia?".
La persona si guardò attorno, sospettoso. Si domandava chi fosse quell'individuo ma, dato l'aspetto innocuo, decise di assecondarlo e in pochi secondi era già seduto di fronte a lui. "Chi sei?". Domandò comunque alla fine...
"Chi sono? Se proprio ci tieni te lo dirò dopo averti raccontato qualcosa", si fermò un secondo, "Ti piacciono le storie dell'orrore?".
La persona si chiese perché fosse così ossessionato a raccontarle delle storie ma, non vedendoci niente di male, accennò un "sì" con la testa. L'uomo aprì allora il libro, da cui iniziarono ad uscire fumi neri e voci. "Bene iniziamo".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sbuffò, - E io che pensavo che almeno quel ragazzo, a cui ho dato la scatola, avrebbe vinto -, per poi andarsene verso il suo amato negozio.
Il giorno seguente, si sparse per la città la voce di quella tragedia, della morte di tutti i ragazzi presenti, ad eccezione di una, Angela, la quale era sfortunatamente impazzita, avendo detto che erano morti per via di un gioco, che effettivamente venne rinvenuto lì, ma che, una volta aver fatto una prova, non accadde nulla di anormale. Venne quindi mandata nel reparto psichiatrico sotto stretta vigilanza della polizia.
Nella loro scuola non si parlò d’altro: alcuni pensavano che fosse stata proprio Angela ad ucciderli tutti; altri che facessero parte di qualche club satanico e si fossero suicidati per via di un loro rito. Solo pochissimi invece cercavano una spiegazione che non macchiasse l’onore di quei poveri ragazzi, di cui alcuni anche loro amici.
Tra quest’ultimi vi era difatti un’amica della superstite, Claudia, la quale la riteneva innocente. Decise dunque di informarsi su ogni fatto accadutole dal momento in cui l’aveva lasciata per tornare a casa propria.
Girò per la città. Scoprì che l’amica era tornata a casa dove in quel momento, secondo la testimonianza di Angela, stavano tutti giocando a un gioco del negozio “Stige”. “Un gioco di quel negozio” si ripeté sbalordita quella tra sé e il motivo è piuttosto semplice da capire: tutti sapevano quanto fosse pericolo e cosa avesse fatto nel ’48.
Si fece sera e si promise di continuare le ricerche il giorno dopo.
Era domenica: di solito quel giorno lo spendeva andando in giro con Angela, ma ormai ciò era divenuto una cosa del passato. Lei era sola mentre la sua amica era in una reparto psichiatrico sotto vigilanza della polizia. L’unico modo per farla uscire da lì era provare la sua innocenza. Ma come?
Sperava di scoprire l’assassino (neppure lei credeva tanto alla storia del gioco omicida). Si diresse quindi verso il negozio temuto, arrivandoci in poco tempo. Si avvicinò alla porta e si fece coraggio.
Entrò chiedendo con un tono flebile - c’è qualcuno? -. Nessuna risposta: richiese. Niente di nuovo.
Si risolvette di riprovare in un secondo momento, sperando di trovarlo, quando, girandosi in direzione della porta, si ritrovò dinanzi la figura di un uomo, ovvero del proprietario. - Cosa vuoi? - chiese, come seccato nel avere una possibile cliente, non venendo però risposto. - Allora! Cosa vuoi? - domandò nuovamente con tono più duro.
Claudia cercò di riprendersi: non aveva mai visto quell’uomo per la città. Gli raccontò ciò che era accaduto, della sua amica e infine il motivo che l’aveva spinta a venir lì. Inutile dire che il proprietario la ascoltò, questo era vero, ma senza seguire neppure una parola. Difatti, dopo che la ragazza finì di parlare, non perse neppure un secondo per dire - Se non vuoi comprare nulla, puoi anche andartene -.
La ragazza rimase un po’ stupita dal menefreghismo di quell’uomo: che avesse un cuore di ghiaccio? Su questo non ci pioveva. Ma aveva bisogno di quelle informazioni per scoprire cosa fosse realmente successo quella serata; peccato che non la volesse aiutare volontariamente: allora lo avrebbe fatto senza volerlo.
- Si vorrei quella bambola con il nome Sorry -. Disse indicandogliela. Gliela prese, disse il prezzo, si fece pagare e si fece dare, come era successo a quei ragazzi, una firma su una liberatoria. Dopo di che la costrinse ad uscire, chiudendo, come la ragazza lo fece, il negozio.
Avuto le informazioni che voleva, o per meglio dire il mezzo per ottenerle, si diresse verso casa. Il suo piano era semplice: aveva pensato a una strana coincidenza che c’era tra il caso del ’48 e quello attuale, ovvero che le vittime avevano sempre comprato un articolo da quel negozio nella sera in cui era morti. Pensava che almeno così avrebbe potuto scoprire la verità e, con un po’ di fortuna, uscirne viva per raccontarlo alla polizia e aiutare la sua amica.
Arrivò a destinazione. La stavano tutti aspettando, compresa sua sorella Sara, la quale era appena ritornata dall’università di Bologna per via del compleanno di loro madre. La sorpresa tuttavia fu anche per gli altri. Claudia, che aveva ancora la bambola in mano, la buttò sul divano senza accorgersi di averlo fatto. Si sedette in tavola e cominciò a parlare con Sara.
Finita la cena ognuno si diresse nelle proprie stanze e andò a dormire. Credo sia futile dire che le sorelle avessero la stessa camera da letto.
Una volta arrivate lì, la sorella maggiore cominciò a parlarle - Non volevo dirlo davanti ai nostri genitori, ma mi dispiace per quello che è successo alla tua amica, Claudia. Se c’è qualcosa che posso fare… - non concludendo tuttavia la frase.
- L’hai già fatto venendo qui - si diresse verso il proprio letto – ma adesso che me lo dici, una cosa ci sarebbe -.
- E sarebbe? - chiese incuriosita la sorella.
- Spegni tu la luce al posto mio -. Rispose per poi coricarsi sotto le coperte ridendo e pian piano addormentandosi. Lo stesso fece pure Sara sbuffando come per dire “ma quando crescerai?”.
Intanto sotto, al piano inferiore, una bambola si era appena risvegliata da un lungo sonno. Si alzò dirigendosi in cucina dove poi prese il primo coltello che riuscì a trovare.
Fatto ciò, fece un piccolo sorriso e, dirigendosi verso il piano di sopra disse ridacchiando - Sto venendo a giocare con voi -.
 
Sembra una sorta di maledizione non riuscire a mettere le mie storie in un unico capitolo XD. Ma un altro po’ di suspense vi terrà buoni fino a domani. Inoltre chiedo sempre clemenza per gli errori grammaticali ma mi trovo in una situazione piena di compiti in classe. Vi saluto con una piccola domanda per voi “Cosa succederà adesso?”
   
 
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