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Autore: emily colburn    25/04/2011    6 recensioni
Quando il tuo migliore amico è un idiota, non è che tu possa fare molto.
Giusto fargli compagnia, ecco.
- sospesa, almeno per ora -
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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whiskey 2
24 settembre 2003.
 
 
 
«Spiegami esattamente perché un’adolescente arrabbiata con il mondo come te e contro la società consumistica mi sta facendo marciare – o marcire, non so – tra i negozi di Camden.»
Non degno Robert di uno sguardo mentre frugo qualche vestitino, possibilmente con le borchie. Mamma mi lancerà dietro la sputacchiera del nonno appena mi vedrà rientrare con l’ennesimo acquisto degno di una punkabbestia psicopatica, come mi sta facendo notare ‘sto imbecille. Faccio un sorriso di sole gengive.
«Non capisco perché poi.» Continua lui col suo monologo. Il fatto che gli abbiano affidato il ruolo del protagonista in quello stupido spettacolo della Harrodian deve avergli montato la testa, e di brutto anche. Giuro che adesso stacco la mano al manichino super lungo, super magro e super figo e gli do uno schiaffo.
«Sono un po’ triste», mugugno, magari gli faccio pena. Piano mi volto verso di lui e faccio il labbrino tremulo.
Sbuffa: «Guarda che non mi muovi a pietà facendo il faccino da cucciolo col morbo di Parkinson.»
E allora la prendo come un’offesa.
Lo sento sospirare ancora una volta, l’ennesima volta, e ommioddio quanto mi urta i nervi. Pattinson, la quintessenza degli sfigati, sospira rompendo a me le palle con questo atteggiamento da prima donna.
Mentre sto per prendere un vestito blu e viola, lui mi blocca il polso.
«Cosa c’è?»
«Peggy. Perché sei triste?»
Oh, la mia prima donna si preoccupa di me!
Deglutisco e lo guardo fisso. Devo dire che in quest’ultimo anno è cresciuto parecchio. E ha perso anche quell’aria da eterno vergine. I diciassette anni fanno miracoli. La prima volta che gli ho parlato – e gli stavo per spaccare la faccia – eravamo quasi uguali d’altezza. Ma adesso quasi quasi mi da fastidio. Perché è come se fosse cresciuto. A volte mi rendo conto che non abbiamo più quattordici anni. Che lui non cercherà più di palparmi per fare il figo con quelli del Brit Pack. Che io non lo guarderò più come si guardano i bamboccioni. Abbiamo diciassette anni, adesso.
E glielo dico. Che sai, una volta Amos Oz ha scritto che nessuno scrittore – dai greci ad oggi – riuscirà mai a raccontare del dolore di un ragazzo a diciassette anni.
«E quindi?» Domanda lui «Che si fa? Shopping?»
«E’ che mi sento meglio con una maglietta carina o una gonna tribale.»
«Ma poi non ti rendi conto che sei comunque la stessa ragazzina triste con semplicemente addosso dei vestiti nuovi?»
Ci penso. Rimaniamo un po’ in silenzio poi gli spiego: «A quel punto cambio colore di capelli.»
 
Non l’ho cambiato il colore, comunque sia. Cioè, questo blu mi sta a meraviglia. Robert continua a guardarmi perplesso da quando due settimane fa mi sono presentata così a casa sua. Ma lui non capisce. È un idiota, è appurato. E poi dai, parliamoci chiaro. Ma come fa a lamentarsi dei miei capelli quando lui poi osa mettersi tre quintali di gel? Sembra l’abbia leccato una mucca!
«Io devo andare a suonare, adesso.» Bofonchia mentre camminiamo tra le stradine di Camden. È pieno di turisti, sia mai, e Robert continua a fissare con la bava alla bocca le spagnole davanti a noi.
«Sei disgustoso, Pattz, semplicemente disgustoso. Sembri in calore.»
Lui mi fa un gestaccio e io rispondo colpendolo in testa con i miei nuovi acquisti. «E spera di non aver sciupato niente con quel tuo testone vuoto!»
«Senti, tu non hai idea di cosa significhi essere un maschio di diciassette anni senza uno straccio di ragazza.»
«E allora mi pare giusto fissare il culo delle turiste. Sei un depravato.»
«Cos’è? Sei gelosa?»
Proprio accanto all’entrata della Northern Line mi fermo e lo guardo, un po’ sbigottita a dire il vero. Un tizio con la cresta mi viene addosso e biascica una scusa. Sa di alcool. Il sole sta per tramontare e il vento leggero di fine settembre mi scompiglia i capelli portandomi qualche ciocca davanti agli occhi.
«Gelosa?» Chiedo. «Perché dovrei essere gelosa?»
In effetti nemmeno lui sembra convinto delle sue parole.
Scrolla le spalle e abbassa lo sguardo.
«Fammi indovinare», comincio. «C’entra quel coglione assoluto dello Stu, vero?»
Thomas Sidney Jerome Sturridge. Il re degli imbecilli. Uno snob d’alta classe e pseudo attore da strapazzo, degno migliore amico di Robert.
Gli sfugge una smorfia. «Massì, sai come sono i suoi discorsi.»
«No, per fortuna. Ma posso immaginare che sfiorino l’osceno.»
Lui ride e rialza lo sguardo. «Sì, abbastanza.»
«E da quando in qua i suoi discorsi riguardano me? Voglio dire, quand’è che ha cominciato a parlare di me oltre la sfera dell’insultiamo Peggy a gogò tutti allegri e felici?»
«Be’... diciamo che m’è sfuggita una cosa l’altra sera.»
«Quale cosa?»
Non mi risponde. È carinissimo quando decide che è arrivato il momento di non parlare più. Carinissimo quanto un cactus infilato con amorevole cura e devozione su per il deretano.
Inizio sinceramente ad irritarmi. Mi avvicino veloce a lui e in un momento gli metto le mani intorno al collo. Oh, Homer Simpson, hai tutta la mia comprensione, giuro.
«Guarda che se non mi dici quel che t’ha detto Sturridge, io ti strozzo.»
Lottiamo per qualche minuto – e lui sputacchia pure sul mio viso – fin quando non mi rendo che una bimbetta di dieci anni circa mi sta guardando parecchio spaurita. E che siamo abbastanza circondati di gente.
Abbasso veloce le mani e trascino Robert dentro l’entrata della metro. Lui prende ad apostrofarmi con una vocetta talmente acuta che neanche l’avessi evirato, santo cielo!
Non lo mollo fino a quando non arriviamo accanto ad una delle porte delle uscite di sicurezza e lo sbatto addosso al muro – mamma mia, quanto mi sento potente!
Gli punto un dito contro il petto. «Ora tu mi spieghi cosa diavolo sta succedendo.»
È abbastanza spaventato.
No, be’, in effetti anche io sarei abbastanza spaventata.
Sospiro profondamente e chiudo gli occhi, quindi prendo a massaggiarmi le tempie per potermi calmare.
«Bobby caro – faccio, quando mi rendo conto di aver raggiunto un livello zen decente – adesso tu mi spieghi tutto. Ogni singola cosa.»
Lui annuisce a scatti. «Be’, ecco... » si passa una mano tra i capelli e le dita gli rimangono quasi impigliate ad un certo punto. Eccola qua la tanto decantata magia del gel, yay!
«Sappi che ero piuttosto ubriaco e che... »
«Chi ti ha dato l’alcool?» Sbarro gli occhi.
«Ma no, eravamo a casa di Marcus e sai, suo padre ha tipo una scorta infinita di liquori.»
«Sì, vabbe’, arriva al punto.»
«Sì, il punto, ecco. Insomma, io... l’ho già detto che ero abbastanza ubriaco, sì?»
«Sì, Robert, e sembra che tu stia per avere un attacco di cardiostenosi – e non chiedermi cosa sia, ché non lo so, ma suonava bene. Adesso, su, da bravo bimbo, inspira, espira, ecco, proprio così.»
Si impone serietà e dice d’un fiato: «Ho raccontato a quelli della band di quando ci siamo baciati.»
Sento la mascella srotolare da qualche parte, verso l’infinito ed oltre.
Solo qualche minuto dopo mi accorgo di avergli dato un pugno in pieno viso.
E lì mi rendo conto che devo chiudere con la mia fase da punkabbestia.
 
«Ommioddio, Robert, scusa! Non l’ho fatto apposta, te lo giuro, io davvero... Bob, parla!»
E frignando e biascicando, mi dice che lo Stu aveva fatto dei commenti ben poco gradevoli sul mio conto e delle domande non proprio caste e d’ordine pubblico. «E allora io gli ho detto che no, non ci sono andato a letto, però che ti ho baciata.»
Sospiro e mi accascio. Appoggio la schiena alla parete e mi chiedo perché, ma perché proprio io devo conoscere gente simile?
La storia del bacio non ha nulla di glorioso, né niente.
Era stato semplicemente un esperimento. Due anni prima, eravamo parecchio confusi riguardo ai nostri sentimenti. Per cui avevamo provato a baciarci e vedere quel che succedeva. È stato disgustoso, a dirla tutta. Da allora qualche volta ci ridiamo sopra, ma non l’abbiamo mai detto a nessuno – cioè, io non l’ho mai detto a nessuno, che Robert l’abbia svelato a quelli del Brit Pack è tutta un’altra storia.
«... e allora Sturridge ha cominciato a dire che secondo lui io ti piaccio e cose simili.»
«E tu c’hai creduto. Mi pare giusto. Dopotutto lo Stu detiene la verità universale.» Verità universale ‘sto cazzo.
Lui si massaggia il naso. Grazie al cielo il mio pugno non ha lasciato segno, altrimenti Clare mi avrebbe inseguita per tutto il mondo armata di fucile a pallini.
Lo guardo e gli do un buffetto leggero sulla guancia. «Dai – faccio – torniamo a casa. Passiamo da Tesco e ci prendiamo gli Oreo, che ne dici?»
«E guardiamo Doctor Who?»
«Mi pare ovvio. Ma la serie la scelgo io.»
Mi alzo e gli tendo la mano. E non importa se è più alto di me. Non importa se è ancora un frignone mammone. In questo momento, mentre lui prende la mia mano e si alza in piedi, mi rendo conto che voglio che tutto rimanga sempre così.
Con noi due che cadiamo insieme e ci rialziamo insieme.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
dunque, pupe. capitolo veloceveloce riguardante l’adolescenza di ‘sti due screanzati.
eeeh. be’, non ho molto da dire, sinceramente. se non che spero che ‘sta cosa vi piaccia e insomma, grazie, sono ancora commossa per il caloroso benvenuto che mi avete dato – mio dio, mi sento l’ospite del maurizio costanzo show.
per quanto riguarda l’ordine cronologico in cui si svolgerà la storia... sono lieta di annunciarvi che, siori e siore, ebbene sì, non c’è! si torna al passato, si va al presente e pure al futuro, cosa che farebbe piangere di gioia il dottore – e se non avete colto la citazione significa che non siete fan di doctor who o di charlie mcdonnell ç.ç il che mi spezza il cuore, perché è una di quelle meraviglie che di solito tu boh, becchi la pubblicità e dici: ma che roba da nerd. e invece anche gentaglia come me è capace di vedere serie televisive simili.
ma comunque.
vi lascio una fotina di peggy in questa sua fase molto punk – e ne avrà tantissime altre di fasi, non credete eh.
per cui, un mega bacione a tutte quante e buona serata!

  
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