- 24 settembre 2003.
- «Spiegami
esattamente perché un’adolescente arrabbiata con il mondo come te e contro la
società consumistica mi sta facendo marciare – o marcire, non so – tra i negozi
di Camden.»
- Non
degno Robert di uno sguardo mentre frugo qualche vestitino, possibilmente con
le borchie. Mamma mi lancerà dietro la sputacchiera del nonno appena mi vedrà
rientrare con l’ennesimo acquisto degno di una punkabbestia psicopatica, come
mi sta facendo notare ‘sto imbecille. Faccio un sorriso di sole gengive.
- «Non
capisco perché poi.» Continua lui col suo monologo. Il fatto che gli abbiano
affidato il ruolo del protagonista in quello stupido spettacolo della Harrodian
deve avergli montato la testa, e di brutto anche. Giuro che adesso stacco la
mano al manichino super lungo, super magro e super figo e gli do uno schiaffo.
- «Sono
un po’ triste», mugugno, magari gli faccio pena. Piano mi volto verso di lui e
faccio il labbrino tremulo.
- Sbuffa:
«Guarda che non mi muovi a pietà facendo il faccino da cucciolo col morbo di
Parkinson.»
- E
allora la prendo come un’offesa.
- Lo
sento sospirare ancora una volta, l’ennesima volta, e ommioddio quanto mi urta
i nervi. Pattinson, la quintessenza degli sfigati, sospira rompendo a me le
palle con questo atteggiamento da prima donna.
- Mentre
sto per prendere un vestito blu e viola, lui mi blocca il polso.
- «Cosa
c’è?»
- «Peggy.
Perché sei triste?»
- Oh, la
mia prima donna si preoccupa di me!
- Deglutisco
e lo guardo fisso. Devo dire che in quest’ultimo anno è cresciuto parecchio. E
ha perso anche quell’aria da eterno vergine. I diciassette anni fanno miracoli.
La prima volta che gli ho parlato – e gli stavo per spaccare la faccia –
eravamo quasi uguali d’altezza. Ma adesso quasi quasi mi da fastidio. Perché è
come se fosse cresciuto. A volte mi rendo conto che non abbiamo più quattordici
anni. Che lui non cercherà più di palparmi per fare il figo con quelli del Brit
Pack. Che io non lo guarderò più come si guardano i bamboccioni. Abbiamo
diciassette anni, adesso.
- E
glielo dico. Che sai, una volta Amos Oz ha scritto che nessuno scrittore – dai
greci ad oggi – riuscirà mai a raccontare del dolore di un ragazzo a
diciassette anni.
- «E
quindi?» Domanda lui «Che si fa? Shopping?»
- «E’ che
mi sento meglio con una maglietta carina o una gonna tribale.»
- «Ma poi
non ti rendi conto che sei comunque la stessa ragazzina triste con
semplicemente addosso dei vestiti nuovi?»
- Ci
penso. Rimaniamo un po’ in silenzio poi gli spiego: «A quel punto cambio colore
di capelli.»
- Non l’ho
cambiato il colore, comunque sia. Cioè, questo blu mi sta a meraviglia. Robert continua
a guardarmi perplesso da quando due settimane fa mi sono presentata così a casa
sua. Ma lui non capisce. È un idiota, è appurato. E poi dai, parliamoci chiaro.
Ma come fa a lamentarsi dei miei capelli quando lui poi osa mettersi tre
quintali di gel? Sembra l’abbia leccato una mucca!
- «Io
devo andare a suonare, adesso.» Bofonchia mentre camminiamo tra le stradine di
Camden. È pieno di turisti, sia mai, e Robert continua a fissare con la bava
alla bocca le spagnole davanti a noi.
- «Sei
disgustoso, Pattz, semplicemente disgustoso. Sembri in calore.»
- Lui mi
fa un gestaccio e io rispondo colpendolo in testa con i miei nuovi acquisti. «E
spera di non aver sciupato niente con quel tuo testone vuoto!»
- «Senti,
tu non hai idea di cosa significhi essere un maschio di diciassette anni senza
uno straccio di ragazza.»
- «E
allora mi pare giusto fissare il culo delle turiste. Sei un depravato.»
- «Cos’è?
Sei gelosa?»
- Proprio
accanto all’entrata della Northern Line mi fermo e lo guardo, un po’ sbigottita
a dire il vero. Un tizio con la cresta mi viene addosso e biascica una scusa.
Sa di alcool. Il sole sta per tramontare e il vento leggero di fine settembre
mi scompiglia i capelli portandomi qualche ciocca davanti agli occhi.
- «Gelosa?»
Chiedo. «Perché dovrei essere gelosa?»
- In effetti
nemmeno lui sembra convinto delle sue parole.
- Scrolla
le spalle e abbassa lo sguardo.
- «Fammi
indovinare», comincio. «C’entra quel coglione assoluto dello Stu, vero?»
- Thomas Sidney
Jerome Sturridge. Il re degli imbecilli. Uno snob d’alta classe e pseudo attore
da strapazzo, degno migliore amico di Robert.
- Gli sfugge
una smorfia. «Massì, sai come sono i suoi discorsi.»
- «No,
per fortuna. Ma posso immaginare che sfiorino l’osceno.»
- Lui ride
e rialza lo sguardo. «Sì, abbastanza.»
- «E da
quando in qua i suoi discorsi riguardano me? Voglio dire, quand’è che ha
cominciato a parlare di me oltre la sfera dell’insultiamo Peggy a gogò tutti
allegri e felici?»
- «Be’...
diciamo che m’è sfuggita una cosa l’altra sera.»
- «Quale
cosa?»
- Non mi
risponde. È carinissimo quando decide che è arrivato il momento di non parlare
più. Carinissimo quanto un cactus infilato con amorevole cura e devozione su
per il deretano.
- Inizio sinceramente
ad irritarmi. Mi avvicino veloce a lui e in un momento gli metto le mani intorno
al collo. Oh, Homer Simpson, hai tutta la mia comprensione, giuro.
- «Guarda
che se non mi dici quel che t’ha detto Sturridge, io ti strozzo.»
- Lottiamo
per qualche minuto – e lui sputacchia pure sul mio viso – fin quando non mi
rendo che una bimbetta di dieci anni circa mi sta guardando parecchio spaurita.
E che siamo abbastanza circondati di gente.
- Abbasso
veloce le mani e trascino Robert dentro l’entrata della metro. Lui prende ad
apostrofarmi con una vocetta talmente acuta che neanche l’avessi evirato, santo
cielo!
- Non lo
mollo fino a quando non arriviamo accanto ad una delle porte delle uscite di
sicurezza e lo sbatto addosso al muro – mamma mia, quanto mi sento potente!
- Gli punto
un dito contro il petto. «Ora tu mi spieghi cosa diavolo sta succedendo.»
- È abbastanza
spaventato.
- No, be’,
in effetti anche io sarei abbastanza spaventata.
- Sospiro
profondamente e chiudo gli occhi, quindi prendo a massaggiarmi le tempie per
potermi calmare.
- «Bobby
caro – faccio, quando mi rendo conto di aver raggiunto un livello zen decente –
adesso tu mi spieghi tutto. Ogni singola cosa.»
- Lui annuisce
a scatti. «Be’, ecco... » si passa una mano tra i capelli e le dita gli
rimangono quasi impigliate ad un certo punto. Eccola qua la tanto decantata
magia del gel, yay!
- «Sappi
che ero piuttosto ubriaco e che... »
- «Chi ti
ha dato l’alcool?» Sbarro gli occhi.
- «Ma no,
eravamo a casa di Marcus e sai, suo padre ha tipo una scorta infinita di
liquori.»
- «Sì,
vabbe’, arriva al punto.»
- «Sì, il
punto, ecco. Insomma, io... l’ho già detto che ero abbastanza ubriaco, sì?»
- «Sì,
Robert, e sembra che tu stia per avere un attacco di cardiostenosi – e non
chiedermi cosa sia, ché non lo so, ma suonava bene. Adesso, su, da bravo bimbo,
inspira, espira, ecco, proprio così.»
- Si impone
serietà e dice d’un fiato: «Ho raccontato a quelli della band di quando ci
siamo baciati.»
- Sento la
mascella srotolare da qualche parte, verso l’infinito ed oltre.
- Solo qualche
minuto dopo mi accorgo di avergli dato un pugno in pieno viso.
- E lì mi
rendo conto che devo chiudere con la mia fase da punkabbestia.
- «Ommioddio,
Robert, scusa! Non l’ho fatto apposta, te lo giuro, io davvero... Bob, parla!»
- E frignando
e biascicando, mi dice che lo Stu aveva fatto dei commenti ben poco gradevoli
sul mio conto e delle domande non proprio caste e d’ordine pubblico. «E allora
io gli ho detto che no, non ci sono andato a letto, però che ti ho baciata.»
- Sospiro
e mi accascio. Appoggio la schiena alla parete e mi chiedo perché, ma perché
proprio io devo conoscere gente simile?
- La storia
del bacio non ha nulla di glorioso, né niente.
- Era stato
semplicemente un esperimento. Due anni prima, eravamo parecchio confusi
riguardo ai nostri sentimenti. Per cui avevamo provato a baciarci e vedere quel
che succedeva. È stato disgustoso, a dirla tutta. Da allora qualche volta ci
ridiamo sopra, ma non l’abbiamo mai detto a nessuno – cioè, io non l’ho mai
detto a nessuno, che Robert l’abbia svelato a quelli del Brit Pack è tutta un’altra
storia.
- «... e
allora Sturridge ha cominciato a dire che secondo lui io ti piaccio e cose
simili.»
- «E tu c’hai
creduto. Mi pare giusto. Dopotutto lo Stu detiene la verità universale.» Verità
universale ‘sto cazzo.
- Lui si
massaggia il naso. Grazie al cielo il mio pugno non ha lasciato segno,
altrimenti Clare mi avrebbe inseguita per tutto il mondo armata di fucile a
pallini.
- Lo guardo
e gli do un buffetto leggero sulla guancia. «Dai – faccio – torniamo a casa. Passiamo
da Tesco e ci prendiamo gli Oreo, che ne dici?»
- «E
guardiamo Doctor Who?»
- «Mi
pare ovvio. Ma la serie la scelgo io.»
- Mi alzo
e gli tendo la mano. E non importa se è più alto di me. Non importa se è ancora
un frignone mammone. In questo momento, mentre lui prende la mia mano e si alza
in piedi, mi rendo conto che voglio che tutto rimanga sempre così.
- Con noi
due che cadiamo insieme e ci rialziamo insieme.
- dunque,
pupe. capitolo veloceveloce riguardante l’adolescenza di ‘sti due screanzati.
- eeeh. be’,
non ho molto da dire, sinceramente. se non che spero che ‘sta cosa vi piaccia e
insomma, grazie, sono ancora commossa per il caloroso benvenuto che mi avete
dato – mio dio, mi sento l’ospite del maurizio costanzo show.
- per
quanto riguarda l’ordine cronologico in cui si svolgerà la storia... sono lieta
di annunciarvi che, siori e siore, ebbene sì, non c’è! si torna al passato, si
va al presente e pure al futuro, cosa che farebbe piangere di gioia il dottore –
e se non avete colto la citazione significa che non siete fan di doctor who o
di charlie mcdonnell ç.ç il che mi spezza il cuore, perché è una di quelle
meraviglie che di solito tu boh, becchi la pubblicità e dici: ma che roba da
nerd. e invece anche gentaglia come me è capace di vedere serie televisive
simili.
- ma comunque.
- vi
lascio una fotina di peggy in questa sua fase molto punk – e ne avrà tantissime
altre di fasi, non credete eh.
- per cui, un mega bacione a tutte quante e buona serata!