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Autore: NeverThink    28/04/2011    4 recensioni
Sapevo che era sbagliato, terribilmente sbagliato. Eppure non riuscivo a toglierli gli occhi di dosso.
Lo vidi uscire, camminare sulla sabbia chiara, dirigendosi verso me. Il sole si rifletteva sulle goccioline d’acqua salata che scivolavano lungo il suo corpo statuario, sui muscoli dell’addome e delle braccia ben delineati.
Corrugò la fronte a causa del sole. La pelle aveva oramai assunto un colore ambrato dopo la prima settimana di vacanza passata su quell’isola dei Caraibi.
Deglutii rumorosamente e voltai il capo, scostando lo sguardo dal suo corpo, dal suo viso, ma, soprattutto, dai suoi occhi color del ghiaccio.
La sua vista, per quanto fosse gradevole ai miei giovani occhi, era fonte di sofferenza.
(..)«Helen!»
Mi voltai e lo vidi avanzare verso la battigia, correndo. Entrò in acqua senza curarsi di bagnarsi i jeans e le scarpe. Si inginocchiò e mi sorresse, poggiando una mano su un fianco e una sul collo, scostandomi i capelli per metà bagnati.
«Ehi…» mormorò e il suo viso al chiaro di luna era ancor più bello. Inebetita l’osservai.(..) Istintivamente alzai una mano, sfiorandogli la mascella con i polpastrelli.
«Sei così cambiato, Ian.» mormorai.
Per te.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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15.  

 


~ Destroy this city of delusion, break these walls down. I will avenge.

Distruggi questa città dell'illusione, fa crollare questi muri. Io combatterò.~

 



Quella mattina passò con una tale lentezza da apparirmi quasi eterna. Alla fine non andai in spiaggia, non ci riuscii. Per quanto il viso di Ian mi mancasse, per quanto desiderassi perdermi nei suoi occhi e lasciarmi andare al suono della sua voce calda, l’idea di vedere Abby guardarlo con occhi innamorati ed ignari, era insopportabile e la consapevolezza di aver tradito la sua fiducia, con conseguenti sensi di colpa non avrebbe fatto altro che macchiare una cosa tanto pura quale l’amore è, avrebbe macchiato quegli unici momenti di felicità che dopo tempo ero riuscita a vivere, quegli unici momenti in cui, finalmente, mi eri congiunta ad Ian, in cui lui era stato parte di me ed io parte di lui. Azioni e parole che erano state al centro del mio piccolo mondo immaginario per così tanto tempo che facevo fatica ancora a credere che fosse tutto vero. Perciò, per quanto masochista fossi, non ero pronta a lasciar che la sensazione di quell’amore segreto si sgretolasse come pasta frolla, evitai Abby, sperando che lei non ci desse troppo peso.
Ora, stesa in piscina su una sdraio di plastica, con il mio solito cappello di paglia e gli occhiali a ripararmi dal sole, mi godevo la sensazione di calore che i raggi solari provocavano sulla mia pelle. Tornata in albergo, dopo la mia “fuga”, avevo indossato il mio solito costume blu elettrico, dopo di che ero andata in camera di Ryan, speranzosa di trovarlo. E così, fu. Era intento a riporre le ultime cose in valigia. Avevo raggirato le sue domande su ciò che era accaduto l’ora precedente in sala da pranzo, non gli avevo parlato di Ian, non volevo nemmeno menzionarlo, perché pronunciarne il nome ad alta voce mi stringeva lo stomaco in una morsa. Lui fu più che felice di accompagnarmi in piscina, in fondo, sapevo che anche se l’idea non lo allettava, sarebbe comunque venuto con me. La fortuna volle che anche Anthony fosse lì, a cercare di far colpo su qualche bella ragazza in bikini.
In quel momento, volsi il capo e sorrisi. Anthony, seduto sulla sedia a sdraio allungava il collo per cercare qualche ragazza che prendeva il sole, come le giraffe fanno quando cercando cibo.
«Lo so che sono bello, ma se mi guardi così mi consumo.» scherzò lui passandosi una mano fra i capelli e scuotendo la testa, come fossero stati lunghi e fluenti.
«Chiedo venia, signora. Ma lei è così bella che non riesco a toglierle gli occhi di dosso.» dissi piegando una gamba.
«Cosa fai? Ti prendi gioco di me?»
«No, sai che non lo farei mai, Anthony.» sorrisi abbassandomi appena gli occhiali sul naso e guardandolo sopra d’essi.
«Uhm…» mormorò pensieroso prendendosi il mento fra indice e pollice.
«Cosa?» chiesi corrugando appena la fronte.
«Oggi sei particolarmente… di buon umore!» sorrise.
Chinai appena il capo e guardai le mattonelle marroni. Ancora per poco, pensai.        
Feci spallucce. «Sarà il sole.» farfugliai in imbarazzo.
«C’è sempre il sole.»
«Mi sono svegliata di buon umore, tutto qui.» dissi comprendoni nuovamente gli occhi con le scure lenti.
Sospirò. «Oppure ha conosciuto qualcuno... o tu e Ryan…»
Sbuffai e mi misi a sedere. «Oh, sei impossibile! Tra me e Ryan non c’è nulla! E’ tanto difficile da comprendere?» domandai irritata, allargando le braccia.
«Ti piace.» mi stuzzicò ancora, guardandosi le unghie.
«Oh, ti odio!» ringhiai balzando in piedi.
«Certo, certo.» disse lui sfregandosi le unghie sulla spalla.
Ridussi gli occhi a due fessure e andai via, sbuffando, con il capo  a fissare le mattonelle, ma dovetti fermarmi di scatto, quando incontrai un paio di piedi. Alzai il capo e il fiato mi si mozzò. I suoi occhi, resi color ghiaccio dalla forte luce del sole, mi sorrisero con una tale dolcezza da farmi dimenticare perfino come mi chiamassi. Le sue labbra nascondevano un sorriso felice, ma gli occhi… oh, non avrebbero mai potuto mentire.
«Ciao.» mormorò mentre un angolo delle sue labbra si sollevava verso l’alto.                   
«Ciao…» soffiai con occhi spalancati.
«Helen, scherzavo!» sentii Anthony esclamare. «Oh, ciao Ian!» aggiunse poi e supposi fosse dietro di me, perché nel salutarlo la sua voce era più vicina di quanto credessi.
«Ehi, Anthony.» sorrise.
«Come mai qui?»
Mi resi conto di dare ancora le spalle ad Anthony, mentre fissavo il viso di Ian, come fossi una quattordicenne alla sua prima cotta. Mi voltai appena… e farlo mi costò tremendamente tanto. Il mio stomaco s’attorcigliò.
Quando Ian rispose la sua voce non era del tutto ferma. «Abby vorrebbe che veniste in spiaggia.» disse titubante, guardando prima lui, poi me.
Fu allora che gelosia e sensi di colpa si abbatterono su di me. Tremai e la testa prese a girarmi. Senza rendermene conto gemetti e Ian, prontamente, mi mise una mano dietro una spalla, quasi a sorreggermi.
«Tutto okay?» chiese con premura mentre Anthony chiamava il mio nome.
«Sì.»
«Hai mangiato qualcosa?» mi chiese serio Ian. Scossi il capo e lui sospirò, quasi rassegnato.
«Dev’essere in ansia per Ryan.»
In quel momento sentii la rabbia salire ed impossessarsi di me. Il sangue prese a ribollirmi nelle vene e le mani a prudermi.
«Anthony!» ringhiai su tutte le furie, feci un passo indietro e gli diedi una spinta, ma troppo alto e forte per me, non riuscii a spostarlo di un centimetro così, a cadere, fui io. Ma non caddi sul duro pavimento, bensì in piscina. In un attimo l’acqua fredda mia avvolse facendomi venire la pelle d’oca. Quando riemersi incontrai gli occhi scioccati ed arrabbiati di Ian, mentre Anthony rideva di gusto. Mi tolsi gli occhiali, recuperai il capello e nuotando mi avvicinai al bordo piscina, lì, trovai la mano di Ian tesa verso me, l’afferrai ed il mio cuore sussultò.
«Tu con me, hai chiuso! Non parlarmi più, non nominarmi più, e non respirarmi vicino!» esclamai a Ryan.
«Helen…» mormorò Ian.
«Oh, lasciatemi stare!» latrai sbuffando. Presi la mia roba e mi  rivolsi nuovamente ad Anthony. «Per favore, trovati una ragazza.» sibilai.
«Cosa succede?» al suono di quella voce il mio cuore urlò.
«Niente.» sussurrai guardando la mano di Abby cercare quella di Ian.
«Niente.» ripetei osservandole, prima di alzare gli occhi sul viso di Abby.
Mi morsi il labbro inferiore, che prese a tremarmi. Fu allora che avrei voluto sprofondare nel sottosuolo e nascondermi. Mi sentii in colpa verso mia cugina, una infima traditrice, ma provai un impeto di gelosia nei confronti di Ian. Ma, in fondo, che diritto avevo io?
I suoi occhi m’implorarono perdono, in quell’espressione di dispiacere. Mi lasciai accarezzare da essi un’ultima volta, prima di andare via, ignorando la voce di mia cugina che non faceva che ripetermi cosa stesse accadendo.


L’indomani, nel tardo pomeriggio saremmo partiti, così una volta in camera, dopo essere fuggita dalla crudele scena in piscina, recuperai tutta la mia roba, riponendone una parte in valigia, questo non prima di una doccia fresca.
L’acqua non solo mi lavò via il cloro, il cui odore impregnava fastidiosamente i miei capelli, ma mi rilassò e, per alcuni istanti, la mia testa si sgomberò da qualsiasi tipo di pensiero, per quanto folle e contraddittorio possa apparire.
Indossato un vestito in lino color della neve, cominciai a piegare canotte e jeans, mentre la mia mente mi scagliava continuamente ricordi della notte passata con Ian. Ma al viso di Ian era associato quello di Abby. Era un circolo vizioso dal quale non vi era fuga. Così, meccanicamente, spossata, riposi in valigia ciò che non mi serviva, fino a quando non fu ora di pranzo.
Non potei non pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo. La vacanza era oramai terminata e ognuno di noi sarebbe tornato alla vita di sempre. In città, a New Bern, sarebbe stato difficile vedersi spesso e ci saremmo ridotti tutti a vederci due volte a settimana, come di consueto. Ian ed Abby non sarebbero stati per me più una tale fonte di dolore, attenuato in piccola percentuale dal non vederli costantemente. Ma… cosa ne sarebbe stato di me ed Ian?  L’idea di una vita insieme, per quanto sbagliata fosse, non faceva che tormentarmi, dandomi in principio una leggera sensazione  di benessere, in seguito un’orribile sensazione di tradimento.
Come potevo fare ad Abby una cosa del genere?
Il mio stato mentale era tanto confusionale da non permettermi di analizzare razionalmente la situazione, ero in balia degli affetti del cuore che mi sballottavano, come fossi una barca a vela in piena tempesta.
Un’orribile sensazione di malinconia e sofferenza non faceva che avvolgermi e tenermi stretta sé, come fossi la cosa più preziosa che avesse trovato, la sua nuova conquista che non meritava di vivere in felicità e serenità. Ed in quel momento mi odiai con tutta me stessa per essermi lasciata trascinare dall’amore, di non essermi imposta.
Ghignai. Stupida, mi dissi, conscia che al cuore non si comanda.                                                                            


Ero intenta ad allacciarmi alla caviglia il cinturino dei saldali quando qualcuno bussò alla porta. Il cuore mi balzò in gola e cominciò a battere frenetico. In cuor mio, per quanto odiassi ammetterlo, speravo fosse Ian, così balzai dalla sedia, lasciandomi contro la porta. L’aprii velocemente ed un paio di occhi color nocciola mi schiaffeggiarono inconsapevolmente.
«Finalmente!» esclamò lei passandomi accanto ed entrando nella stanza.         
Chiusi un momento gli occhi, come a voler racimolare quel poco di autocontrollo rimastomi, poi mi voltai, richiudendomi la porta alle spalle, molto lentamente.
«Abby…» mormorai cercando di apparire il più naturale possibile, sorridendo ma ottenendo probabilmente una smorfia.
«Sei sparita. Non ti capisco. Cosa succede?»
Tremai ed il mio cuore pianse silenziosamente. «Ho avuto un sacco di cose da fare… poi sono stata in piscina… nulla, è la vacanza…» farfugliai portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Lei sbuffò e si lasciò cadere sul letto, poi parlò. «Vieni qui.» disse battendo la mano sul materasso.
Deglutii rumorosamente e tremante avanzai nella stanza fino a sedermi sul letto. Lei, poggiandomi una mano sulla spalla, mi attirò verso il basso e così mi ritrovai stesa accanto a lei, entrambe supine.
«Io e te non parliamo più come prima.» disse con convinzione incrociando le dita sul ventre.
Pugnalata in pieno petto. Le parole parvero morirmi in gola.
«Non è vero.» mentii. «Abbiamo avuto due giorni intensi.» risposi cercando di controllare la voce.
«Non so se crederti.» sospirò voltandosi a guardarmi. Benché fissassi il soffitto color della neve, potei osservarla con la coda dell’occhio e mi sentii tremendamente per ciò che lei non sapeva e forse non avrebbe mai saputo.
Sentii le lacrime pungermi crudelmente gli occhi, così chiusi le palpebre per fermale. Non potevo lasciarmi andare, non in quel momento, sopraffatta
Ignara poggiò la testa sulla mia spalla. Quel contatto, così casuale, mi fece dolere il petto.
«Basta… Abby… » gemetti, ma non era riferito alle sue parole, bensì al dolore che la sua presenza mi causava, la semplicità e a spontaneità con il quale ignara mi parlava. Basta al dolore      in pieno petto, ai sensi di colpa. Ma, in fondo, me l’era cercata.
Ad un momento d’intensa felicità, di magnificenza corrisponde un momento di declino e dolore.
«Okay, okay.» sbuffò mettendosi a sedere. «Ti va di fare un giro?»
«Io… devo finire la valigia.»
Sbuffò, irritata. «Okay. Vuol dire che andrò a farla anche io. Magari aiuto Ian a fare la sua.» disse roteando gli occhi.
Udire quel nome fu come ricevere una pioggia di spilli in pieni viso.
«Ci vediamo a pranzo.» sorrise poi baciandomi una guancia. «A dopo.»
Non ebbi io coraggio di rispondere, le parole mi morirono in gola mentre la osservavo chiudersi la porta alle spalle.
Cosa stavo facendo?                                                     


Mi spazzolai con calma i capelli davanti al grande specchio sopra il lavabo del bagno. Mi legai la canotta blu dietro il collo e continui a spazzolarmi i capelli, ciocca dopo ciocca. Entro poco sarei dovuta scendere al pian terreno per il pranzo… e non ero pronta, in fondo, non lo sarei mai stata. Sospirai e lasciai la spazzola sul piano in marmo, mi poggiai poi ad esso ed incrociai le braccia al petto. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Pietrificata non riuscii a muovere un solo muscolo.  Più cercavo di starmene in solitudine più non facevano che cercare la mia compagnia.
«Helen?» udendo la voce di Ryan rilassai i muscoli contratti e, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio, gli aprii la porta.
«Ehi.» sorrisi spostandomi per farlo entrare.
«Sono venuto a vedere come stavi.» disse premendo il palmo della mano sulla mi guancia.       
Sorrisi. «Sto bene, Ryan. Dovresti smetterla di preoccuparti per me.»
Lui alzò gli occhi al cielo.
«Davvero!» esclamai dandogli un buffetto sul braccio.
«Anthony mi ha raccontato della piscina.»
Digrignai i denti. «Idiota.» ringhiai.
Ryan rise. «E’ sorprendete come, in poco tempo, riesca a mandarti fuori dai gangheri.»
Mi portai le mani sui fianchi. «Certo, ridi!» esclamai cercando di reprimere un sorriso ed apparire seria. Mi sedetti sul letto con un tonfo sordo.
Ryan si guardò intorno, soffermandosi con lo sguardo sulla valigia. «Hai già liberato l’armadio.» osservò.
Feci spallucce. «C’è solo l’indispensabile fuori. Volevo godermi le ultime ore senza il cruccio dei bagagli.» sorrisi.
«Previdente come sempre.» sorrise.
Aprii la bocca per ribattere ma qualcuno bussò alla porta, ancora.
Sbuffai. «Ma è possibile che non si possa avere un po’ di pace?» sibilai alzandomi dal letto. «Spero sia Anthony venuto a chiedermi scusa.» sorrisi afferrando la maniglia della porta, ma, ancora una volta, ciò che vidi non era ciò che mi aspettavo. Occhi verdazzurro mi scrutarono con gentilezza, prima di posarmi oltre me… su Ryan. Il suo voltò cambiò espressione e notai che aveva contratto la mascella.
«Ciao, Ryan.» disse con nonchalance.
«Ehi, Ian.» rispose lui e sentii i suoi passi avvicinarsi. «Allora io comincio ad andare. Ci vediamo di sotto ragazzi.» lo disse poggiandomi una mano dietro la schiena, come a volermi dare coraggio. Gli fui grata di quel piccolo gesto.
«Okay.» soffiai senza staccare gli occhi dal volto di Ian che fece un cenno del capo a mo’ di saluto. Lui entrò mentre Ryan  percorreva il lungo corridoio del piano dai muri color panna.
Chiusi la porta, poggiando i palmi sul legno fresco.
«Perché sei qui?» chiesi senza voltarmi, poggiando la fronte sulla superficie dinanzi a me.
«Avevo bisogno di vederti.» mormorò con voce calda.
Mi morsi il labbro inferiore mentre chiudevo gli occhi. «Ti prego, non rendere le cose più difficili di quanto già siano.» gemetti.
Avvertii le sua mani fra i miei capelli, li sentii carezzarli con estrema dolcezza e delicatezza, prima che si poggiassero sul mio ventre e mi attirassero e se. La mia schiena aderii perfettamente al suo torace, al suo addome, mentre affondava il viso fra i miei capelli.
«Non respingermi, Helen… ti prego… non respingermi.» gemette.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, uscire prepotentemente rigandomi il viso.  Le sue mani erano sul mio corpo, lui era ovunque e potevo percepire il battito del suo cuore contro la mia schiena, il suo respiro sul collo che filtrava attraverso i capelli.
«Non respingermi ancora, Helen…»
Il suo tono di voce, disperato fu una lenta pugnalata. Ancora. Perché io lo avevo già respinto. Lo avevo respinto e lo avevo fatto soffrire come lui aveva fatto soffrire me. Ma era colpa mia, era solo colpa mia.
Poggiai le mani sulle sue e mi lasciai andare alle lacrime, addolorata… innamorata.
Lui mi bacio la pelle sotto il collo. «Ti amo e ho bisogno di te… ho bisogno di te come le piante hanno bisogno della luce, come l’uomo ha bisogno dell’ossigeno. Sei vita, Helen. Il tuo cuore… è il mio.»
Fu allora che racimolai quella minima quantità di forza di volontà che mi rimaneva e mi voltai, con gli occhi velati da calde lacrime. I suoi erano anch’essi inumiditi e il fiato mi si mozzò. Una lacrima gli spillò da un occhio, mi alzai in punta di piedi e, prendendogli il viso fra le mani, catturai con le labbra quella piccola perla d’acqua.
Lo baciai con estrema dolcezza e tenerezza sulla labbra increspate dalla malinconia, mi strinsi a lui, facendo aderire totalmente i nostri corpi, lasciando che le sue mani accarezzassero il mio viso come le mie accarezzavano il suo, come fossimo stati a lungo separati, un dolce ritrovarsi dopo una tempesta. Lasciai che ogni fibra del mio essere si legasse alla sua, s’intrecciasse per non lasciarla andare mai più. Fu come forgiare un muto ed invisibile patto, una reazione metallurgica che avveniva nell’essenza di noi stessi, che avveniva fra le parti del nostro profondo essere. Sarei stata sua, per sempre. Qualsiasi cosa sarebbe successa, una parte di me avrebbe sempre ricordato Ian e quanto intenso fosse l’amore che mi legava a lui.
Mi allontanai appena, quel che bastava per guardarlo in volto. «Vorrei che ci fossero parole per descrivere cosa provo per te, cosa sento adesso.»
Poggiò la fronte sulla mia ed entrambi chiudemmo gli occhi, l’uni stretta all’altra.
«Io amo te, Helen. Non Abby. E’ da quando abbiamo cominciato questa vacanza che ci penso. Io non l’amo.»
Aprii gli occhi ed incontrai i suoi. «Non l’ho mai amata quanto amo te.» mormorò con voce calda ed incrinata.
«Oh… Ian…» soffiai prima di affondare il viso nel suo collo. E le uniche parole che mi sovvennero alla mente furono: amami poco, così da amarmi a lungo.


Ancora poggiata alla porta, stretta ad Ian, mi lasciavo cullare dal suo respiro, mi lasciavo consolare ed amare dolcemente dal suo corpo caldo. Ero assuefatta dal suo profumo, dalla pelle morbida del suo collo sotto le mie mani. Non c’era altro intorno a noi, solo Helen ed Ian. Nient’altro.
«E’ meglio andare.»
«Niente è meglio se non posso toccarti.» mormorò lui al mio orecchio.
«Non t’importa che Abby capisca?»
Si allontanò appena e mi guardò alzando un sopracciglio. «Ma non hai ascoltato una parola di quello che detto?»
Sorrisi e gli baciai il mento. «Intendo… che capisca ora.»
Un angolo delle sue labbra si sollevò verso l’alto e gli occhi brillarono come diamanti al sole. «Vuoi dire che hai intenzione di dirglielo?»
Lo baciai a fior di labbra. «Ora, ho compreso. Ho capito, che ci sono cosa nella vita a cui non si può rinunciare, passioni e sentimenti che ti tengono in vita. Una vita senza te, Ian… non è vita. »
«Voglio solo che tu comprenda una cosa, Helen. Alla fine di questa vacanza, una volta tornati a New Bern, l’avrei lasciata comunque. L’avrei lasciata anche se la notte scorsa non ci fosse mai stata. L’avrei lasciata ed avrei bussato alla tua porta. Mi sarei inginocchiato ed ti avrei detto quanto mi amo, quanto la mia vita sia insulsa senza te, e quanto sciocco fui a fidanzarmi con lei, solo per dimenticarti. Ma come ci si può dimenticare di te, Helen?» mormorò guardandomi con occhi ardenti.
Con il respiro corto e occhi sgranati cercavo di metabolizzare ogni parola.
, avrei voluto dire, fuggiamo insieme. Andiamo via mano nella mano. Amiamoci, ora, domani, dopodomani, ed il giorno dopo ancora. Ma il pensiero di mia cugina sofferente…
«Ho paura, Ian.» soffiai.
«Ti prego, non averne. Non sacrificarti per lei, stai certo che per te non lo farebbe… ed, in fondo, lo sai anche tu.»
«Non puoi dirle tutto, ora.» dissi sgranando gli occhi.
«Oh, sì che posso.» disse risoluto allontanandosi e trascinandomi via dalla porta, tirandomi dolcemente per un braccio.
«No, che non puoi!» esclamai.
«Dici di amarmi.»
«E’ così.» sussurrai.
«Dobbiamo dirle tutto. Io, devo dirle tutto. E lo sai.»
«Ti prego, sii ragionevole. Non puoi, ora. Non qui. Viviamo tutti a stretto contatto, ne risentirebbero persone che non c’entrano. Pensa allo status quo.» dissi stringendogli il braccio con una mano. «Domani partiremo, potrai farlo una volta tornato a casa. Ti prego, Ian, non ora. Voglio che le parleremo insieme.»
Per attimi interminabili i suoi occhi rimasero nei miei, abbassò un momento lo sguardo, prima di
rialzarlo sul mio viso. «No, le parlerò io. Le devo spiegare che ci pensavo da un po’.» annuì.
Sorrisi, rincuorata. «Come non ci si può innamorare di te, Ian?»

 

*

Chiedo umilmente scusa per l’enorme ritardo, ma l’ispirazione è scarseggiata.
Ad ogni modo, la storia svolge al termine… finalmente, direte. :D
Grazie mille per la fantastica attenzione.

Un bacio, Panda.

   
 
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