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Autore: Jules_    27/04/2011    1 recensioni
Beatles. Rolling Stones.
George Harrison. Brian Jones.
Il mio punto di vista.
Piccola storia con un accenno di Slash partorita in un giorno. Spero che vi piaccia.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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London. 1966. 
 
 
-George...George, ehi! Mannaggia a te...George!-
Il ragazzo tentava di farsi sentire in tutti modi ma quella finestra sembrava proprio non volersi aprire. La sua voce giungeva quasi come un sussurro, sia perchè le sue corde vocali non gli permettevano note più alte, sia perchè non voleva svegliare l'intero quartiere. Continuò a chiamare l'amico senza ricever risposta, ma aveva bisogno di aiuto, e quella casa che più volte gli aveva donato ospitalità, sembrava l'unica salvezza. Esausto e ormai senza forze usò il trucco più banale e conosciuto del mondo: iniziò a lanciare sassolini contro la finestra di casa Harrison, sperando solo di aver azzeccato la stanza.
Da dentro il povero George se ne stava beatamente rintanato sotto le coperte e probabilmente stava sognando cavalli ed arcobaleni, quando udì un colpo micidiale contro il vetro della sua camera da letto. Subito sgranò gli occhi e si sedette sul materasso guardando in direzione della finestra. Pian piano i colpi continuarono ed Harrison stava già pensando di dirne quattro a colui che veniva a tirar sassi a casa sua alle 3 del mattino. Si alzò e ringraziò il cielo che Pattie avesse il sonno pesante per poi aprire la finestra e gridare a gran voce contro il disgraziato in penombra.
-Ehi, tu, ma che cazzo stai 'a f... oh diamine, Brian, sei tu!-
In quel preciso istante il chitarrista degli Stones ringrazò Krishna per aver beccato la camera giusta e si maledì per non aver pensato prima alla storia dei sassolini.
 
Seduti sul divano del salotto di casa Harrison davanti a dei bicchieri di Gin, George restava a guardare l'amico. Si era tolto la giacca ed era rimasto col suo maglioncino bianco; era tutto sudato e i capelli biondi se ne stavano disordinatamente appiccicati alle sue guance, ormai diventate rosse. La bocca era mezza socchiusa e i suoi piccoli occhi con le pupille dilatate si riuscivano a mala pena a distinguere sotto quella frangetta ormai rovinata. Molto probabilmente si era appena fatto qualche acido e aveva fumato qualche spinello di troppo perchè aveva lo sguardo ancora un po' perso e l'odore di fumo misto all'alcool ancora sulla giacca. Una mano tremava mentre afferrava un bicchiere e lo portava alla bocca per poi mandare giù il terzo pieno di Gin: ormai l'alcool era acqua per lui; l'altra, inceve, teneva una sigaretta accesa che era rimasta a penzolare assieme alla mano sul lato del divano. 
Da quando George lo fece entrare erano passati alcuni minuti di silenzio. Quando gli aveva aperto, Brian era bianco come un lenzuolo, tremava, era in preda al terrore, mentre adesso aveva la schiena lungo il dorso del divano e la testa all'indietro. Per un attimo il padrone di casa pensò di averlo messo K.O. e fu alquanto sollevato quando si accorse che, dopo dieci minuti di immobilità totale, l'amico aveva allungato le mano verso il tavolino ed afferrato il posacenere.
-Tutto bene, Brian?- 
Disse George sporgendosi verso l'altro. Quest'ultimo diede un colpo di tosse e si mise i capelli dietro l'orecchio.
-Si, si, grazie George..-
-Di niente, figurati! Cos'è? Sei stato ancora all'Ad Lib?-
-Dio mio, sì! E non sai quante pollastre c'erano!- Aggiunse il biondo con un sorriso ammicante.
-Si ma ti sei fatto ancora, eh? Lo sai che non dovresti esagerare..-
-Si, George, lo so! Diamine, a volte mi ricordi mia madre! Lewis, fai questo, Lewis, non fare quest'altro...-
Harrison a momenti sputava quello che aveva in bocca.
-LEWIS!?-
-Si- Ammise Jones un po' risentito. -Mia madre mi chiamava Lewis. Ehi, che hai da ridere, coglione!- E gli lanciò addosso un cuscino facendogli cadere la sigaretta a terra, ma questo non servì a farlo smettere di ridere.
-Senti, ti sfotterò a vita, Lewis!- Harrison aveva ormai le lacrime agli occhi e anche Brian non riusciva a smettere di ridere dato che l'altro aveva iniziato ad imitare sua madre.
-Taci, Georgino!-
Quando finalmente si furono calmati, si sedettero nuovamente sul divano, stanchi morti entrambi. Brian sbadigliò lentamente un attimo mentre mandava giù un altro goccio di alcool per poi sorridere in direzione del chitarrista Beatlesiano, che restituì il sorriso. Erano così diversi. Fisicamente, intendo. Uno moro, l'altro biondo; uno con gli occhi scuri e l'altro con gli occhi più chiari, eppure avevano così tanto in comune. Tanto per cominciare, i loro ruoli nelle due band più in voga di allora, entrambi erano sovrastati da identità molto carismatiche come Paul e John e Mick e Keith, entrambi si stavano per avvicinare al sitar e alle discipline orientali, ma soprattutto c'era qualcosa nel loro sorriso, un qualcosa che li accomunava. 
Stettero ancora in silenzio, per guardarsi e sorridere, ma le occhiaie di Jones si fecero sempre più pesanti fino a che non si sentì mancare le forze e si accasciò sul divano. George si ritrovò in due secondi la nuca dell'amico sulle sue ginocchia e a momenti gli prese un colpo. Fortunatamente si accorse che stava solo dormendo e tirò un sospiro di sollievo. I lineamenti del suo volto si distesero e iniziò quasi inconsciamente ad accarezzare i capelli di Brian, percependo ogni singolo e regolare respiro. Giocherellò un po' con delle ciocche bionde e posò l'altra mano sulla sua spalla, sentendo il tessuto del maglione quasi perennemente appiccicato a lui. Sul viso di George comparve un dolce sorriso, quel sorriso che aveva rivolto solo a Pattie prima d'ora. Non capiva cosa gli stesse accadendo e cacciò via l'immagine della sua fidanzata, ma continuò comunque ad accarezzare l'amico e a sfiorargli il volto. Nel preciso istante in cui la mano fredda di George toccò le guance roventi di Jones, sul viso di quest'ultimo fece capolino un sorriso piccolo e sottile, e in quel momento Harrison si sentì come più leggero. Aveva gli occhi pieni di emozione, di un sentimento indefinito nei confronti di quell'amico, di quel compagno che adesso giaceva sulle sue ginocchia, immobile, solo il suo ventre si muoveva ad andamenti ritmati e continui. C'era un gran silenzio in tutta la stanza e George sembrava non aver occhi che per lui. Si sentiva quasi un bambino. Ad un certo punto fu tentato dalla voglia di avvicinarsi a lui. Si sentì stranito e disorientato, guardava l'amico e l'unica cosa che voleva era fare suo quello splendido sorriso. Stava ancora pensando a quello che la sua testa aveva innescato quando si accorse di avvicinarsi sempre di più al viso di Brian. Il cuore sembrava non voler rallentare mentre i suoi occhi erano fissi sul corpo del biondo. Il Beatle iniziò a respirare profondamente fino a quando, ritrovandosi a pochi centimetri dal suo volto, non gli venne quasi il desiderio che l'amico si girasse. Aveva iniziato a sudare, le mani gli erano diventate appiccose sopra il tessuto ruvido del maglione e chiuse gli occhi. Un lieve contatto. Le sue labbra sfiorarono la pelle liscia e calda di Brian e George ebbe un tuffo al cuore quando percepì un sussulto da parte sua. Lui restò fermo, immobile, in quella posizione per un po', rendendosi conto solo in quel momento di quello che stava facendo. Ma non se ne vergognò o che altro, no, anzi, si sentiva quasi liberato da un dolce peso. Si tirò indietro e si lasciò cadere sullo schienale del divano, con un sorriso sulle labbra. Si sentiva felice. Guardò Brian e fece un lungo respiro, prima di finire totalmente nel mondo dei sogni, lasciando cadere dolcemente la mano attorno alla vita di Jones. Quando sentì il braccio sfiorargli il fianco, il chitarrista degli Stones l'afferrò d'impulso e sentì la sua pelle delicata scorrere tra le sue dita.
-Ti voglio bene, George...-
 
E quella sera si addormentarono così, con le loro mani intente a danzare un ballo che nessuno avrebbe dovuto sapere. Si volevano bene. Ed entrambi erano felici di aver trovato finalmente un amico, qualcuno con cui condividere un sentimento grande quanto l'infinito, ma allo stesso tempo indefinito. L'Amore.

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Notes from Penny Lane

Ho provato a cimentarmi in questa piccola Slash (se così si può definire) e l'ho scritta in un giorno. Non credo sia il massimo, ma diciamo che ho provato a raccontare come vedo questi due grandi chitarristi. Il tutto mi è stato istirato appunto da una citazione di Harrison, che metterò qua sotto, riguardo i suoi rapporti con Jones e quetso mi ha fatto partire con lòa fantasia e ha dato vita a questo..scritto? Si dai. Speroc he vi sia piciuto xD grazie mille a chi è passato. Baci
Jules



"Mi trovavo sempre con Brian nei club e uscivamo insieme. A metà degli anni Sessanta veniva a casa mia, specialmente quando
aveva "il terrore", quando aveva mischiato troppe cose strane. Lo sentivo urlare in giardino: "George, George...". Lo facevo entrare, era un buon amico. Veniva sempre a casa mia nel periodo del sitar. Parlavamo di "Paint It Black" e lui prendeva il mio sitar e cercava di suonare, e così fece quel brano.
Avevamo molto comune, a pensarci bene. Avevamo la stessa data di nascita, o quasi, forse era anche lui del segno dei Pesci.
Avevamo anche lo stesso ruolo nei gruppi più importanti dell'universo: lui con Mick e Keith e io con Paul e John. Penso che si trovasse molto in sintonia con me, e a me lui piaceva. C'era gente che non aveva tempo per lui, ma io lo ritenevo uno dei più interessanti. ['66]"
  
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