Doveva
trattarsi di un incubo, uno di quelli in cui pensi che il mondo stia
per
crollarti addosso e quando ti trovi a un passo dalla morte, finalmente,
ti
svegli. Si morse il labbro, ma nemmeno il dolore riusciva a destarlo da
quel
terribile scenario che appariva davanti ai suoi occhi. Non poteva
essere reale,
no, era qualcosa di così tremendo che se fosse stato
realtà tutto il mondo gli sarebbe
realmente crollato addosso, insieme a un’altra miriade di
cose. Fissò il vuoto
con aria sconvolta, mentre il telefono tornava a squillare per la
centesima
volta, quel giorno, ma era come se non lo sentisse. I suoi pensieri
scorrevano
troppo veloci, senza un filo logico a connetterli e impilarli
l’uno dietro
l’altro. Si spazientì, alzandosi per rispondere a
quella dannata chiamata.
Prese il cellulare in mano, rendendosi conto che non era quello a
squillare,
bensì il citofono. Aprì, senza nemmeno domandare
chi fosse, sapeva benissimo
chi si era presentato alla sua porta visto che da un paio
d’ore a quella parte
aveva tagliato i ponti con l’universo al di fuori. Zacky
entrò in casa,
guardandolo mentre sedeva sul divano, con la testa tra le mani. Brian
notò come
i suoi occhi fossero contornati da occhiaie scure e il suo colorito
apparisse
più smorto del solito. Valeva la pena concentrarsi anche
sull’aspetto fisico di
quell’idiota pur di non pensare, di tenere occupata la mente,
lontana da certe
riflessioni che l’avrebbero portato sull’orlo di un
baratro dal quale non
sarebbe mai più riuscito a risalire. L’amico si
sedette al suo fianco, fissando
con interesse lo stesso punto vuoto su cui lui ormai si stava
concentrando da
parecchie ore.
«Perché
sei qui?»
«Non
lo so. Se fossi stato qualche altro minuto in quella cazzo di casa
sarei
impazzito.»
Poteva
capirlo, era seduto in quella posizione ormai da troppo tempo e
sembrava che la
sua testa volesse esplodere da un momento all’altro.
«Spero
tanto di svegliarmi e scoprire che è stato un incubo
terribile.»
«Tornare
alla solita vita e riprendere a registrare il disco. Sì
Zack, lo vorrei tanto
anch’io.»
Gli
sguardi dei due si incrociarono, quello così chiaro e
brillante ma velato di
tristezza sotto forma di lacrime ad appannargli la vista, e quello
scuro e
caldo, in quel momento distante anni luce, probabilmente perso nel
ricordare i
bei momenti passati col migliore amico che quella notte li aveva
abbandonati.
*
La
televisione passava un qualche programma che ormai andava avanti da
ore, ma non
ci stava prestando troppa attenzione. Stava svaccata sul divano, il
volume della
tv al minimo e l’mp3 nelle orecchie, un foglio bianco e una
penna tra le mani,
i capelli scompigliati e lo sguardo leggermente vacuo. Quella mattina
era
andata allo studio di registrazione, trovandosi davanti la porta
sprangata.
Dunque si era aggirata per la Warner con aria leggermente scocciata,
mentre si
domandava perché non ci fosse nessuno, dato che quel giorno
doveva lavorare al
suo nuovo singolo. Quando però le avevano spiegato la causa,
il fatto non la
irritava più, anzi era diventato un fattore insignificante.
Era tornata a casa,
sedendosi sul divano e non alzandosi che per recuperare il lettore
musicale e
il materiale per scrivere. Fissava la pagina vuota ormai da qualche
tempo, in
assoluta concentrazione. Doveva cercare quelle maledette parole,
metterle tutte
in fila, una di seguito all’altra, dare un senso ai suoi
pensieri caotici.
Jimmy
era morto.
Ecco
cos’era quel fastidio che provava in fondo alla gola, quel
sapore salato di
leggere lacrime che le rigavano le guance. L’aveva visto per
la prima e ultima
volta una decina di giorni prima. Era stato così gentile con
lei da averla
colpita subito. Avrebbe voluto incontrarlo di nuovo, ora che lavoravano
per la
stessa casa discografica non sarebbe stato impossibile come vagare per
Huntington sperando in un colpo di fortuna. E invece Rev se ne era
andato,
lasciandole l’amaro in bocca, ad ascoltare le sue canzoni con
la sensazione che
tutto, in quel momento, sarebbe potuto accadere. Una vita era
brutalmente
finita e Meg cercava le parole per esternare il suo dolore, la
malinconia che
la sua mancanza avrebbe portato. Perché quando sono i
migliori ad andarsene ciò
che resta è la sensazione che il mondo sia completamente
sbagliato.
Cry alone, I've gone away
No more nights, no more pain
I've gone alone, took all my strength
But I've made the change,
I won't see you tonight
So far away, I'm gone.
Please don't follow me tonight
And while I'm gone everything will be alright
No more breath inside
Essence left my heart tonight
Nelle
sue orecchie risuonavano queste parole, mentre cercava di non scoppiare
in
lacrime e ascoltava il testo con attenzione. Erano davvero dei poeti,
un gruppo
composto da persone meravigliose. Perché Jimmy li aveva
lasciati? A questa
domanda non avrebbe avuto risposta.
No,
le parole per Jim non volevano nascere, non volevano sfociare
dall’inchiostro
di quella biro e Meg non capiva perché. Era sempre stata
brava a scrivere
testi, soprattutto quando aveva appena subito un’emozione
forte. Eppure al
momento fissava il vuoto con aria contrariata. Per la prima volta in
vita sua,
Margaret Johanna Kelsey era rimasta senza parole.
Si
alzò dal divano, decidendo di uscire a prendere un
caffè e schiarirsi le idee.
Il cielo su Huntington era grigio e opaco, proprio come al momento si
sentiva
lei. Si diresse al bar più vicino, sedendosi al bancone e
ordinando un
cappuccino, poggiando i gomiti al ripiano e fissando il cameriere
mentre si
dava da fare per accontentarla. La porta del locale si aprì,
lasciando entrare
due figure a lei ben note. Due mori, uno dagli occhi chiari e uno dalle
iridi
color cioccolato, che camminavano con passo stanco, andandosi a sedere
ad un
tavolo ed ordinando due birre. Sembravano entrambi molto stanchi e
provati. Meg
li fissò per qualche attimo, per poi prendere la sua bevanda
e decidere di
lasciarli stare nel loro dolore. Non si sentiva in dovere di
immischiarsi,
quindi versò lo zucchero nella tazza e prese a mescolare
lentamente, lanciando
di tanto in tanto un’occhiata ai due uomini
dall’aria cupa.
*
Era
stata una buona idea uscire a bere qualcosa? Brian non lo sapeva.
Poteva
soltanto affermare che se fosse rimasto qualche altro attimo seduto sul
divano
del suo salotto oppure se avesse messo piede in qualche locale ben
noto,
probabilmente avrebbe tentato il suicidio. Non tanto per dire,
l’avrebbe fatto
davvero. Gli avevano strappato una delle sue ragioni di vita, il suo
migliore amico,
colui con il quale era cresciuto, si era ubriacato, aveva fumato, fatto
risse e
soprattutto, colui con il quale aveva amato la musica. Era quello che
univa
tutti loro, la passione per la musica, ciò che li aveva resi
quasi fratelli, li
aveva fatti diventare parte di una grande famiglia.
Zacky
fissò l’amico, decidendo di ordinare due birre.
Forse sarebbe stato meglio
ordinare qualcosa di caldo, ma al momento un po’ di alcol non
gli avrebbe
sicuramente fatto male. Non riusciva a parlare, qualsiasi cosa provasse
a dire
si sentiva come se si stesse arrampicando senza alcuna protezione, come
se
mettendo un piede in fallo sarebbe presto scivolato di sotto.
«Non
penso di essere completamente me stesso, preferisco non
bere.», aveva asserito
l’amico fissandolo con uno sguardo che significava: meglio se
non bevi neppure
tu. Zachary aveva annuito, dicendo al cameriere di portar loro due
caffè. Gates
fu d’accordo, per poi restare in
silenzio quando l’uomo si fu allontanato dal loro tavolo.
Perché si trovavano
lì? Ah, sì, stavano cercando di metabolizzare la
morte di Jimmy. Pensarlo e
dirlo non lo rendeva più reale, purtroppo lo era
già. Fottutamente reale, così
reale da stringergli la bocca dello stomaco. Forse non sarebbe riuscito
a
buttar giù nemmeno il caffè.
Gli
occhi scuri di Brian vagavano per il locale, stava analizzando ogni
cliente nel
dettaglio per non doversi fermare a riflettere. Gli bastava essere
rimasto
chiuso in casa tutto il giorno, avendo cacciato Michelle, dicendole che
necessitava di restare da solo. Aveva una donna magnifica al suo
fianco, se ne
era andata senza dire nulla, dandogli un bacio affettuoso tra le
lacrime e
andando a consolare la gemella, che a casa Sanders era in pessime
condizioni.
Non sapeva come stessero Matt e Johnny, sicuramente non bene, ma al
momento era
troppo scosso per raggiungerli. Se Baker non fosse andato a tirarlo
fuori da
casa sua, probabilmente sarebbe stato ancora a crogiolarsi nella
disperazione
fissando un punto vuoto. Con quale forza di volontà Zack
l’avesse fatto, però,
non lo sapeva nemmeno lui stesso. Continuò ad osservare la
clientela, quando il
suo sguardo fu attirato da una bella donna che sedeva composta al
bancone,
corti capelli castano ramato, un bel fisico e l’aria di
chi… Bè, è appena
andato a un funerale. Gates rabbrividì anche solo pensando
alla parola,
cercando di concentrarsi sulla figura che gli risultava familiare. Dove
poteva
aver visto quella ragazza? Sicuramente non era una groupie, o li
avrebbe
assaliti non appena avessero messo piede nel locale. Lavorava per loro?
Ma li
avrebbe salutati. Dunque, chi diavolo era? Quando lei si
voltò verso di lui,
incrociando il suo sguardo color caramello, il ragazzo
ricordò. L’aveva vista
qualche giorno prima alla Warner Records, ecco. Stava chiacchierando
con Jim,
mentre aspettavano che finisse la riunione sulle tracce
dell’album che stavano
iniziando a registrare.
Zack
fissò l’amico mentre questi, a sua volta,
osservava una bella donna che
sorseggiava placidamente un cappuccino. Si domandò
perché gli sembrasse di
averla già vista. Come se gli avesse letto nel pensiero,
Brian affermò:
«Quella
tizia qualche giorno fa era alla casa discografica. Quando abbiamo
fatto la
riunione. Stava parlando con Jimmy.»
Zacky
la osservò un attimo, per poi fissare l’amico.
«Jimmy
non sbaglia mai.»
Brian
tese le labbra in quello che doveva apparire un sorriso, un
po’ troppo forzato
per sembrare reale.
«Già,
Jimmy non sbaglia mai.»
L'angolo della piccola folle:
Coff coff, eccomi col secondo capitolo. Come aveva intuito Josie 182, che ringrazio per la recensione, le date corrispondo alla realtà. Questo è il secondo capitolo introduttivo, quello che mi ha distrutto il cuore mentre lo scrivevo, ma che era doveroso ai fini della storia. Non ho ancora terminato di scrivere il terzo capitolo, ma essendo quasi alla fine ho pensato bene di pubblicare questo. Eeeeh, vi prometto che i prossimi saranno più lunghetti. Grazie ad Amor vincit omnia per l'altra recensione, sepro tanto che questo capitolo ti piaccia. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le preferite, le seguite ecc, e grazie anche a chi solo ha perso un po' del suo tempo per leggere. Un bacio, al prossimo capitolo.
Berrs