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Autore: cabol    25/04/2011    1 recensioni
Il salvataggio di una fanciulla in difficoltà scaraventa due viandanti nel cuore di un sanguinoso mistero.
Perché terrificanti ululati si levano dai boschi?
Perché sono scomparse alcune persone?
Cosa sparge il terrore in una tranquilla campagna?
Quale perversa oscurità sta avvolgendo la rocca di Luna Splendente?
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 6: La cripta

 

In una piccola valle, nascosta fra i colli e coperta da boschi lussureggianti, sulle rive di un ruscello ingrossato dalle piogge primaverili e dal disgelo delle vette montuose, una radura era invasa da numerose tende malconce. Suoni d’incudini echeggiavano fra gli alberi che si stavano coprendo di tenere foglie e germogli. Uomini, donne e bambini, si industriavano attorno a piccoli fuochi, alimentandoli e ravvivandoli, mentre i martelli modellavano il rame creando piatti e stoviglie, mestoli e bracieri, manufatti che le donne avrebbero venduto prossimamente nei mercati dei paesi circostanti, procurando di che vivere alla piccola comunità.

 

Un uomo anziano sedeva sulla riva del torrente, guardando le acque limpide balzare fra le rocce nella rossa luce del tramonto. I suoi occhi scuri parevano persi dietro i suoi pensieri. Il volto grassoccio e olivastro era solcato da rughe di preoccupazione. La sua gente lo aveva da tempo eletto a propria guida e tutti si aspettavano da lui che garantisse loro tranquillità e benessere. Una responsabilità che accettava senza desiderarla, semplicemente, da quando, anni addietro, aveva deciso di lasciare le campagne devastate dalla guerra della sua patria, per portare la sua gente verso luoghi dove poter sopravvivere, lontano dalla violenza assurda e fratricida. E ora altre persecuzioni. Non si stupiva di essere guardato con sospetto dalle popolazioni di quelle terre. Dappertutto accadeva così. Ma ora la situazione si stava facendo insostenibile. Già due volte, era riuscito a sottrarre la sua gente agli armati dello sceriffo Bond. Non era più diffidenza o sospetto. Era odio. E non riusciva a farsene una ragione. Accuse assurde, di furti e violenze, che l’anziano capo della comunità dei profughi non comprendeva come mai potessero essere rivolte alla sua gente. Si strinse nel suo mantello di lana olivastra. L’aria cominciava a rinfrescarsi.
O il freddo era dentro di lui?

 

Un giovane atletico si avvicinò all’uomo anziano. Probabilmente non aveva nemmeno vent’anni ma era già ben sviluppato. Vestiva semplicemente, come gli altri uomini della comunità e, come loro, aveva la pelle abbronzata dal sole ma portava una spada al fianco e un elegante mantello color cinabro fermato da una spilla d’argento.

 

«Siete preoccupato, mastro Minaeo». Non era una domanda. Era una constatazione.

 

«Sì. Temo che dovremo abbandonare queste terre. Il nostro peregrinare non è finito». L’uomo fissò negli occhi il ragazzo di fronte a lui. C’era esasperazione in quegli occhi.

 

«Possiamo reagire. Siamo abbastanza da riuscire a farci rispettare».

 

La voce del giovane era tagliente, decisa, fremente di rabbia. Lo sguardo di mastro Minaeo si fece ancora più preoccupato. La sua voce suonò stanca.

 

«Abbiamo abbandonato la nostra terra per fuggire dalla violenza. Dovremo ricorrere alla violenza in terra altrui?».

 

«La terra è di tutti. Siamo stanchi di fuggire». Il giovane strinse con forza i pugni, fin quasi a farli diventare cianotici.

 

«Quando abbiamo lasciato le nostre campagne, tu eri un bambino. Ora sei un giovane uomo. Non diventare un violento. Non è per questo che sei stato istruito all’arte della spada». La voce di Minaeo era cambiata, calma ma ferma. La voce del capo.

 

«È questo mondo a essere violento. Dobbiamo adeguarci o perire. Il mio dovere è difendere la mia gente e ora la mia gente ha bisogno di essere difesa».

 

«La tua gente ha bisogno di non essere esposta a ritorsioni e rischi inutili».

 

«Ma dovremo sempre chinare la testa davanti ai prepotenti? Come potremo mai trovare una terra, una patria, se non avremo mai il coraggio di difenderci?». Il giovane alzò la voce. L’anziano abbassò la sua, cercando di cambiare approccio.

 

«Ian, ti prego. Sii ragionevole. Ci faremmo sterminare e cosa ci avremo guadagnato?». Gli occhi scuri del capo erano velati da profonda tristezza. La tristezza e la forza di chi sa accettare anche il sopruso pur di difendere chi gli è caro.

 

«Mastro Minaeo, ho rispetto per voi. Però non ho intenzione di lasciare queste terre. Mi ribellerò a chi ci opprime. Vi prometto che non ricorrerò alla violenza a meno che non vi sia assolutamente costretto».

 

«Ian, se sfiderai quella gente, ti troverai costretto a difenderti con le armi. E tutti noi ne pagheremo le conseguenze». Minaeo era esasperato. Non riusciva a far breccia nel muro di rabbia eretto dal giovane calderaio.

 

«Nessuno saprà collegare a voi le mie azioni. Avete la mia parola». Minaeo scosse tristemente il capo.

 

«Ian, non ti posso autorizzare a fare qualcosa di cui ti pentirai certamente».

 

«Mi dispiace, mastro Minaeo. Addio».

 

Il giovane si voltò e si allontanò a grandi passi.

 

«Dove vai?».

 

«A ritrovare la mia dignità».

 

Mastro Minaeo sospirò e lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, finché non scomparve fra gli alberi. Scosse nuovamente la testa mentre un'oppressione feroce gli attanagliava il cuore.

 

«Dove ci porterai, piccolo Ian?».

 

Si strinse ancora di più nel suo mantello. Aveva tanto freddo.

 

***

 

Con la spada in pugno, sir Raoul avanzò silenziosamente nel buio, dove pareva muoversi agevolmente, gli occhi fissi sulla diafana forma che intravedeva a non più di dieci passi da lui. Doveva essere più o meno della sua stessa taglia, forse appena più piccola, ed era evidentemente uscita da una delle cappellette della cripta. Si addossò alla parete e riprese ad avanzare senza emettere il minimo rumore.

 

Con estrema prudenza si portò a meno di cinque passi. La figura non pareva essersi accorta di nulla. Girata quasi di spalle, aveva il capo chino in avanti e le mani giunte e sollevate davanti al volto. Pareva che, nonostante il buio, stesse osservando qualcosa che teneva in mano. L’aria, anziché stantia come nel resto della cripta, pareva delicatamente profumata. Il gentiluomo osservò attentamente la scena, cercando di capire con cosa aveva a che fare. Stranamente non avvertì alcun turbamento, anzi ebbe l'impressione che quella sagoma gli fosse in qualche modo familiare.

 

Fece per avvicinarsi ma la figura si raddrizzò e cominciò a voltarsi.

 

Sir Raoul sentì un tuffo al cuore nel vedere il volto bellissimo e assorto della donna davanti a lui. Teneva gli occhi chiusi e in mano reggeva un medaglione argenteo raffigurante il disco lunare.

 

«Lucy?». La figura trasalì e spalancò due occhi azzurrissimi mentre il volto assunse un'espressione spaventata.

 

«Chi siete? Non fatemi del male!». La voce era piena di terrore.

 

«Lucy, sono io, sir Raoul … cosa accade?».

 

La ragazza impallidì visibilmente.

 

«Dove sono? Perché è così buio qui? Perché avete quella spada in mano?».

 

Il gentiluomo abbassò l'arma, perplesso. Cercò di adoperare il tono più rassicurante che poteva ma anche nella sua voce si percepiva una nota di tensione.

 

«Lucy … mi state dicendo che non sapete dove siete? Siamo nella cripta e questa … a giudicare dal nome scolpito … è la tomba di dama Erika».

 

«Io … non so … ero nel tempio … poi ho sentito una specie di corrente d'aria … un profumo … e ora … ora sono qui con voi ma non so … non so davvero come ho fatto». C'era stupore misto a paura nella voce della ragazza.

 

«Evidentemente siete scesa qui sotto e avete percorso il corridoio nel senso opposto a quello che ho seguito io … altrimenti vi avrei vista … arrivando a questa cappella prima di me … siete certa di non essere mai stata qui?».

 

«Io sono scesa? Ma io non ricordo nulla». La voce si era fatta ancora più smarrita.

 

«Quindi il corridoio gira completamente intorno al tempio … bene … siete qui e qui siamo nella cripta … e cos'è quel medaglione?».

 

«Cosa? Quale meda … oh Sergaries misericordiosa!». La giovane ancella osservava con immenso stupore il disco argenteo che teneva in mano.

 

Sir Raul si grattò la nuca con espressione perplessa.

 

«Forse è meglio se usciamo di qui … abbiamo bisogno di un po' d'aria fresca».

 

Il gentiluomo prese per mano la ragazza e la trascinò quasi lungo il corridoio buio. Quando giunsero alle scale, si accorse che il cuore gli batteva all'impazzata e inspirò profondamente l'aria limpida che scendeva dall'alto. Risalirono in fretta nel tempio, trovando conforto nella luce argentea che ancora avvolgeva l'ambiente.

 

«Bene, direi che ci siamo presi un bello spavento … forse è meglio se torniamo nelle nostre stanze». Il gentiluomo sorrideva ma c'era turbamento nella sua voce.

 

«Sir Raoul … ma cosa mi è accaduto?». La ragazza era pallidissima, le sue mani si erano strette attorno al braccio del giovane, quasi a trovare un appiglio.

 

«Credo nulla di grave, Lucy. Forse avete semplicemente risposto a un appello. Quel medaglione … posso vederlo?».

 

L'ancella glielo porse con mano tremante. Era un semplice medaglione d'argento con i simboli di Sergaries a rilievo. Eppure c'era qualcos'altro in quel disco di metallo. Era antico ma non recava segni d'ossidazione, anzi appariva splendente come appena forgiato. Sir Raoul lo soppesò pensieroso, poi lo restituì alla ragazza.

 

«Tenetelo con cura, bimba mia. Non so ancora come, ma sono certo che quest'oggetto sarà d'importanza fondamentale in questa storia. Usciamo ora, prima che Robert finisca per allarmarsi».

 

Nel vederli uscire dal portone del tempio, il giovane maggiordomo corse loro incontro.

 

«Qui fuori tutto tranquillo … Lucy, siete pallidissima! È successo qualcosa?».

 

«Ti racconteremo tutto dopo, torniamo in camera, prima che qualcuno ci scopra».

 

Tornarono silenziosamente al piano di sopra, assicurandosi che nessuno li avesse scorti e rientrarono nella camera di sir Raoul.

 

In poche parole ragguagliarono Robert di quanto accaduto nella cripta. Il giovane era sconcertato. Quel che aveva sentito gli pareva assurdo. Il gentiluomo si rivolse alla ragazza.

 

«Lucy, siete certa che non sia accaduto nulla di strano oggi, oltre all'incidente di stamani? Oppure ieri?».

 

«Oh no, signore, assolutamente nulla … a parte gli stivali ... ma è una faccenda più che altro assurda». La ragazza trattenne un sorriso.

 

«Gli … stivali? Cosa è successo?». Sir Raoul si era fatto improvvisamente attento, attirando lo sguardo meravigliato dei due giovani.

 

«Stamattina non c'erano più, tanto che ho dovuto usare un paio di stivali più grandi, di mio padre … poi, oggi pomeriggio, erano nuovamente al loro posto». I due uomini la guardarono perplessi.

 

«Bene, questo è un fatto strano ma non riesco assolutamente a dargli un senso … erano stati usati?».

 

«No. Erano esattamente come li avevo lasciati … sono un paio di vecchi stivali che mi ha regalato dama Lavinia per il mio compleanno, quasi un anno fa … non capisco davvero ...».

 

Rimasero in silenzio tutti e tre, incapaci di spiegare gli ultimi eventi. Alla fine, una Lucy insolitamente pensierosa si accomiatò con poche parole e scomparve nel corridoio, diretta agli alloggi della servitù.

 

«Cosa pensate di questa faccenda, signore? Mi sembra tutto così oscuro ...».

 

Gli occhi verdi del gentiluomo si fissarono sul giovane, pieni di preoccupazione.

 

«Oscuro! Esatto, Robert! L'oscurità protende i suoi tentacoli su questi luoghi. Un nemico misterioso trama nell'ombra …. e attenta alla vita di un'ancella! Ti sei chiesto perché, Robert?».

 

«Forse Lucy ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto ...».

 

«Certo è possibile. Ma lei non lo sa. E non sa perché la vogliono uccidere. Oh Numi!». Aveva parlato con voce concitata, seppur sommessa e si era improvvisamente interrotto.

 

«Signore?».

 

Sir Raoul pareva paralizzato. Gli occhi vivaci erano perduti nel vuoto, inseguendo tenui fili che lui solo scorgeva. Il maggiordomo si avvicinò ancora più preoccupato, cercando di intercettarne lo sguardo. Quando gli occhi ansiosi di Robert incrociarono i suoi, il gentiluomo parve rilassarsi.

 

«Comincio a capire … Robert, devo uscire senza che nessuno se ne accorga … vai a dormire. Lucy non corre alcun pericolo finché è qui dentro ma non permettere in nessun modo che esca da sola. E se dovete uscire, bada bene di essere armato. Porta anche l'arco».

 

«Non potete dirmi altro?».

 

Sir Raoul si era messo a frugare nei suoi bagagli, estraendone misteriosi pacchetti e vecchi panni che Robert non avrebbe mai immaginato che quell'azzimato gentiluomo potesse mai indossare.

 

«C'è un filo che lega questi eventi, Robert. Tenue, fragile. Ma arriva dal passato e non so ancora dove potrebbe condurci. Gli stivali, Robert! Questa cosa può avere una sola spiegazione logica. Ed è maledettamente angosciante. Devo sapere con cosa abbiamo a che fare.».

 

«Siate prudente, signore».

 

«Lo sarò certamente, Robert. Bada a Lucy e non preoccuparti d'altro».

 

Il giovane maggiordomo uscì dalla stanza e si diresse verso l’alloggiamento che gli era stato riservato. Fu contento di vedere che la finestra gli permetteva di controllare il cortile e che l’appartamento della servitù, nel sottotetto, si trovava proprio sopra la sua testa.

 

Quando si sdraiò sul letto, si rese conto di essere troppo eccitato per prendere sonno. E non riusciva a smettere di pensare ai begli occhi azzurri della ragazza.

 

***

 

Brightmoon era ormai quasi completamente addormentato. Solo dall’osteria provenivano suoni e luci, sempre più flebili, in quell’ora tarda. La piazza del villaggio era tuttavia illuminata dalla splendida luna piena che rifulgeva nel cielo sereno. I portici che circondavano la piazza scintillavano di argentee rune lunari, vestigia del culto di Sergaries, incise a protezione del borgo e dei suoi abitanti. Delicati profumi di alberi in fiore aleggiavano ancora sul piccolo paese, cullandone il sonno. Richiami di uccelli notturni provenivano da oltre le mura, ricordando ai pochi ancora svegli che un mondo intero esisteva aldilà dell’antica cinta del villaggio.

 

Hull era di guardia all’ingresso del borgo, quella sera, e guardava con invidia le luci provenienti dall’osteria. Era seduto su una botte, con la schiena appoggiata al pesante e malandato portone di legno che sbarrava il passo a chi avesse voluto entrare in paese. Ma chi mai poteva volere entrare in quello sputo di villaggio? E, poi, a quell’ora! Aveva sonno ma avrebbe dovuto aspettare che lo sceriffo fosse rientrato nella sua abitazione. Poi si sarebbe sistemato, come al solito, nel magazzino lì accanto. Tanto aveva il sonno leggero e, comunque, nessuno si era mai presentato al cancello di Brightmoon dopo il tramonto, almeno negli ultimi anni.

 

Così, quando qualcuno cominciò a tempestare di pugni il portone, Hull saltò in piedi così malamente da perdere l’equilibrio e ruzzolare in una pozzanghera, poco più avanti.

 

«Aiuto! Accorruomo!». Una voce stridula proveniva di là dal portone, mentre i pugni continuavano a martellare il legno scrostato e mezzo marcio. Hull si rialzò dal fango e si avvicinò allo spioncino. Una strana inquietudine lo colse. Cosa poteva essere accaduto? Poteva essere una cosa pericolosa? Forse dei banditi? Desiderò correre a chiamare lo sceriffo ma si trattenne pensando alla collera del corpulento Bond se la questione non fosse stata degna di staccarlo dalla sua birra. Aprì lo spioncino e guardò timidamente fuori. Vide un vecchietto curvo e macilento, coperto da abiti laceri e macchiati di sangue. Nulla di pericoloso. Però era meglio essere prudenti.

 

«Cosa vuoi, vecchio?».

 

«Fatemi parlare con lo sceriffo, per pietà! Ci sono i banditi, sulla strada!».

 

Banditi? Allora era una faccenda pericolosa! Hull sapeva bene cosa fare in quel momento. Beh … veramente, non sapeva se quella era proprio la cosa più giusta da fare … però era certamente la più sicura.

 

«Lo vado a chiamare. Aspetta lì, vecchio».

 

Ignorò le flebili proteste dell’uomo e corse verso la luce che filtrava dalle finestre del locale. Raggiunse la porta ed entrò, cercando con lo sguardo lo sceriffo. Lo individuò subito, seduto al banco, che guardava con aria pensosa un boccale di birra semivuoto. L’oste, che sonnecchiava seduto su uno sgabello, dietro al banco, si alzò di soprassalto, guardando allarmato il responsabile di quella improvvisa intrusione.

 

«Hull? Non eri di guardia? Che ci fai qui?».

 

«C’è un vecchio … portone … banditi … strada …». Bond sgranò gli occhietti porcini e cercò di snebbiarsi il cervello.

 

«Un vecchio portone? Cosa pretendi, che te lo ripari io? E a quest’ora?».

 

«N-no … un vecchio … banditi … vuole parlarvi».

 

«Un vecchio bandito? E vuole parlarmi?». Sandy Bond cominciava ad allarmarsi. Cosa poteva volere da lui un vecchio bandito? Ripensò alla sua carriera di uomo di legge ma non gli venne in mente un solo bandito che potesse avercela con lui. Era veramente interdetto. E un po’ spaventato.

 

Hull guardò con stupore lo sceriffo. Possibile che non capisse nulla dei suoi discorsi? La paura venne scacciata dalla rabbia che gli faceva quel trippone con lo sguardo vacuo che non riusciva a seguire un discorso così semplice.

 

«Venite sceriffo. Oste, vieni anche tu!». Meglio un rinforzo, non si sa mai, pensò.

 

«S-sì … arrivo subito».

 

L’oste prese un bastone da un angolo e si mise in coda, seguendo Hull e lo sceriffo con passo malfermo.

 

Giunsero esitanti al portone che continuava a essere malmenato dall’altra parte. Hull aprì lo spioncino e controllò la situazione. Il vecchio era sempre lì, un po’ più curvo e sfiatato di prima ma sostanzialmente come l’aveva lasciato. Ne fu contento. Non era del tutto sicuro di essersi comportato bene a lasciarlo lì fuori. D’altronde, la sicurezza della comunità veniva prima di quella di un individuo. Tanto più se vecchio.

 

«C’è lo sceriffo, vecchio».

 

Bond si affacciò prudentemente allo spioncino.

 

«Sceriffo! Ci sono dei banditi sulla strada. Fatemi entrare».

 

Bond esaminò attentamente quell’individuo. Guardò Hull e l’oste, poi si riaffacciò allo spioncino.

 

«D’accordo. Ma niente scherzi. Siamo molti e armati».

 

Hull aprì prudentemente il portone e lo richiuse precipitosamente appena il vecchio fu entrato. Bond puntò la spada verso l’omino che aveva di fronte, con fare minaccioso.

 

«Avanti. Cosa hai da dirmi? Cos’è questa storia dei banditi?».

 

«Sceriffo! I banditi non sono qui. Io sono un vecchio pastore!».

 

Bond esaminò attentamente quell’individuo. Era secco rifinito, curvo e tremante, infagottato in stracci macchiati qua e là di sangue. La voce stridula usciva da un petto ansante, e ciuffi di capelli bianchi piuttosto unti fuoriuscivano dal cappuccio dal quale spuntava un naso grifagno.

 

«E dove sarebbe il tuo gregge?».

 

«Se lo sono preso i banditi. Sennò io che chiedo aiuto a fare?».

 

«Le domande le faccio io, uomo. Tu rispondi e cerca di essere convincente».

 

Bond, eretto in tutta la sua altezza, con la spada in pugno minacciosamente ostentata, esibiva tutto il suo repertorio di impavido sceriffo e valente uomo d’armi. Hull lo guardò fiero. L’oste sputò per terra, buttò il bastone e se ne tornò in bottega scuotendo il capo.

 

«V-va bene, signore». Il vecchio ora appariva intimidito.

 

«Dove hai visto quei banditi?».

 

«A circa un paio di miglia da qui. Mi hanno minacciato e picchiato e si sono portati via il gregge».

 

«Un paio di miglia, eh? Cerca di essere più preciso, vecchio. Bada che so essere convincente, se osi nascondermi qualcosa, te la estorcerò con le cattive».

 

«M-ma no, signore. Ero col gregge in prossimità del vecchio mulino, quello a un miglio e mezzo dalla strada per la rocca. Questi sono sbucati proprio da lì e mi hanno minacciato e picchiato e si sono portati via il gregge».

 

«Quanti erano? Che aspetto avevano?».

 

«Erano quattro, signore. Erano terribili e minacciosi, tutti neri. Parlavano strano … forse meridionale … mi hanno minacciato e picchiato e si sono portati via il gregge».

 

Una luce di trionfo balenò negli occhi di Sandy Bond. Aveva trovato quei maledetti immigrati. Sir Mordred sarebbe stato fiero di lui. Anzi, sarebbe stato lui stesso a portargli la notizia.

 

«Hull, sellami il cavallo e sveglia una decina di uomini validi. Altrettanti ne ha sir Mordred ai Cipressi Neri. Stavolta non ci sfuggono quei maledetti. In venti contro quattro li prenderemo e scopriremo finalmente dove sono accampati. Questa è la volta buona che li rimandiamo alle loro terre a calci».

 

«Ma il mio gregge?». Al vecchio tremava la voce nell’interloquire.

 

«Il tuo gregge? Se le tue informazioni sono esatte, sir Mordred ti ricompenserà generosamente. Se sono false, ti caverò gli occhi, parola mia! Hull, chiudi in cella questo vecchio».

 

«Ma io non ho fatto nulla! Mi hanno minacciato e picchiato e si sono portati via il gregge!».

 

«Se le tue indicazioni sono veritiere non hai nulla da temere e tutto da guadagnarci, vecchio».

 

Hull acchiappò l’omino per un braccio e lo trascinò verso l’ufficio dello sceriffo, mentre Sandy Bond quasi scoppiava di soddisfazione. Giunti nell’ufficio di Bond, Hull aprì un portoncino e spinse il vecchio giù per le scale, sorreggendolo perché non cadesse. Scesero in un sotterraneo umido e buio, illuminato solo dalla torcia del giovane. Questi aprì una porta metallica e vi infilò dentro il vecchio. Poi la richiuse a chiave e risalì. Quando l’eco dei passi del giovane scomparve nel buio, il vecchio si lasciò cadere sulla tavola di legno che costituiva l’unico arredo della cella, si prese la testa fra le mani e scoppiò a ridere.

  
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