15.
~ Destroy this city of delusion, break these walls down. I will avenge.
Distruggi questa città dell'illusione, fa crollare questi muri. Io combatterò.~
Ora, stesa in piscina su una sdraio di plastica, con il mio solito cappello di paglia e gli occhiali a ripararmi dal sole, mi godevo la sensazione di calore che i raggi solari provocavano sulla mia pelle. Tornata in albergo, dopo la mia “fuga”, avevo indossato il mio solito costume blu elettrico, dopo di che ero andata in camera di Ryan, speranzosa di trovarlo. E così, fu. Era intento a riporre le ultime cose in valigia. Avevo raggirato le sue domande su ciò che era accaduto l’ora precedente in sala da pranzo, non gli avevo parlato di Ian, non volevo nemmeno menzionarlo, perché pronunciarne il nome ad alta voce mi stringeva lo stomaco in una morsa. Lui fu più che felice di accompagnarmi in piscina, in fondo, sapevo che anche se l’idea non lo allettava, sarebbe comunque venuto con me. La fortuna volle che anche Anthony fosse lì, a cercare di far colpo su qualche bella ragazza in bikini.
In quel momento, volsi il capo e sorrisi. Anthony, seduto sulla sedia a sdraio allungava il collo per cercare qualche ragazza che prendeva il sole, come le giraffe fanno quando cercando cibo.
«Lo so che sono bello, ma se mi guardi così mi consumo.» scherzò lui passandosi una mano fra i capelli e scuotendo la testa, come fossero stati lunghi e fluenti.
«Chiedo venia, signora. Ma lei è così bella che non riesco a toglierle gli occhi di dosso.» dissi piegando una gamba.
«Cosa fai? Ti prendi gioco di me?»
«No, sai che non lo farei mai, Anthony.» sorrisi abbassandomi appena gli occhiali sul naso e guardandolo sopra d’essi.
«Uhm…» mormorò pensieroso prendendosi il mento fra indice e pollice.
«Cosa?» chiesi corrugando appena la fronte.
«Oggi sei particolarmente… di buon umore!» sorrise.
Chinai appena il capo e guardai le mattonelle marroni. Ancora per poco, pensai.
Feci spallucce. «Sarà il sole.» farfugliai in imbarazzo.
«C’è sempre il sole.»
«Mi sono svegliata di buon umore, tutto qui.» dissi comprendoni nuovamente gli occhi con le scure lenti.
Sospirò. «Oppure ha conosciuto qualcuno... o tu e Ryan…»
Sbuffai e mi misi a sedere. «Oh, sei impossibile! Tra me e Ryan non c’è nulla! E’ tanto difficile da comprendere?» domandai irritata, allargando le braccia.
«Ti piace.» mi stuzzicò ancora, guardandosi le unghie.
«Oh, ti odio!» ringhiai balzando in piedi.
«Certo, certo.» disse lui sfregandosi le unghie sulla spalla.
Ridussi gli occhi a due fessure e andai via, sbuffando, con il capo a fissare le mattonelle, ma dovetti fermarmi di scatto, quando incontrai un paio di piedi. Alzai il capo e il fiato mi si mozzò. I suoi occhi, resi color ghiaccio dalla forte luce del sole, mi sorrisero con una tale dolcezza da farmi dimenticare perfino come mi chiamassi. Le sue labbra nascondevano un sorriso felice, ma gli occhi… oh, non avrebbero mai potuto mentire.
«Ciao.» mormorò mentre un angolo delle sue labbra si sollevava verso l’alto.
«Ciao…» soffiai con occhi spalancati.
«Helen, scherzavo!» sentii Anthony esclamare. «Oh, ciao Ian!» aggiunse poi e supposi fosse dietro di me, perché nel salutarlo la sua voce era più vicina di quanto credessi.
«Ehi, Anthony.» sorrise.
«Come mai qui?»
Mi resi conto di dare ancora le spalle ad Anthony, mentre fissavo il viso di Ian, come fossi una quattordicenne alla sua prima cotta. Mi voltai appena… e farlo mi costò tremendamente tanto. Il mio stomaco s’attorcigliò.
Quando Ian rispose la sua voce non era del tutto ferma. «Abby vorrebbe che veniste in spiaggia.» disse titubante, guardando prima lui, poi me.
Fu allora che gelosia e sensi di colpa si abbatterono su di me. Tremai e la testa prese a girarmi. Senza rendermene conto gemetti e Ian, prontamente, mi mise una mano dietro una spalla, quasi a sorreggermi.
«Tutto okay?» chiese con premura mentre Anthony chiamava il mio nome.
«Sì.»
«Hai mangiato qualcosa?» mi chiese serio Ian. Scossi il capo e lui sospirò, quasi rassegnato.
«Dev’essere in ansia per Ryan.»
In quel momento sentii la rabbia salire ed impossessarsi di me. Il sangue prese a ribollirmi nelle vene e le mani a prudermi.
«Anthony!» ringhiai su tutte le furie, feci un passo indietro e gli diedi una spinta, ma troppo alto e forte per me, non riuscii a spostarlo di un centimetro così, a cadere, fui io. Ma non caddi sul duro pavimento, bensì in piscina. In un attimo l’acqua fredda mia avvolse facendomi venire la pelle d’oca. Quando riemersi incontrai gli occhi scioccati ed arrabbiati di Ian, mentre Anthony rideva di gusto. Mi tolsi gli occhiali, recuperai il capello e nuotando mi avvicinai al bordo piscina, lì, trovai la mano di Ian tesa verso me, l’afferrai ed il mio cuore sussultò.
«Tu con me, hai chiuso! Non parlarmi più, non nominarmi più, e non respirarmi vicino!» esclamai a Ryan.
«Helen…» mormorò Ian.
«Oh, lasciatemi stare!» latrai sbuffando. Presi la mia roba e mi rivolsi nuovamente ad Anthony. «Per favore, trovati una ragazza.» sibilai.
«Cosa succede?» al suono di quella voce il mio cuore urlò.
«Niente.» sussurrai guardando la mano di Abby cercare quella di Ian.
«Niente.» ripetei osservandole, prima di alzare gli occhi sul viso di Abby.
Mi morsi il labbro inferiore, che prese a tremarmi. Fu allora che avrei voluto sprofondare nel sottosuolo e nascondermi. Mi sentii in colpa verso mia cugina, una infima traditrice, ma provai un impeto di gelosia nei confronti di Ian. Ma, in fondo, che diritto avevo io?
I suoi occhi m’implorarono perdono, in quell’espressione di dispiacere. Mi lasciai accarezzare da essi un’ultima volta, prima di andare via, ignorando la voce di mia cugina che non faceva che ripetermi cosa stesse accadendo.
L’indomani, nel tardo pomeriggio saremmo partiti,
così una volta in camera,
dopo essere fuggita dalla crudele scena in piscina, recuperai tutta la
mia
roba, riponendone una parte in valigia, questo non prima di una doccia
fresca.
L’acqua non solo mi lavò via il cloro, il cui
odore impregnava fastidiosamente
i miei capelli, ma mi rilassò e, per alcuni istanti, la mia
testa si sgomberò
da qualsiasi tipo di pensiero, per quanto folle e contraddittorio possa
apparire.
Indossato un vestito in lino color della neve, cominciai a piegare
canotte e
jeans, mentre la mia mente mi scagliava continuamente ricordi della
notte
passata con Ian. Ma al viso di Ian era associato quello di Abby. Era un
circolo
vizioso dal quale non vi era fuga. Così, meccanicamente,
spossata, riposi in
valigia ciò che non mi serviva, fino a quando non fu ora di
pranzo.
Non potei non pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo. La
vacanza era oramai
terminata e ognuno di noi sarebbe tornato alla vita di sempre. In
città, a New
Bern, sarebbe stato difficile vedersi spesso e ci saremmo ridotti tutti
a vederci
due volte a settimana, come di consueto. Ian ed Abby non sarebbero
stati per me
più una tale fonte di dolore, attenuato in piccola
percentuale dal non vederli
costantemente. Ma… cosa ne sarebbe stato di me ed Ian? L’idea di una
vita insieme, per quanto
sbagliata fosse, non faceva che tormentarmi, dandomi in principio una
leggera
sensazione di
benessere, in seguito
un’orribile sensazione di tradimento.
Come potevo fare ad Abby una cosa del genere?
Il mio stato mentale era tanto confusionale da non permettermi di
analizzare
razionalmente la situazione, ero in balia degli affetti del cuore che
mi
sballottavano, come fossi una barca a vela in piena tempesta.
Un’orribile sensazione di malinconia e sofferenza non faceva
che avvolgermi e
tenermi stretta sé, come fossi la cosa più
preziosa che avesse trovato, la sua
nuova conquista che non meritava di vivere in felicità e
serenità. Ed in quel
momento mi odiai con tutta me stessa per essermi lasciata trascinare
dall’amore,
di non essermi imposta.
Ghignai. Stupida, mi dissi, conscia
che al cuore non si comanda.
Ero intenta ad
allacciarmi alla caviglia il cinturino dei saldali quando
qualcuno bussò alla porta. Il cuore mi balzò in
gola e cominciò a battere
frenetico. In cuor mio, per quanto odiassi ammetterlo, speravo fosse
Ian, così
balzai dalla sedia, lasciandomi contro la porta. L’aprii
velocemente ed un paio
di occhi color nocciola mi schiaffeggiarono inconsapevolmente.
«Finalmente!»
esclamò lei passandomi accanto ed entrando nella stanza.
Chiusi un momento gli
occhi, come a voler racimolare quel poco di autocontrollo
rimastomi, poi mi voltai, richiudendomi la porta alle spalle, molto
lentamente.
«Abby…»
mormorai cercando di apparire il più naturale possibile,
sorridendo ma
ottenendo probabilmente una smorfia.
«Sei
sparita. Non ti capisco. Cosa succede?»
Tremai ed il mio cuore
pianse silenziosamente. «Ho avuto un sacco di cose da
fare… poi sono stata in piscina… nulla,
è la vacanza…» farfugliai portandomi
una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Lei sbuffò
e si lasciò cadere sul letto, poi parlò.
«Vieni qui.» disse battendo
la mano sul materasso.
Deglutii rumorosamente
e tremante avanzai nella stanza fino a sedermi sul
letto. Lei, poggiandomi una mano sulla spalla, mi attirò
verso il basso e così
mi ritrovai stesa accanto a lei, entrambe supine.
«Io e te non
parliamo più come prima.» disse con convinzione
incrociando le
dita sul ventre.
Pugnalata in pieno
petto. Le parole parvero morirmi in gola.
«Non
è vero.» mentii. «Abbiamo avuto due
giorni intensi.» risposi cercando di
controllare la voce.
«Non so se
crederti.» sospirò voltandosi a guardarmi.
Benché fissassi il
soffitto color della neve, potei osservarla con la coda
dell’occhio e mi sentii
tremendamente per ciò che lei non sapeva e forse non avrebbe
mai saputo.
Sentii le lacrime
pungermi crudelmente gli occhi, così chiusi le palpebre per
fermale. Non potevo lasciarmi andare, non in quel momento, sopraffatta
Ignara
poggiò la testa sulla mia spalla. Quel contatto,
così casuale, mi fece
dolere il petto.
«Basta…
Abby… » gemetti, ma non era riferito alle sue
parole, bensì al dolore
che la sua presenza mi causava, la semplicità e a
spontaneità con il quale
ignara mi parlava. Basta al dolore
in
pieno petto, ai sensi di colpa. Ma, in fondo, me l’era
cercata.
Ad un momento
d’intensa felicità, di magnificenza corrisponde un
momento di
declino e dolore.
«Okay,
okay.» sbuffò mettendosi a sedere. «Ti
va di fare un giro?»
«Io…
devo finire la valigia.»
Sbuffò,
irritata. «Okay. Vuol dire che andrò a farla anche
io. Magari aiuto Ian
a fare la sua.» disse roteando gli occhi.
Udire quel nome fu
come ricevere una pioggia di spilli in pieni viso.
«Ci vediamo
a pranzo.» sorrise poi baciandomi una guancia. «A
dopo.»
Non ebbi io coraggio
di rispondere, le parole mi morirono in gola mentre la
osservavo chiudersi la porta alle spalle.
Cosa stavo facendo?
Mi spazzolai con calma
i capelli davanti al grande specchio sopra il lavabo del
bagno. Mi legai la canotta blu dietro il collo e continui a spazzolarmi
i
capelli, ciocca dopo ciocca. Entro poco sarei dovuta scendere al pian
terreno
per il pranzo… e non ero pronta, in fondo, non lo sarei mai
stata. Sospirai e
lasciai la spazzola sul piano in marmo, mi poggiai poi ad esso ed
incrociai le
braccia al petto. In quel momento qualcuno bussò alla porta.
Pietrificata non
riuscii a muovere un solo muscolo. Più
cercavo di starmene in solitudine più non facevano che
cercare la mia
compagnia.
«Helen?»
udendo la voce di Ryan rilassai i muscoli contratti e, portandomi una
ciocca di capelli dietro un orecchio, gli aprii la porta.
«Ehi.»
sorrisi spostandomi per farlo entrare.
«Sono venuto
a vedere come stavi.» disse premendo il palmo della mano
sulla mi
guancia.
Sorrisi.
«Sto bene, Ryan. Dovresti smetterla di preoccuparti per
me.»
Lui alzò
gli occhi al cielo.
«Davvero!»
esclamai dandogli un buffetto sul braccio.
«Anthony mi
ha raccontato della piscina.»
Digrignai i denti.
«Idiota.» ringhiai.
Ryan rise.
«E’ sorprendete come, in poco tempo, riesca a
mandarti fuori dai
gangheri.»
Mi portai le mani sui
fianchi. «Certo, ridi!» esclamai cercando di
reprimere un
sorriso ed apparire seria. Mi sedetti sul letto con un tonfo sordo.
Ryan si
guardò intorno, soffermandosi con lo sguardo sulla valigia.
«Hai già
liberato l’armadio.» osservò.
Feci spallucce.
«C’è solo l’indispensabile
fuori. Volevo godermi le ultime ore
senza il cruccio dei bagagli.» sorrisi.
«Previdente
come sempre.» sorrise.
Aprii la bocca per
ribattere ma qualcuno bussò alla porta, ancora.
Sbuffai. «Ma
è possibile che non si possa avere un po’ di
pace?» sibilai
alzandomi dal letto. «Spero sia Anthony venuto a chiedermi
scusa.» sorrisi
afferrando la maniglia della porta, ma, ancora una volta,
ciò che vidi non era
ciò che mi aspettavo. Occhi verdazzurro mi scrutarono con
gentilezza, prima di
posarmi oltre me… su Ryan. Il suo voltò
cambiò espressione e notai che aveva
contratto la mascella.
«Ciao,
Ryan.» disse con nonchalance.
«Ehi,
Ian.» rispose lui e sentii i suoi passi avvicinarsi.
«Allora io comincio
ad andare. Ci vediamo di sotto ragazzi.» lo disse poggiandomi
una mano dietro
la schiena, come a volermi dare coraggio. Gli fui grata di quel piccolo
gesto.
«Okay.»
soffiai senza staccare gli occhi dal volto di Ian che fece un cenno del
capo a mo’ di saluto. Lui entrò mentre Ryan
percorreva il lungo corridoio del piano dai muri color panna.
Chiusi la porta,
poggiando i palmi sul legno fresco.
«Perché
sei qui?» chiesi senza voltarmi, poggiando la fronte sulla
superficie
dinanzi a me.
«Avevo
bisogno di vederti.» mormorò con voce calda.
Mi morsi il labbro
inferiore mentre chiudevo gli occhi. «Ti prego, non rendere
le cose più difficili di quanto già
siano.» gemetti.
Avvertii le sua mani
fra i miei capelli, li sentii carezzarli con estrema
dolcezza e delicatezza, prima che si poggiassero sul mio ventre e mi
attirassero e se. La mia schiena aderii perfettamente al suo torace, al
suo
addome, mentre affondava il viso fra i miei capelli.
«Non
respingermi, Helen… ti prego… non
respingermi.» gemette.
Sentii le lacrime
pungermi gli occhi, uscire prepotentemente rigandomi il
viso. Le sue mani erano sul mio corpo,
lui era ovunque e potevo percepire il battito del suo cuore contro la
mia
schiena, il suo respiro sul collo che filtrava attraverso i capelli.
«Non
respingermi ancora, Helen…»
Il suo tono di voce,
disperato fu una lenta pugnalata. Ancora. Perché io lo
avevo già respinto. Lo avevo respinto e lo
avevo fatto soffrire come lui aveva fatto soffrire me. Ma era colpa
mia, era
solo colpa mia.
Poggiai le mani sulle
sue e mi lasciai andare alle lacrime, addolorata…
innamorata.
Lui mi bacio la pelle
sotto il collo. «Ti amo e ho bisogno di te… ho
bisogno di
te come le piante hanno bisogno della luce, come l’uomo ha
bisogno
dell’ossigeno. Sei vita, Helen. Il
tuo cuore… è il mio.»
Fu allora che
racimolai quella minima quantità di forza di
volontà che mi
rimaneva e mi voltai, con gli occhi velati da calde lacrime. I suoi
erano
anch’essi inumiditi e il fiato mi si mozzò. Una
lacrima gli spillò da un
occhio, mi alzai in punta di piedi e, prendendogli il viso fra le mani,
catturai con le labbra quella piccola perla d’acqua.
Lo baciai con estrema
dolcezza e tenerezza sulla labbra increspate dalla
malinconia, mi strinsi a lui, facendo aderire totalmente i nostri
corpi,
lasciando che le sue mani accarezzassero il mio viso come le mie
accarezzavano
il suo, come fossimo stati a lungo separati, un dolce ritrovarsi dopo
una
tempesta. Lasciai che ogni fibra del mio essere si legasse alla sua,
s’intrecciasse per non lasciarla andare mai più.
Fu come forgiare un muto ed
invisibile patto, una reazione metallurgica che avveniva
nell’essenza di noi
stessi, che avveniva fra le parti del nostro profondo essere. Sarei
stata sua,
per sempre. Qualsiasi cosa sarebbe successa, una parte di me avrebbe
sempre
ricordato Ian e quanto intenso fosse l’amore che mi legava a
lui.
Mi allontanai appena,
quel che bastava per guardarlo in volto. «Vorrei che ci
fossero parole per descrivere cosa provo per te, cosa sento
adesso.»
Poggiò la
fronte sulla mia ed entrambi chiudemmo gli occhi, l’uni
stretta
all’altra.
«Io amo te,
Helen. Non Abby. E’ da quando abbiamo cominciato questa
vacanza che
ci penso. Io non l’amo.»
Aprii gli occhi ed
incontrai i suoi. «Non l’ho mai amata quanto amo
te.»
mormorò con voce calda ed incrinata.
«Oh…
Ian…» soffiai prima di affondare il viso nel suo
collo. E le uniche parole
che mi sovvennero alla mente furono: amami
poco, così da amarmi a lungo.
Ancora poggiata alla
porta, stretta ad Ian, mi lasciavo cullare dal suo respiro,
mi lasciavo consolare ed amare dolcemente dal suo corpo caldo. Ero
assuefatta
dal suo profumo, dalla pelle morbida del suo collo sotto le mie mani.
Non c’era
altro intorno a noi, solo Helen ed Ian. Nient’altro.
«E’
meglio andare.»
«Niente
è meglio se non posso toccarti.»
mormorò lui al mio orecchio.
«Non
t’importa che Abby capisca?»
Si
allontanò appena e mi guardò alzando un
sopracciglio. «Ma non hai ascoltato
una parola di quello che detto?»
Sorrisi e gli baciai
il mento. «Intendo… che capisca ora.»
Un angolo delle sue
labbra si sollevò verso l’alto e gli occhi
brillarono come
diamanti al sole. «Vuoi dire che hai intenzione di
dirglielo?»
Lo baciai a fior di
labbra. «Ora, ho compreso. Ho capito, che ci sono cosa
nella vita a cui non si può rinunciare, passioni e
sentimenti che ti tengono in
vita. Una vita senza te, Ian… non è vita.
»
«Voglio solo
che tu comprenda una cosa, Helen. Alla fine di questa vacanza, una
volta tornati a New Bern, l’avrei lasciata comunque.
L’avrei lasciata anche se
la notte scorsa non ci fosse mai stata. L’avrei lasciata ed
avrei bussato alla
tua porta. Mi sarei inginocchiato ed ti avrei detto quanto mi amo,
quanto la
mia vita sia insulsa senza te, e quanto sciocco fui a fidanzarmi con
lei, solo
per dimenticarti. Ma come ci si può dimenticare di te,
Helen?» mormorò
guardandomi con occhi ardenti.
Con il respiro corto e
occhi sgranati cercavo di metabolizzare ogni parola.
Sì, avrei voluto dire, fuggiamo insieme. Andiamo via
mano nella
mano. Amiamoci, ora, domani, dopodomani, ed il giorno dopo ancora. Ma il
pensiero di mia cugina sofferente…
«Ho paura,
Ian.» soffiai.
«Ti prego,
non averne. Non sacrificarti per lei, stai certo che per te non lo
farebbe… ed, in fondo, lo sai anche tu.»
«Non puoi
dirle tutto, ora.» dissi sgranando gli occhi.
«Oh,
sì che posso.» disse risoluto allontanandosi e
trascinandomi via dalla
porta, tirandomi dolcemente per un braccio.
«No, che non
puoi!» esclamai.
«Dici di
amarmi.»
«E’
così.» sussurrai.
«Dobbiamo
dirle tutto. Io, devo dirle
tutto. E lo sai.»
«Ti
prego, sii ragionevole. Non puoi, ora. Non qui. Viviamo tutti a stretto
contatto, ne risentirebbero persone che non c’entrano. Pensa
allo status quo.»
dissi stringendogli il braccio con una mano. «Domani
partiremo, potrai farlo
una volta tornato a casa. Ti prego, Ian, non ora. Voglio che le
parleremo
insieme.»
Per attimi
interminabili i suoi occhi rimasero nei miei, abbassò un
momento lo
sguardo, prima di rialzarlo sul mio
viso. «No, le parlerò io. Le devo spiegare che ci
pensavo da un po’.» annuì.
Sorrisi, rincuorata.
«Come non ci si può innamorare di te, Ian?»
*
Chiedo
umilmente
scusa per l’enorme ritardo, ma l’ispirazione
è scarseggiata.
Ad ogni modo, la storia svolge al termine… finalmente,
direte. :D
Grazie mille per la fantastica attenzione.
Un bacio, Panda.