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Autore: Ade1623    04/02/2006    2 recensioni
Questo è il seguito de "L'ultimo viaggio di Kami", quindi se volete ben comprendere l'intero racconto leggete anche quello, che comunque è brevissimo (un paio di paginette). Spero che vi piaccia, si tratta della mia prima fanfic su WR e in assoluto, ho inventato personaggi nuovi che vivranno la corsa per il Rakuen dietro Kiba & co. ipotizzando che come loro anche altri lupi nel mondo potrebbero aver sentito il profumo dei fiori della luna. Buona lettura e commentate, mi raccomando ^^
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VII. La scelta di Manako
Andare troppo vicino ad una città non poteva che portare delle disgrazie. Anche quella volta non ci fu l’eccezione.
Il nostro vagare senza meta ci aveva portato vicino a quel posto, tanto vicino che potevo sentire l’odore degli umani come una stagnante presenza tutt’attorno a me e ai miei fratelli. Ryoku si era premurato di mantenerci abbastanza lontani da quel luogo, anche se l’odore di cibo era talmente attraente che potevamo scordarci degli uomini e cedere ai fantasmi della fame. Non mangiavamo decentemente da una settimana, e le forze venivano meno.
C’era però una regola tra i lupi dell’ovest: non usavano ingannare gli uomini, assumendo il loro aspetto, perché era disonorevole ed umiliante per un lupo farlo. Mi chiesi perché allora Raik me lo aveva insegnato, e mi convinsi che quel saggio lupaccio grigio doveva aver avuto un buon motivo.
Nel nostro sfiorare la città avevamo intenzione di dirigerci alla discarica, un luogo immondo dove però avremmo potuto mangiare. Ryoku non era certo fiero di questo e la sua espressione era un chiaro specchio delle sue emozioni contrastanti. Si sentiva frustrato e addolorato perché non poteva far mangiare noi come si deve, i suoi fratelli, coloro che dipendevano dal suo giudizio.
Una volta vicini alla discarica incontrammo un gruppo di umani, che ci tirarono addosso di tutto, nel tentativo di scacciarci. Noi ringhiammo e avanzammo senza paura: in quel momento dovevamo sembrare la cosa più terrificante che quei poveretti avessero mai visto in vita loro, a giudicare dall’espressione terrorizzata che fecero e dalla precipitosa fuga a gambe levate.
Quegli stupidi fuggirono e si lasciarono alle spalle qualcosa, anzi… qualcuno.
«Fermi!» disse Ryoku, inchiodando con quel suo ordine Kataru e Koinu, che già stavano scattando verso la discarica, con gli stomaci che rumoreggiavano.
C’era una bambina, che era caduta a terra, fuggendo, ed era stata lasciata lì. Si era rizzata a sedere e ci stava fissando, senza piangere, senza fare una piega. Aveva due occhioni enormi, i capelli biondi ed era vestita con un completo bianco, sul quale spiccava un fazzoletto rosso, un foulard che le avvolgeva il collo.
Unari si fece avanti, con tutto l’intento di spaventarla a morte, fermato anche lui dal capobranco. Io, invece, stavo provando delle emozioni contrastanti. Quella creatura, così piccola e indifesa, che mi guardava con quello sguardo sperduto, che cercava un segno, un qualcosa che le dicesse che non volevamo farle del male…
Poteva essere anche lei un’umana? Faceva anche lei parte di quella specie dannosa e nociva, che ci odiava e ci disprezzava?
Credo sia stato allora che cominciai a capire qualcosa di più sugli umani.
Avanzai, e nessuno mi fermò.
Ryoku mi vide, e non disse nulla. Vide Manako, una giovane ragazza, che si avvicinava alla bambina. Quando la piccola si rese conto che era una come lei che la stava toccando e non un lupo, un cane o quello che credeva che fossimo, ebbe come un sussulto. Certamente stava pensando che c’era qualcosa di strano in quella scena, che prima c’erano sei lupi e ora cinque di loro ed un’umana, come lei. Ma non disse nulla.
Le presi la mano nella mano, l’aiutai ad alzarsi.
«Ciao piccola.» dissi.
«Ciao.» fece lei, con un sussurro timido. Teneva gli occhi bassi, come se avesse paura degli adulti. Chissà cosa aveva passato.
«Ti hanno lasciato qui sola?»
«Uh uh!» disse lei annuendo.
«E dov’è la tua mamma?» dissi, e lei scosse la testa «E il tuo papà?» lei fece cenno di sì e indicò la città.
«La dentro? Vuoi che ti accompagni?» e la piccola fece cenno di sì con la testa, ancora una volta.
«Chi sei tu, bella signora?» mi chiese poi, con un filo di voce.
«Sono la tua nuova amica! Mi chiamo Manako. E tu come ti chiami?»
«Stella.»
«Che bel nome. Andiamo!» mi alzai e lei con me, e cominciammo ad incamminarci per la città, sole.
Sentivo gli sguardi attoniti dei miei compagni alle spalle, sicura solamente di una cosa: tra di loro il più severo era quello di Ryoku, e allo stesso tempo era il più comprensivo.
Portai la bimba fin dentro la città. Lei si rilassava man mano che ci avvicinavamo a casa sua, fino a che cominciò a sgambettare, mentre io reggevo saldamente la sua mano.
«È qui che abiti Stella?» dissi, davanti alla porta.
«Uh uh!»
Bussai alla porta e dopo un po’ mi aprì un uomo, vestito da maniscalco, o almeno credo che fosse stato quello il suo mestiere. La bimba lo abbracciò subito e lui non fece domande.
«Stia più attento a sua figlia la prossima volta.» dissi io severa. Feci per andarmene ma fui fermata.
La manina di Stella mi tirava per la giacca. Mi chinai verso di lei, e mi diede qualcosa. Sciogliendoselo dal collo fece scivolare il foulard rosso e lo avvolse al mio, facendo un bel nodo.
Un sorriso, abbagliante e splendido, affiorò sul suo volto e mi riempì il cuore e l’anima di pace. Le sorrisi di rimando e le carezzai la testa.
Decisamente quel giorno le mie opinioni sugli umani erano cambiate.

Tornando al branco subito gli occhi di Ryoku si posarono su di me, che ormai ero nuovamente lupo in tutto e per tutto. Il capobranco stava emettendo un giudizio, stava cercando di capire quali provvedimenti doveva prendere nei miei confronti.
«Manako.» disse solamente. Io mi fermai davanti a lui e attesi, nervosa e sicura che non ci sarebbe stato nulla a mio favore in quel giudizio.
«Dimmi una cosa, perché lo hai fatto? Cosa significava quel cucciolo umano per te?» disse solo questo.
Lo guardai negli occhi e forse lo feci per la prima volta, ne ebbi il coraggio.
«Nulla.» le parole mi erano uscite di bocca come un soffio.
Ryoku annuì, capendo. Mi oltrepassò, e provai un brivido lungo tutta la spina dorsale, fino a che la sua coda non scomparve dietro le mie spalle. Tutti gli altri compagni fecero lo stesso fino a Koinu, che scodinzolando mi fece un giro attorno.
«Sono contento che sia andata bene. Ho temuto il peggio!» mi disse, sottovoce per non farsi sentire dagli altri.
«Non quanto l’ho temuto io, piccolo!» dissi io, sorridendo.
«Ehi! Non sono piccolo!»
«Va bene, va bene…» e anche noi due ci avviammo dietro al resto del branco.
Ora, per un pò, avremmo pensato solo a mangiare.

  
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