I primi approcci andrebbero aboliti.
L’intelligenza profonda della natura, la saggezza del suo
ordine si coglie proprio nella chimica profumata cui ha delegato l’ingrato
compito che l’uomo rimette alle parole, alle strette di mano, agli sguardi
obliqui.
Balle: non ci siamo evoluti sino al punto da far parlare un
palmo madido – se mai il contrario.
I cani si annusano: li vedi, circospetti, cercarsi e
scoprirsi nell’odore.
Gli uomini mentono.
Gli adolescenti, inventano.
Hermione Granger è piena d’imbarazzo e di parole.
Come accade solo a quei timidi sfacciati, sempre pronti a
sfidare il limite della vergogna, la sua lingua produce una slavina
d’argomentazioni surreali.
La pelle nuda di Draco l’ha spogliata di tutto: prima era
afona e ora loquace come un pappagallo. Vorrebbe trovare il modo di fermarsi, ma
l’imbarazzo innesca reazioni a catena.
Eccola, allora, sproloquiare di Aritmanzia e rune, pozioni e
trasfigurazioni; eccola inciampare sul latinetto di un incantesimo da sesto anno
e contestare i fondamenti della mantica alla Cooman.
Draco socchiude le palpebre sugli occhi trasparenti e abbozza
un sorriso. “Ehi… Non ti sto interrogando,” le dice.
Non c’è malignità nella sua voce – forse una punta di
sarcasmo – ma Hermione vorrebbe sparire.
Di tutto quel che avrebbe potuto dire o fare per catturare
l’attenzione di Malfoy, ha scelto la via che conosce meglio, e su cui, per
altro, ha sempre perso: la strada della secchiona – quella che, con la mano
alzata, forse s’illude di poter sfiorare il cielo.
Il vicolo cieco di una povera illusa.
Le parole le mancano all’improvviso, tutte insieme.
Boccheggia come un pesce in secca, Hermione – si sente vuota e vacua come una
Lavanda qualunque. Forse è proprio quel che le riesce più difficile digerire.
Gli occhi di Draco non l’abbandonano. “Ti sei offesa?”
Scuote il capo, perché ha abbastanza buonsenso da prevedere
che la voce le uscirebbe malferma, umiliata e inconsistente.
Malfoy si stringe nelle cocche del suo scialle, incollandogli
l’odore di un desiderio che non riuscirebbe ad esprimere – non ora che le parole
le mancano. Non ora che, delle parole, non si fida più.
“Quello che voglio dire è che l’ho capito che sei una strega
in gamba.”
Hermione abbassa il capo, perché i suoi indomabili capelli la
salvino dall’imbarazzante evidenza di un rossore come non se ne sono mai visti.
Le pizzicano le guance, tanto bruciano. Le brillano gli
occhi.
“Viktor ha molto istinto. Di solito non si sbaglia.”
Draco guarda il fuoco. Le fiamme guizzano nelle sue iridi
d’argento vestendole d’oro. Sono gli occhi di Lucius Malfoy – di un uomo che
Hermione ha imparato a conoscere e a temere – eppure sono una storia del tutto
diversa.
“In che senso?” replica a mezza bocca.
Draco le regala un sorriso furbo – un sorriso complice.
“Davvero non ci arrivi?”
Hermione scuote il capo. Seguire la via del cuore ti trascina
sul ciglio di un imprevedibile baratro: ora la sa.
A quindici anni, cadere e volare sono sinonimi di libertà.
“Questo è un altro valido motivo, allora.”
“Per cosa?”
Malfoy si sfila lo scialle e glielo drappeggia con grazia
sulle spalle. “Il grande Krum ti farà la corte,” sussurra al suo orecchio.
“Potrebbe essere uno spettacolo divertente.”
Se non muoio prima, accidenti a te, pensa Hermione.
Un bel pensiero alla Granger, pragmatico e spoglio d’inutile
poesia. Un pensiero che la rassicura, perché se riesce a frustarsi con un po’ di
sarcasmo, vuol dire che occhi d’argento non l’ha vinta del tutto.
“Adesso devo rientrare. Non vorrei che il Preside pensasse
che sono evaso.”
Hermione abbozza un sorriso. “D’accordo… Scusa se ti ho
disturbato,” aggiunge d’un soffio.
“Non mi hai disturbato. Non sono il tipo che lo permette,”
replica lui.
Il lago inghiotte le sue ultime parole, ma non il rimbombare
del suo cuore.
Hermione chiude gli occhi. “È
andata,” bisbiglia.
Una volta tanto non si preoccupa di costruire una frase di
senso compiuto.
***
Hermione Granger non è poi una preda facile.
Draco si asciuga con energia i capelli e si concede una
smorfia compiaciuta e cattiva. Ha quattordici anni e il crudo buonsenso del
bambino cresciuto: non ha bisogno della Legilimanzia per dirsi che sì, ha fatto
colpo – un colpo molto riuscito e molto utile, riflette, perché entrare nelle
grazie della migliore amica del Prescelto vuol dire avere tra le mani Harry
Potter. Vuol dire essere ad un passo dal completamento di un piano eroico e
scellerato.
Che tipo è, lei?
Una strega sorvegliata e attenta, prima di tutto. Giovane,
sì, ma non superficiale e un po’ stupida come le sue coetanee: cerca e ottiene
controllo anche quando lo sta perdendo.
È un osso duro, per essere anche morbida e fragile.
Draco indossa una camicia pulita.
Ha due occhi davvero belli.
L’anarchia sorprendente di quel pensiero lo fa sussultare
come una puntura molesta, perché è una deviazione imprevista nel quadro
organizzato della sua strategia.
Non è a Hogwarts per corteggiare, ma per uccidere, si ripete:
eppure Hermione se ne sta là, da qualche parte, con il suo sorriso timido, le
mani mobili e un’abilità non comune nel governare gli elementi. A quattordici
anni, per quanto tu possa giocare la carta della resistenza ad oltranza, tanto
ti basta a notare una ragazza.
Che esperienza ha delle donne, Draco?
Poca o nessuna. Non ne ha perché è giovanissimo e perché vive
al freddo in un consesso di lupi. Non ne ha perché proviene da una casta che
considera sconveniente tutto quel che profuma di letto e di cuore; che le sue
signore chiude in una teca indistruttibile.
L’unica donna della sua vita è Narcissa, ma Narcissa è una
madre, non una compagna, una strega, un odore in cui cercarsi.
Hermione è il suo banco di prova. È troppo giovane per
intuire che è la presunzione a spezzare il maglio.
“Un altro incarico di Krum?”
La voce di Florian lo sorprende alle spalle. Se ne sta
inclinato di tre quarti e lo guarda, Von Kessel – gli occhi artici riflettono la
luce spettrale della lanterna.
“Uh?”
“Vi ho visti in spiaggia. Sei sicuro di sapere quel che fai?”
“Più di quello che credi,” replica freddo.
Florian non abbassa lo sguardo: è scettico e vuole che lo
sappia.
“Ho scoperto molto di Hogwarts; abbastanza, almeno, da dirti
che sono prede facili.”
La sua voce è dura, depurata da ogni accento. “Hanno una
preparazione elementare. Non studiano le arti oscure. Fino al quinto anno,
almeno, perdono tempo.”
“Harry Potter ha abbattuto un Basilisco,” sottolinea Florian.
“Sarà stato un colpo di fortuna. Non c’è nessuno che valga il
più debole di Durmstrang. Te l’assicuro.”
Von Kessel arriccia le labbra, come fa sempre quando ha
bisogno di pensare. “Forse hai ragione, ma ti consiglio d’essere più discreto.
Se Krum vuole quella ragazza…”
Draco rotea gli occhi. “Sì, va bene, va bene,” mugugna. “Hai
qualche altro consiglio da darmi?”
“No, un ordine. Ho avuto un falco da Karkaroff. Ci aspetta
nella sua cabina tra… Uhmmm… Mezza clessidra?”
“E quando contavi di dirmelo?”
Von Kessel gli rifila un sorriso perfido. “Sono stato educato
alla discrezione, Malfoy. Non s’interrompono i colombi, non lo sai?”
“Non sei divertente come credi,” bofonchia Draco, ma l’ansia
per l’imminente commessa inghiotte imbarazzo e recriminazioni.
Hermione – occhi belli. Occhi fieri – evapora, sacrificata
all’intermittenza dell’età.
Non ha fame di ragazze, Draco; il suo è ancora l’appetito
nudo delle giovani fiere.
***
Il gufo di Silente l’ha sorpreso ad un’ora antelucana, ma la
verità è che non l’ha sorpreso affatto, perché Severus Piton ha imparato a
leggere negli occhi del Preside di Hogwarts prima ancora che nei suoi messaggi
anodini, intrisi di facezie e di sarcasmo.
L’ultimo pare un’innocente filastrocca, ma in un tempo che
l’ingenuità ha perso e digerito, d’innocente non resta nulla. Neppure una rima.
Al valente pozionista,
che di notte mesce e inventa,
indicar voglio una pista,
che silente e temo lenta
nel buio più profondo
tutti insieme ci conduce
ai confini di quel mondo
ch’è tristo e senza luce.
Freddo soffia il vento,
oscuro e ahimè nemico,
sulla bella luna d’argento
d’un collegio amato e antico.
Non c’è granché da interpretare: dove non soccorre la
fantasia, basta Igor Karkaroff.
La fiamma viva della candela lambisce i bordi della
pergamena. Il fuoco cancella e purifica, come non permette la memoria.
Quella di Severus, sfregiata da un tradimento imperdonabile,
ha ripreso a sanguinare come ha incontrato l’antico compagno.
Che tipo era, il preside di Durmstrang?
Un degno figlio delle Arti Oscure, del buio del grande Nord e
della ragione.
Un opportunista molto intelligente.
Un baro.
Silente lo sa bene, eppure l’ha accolto.
Severus si chiede se potrà mai davvero proteggere questo suo
nuovo padre così coraggioso e così pazzo da puntare tutto sulla forza di un
ragazzino.
“Siamo inglesi, Severus mio,” ha motteggiato noncurante il
folle Albus. “Scommettere è la nostra vocazione e la nostra forza.”
O la nostra fine, ha pensato Piton, inghiottendo
disincanto e bile.
Silente è la sua bandiera e la sua forza: sa che può fidarsi
di lui, dunque lo asseconda.
Il Preside scruta il vuoto e la notte oltre la trifora – se
ha avvertito i suoi passi, non se n’è fatto turbare. “Ti ho disturbato, Severus?”
gli domanda senza calore.
“Sapete che non è possibile, Preside.”
Non c’è sottomissione, ma rispetto nelle sue parole. È una
sfumatura sottile, che pochi saprebbero cogliere. In un mondo in cui il
servilismo è un’abitudine e una strategia di sopravvivenza, gli uomini come
Severus sono mosche bianche persino se abbigliate di un nero monacale.
“Immagino anche che tu intuisca le ragioni della mia
chiamata.”
Silente lo guarda. I suoi occhi chiari, oltre le lenti,
brillano astuti.
È un lupo travestito da agnello, Albus: per questo Piton lo
ama e lo rispetta. I Santi, almeno, non possiedono il carisma del diavolo –
difettano anche quanto a umorismo.
“La presenza di Igor Karkaroff basterebbe per tutto.”
La sua replica è scarna. Il tono, monocorde. Della doppiezza
di un passato da dimenticare, Severus conserva la prudenza delle spie.
“Dici bene, ma non è tutto.”
Silente siede ora alla scrivania. Le sue vecchie mani
accarezzano la superficie di quercia, tracciando sul legno stagionato
un’invisibile runa.
Il piano si fa molle come cera e vomita una pergamena che sa
di muschio e di sterco.
“Sì, l’odore non è dei più piacevoli, ma se il denaro non ha
profumo, cosa dovremmo dire della verità?”
Che puzza come un cadavere di una settimana, pensa
Severus.
“È un messaggio di Sirius Black.”
La voce del Preside non trema, né tenta di simulare
un’improbabile sorpresa – anche a possedere un cuore incline a pericolose
ingenuità (e non lo possiede) Piton non avrebbe mai scommesso sull’innocenza del
Preside di Hogwarts.
Se avesse voluto consegnare un pericoloso ricercato alla
giustizia, l’avrebbe fatto senza colpo ferire. Non ha mosso un dito, invece,
Silente, il che sta a dire che lo vuole vivo; che Black, soprattutto, gli serve
libero e vivo.
“E dovrebbe interessarci?”
Albus inforca gli occhiali e legge – la voce vibrante e
pastosa del retore appassionato. Dell’attore consumato.
Caro Preside,
i nostri accordi erano altri, ma se avessi cercato un
interlocutore affidabile – lo sappiamo entrambi – non avresti scelto me.
Non ti uso neppure la cortesia che si dovrebbe a un saggio e
a un eroe. Non sono mai stato un allievo modello e l’unico patto cui abbia mai
tenuto fede ha un profumo antico – o puzzo, dovrei dire, perché gli anni l’hanno
reso cancrena.
Giuro di non avere buone intenzioni.
Era vero allora. È vero oggi.
Mi sento vecchio, Albus.
Lo sono più di te, perché gli anni che mi hanno mangiato non
torneranno più e non sono diventati memoria.
Sono morto nella mia pelle e abito da abusivo una vita in
prestito.
Non è di me che devo parlare, però: non sono un argomento
interessante.
Mi avevi chiesto, per il bene di Harry, di farmi da parte e
cercare un posto sicuro, perché sono tutto quello che gli resta di una famiglia
distrutta.
La ragione è dalla tua. La rabbia, dalla mia.
La rabbia e la vendetta sono quanto ha avvelenato la mia
anima al punto che neppure il più affamato dei Dissennatori di Azkaban l’ha
voluta.
Pensa: ho scoperto un antidoto all’orrore e nessuno mi ha
ringraziato!
In questi mesi non ho mai smesso di fuggire: ho toccato i
confini di Iperborea e seguito la corrente del Golfo. Sono stato il cane di un
capitano di lungo corso – un Babbano che mi ha amato come neppure una donna, te
l’assicuro! – e tanto mi ha permesso, almeno per un poco, di riposarmi in una
pelle diversa da quella dell’assassino, del transfuga, del rinnegato.
Non ho mai smesso di pensare al mio figlioccio, però. Mai.
È curioso, perché di Harry non avevo che frammenti sfocati,
barbagli di una vita felice che non ha avuto James, che non ho avuto io.
Puoi imparare a voler bene dal niente? Forse sì.
È di Harry che voglio parlarti, perché la mia assenza non è
un nuovo abbandono, ma un lascito temporaneo. È la nostra speranza e voglio che
viva il più a lungo possibile.
Silente s’interrompe e lo cerca con lo sguardo.
“Tutto ciò è molto commovente, ma non vedo in quale misura
dovrebbe interessarmi. Non sono responsabile delle sue scelte. Sirius Black ha
sempre mostrato, piuttosto, un invidiabile talento nel rovinarsi la vita.”
Il Preside gli rivolge un’occhiata obliqua. “C’è dell’altro,
e questo dovrà interessarti per forza, perché ti coinvolgerà.”
Severus porta lo sguardo alle sue dita intrecciate; è un nodo
scontento, che tradisce – forse troppo – il suo stato d’animo.
Harry ha gli occhi di qualcuno che non può dimenticare, ma
tanto non basta a inventare un affetto.
Silente riprende la lettura.
Sono vicino, ma non abbastanza da poter usare i miei occhi,
il mio fiuto, il mio istinto.
So che la cicatrice di Harry non prude, ma urla.
Non c’è bisogno che ti suggerisca il significato di un simile
evento, immagino.
Il mio figlioccio, però, ostinato come solo un ragazzino può
essere, ancora non ti ha cercato, ne sono certo. Per questo ti scrivo: ti scrivo
perché tu sappia che potrei tornare a solcare vecchi sentieri, ombra tra le
troppe che minacciano Harry. E ti scrivo per dividere quanto già so: il Signore
Oscuro non resterà un nome ancora a lungo. Ci sono state sparizioni sospette.
C’è, soprattutto, un lezzo di morte nell’aria che avvelena ogni speranza.
So che non mi tradirai e che non tradirai Harry.
Quale sia il mezzo che userai per proteggerlo, io sarò con
te.
Silente solleva lo sguardo dalla pergamena.
“Credo che Voldemort stia violando la mente di Harry per
spiarci.”
Severus stringe i denti e mastica risentimento. “Spero che
non sia troppo stupido per quel che posso insegnargli,” sospira.
Il Preside sorride. “Ti chiedo molto, lo so. Non lo farei, se
non mi fidassi di te.”
Piton annuisce a capo chino.
Tutto il futuro di cui disponi, in fondo, non è che il
passato che hai seminato.
Il suo è lastricato di morti. Soprattutto di quelli
sbagliati.
***
Karkaroff è stato di parola: il Calice vomita il nome di
Harry Potter nell’incredulità generale.
Florian stira le labbra in un sorriso feroce, mentre, al
fianco di Draco, si prepara ad abbandonare la Sala Grande.
Nessuno bada a loro, piccole ombre che la notte inghiotte
presto, discreta.
“Ora tocca a noi,” sussurra Malfoy. “Dovremo movimentare un
po’ le cose.”
Florian annuisce – i sensi tesi gli suggeriscono che il buio
non tace come dovrebbe.
C’è qualcosa.
C’è qualcuno.
Stringe con forza il braccio di Draco, per ridurlo al
silenzio.
Una risata secca e stridula gli ferisce l’udito: spettrale e
grottesco, con quell’occhio che ruota in un’orbita altrimenti cava e disgustosa,
Malocchio li fissa sprezzante.
“Non dovresti essere qui, Barty,” osserva freddo. “Il corpo
docente di Hogwarts non va in giro a spaventare studenti.”
Crouch scopre le zanne giallastre. “Un pulcino che fa il
galletto… Divertente,” sibila.
Draco, teso, sceglie di restare in silenzio.
“Che novità mi portate, agnellini?”
Barty ha un modo tutto suo di giocare con le parole: ti
disprezza e allora ti vezzeggia.
Quanto di più dolce e tenero esiste al mondo, sulle sue
labbra diventa fiele.
“Harry Potter è stato scelto,” mormora Draco. “Un incidente
durante le prove potrebbe sempre capitare, no?”
Tenta di darsi un tono, ma sta sudando freddo.
Barty è terrificante, sebbene indossi la maschera patetica di
un vecchio cacciatore pieno di ferite.
“State attenti a quello che fate,” sibila Crouch. “Avete
scelto una guerra in cui non sono ammessi errori, perché chi sbaglia…”
Il suo alito è fetido e dipinge nel freddo spettrali fuochi
fatui. “… Muore.”
E poi se ne va, zoppo e sbilenco, là dove brillano le luci
del collegio.
Von Kessel riprende a respirare.
“Dovremo trovare il modo di sistemare anche lui,” bisbiglia
Draco.
Quando ti addestrano a uccidere, il numero non ti spaventa
più.