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Autore: Harriet    24/04/2011    2 recensioni
"Un brindisi all'unico di noi che si è fatto beccare, arrestare e condannare a morte! Venendone fuori con un certo stile, o almeno così dicono."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La notte è chiara come il giorno'
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Fuorilegge



And the children were singing
"Outlaw, outlaw, outlaw"

(Thea Gilmore, Cold Coming)


La locanda è un crocevia di situazioni impossibili.
Sta in un'ansa tra gli spazi, in una discarica dimensionale, in un territorio che non è di nessuno e nessuno ha intenzione di reclamare. Come mai c'è proprio una locanda? E' facile da capire, in fondo: è nei posti quasi inesistenti, che di solito si ritrovano i fuorilegge.
Se si trascura la penombra costante, gli odori troppo forti portati dal vento, i rumori che debordano da tutti i mondi e si infrangono in quel piccolo angolo di niente, non è un brutto posto. Certo, nel giardinetto circostante non cresce quasi nulla, e la strada arida su cui la locanda sorge è un eterno sollevarsi di polvere che impasta il respiro, mentre da chissà dove arriva l'odore della pioggia - ma non piove mai.
E poi ci sono le guardie. Le guardie sono di tutti i tipi: polizie in divisa e bande armate senza altra legge che il loro numero e le loro armi. Le guardie arrivano dalle città e dai mondi attorno alla locanda, che se ne sta in quella nicchia misteriosamente collegata a un miliardo di universi differenti. Le guardie arrivano gridando, spalancano le porte, spaccano i vetri, devastano le stanze, a volte trascinano via qualcuno del quale poi non si sa più nulla.
E' un posto di fuorilegge, quello, ve l'ho detto. E i locandieri sono scesi a patto con questa faccenda molto tempo fa.

Da qualche parte deve essere notte, ma il cielo sulla locanda non riesce a essere mai completamente scuro, né le stelle hanno voglia di farsi vedere. Norel, la più vecchia dei locandieri (forse è l'unica che ricordi ancora come mai si trovano lì), sfaccenda stancamente in cucina: una manciata di clienti attende la propria ordinazione, e se il posto è quello che è, Norel si è sempre fatta un vanto di offrire almeno roba particolarmente buona da mangiare.
- E questi chi li ha portati?- Borbotta la signora, frugando in una cesta stracolma di verdure, per pescarne dei frutti azzurrini e oblunghi, qualcosa che non ha mai visto.
- Un tizio che si è fermato stamattina.- La informa sua nipote Matilda, con le gambe magre incrociate in una posa quasi circense su una sedia traballante, intenta a sbucciare baccelli e lanciarli in un'immensa ciotola in cui sta prendendo forma un'insalata multicolore.
- Sono buoni per quella?
- Sono dolci. Ne ho mangiati uno. Senti Dal se ha voglia di farci una macedonia.
Dal, una quarantina d'anni, pochi capelli rossicci e un paio di occhiali sempre rotti, si affaccia dal ripostiglio e annuncia che lo farà con piacere. Non ha legami di parentela con Norel o Matilda, ma è lì da così tanto tempo che ormai entrambe sono convinte che sia un loro cugino o qualcosa del genere. E' la cosa più gentile e candida all'interno della locanda, quella persona.
- Il tipo al tavolo vicino alla finestra dice che si muore di freddo.- Annuncia Twil, il più giovane dei locandieri, entrando di corsa in cucina con un vassoio carico di piatti vuoti.
- Non ha tutti i torti.- Sospira Matilda. - Tre finestre rotte. Di là si congela.
- E che dobbiamo fare?- Norel scuote la testa e allarga le braccia. Non è colpa loro, se di nuovo le guardie (chissà di quale paese, lo hanno già dimenticato) hanno infranto i vetri. Non è colpa loro se da fuori sta spirando un vento freddissimo, che annuncia una neve che non verrà mai, ma riesce comunque a congelare i loro disgraziati avventori.
- Falli venire in cucina.- Suggerisce Dal, che ha cominciato a imbastire una macedonia. - Ci sono la stufa e il camino. Staranno bene.
- Certo. Ci staranno tra i piedi e ci romperanno le palle.- Ribatte Norel, ma poi vede lo sguardo implorante di Dal, che sarebbe gentile con chiunque, e decide di cedere, perché è notte, e dopo aver fatto la guerra per tutto il giorno è stanca anche lei.

Twil ha improvvisato un tavolo, gettando le assi su cui Norel fa lievitare il pane di traverso su due sgabelli alti che stanno attorno al bancone, nella sala principale della locanda. E' una cosa terribilmente precaria, ma i cinque clienti sembrano soddisfatti.
- Che tempo di merda.- Borbotta Dario. Lo conoscono da una vita: enorme, sempre a testa bassa, capace di sterminare in una serata le provviste che altra gente consumerebbe in un mese. Sanno che è stato un brigante in una decina di posti diversi e sanno anche diversi aneddoti che hanno a che fare con occhi cavati e coltelli da macellaio.
- Se nevicasse, sarebbe bello.- Ribatte una ragazza lunga e magra, con il viso buffo dagli occhi rotondi, e i capelli castani raccolti in un mazzo di trecce. Sotto il tavolo c'è il suo cane, che importuna amichevolmente gli altri avventori. - Il problema è che arriva solamente il freddo. Ti viene voglia di neve, e quella non scende mai.
- Se nevicasse, allora sì che saremmo nella merda.- Protesta Dario.
- Ma no. Farebbe freddo, ma almeno avremmo in cambio una bella visione.
- Bella visione di merda.
- Mangia e non rompere.- Sospira Norel, riempiendo di nuovo il piatto dell'omone, mentre gli altri ridono sottovoce.
- Ho passato mezza vita a scappare dalla neve.- Dice Kliet, un giovane uomo dal viso molto bello: occhi chiari, capelli blu e scompigliati. Ha degli strani tatuaggi multicolore sulla guancia destra e su entrambi i polsi. C'è stato un tempo in cui amava Matilda. Un giorno Matilda ha annunciato che lui non era più il benvenuto nelle sue stanze, ma non ha mai voluto spiegare perché. Però un tempo sorrideva come un bambino, adesso invece sorride come un serpente.
- Io, invece, mi sono nascosta mille volte nella neve.- Verilda ride, la sua voce di notte e di mare risuona come l'eco di un grido sotto una volta immensa. E' grossa, bella, sfacciata, con le vesti e i capelli rossi, e conosce tutte le brutture dei mondi, ma anche una discreta quantità di bellezze. - Una certa situazione atmosferica o territoriale sfruttata bene può ammazzare esattamente come una freccia o una spada.
- Lui c'è nato, nella neve.- La ragazza indica l'ultimo cliente. Uno degli affezionati della locanda. Forse è il preferito di Norel: la fa sentire un po' nonna e un po' corteggiatrice, quando deve servirlo e lui la trattiene a chiacchierare al suo tavolo, guardandola con quegli occhi scuri vivacissimi. E' un tipo dalla corporatura normale, la faccia comune, pelle olivastra e capelli neri e lunghi. Non ha niente di particolare, di notevole, eppure allo stesso tempo riesce ad attirare l'attenzione, in certi momenti, e non si capisce come mai.
Ha molti nomi. Troppi. Matilda ha provato a scriverseli tutti, una volta. Alla fine si è arresa.
- Sì, da qualche parte sono nato nella neve.- Risponde lui, gentile.
- E' una cazzata. Io ci sono stato, dove vivi tu. Fa un caldo di merda ed è tutto deserto.- Protesta Dario. - Nascondersi è un casino. E la polizia è la più stronza che esista.
- Sono incline a darti moderatamente ragione sull'ultimo punto.
- Va bene, dai, lo sapete: gli piace fare il misterioso e dire che vive contemporaneamente in tutti i mondi.- Dice la ragazza.
- Ognuno si nasconde come può.- Kliet versa da bere all'ultimo ospite. - Creare confusione sul proprio luogo di nascita o di residenza è un ottimo modo per non farsi beccare, no?
- Diciamo di sì.
- Così come darsi tanti nomi. Dovremmo imparare tutti da te. Giusto, Sol?
- Non si chiama Demer?- Si stupisce la ragazza.
- Tu pensa che io lo conoscevo come Ariel...- Dice Verilda.
- E nessuno di quelli è vero.- Conclude Dario, concentrandosi sulla nuova portata che Norel gli ha messo davanti.
- Oppure tutti sono veri.- Dice Matilda.
- Io però non ho mai capito come mai sei un fuorilegge.- Gli domanda Twil, rubando una sedia e piazzandosi a sedere accanto allo straniero.
- Perché è un pazzo.- Dice Dario. - Predica cose insensate e fa incazzare quelli più forti di lui. E poi ha un codazzo di fanatici che lo chiamano "dio" e "salvatore", gli cantano nenie e gli accendono candele. Poi però si ammazzano tra sé e incasinano i mondi. Io preferirei avere nel mio paese un assassino come me, piuttosto che uno come lui, o magari come i suoi amici.
Matilda ride. Norel brontola contro il cliente burbero. Dal offre l'insalata allo straniero, con uno sguardo mortificato, come se volesse scusarsi lui per le parole di Dario.
- Pare che dica la verità troppo forte.- Risponde Verilda. Solleva il bicchiere pieno di vino verso lo straniero e sorride. - Un brindisi ad Ariel, l'unico tra noi che è riuscito a farsi beccare, arrestare e condannare a morte! Venendone fuori con un certo stile, o almeno così dicono.
- E come avresti fatto?- Chiede Twil, gomiti sul tavolo e sguardo ormai incantato da quelle storie che sente.
- Ha fatto finta di morire.- Sostiene Dario.
- Dicono che sia amico di qualche pezzo grosso.- Dice Kliet. - Oppure, che lo sia lui stesso.
- La tua insalata migliora sempre, Matilda.- Dice lo straniero, ignorando chi parla di lui. La ragazza sorride e gliene serve ancora.
- Da quello che so io, tu avresti la tua casa al sicuro da tutto, ma ti diverti moltissimo a mescolarti con le creature più basse, chissà perché.- Dice Verilda. - Giusto?
- Sì, ma non mi piace la definizione "creature basse". Non esiste niente di basso, nella creazione.
- Senti un po'.- Continua la donna. - Sei solo molto sfortunato o c'è un perché per il fatto che ogni volta che ti vedo hai qualche ferita?
Indica una fasciatura bianca che spunta da sotto la camicia dello straniero. Lui la guarda come se volesse ammirare il suo spirito d'osservazione.
- E' che il dolore a volte è un buon modo per comunicare.
Verilda non ha capito, ma lui non sembra intenzionato a spiegarsi in maniera più chiara.
- Aspetta, fammi capire.- Si intromette Twil. - Sei un fuorilegge, hai un rifugio ma te ne vai in giro per i mondi? Ma sei stupido?
- Starsene in giro vuol dire vedere meglio le cose. E' un modo di vivere interessante.
- E lo dici a me, che me ne sto sempre in questo posto?
- Con tutta la gente che incontri, è come se il viaggio venisse direttamente da te. Ogni persona, una terra da percorrere. Sei fortunato.
Per un attimo Twil sembra soppesare quelle parole e trovarle sensate. Risponde con un sorriso quasi convinto.
Intanto Norel si lascia cadere su una sedia, dichiarandosi arresa, per quella sera.
- Tanto non penso che arriverà nessun altro.- Dice Matilda, sedendosi anche lei.
- E Demya?- Domanda Dal.
Matilda fa un'alzata di spalle.
- Se arriva, le daremo gli avanzi. E non sappiamo neppure se arriverà, comunque.
- Beh, io le cucino qualcosa!
A quel punto lo straniero si alza e si avvicina a Dal, che sta litigando con qualcosa sulla griglia. Gli passa accanto casualmente, senza dire nulla, ma Dal si volta verso di lui e lo ferma, posandogli una mano sul braccio.
- Senti, tu ogni tanto...- Comincia, timido, indicando il pesce sulla griglia.
- Vuoi una mano?
- E' che Matilda mi ha raccontato che te la cavi. Visto che nessuno qui ha intenzione di aiutarmi...
Norel e Matilda ridono. Twil si è mezzo addormentato sul tavolo. Lo straniero ruba un grembiule rosa di Matilda e se lo mette, tra le ulteriori risate dei presenti.
- Non credo ci sia rimasto molto, per condire quei pesci.- Sospira Norel. - Dobbiamo rifare le provviste.
- Non è un problema.
- Non so nemmeno se c'è il sale, e penso che di olio ce ne sia appena una goccia.
- Tranquilla.
- Contento te...

Demya arriva che è l'alba - ma questo lo annuncia lei, perché, come sempre, la luce sulla locanda è grigia e noiosa, e per capire che ore sono bisogna ingegnarsi. Demya è altissima, bionda, con le occhiaie e i vestiti sporchi di sangue. E' ricercata da molte parti, perché se ne va in giro a fare il medico dei disgraziati, di quelli che solitamente sono odiati, condannati e cacciati dalle città. Molti le dicono che è stupida. A lei basta lo sguardo approvante di Dal e un piatto di qualcosa.
- Che hai combinato, stavolta?- La accoglie Matilda, offrendole una sedia.
- Ho ricucito un tizio. E poi i suoi concittadini lo hanno consegnato alla legge. Lo impiccheranno tra due giorni. Ma almeno sentirà un po' meno male da qui all'esecuzione.
Qualcuno ride (Dario, e forse anche Verilda.)
- Ti sembra intelligente rischiare la vita per una cosa del genere?- Sospira Norel.
- Per quanto può valere, secondo me...- Comincia lo straniero, posando davanti a Demya un piatto con il pesce che ha preparato. - Tu non hai fatto una cosa stupida, stanotte.
Lei gli sorride, grata.
- Dove l'hai trovato, l'olio?- Borbotta Norel, guardando il piatto. - E quella spezia lì cos'è? Non ce l'avevamo mica!
- Ti ho detto che non ho particolari problemi con il... reperire quello che manca.
- Ma tu non sei mica quel tizio che l'altro giorno si è fatto buttare fuori da una chiesa, a Selnys?- Gli chiede Demya, gettandosi sul cibo con entusiasmo.
- Ti sei fatto buttare fuori da una chiesa?- Domanda Matilda.
- Ogni tanto capita anche questo.- Risponde lui. - Comunque, c'è ancora pesce, anche per voi.
Qualcuno si serve, qualche altro ringrazia. Dario brontola altre parole seccate.
- Chi cazzo ti ha detto che lo volevo? Perché l'hai preparato anche per me?
- E' la mia filosofia. Io le cose le faccio per tutti. Poi... Ognuno decide se servirsi. E va bene così. Gente, io adesso vi saluto. E' mattino.
- Beato te che te ne accorgi.- Commenta Norel. - Levati quel grembiule rosa, per favore. Non è dignitoso.
- Nonna, le cose non dignitose sono ben altre. Farsi due risate per un grembiule rosa, invece, è dignitosissimo.
- Allora te lo regalo.
- Grazie. Lo terrò da parte per la prossima merenda notturna. Buona alba a tutti.
L'esule esce dalla stanza, e mentre se ne va all'improvviso un raggio d'aurora dorato e rosa, tiepido, liquido, entra dalla finestra incrinata della cucina e si distende su tutte le cose e su tutte le storie. Per l'istante della sua durata, nei pensieri di tutti c'è spazio solo per un'infinita sensazione di vivida novità.





***
Buona Pasqua. <3
Worlds Hotel
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