Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    29/04/2011    10 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 19 – Complicazioni
(Mikan)


Fu il suono della sveglia a strapparmi dalle immagini confuse del mio sogno. Era stato molto strano, e non sapevo perché ma mi metteva i brividi. Zittii la sveglia con un colpo ben assestato che la fece finire a terra e allungai il braccio per svegliare Natsume, solo per trovare l'altra parte di letto vuota. Mi tirai su, guardandomi intorno: niente. Scossi la testa, in preda a un leggero capogiro, mentre le immagini di quello che credevo fosse stato un sogno mi passavano velocemente davanti agli occhi. La prova che non era stata solo la mia immaginazione a giocarmi un brutto scherzo era il fatto che il borsone fosse sparito e che i cassetti della cassettiera fossero in parte aperti e del tutto vuoti. Fissai la porta del bagno per un po', come se lui dovesse uscire di lì improvvisamente e brontolare sul fatto che fossi, di nuovo, in ritardo e che non avremmo trovato quasi niente per la colazione.
Ma non successe niente.
Presi un bel respiro per non mettermi a piangere di nuovo. Avevo fatto una promessa e intendevo mantenerla il più a lungo possibile. Decisi di alzarmi per andare a fare colazione, notando solo allora che anche il cassetto con le mie cose non era ben chiuso. Magari si era dimenticato che lì c'era roba mia, oppure l'aveva lasciato aperto per ricordarmi che non si era portato via tutto.
Subito dopo aver indossato anche la divisa, presi un altro respiro profondo e mi incamminai verso la porta. Abbassai la maniglia e andai avanti, sicura di trovare il corridoio, invece la porta non si mosse, impietosa, e, prima che me ne accorgessi, avevo già battuto una testata. Mi massaggiai la fronte, dolorante e solo allora notai la chiave nella toppa. Sbattei le palpebre un paio di volte, solo per essere sicura che il colpo non fosse stato troppo forte e ci vedessi ancora bene. Se la porta era chiusa da dentro, lui com'era uscito dalla stanza? Mi girai indietro, sentendomi improvvisamente osservata.
Niente.
Ricapitolai mentalmente che non poteva essere né in bagno, dato che c'ero appena stata, né in cucina, perché da dov'ero la vedevo benissimo. Mi portai una mano alle labbra, pensierosa.
Mi feci inspiegabilmente speranzosa: magari era ancora a scuola, magari il borsone non c'era solo perché l'aveva portato da un'altra parte e ancora non era partito. Forse, se solo fossi scesa a colazione, l'avrei trovato seduto vicino a Ruka-pyon e a Youichi mentre dava un'occhiata svogliata a qualche giornale o a lanciare qualche altra ancora più inspiegabile occhiataccia a Sumire, esattamente come tutti i giorni. Sorridendo, girai la chiave nella toppa e mi diressi a mensa più velocemente che potei, dato che mi aspettavo proprio di vederlo lì.
Aprii la porta di scatto e percorsi tutta la sala con lo sguardo, fino al tavolo dove sedevano abitualmente i miei amici. Ruka-pyon stava dando da mangiare quietamente al suo adorato coniglietto. Guardai con più attenzione nei dintorni, Natsume doveva essere lì. Mi avvicinai, molto lentamente, per paura di perdere qualche centimetro importante.
«Mikan,» mi chiamò Hotaru, sorprendendomi alle spalle. Sobbalzai per lo spavento. «perché cammini come un bradipo? Stai creando una fila lunga fino all'entrata. La gente vorrebbe entrare.» mi prese per un braccio e mi trascinò via, mentre sentivo gli altri studenti ringraziare il cielo. «Su, andiamo a sederci.» non potei fare altro che annuire, poi prendemmo posto vicino a Ruka. Sondai il tavolo, sperando nella più completa discrezione.
«Non c'è,» mi interruppe Ruka-pyon, con sguardo dolce e tono del tutto rassegnato. «se n'è andato.» mi sentii colta in flagrante, come se stessi facendo qualcosa di male. Finii di esaminare accuratamente la mensa, prima di rassegnarmi davvero al fatto che non ci fosse. Sospirai, appoggiando la testa sul tavolo. Mi sentivo come se mi avessero abbandonata in un posto che non conoscevo.
«E così è andato via davvero.» però speravo ancora che sbucasse da qualche parte come faceva quando ricompariva da qualche missione. Mi sembrava impossibile che le cose fossero cambiate così tanto in così poco tempo. Non avevo avuto nemmeno il tempo di abituarmi all'idea che lui era già sparito.
Hotaru mi appoggiò una mano sulla spalla, non sapevo se per dirmi qualcosa o per darmi conforto. «Ti va un po' di cervello di granchio per tirarti su il morale?» mi porse la sua solita scatoletta d'acciaio con la solita sostanza grigia informe e dal solito odore poco raccomandabile. Lei mi guardava con aspettativa, porgendomi la scatolina. Precisamente come quasi tutte le mattine.
Deglutii. «Grazie, Hotaru...» tentai, respingendo la scatoletta. «non ho fame.» e non era del tutto falso. La fame mi era passata totalmente, e non solo per l'odore nauseante del cervello di granchio.
«È davvero inutile cercare di renderti più intelligente.» commentò lei, riprendendo la sua abituale colazione. Ruka-pyon la guardava rapito, mentre accarezzava distrattamente la testa al suo coniglietto. Distolsi lo sguardo, sentendomi improvvisamente sola.

Arrivati in classe, Hotaru si sedette al suo solito posto, nelle prime file, mentre io e Ruka-pyon ci avviammo verso l'ultimo banco, il nostro storico posto.
«Sei sicura che vada tutto bene?» mi chiese lui, gentilmente. Io mi limitai ad annuire, senza aggiungere altro. Fissavo il posto, di solito vuoto, alla mia destra, che ora non lo era più. Sumire era seduta al posto che apparteneva a Natsume.
Vidi Ruka-pyon aggrottare la fronte; mi lanciò un'occhiata, ma non riuscii a capire che volesse dirmi. Più di una volta Hotaru mi aveva detto che avevo bisogno di un corso accelerato sull'interpretazione del linguaggio che lei aveva chiamato “non verbale”, ma non me ne aveva più parlato, anzi era addirittura andata via con una strana espressione dopo che le avevo fatto notare che nessun'altra parte del corpo, eccezion fatta per la faccia, aveva una bocca con cui parlare.
«Shoda-san...» la salutò Ruka-pyon, sedendosi alla sua destra. Io mi sistemai al mio solito posto, alla sinistra di Sumire. «buongiorno.»
«Buongiorno Sumire.» dissi, appoggiandomi stancamente al banco. Lei mi guardò in modo estremamente strano. Io sbattei soltanto le palpebre, confusa. I suoi occhi si assottigliarono in modo inquietante, come se volesse leggermi nel pensiero.
«Perché dovrebbe saperti leggere nel pensiero?» mi chiese Koko, voltandosi verso di noi. «Dovresti preoccuparti di più che sia io a farlo.» poi scoppiò a ridere, lasciandomi del tutto interdetta. Ad un certo punto si voltò verso Sumire. «Invece di stare lì a fissarla, dovresti dirle che la sua espressione abbattuta ti dà fastidio.»
Stavolta non riuscii davvero a capire di che stesse parlando. «Oh,» sospirò la mia amica. Sembrava scocciata. Gli diede uno schiaffo sul braccio. «fatti gli affaracci tuoi, Koko! Guardala com'è ridotta, ti sembra possibile?»
Lui inarcò un sopracciglio, mentre io mi voltavo verso di lui, per cogliere i dettagli della discussione. Avevo la strana sensazione che mi riguardasse. «Non credi che siano affari suoi?» ribatté lui, lanciandomi per un secondo un'occhiata dubbiosa, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione a Sumire. «E poi lo dici come se lo facessi per puro spirito altruista.»
«Ma che ne sai, tu?» rispose lei, come se ciò che lui aveva appena detto le avesse dato particolarmente fastidio. «Solo perché sai leggere nel pensiero non pensare di sapere tutto di tutti.»
«Ti lamenti solo perché ho ragione.» concluse Koko, indicando la testa di Sumire.
«Anche ammesso che sia così,» concesse lei, incrociando le braccia al petto. «non sono affari tuoi. Vuoi dirmi che sei tu quello che si è intromesso in una discussione neanche iniziata, perché sei un gentiluomo?»
«Ma...» provò Koko, ma Ruka-pyon li interruppe frapponendosi tra loro.
«Adesso basta.» disse, perentorio. «Non riesco a capire perché stiate discutendo, dato che la diretta interessata non è neanche stata interpellata. In più, la classe non mi sembra il posto adatto per un battibecco. Sta anche arrivando il professore.» sospirando e guardandoli con disapprovazione, si rimise al proprio posto.
Sumire abbassò la testa, contrita. «Scusa... hai ragione.» tornò a sedersi composta e in silenzio, mentre Koko si girò verso il proprio banco con una smorfia delusa sul volto. La mia amica si girò verso di me e fece per parlare, ma poi richiuse la bocca, appiattendo le labbra le une contro le altre. Il suo sguardo mi mise in soggezione e non potei fare altro che deglutire. Sembrava che volesse estorcermi qualche strana confessione, come in un fumetto che avevo visto leggere a Natsume, il poliziotto si siede dall'altro lato del tavolo con quell'aria minacciosa e il colpevole si sente piccolo piccolo. Era la stessa cosa che stava succedendo a me. Ero talmente congelata che il professore, per ottenere una minima risposta da parte mia, fu costretto a colpirmi in testa col registro.
«Si risponde “presente” all'appello, Sakura.» fu tutto quello che mi disse, prima di rendere la mia mattinata ancora più complicata. «E già che stai ancora dormendo, perché non vieni alla lavagna a svolgere qualche esercizio? Potrebbe aiutarti a svegliarti.»
«E-esercizio?» domandai, per essere sicura di aver sentito bene. Lui annuì con quello che mi parve un ghigno sadico, sul modello di quello di Jinjin che ancora tormentava i miei incubi peggiori. Pensai che fosse una caratteristica che apparteneva esclusivamente agli insegnanti di matematica. Mi guardai introno, in cerca di supporto o di qualcuno che mi salvasse dal mio tragico destino. Tutti gli altri, però, fissavano il proprio quaderno, tranne Ruka-pyon che coccolava il suo coniglietto e Hotaru che mi fissava con un sopracciglio inarcato, come se si aspettasse qualcosa da me.
«Sakura, a meno che tu non abbia un braccio estensibile che ti permetta di scrivere sulla lavagna da dove ti trovi ora, ho dei seri dubbi che tu possa riuscirci. Perché non ti alzi?» fu allora che capii che non stava assolutamente scherzando e che avrei dovuto davvero svolgere un esercizio di matematica tutto da sola.
Sospirando sconsolata, mi alzai, dirigendomi alla lavagna a passo di bradipo, come l'aveva definito la mia migliore amica neanche un'ora prima, sperando che ciò avrebbe aiutato a far durare il meno possibile l'interrogazione. «Piuttosto,» riprese a parlare il professore. «dato che Noda-sensei è di nuovo disperso nel tempo, la prossima ora ci sono ancora io.» così le mie speranze furono totalmente e definitivamente abbattute. Era praticamente certo: non avrei potuto sopravvivere.
Il professore sorrise di nuovo in modo inquietante quando arrivai di fronte alla lavagna. Presi in mano il gesso e mi voltai verso di lui in attesa che mi desse un esercizio.
«Qualcuno di voi ha un esercizio da proporre?» mi girai verso i miei compagni di classe con un espressione da cagnolino bastonato. Tutti quanti scossero la testa e li ringraziai mentalmente. «Bene, Imai mi daresti il testo?» vidi Hotaru prestargli il suo libro e lui sfogliarlo con lentezza estenuante. «Ah, questo è davvero divertente.» cominciai a sudare. Quando il professore di matematica trovava un esercizio “divertente” significava che era impossibile. Almeno per me. Deglutii.
Quando cominciai a scrivere quell'espressione goniometrica sapevo già che senza un intervento divino non avrei saputo dove mettere le mani. Nel momento stesso in cui finii di scriverla cominciai a sentirmi strana: mi girava la testa. Mi appoggiai prima alla lavagna e poi al contenitore dei gessi, mentre uno strano senso di vertigine faceva sembrare che il pavimento si avvicinasse e si allontanasse di colpo. Mi appoggiai al pavimento, nella disperata idea che si sarebbe fermato, ma non accadde. Scivolai verso terra, mentre le parole che gli altri stavano dicendo si confondevano col mio nome, pronunciato forse dal professore. Non riuscivo a capire più niente, luci e suoni si confondevano. L'unica cosa certa era che avevo la sensazione di trovarmi su un qualcosa che girava a migliaia di chilometri all'ora.

Nell'irrazionale flusso di pensieri in cui ero immersa, l'unica cosa chiara sembrava la mano di qualcuno stretta nella mia, che diceva qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa, e una voce familiare che rispondeva, ma non riuscivo a ricordare chi fosse. L'ultima immagine che mi si parò davanti fu quella di Natsume, non sapevo perché fossimo separati da delle sbarre e del perché sentissi il disperato bisogno di allontanarmi da lui.
Mi svegliai, sussultando, in un letto. Sbattei le palpebre, prima di capire esattamente dove fossi: l'infermeria. Cercai di tirarmi su, ma una voce mi bloccò.
«Mio fratello ha detto di non sforzarsi troppo, scema.» era la voce di Hotaru. Voltai la testa verso di lei, e la vidi seduta su uno sgabello, con un libro sulle gambe. Mi sorrise brevemente. «È inutile che cerchi di scappare dalla matematica, Mikan. Verrà comunque da te.»
Mi massaggiai la testa: faceva un po' male. «Non l'ho fatto apposta.» mi lamentai. Avrei preferito fare miliardi di esercizi di matematica, era stata una sensazione orribile. «Che è successo?»
«Io e il professore abbiamo cercato di svegliarti. Si è preso un colpo quando pensava che fosse stato l'esercizio a farti questo effetto, per cui ha cercato tutti i possibili motivi per il tuo svenimento.» mi spiegò, sfogliando il suo libro. «Sorprendentemente ti ha curata una bambina. Non ricordo il suo nome, ma il suo Alice è strano, decisamente strano. Non è come quello di mio fratello e c'era il Preside delle Elementari con lei. Ha detto una cosa curiosa.»
Mi sentii stranamente agitata. «Cosa curiosa... come?» la incitai, nervosamente.
«Ha detto che il fatto che lei fosse riuscita a curarti gli diceva esattamente quello che voleva sapere. Ma non ho ben capito che intendesse.» si mise una mano sotto al mento. «Comunque ti farà piacere sapere che il professore ha insistito per mandare all'ospedale Alice un campione del tuo sangue per fare un test di gravidanza.»
Spalancai gli occhi, del tutto spiazzata. «Perché?» domandai, sentendomi andare a fuoco le guance.
«Te l'ho detto che ha cercato ogni possibile motivo per il tuo svenimento.» mi ricordò, con tono piatto. Mi chiesi come facesse a mantenere la calma in una situazione del genere.
«Hanno detto che cos'ho?» chiesi io, ancora più agitata. Lei scosse la testa, alzandosi. Lisciò la copertina del libro, con una calma che mi mise ancora di più in agitazione.
«Mio fratello ha detto che non sa spiegare cosa sia successo.» mi disse, rivolgendomi lo sguardo. «Comunque, tra una settimana avremo il risultato del test.»
Ci pensai un attimo. Non mi sentivo per niente diversa, avevo una sensazione generale di malessere, ma non mi sentivo diversa. Non come aveva detto il nonno che una mamma dovesse sentirsi. «Tu non lo pensi, vero?»
«Certo che no.» mi rispose lei, ancora prima che potessi finire la domanda. «Tu sarai anche un'idiota, e da te una cosa del genere ci si potrebbe aspettare, ma non dal tuo ragazzo. Insomma, credo che lui sia stato un po' più previdente di te, che a quanto pare non avevi nemmeno pensato ad un'eventualità del genere.»
«E se dovesse essere positivo?» ero in panico totale: non avevo mai pensato che potesse accadere una cosa anche solo lontanamente simile.
«Natsume Hyuuga perderebbe il briciolo della mia stima che si era guadagnato con tanta fatica.» concluse lei.
«E io cosa dovrei fare? Insomma... Hotaru!» la chiamai, sperando che si fermasse. Si era già avviata verso la porta e aveva abbassato la maniglia. «Non so neanche come farglielo sapere.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Vuoi dirmi che nemmeno hai pensato a un modo per mantenervi in contatto senza che la scuola lo scopra?» poi sospirò. «Voglio dire, lui non ci ha pensato?»
Mi accorsi che non riuscivo a pensare. Mi ributtai sul letto e osservai il soffitto. Cercai di tranquillizzarmi pensando al fatto che Hotaru fosse così sicura che il test sarebbe stato negativo. Rimasi inerte finché il fratello di Hotaru non entrò nella stanza.
«Come ti senti?» mi chiese, posando dei fogli sul tavolo vicino alla porta.
«Bene.» fisicamente stavo discretamente bene, ma non riuscivo a rimettere ordine in testa.
«I tuoi amici hanno detto che sei svenuta davanti alla lavagna, è la matematica che ti fa paura o è successo qualcos'altro?»
«In effetti... è da un po' che mi capita che mi giri la testa e ho la sensazione di svenire.» ed era vero, già da prima che Natsume andasse via.
«Un po' quanto?» domandò, facendosi improvvisamente serio.
«Un paio di mesi...» ci pensai su. «Tre o quattro mesi, in effetti.»
«Tra una settimana arriveranno i risultati delle analisi del sangue, spero che la situazione si farà più chiara. Piuttosto non posso dirti di più, mi dispiace.» prese un bel respiro. «Intanto, se ti senti male di nuovo, torna in infermeria.»
«Dottore... e per...» deglutii, imbarazzata. Non sapevo come porgli la domanda. «per...»
Lui sospirò. «Il test di gravidanza?» io alzai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. «Sta' tranquilla, quel tizio l'ha ordinato per almeno quindici ragazze negli ultimi tre giorni. Lo fa solo con quelle che sa che hanno un ragazzo. È un tipo strano.»
Annuii, ma sentivo un peso notevole sullo stomaco, come se ci fosse stato un macigno. «Posso tornare in camera?» domandai.
«Se ti senti bene, puoi andare.» rispose. Poi si fece di nuovo serio. «Ma ricordati di tornare se ti senti di nuovo male.» io annuii.

Corsi in camera e mi chiusi la porta alle spalle. Quando alzai lo sguardo, quasi mi aspettavo di trovare Natsume steso sul letto a leggere uno dei suoi fumetti. Il fatto che non ci fosse stato a colazione o a lezione, non era stato molto rilevante, le saltava spesso entrambe. Negli ultimi tempi, poi, non eravamo più nemmeno nella stessa classe e raramente facevamo colazione insieme. Ma non vederlo sul letto, subito dopo essere rientrata, fu una specie di colpo di grazia, una sorta di prova del nove. Mi misi le mani sugli occhi che avevano già cominciato a bruciare. Scivolai fino a terra e rimasi lì per un po', non sapevo veramente cosa avrei dovuto fare.
Mi trascinai fino al letto e abbracciai il cuscino, cominciando a singhiozzare tanto forte da non riuscire quasi a respirare. A poco a poco, scivolai di nuovo in quello stato di incoscienza in cui mi ero ritrovata dopo essere svenuta. Solo che questa volta, invece di immagini confuse di cui non conoscevo la provenienza, mi ritrovai immersa in un mio ricordo.

“Stavo passeggiando in giardino. Pioveva a dirotto ed ero completamente fradicia, ma mi piaceva tantissimo camminare sotto la pioggia d'estate. Hotaru mi diceva spesso che quando mi fossi presa una bronchite da manuale mi sarebbe passata la voglia, ma non era ancora mai successo. Mi calmava molto, specialmente dopo aver avuto una discussione con Natsume. Quel giorno non era successo, perché non si faceva vedere da qualche giorno ed ero un po' preoccupata. Succedeva tutte le volte che andava in missione. Questa, poi, era durata più a lungo delle altre, e nessuno sapeva o voleva dirmi niente a riguardo, nemmeno Narumi-sensei.
Mi stupii di quanto frequentemente mi capitasse di pensare a Natsume negli ultimi tempi. Negli ultimi sei o sette anni non avevamo fatto altro che litigare, sarebbe stato logico pensare che non lo sopportassi. Invece, avevo sempre voglia di vederlo, anche se discutevamo tutte le volte che succedeva. Non avevo mai detto niente ad Hotaru a riguardo, perché non sapevo bene che dirle, e poi mi vergognavo tantissimo. Sospirai pesantemente e alzai gli occhi verso il cielo: era strano vedere le goccioline di pioggia cadermi addosso, ma non potei guardare a lungo perché alcune mi entrarono negli occhi.
Sbattei le palpebre per ritrovare la vista e vidi una sagoma scura contro un albero. Istintivamente, arretrai di un passo, ma il profilo mi sembrava familiare, così decisi di avvicinarmi lentamente, magari non mi avrebbe vista. Pestai un rametto che si spezzò facendo un rumore, almeno per me, assordante. Quando il ragazzo alzò gli occhi verso di me, ebbi le vertigini. Era proprio Natsume.
Nel momento in cui notai il profondo taglio sulla sua guancia mi si mozzò il respiro per la preoccupazione. Neanche immaginavo che cosa fosse successo durante la missione, ma dal suo sguardo spento, dedussi che doveva essere stato qualcosa di orribile. Fremevo per il bisogno di fare qualcosa per lui. «Natsume...» lo chiamai.
Lui tornò a guardare di fronte a sé, come se invece che guardare me avesse guardato una foglia cadere dall'albero. «Che vuoi?» mi chiese, debolmente ma con astio. Sussultai a quelle parole e a quel tono. «Vattene.» abbassai lo sguardo e feci per fare un passo indietro. Ma quando il mio sguardo cadde di nuovo su quel taglio, imposi a me stessa di non farmi intimidire dalle sue parole. Non potevo lasciarlo lì in quelle condizioni.
Mi inginocchiai accanto a lui, guadagnandomi un'occhiata tutt'altro che amichevole. Distolsi lo sguardo: era davvero terrorizzante. «Non me ne vado.» risposi, debolmente, grattandomi una guancia, a disagio. «Sei... sei ferito.»
«Perspicace.» commentò, tossendo. Sospirò pesantemente, voltandosi dall'altra parte. Abbassai lo sguardo, fino a notare lo stato impietoso dei suoi vestiti. Doveva esserci stata anche un'esplosione, o un incendio, perché in alcuni punti erano bruciati.
«Se sali un attimo in camera mia, ti disinfetto questi tagli.» gli misi una mano sul braccio, per convincerlo, ma lui si scansò come se l'avessi scottato.
«Non ce n'è bisogno.» sbottò, sistemandosi la manica sgualcita e sospirando spazientito. «Vattene.»
Mi accorsi che non ci sarebbe stato niente che avrei potuto dire per convincerlo, per quant'era testone. Ma decisi che sarei rimasta lì, non potevo lasciarlo da solo, almeno se fosse svenuto avrei potuto chiamare qualcuno, sapevo che non me l'avrebbe permesso da sveglio. «D'accordo, ti lascio in pace.» sussurrai. «Credevo solo che ti saresti sentito meglio.»
Quando vide che non avevo intenzione di muovermi, imprecò sottovoce. «Perché perdi così tanto tempo dietro a uno come me?» la domanda arrivò completamente inaspettata. «Non mi odi per come ti tratto? Non ti viene naturale starmi lontano?»
Mi chiesi per quale motivo avrei dovuto odiarlo o trovare piacevole stare lontano da lui. Scossi la testa, con forza. «Ma che stai dicendo?!» era fuori di testa, forse?
Lui sorrise stancamente. «Perché tu devi sempre rendermi tutto più complicato? Sarebbe tutto più facile se tu ti facessi gli affari tuoi.» finalmente rivolse lo sguardo verso di me e cercai di sostenerlo con tutta la determinazione che riuscii a tirare fuori. «Perché cavolo non te ne vai?»
«Perché sei ferito.» ammisi, arrossendo e abbassando lo sguardo. Quando rialzai gli occhi verso di lui lo vidi fissarmi quasi con fastidio e io mi ritrassi un po', muovendomi sulle ginocchia. Sembrava davvero pericoloso con quei vestiti strappati e quell'espressione. «Lo so che non ti sto simpatica, ma non puoi davvero pretendere che ti lasci qui da solo mentre sanguini. Potrebbe succederti di tutto.»
«Se avessimo una televisione decente qui in Accademia,» disse lui sbuffando. «ti direi che guardi troppi film. Non sono le ferite più gravi che ho avuto.» immaginai che fosse abituato a cose del genere. Mi chiesi come mai l'Accademia permetteva cose del genere. «Non dovresti preoccuparti più di tanto, anzi... non dovresti preoccuparti affatto.» la sua voce era appena udibile, col rumore della pioggia. «Te l'ho già detto un sacco di volte, Mikan,» sobbalzai al suono del mio nome pronunciato da lui, dato che non lo faceva quasi mai e una strana sensazione si impadronì della bocca del mio stomaco. «non avvicinarti all'oscurità più di quanto tu non abbia bisogno di vedere.» non avevo mai capito a che oscurità si riferisse. Perché io non riuscivo a vederla, neanche con tutto quel buio che c'era. Immaginai che non era in senso letterale che dovevo interpretare quella frase, ma qualunque cosa fosse, non aveva il potere di convincermi a scappare a gambe levate.
«Smettila con le scemenze!» sbottai, strattonandolo. Lui gemette di dolore e io mi ritrassi istintivamente, preoccupata. «Mi dispiace, scusami.» era stato tanto l'impeto che mi ero addirittura dimenticata che fosse ferito. Rimanemmo in silenzio per un po'; nessuno dei due si mosse, e io non sapevo cosa fare: come convincerlo a farsi medicare?
«Sei ancora qui?» mi domandò, scocciato, alzando lo sguardo su di me. Mi sentii avvampare, ma cercai di mettere su l'espressione seria più seria che potevo.
«Non me ne vado finché non vieni con me.» dichiarai, piccata. Se con lui non ci si impuntava, non si poteva avere una sola, minima speranza. Non che, insistendo, si ottenesse qualcosa di più, ma almeno potevo dire di aver tentato: comunque sarei rimasta lì con lui e lui lo sapeva.
«Immagino che, per quanto sei stupida e per la testa dura che hai, lo farai davvero.» sbuffò, contrariato. Cercò di alzarsi, e io mi sporsi per aiutarlo. «Ma, per favore,» mi scostò estremamente poco gentilmente. «è già abbastanza umiliante che qualcuno mi veda così, figuriamoci farmi portare dentro l'Accademia da una ragazza.» non capivo il motivo per il quale una ragazza non potesse aiutare un ragazzo a camminare quando era ferito, ma non parlai. Non volevo fare la figura della stupida un'altra volta, o meglio, per l'ennesima volta.
Lo accompagnai nella stanza, e dovetti sorreggerlo per un po' quando entrammo nel dormitorio femminile. Era piuttosto pesante per me e raggiungemmo la stanza con qualche difficoltà. Aprii la porta e lo aiutai ad entrare.
«Siediti qui.» gli dissi, conducendolo verso il letto. «Io torno tra un attimo.» andai verso la cassettiera a prendere delle bende e il disinfettante e intanto mi massaggiai la spalla, sperando che non mi vedesse. Eravamo bagnati fradici perché non aveva smesso di piovere neanche per un secondo, ma non osavo proporgli di cambiarsi, anche perché avevo solo vestiti da donna e non potevo garantire che non mi avrebbe uccisa al solo sentire una simile proposta.
«Te l'avevo detto che era meglio se mi lasciavi lì.» disse accennando alla mia spalla. Arrossii, non ero nemmeno riuscita a non farmi vedere. «Comunque, tu devi davvero essere stupida.» certo che quando apriva la bocca, lo faceva solo per insultarmi! Gli rivolsi un'occhiata poco amichevole, ma non ero sicura che l'avesse colta, per quant'era buio. «Dovresti mettere tra me e te una distanza di chilometri, ed essere contenta di farlo.» mi venne in mente solo in quel momento che l'unico amico che aveva era Ruka-pyon. Mi chiesi se ogni tanto non si sentisse solo.
«È sempre per il discorso dell'oscurità?» gli passai un po' di disinfettante sulla guancia e poi ricoprii il taglio con il cerotto. Probabilmente con oscurità si riferiva a lui o alle cose che faceva in missione. Ma ora che lo vedevo lì, sul letto, distrutto e ferito, non riuscivo a immaginarlo mentre faceva brutte cose.
«Beh, non sembri averlo afferrato tanto bene.» osservò, rivolgendomi un'occhiataccia. Anch'io lo guardai negli occhi, non sapevo come fargli capire che non era solo affatto. Io e i miei compagni di classe, oltre che Ruka-pyon gli volevamo bene, anche se lui non se ne rendeva conto.
«Questo è perché non capisco ciò che mi impedisce di fare certe cose.» risposi, aggiungendo un altro cerotto sul suo polso. «Sei tu quello che si allontana da tutti, non ti interessa quello che gli altri possono provare.»
«Fidati,» mi rispose lui, prendendo un po' di cotone con del disinfettante e passandoselo all'angolo della bocca. «state tutti meglio senza di me.»
«Non esserne così sicuro.» ribattei, piccata.
«Non esserne così sicura tu.» disse lui, calmo. «Mikan, non sai che cosa vuol dire.»
«Non è che tu abbia mai provato a spiegarmelo!» osservai, un po' triste. Non si era mai lasciato conoscere davvero da me. «Quando ci parliamo non facciamo altro che litigare, guardaci ora, stiamo discutendo su una cosa... non hai idea di quanto io ci rimanga male.»
«Più stai lontano da me, più sei al sicuro.» spiegò lui. «Cerco solo di proteggerti.» non riuscii a credere alle mie orecchie, era talmente impossibile che avesse detto quelle parole, che quando le sentii il mio cervello non le accettò nemmeno.
«Non è tutta una scusa per liberarti di me, vero?» temevo che fosse così. O meglio, era la soluzione più plausibile tra le due. Proteggermi? Proteggermi da che cosa?Appoggiò la fronte alla mia, con un gesto così dolce che mi pietrificai: non poteva fare così! Non poteva trattarmi male e, il secondo dopo, essere così gentile. E il modo in cui mi guardava, mi impediva di muovermi o di distogliere semplicemente lo sguardo. Quando si avvicinò, però, girai la testa da un lato, in modo che le nostre labbra non potessero incontrarsi. Non avrei sopportato che lo facesse e andasse via di nuovo. «Non comportarti così.» lo pregai, senza guardarlo. «Non puoi trattarmi male e poi comportarti così. Non è giusto.» era già successo una volta, era vero, ma avevo dieci anni e non me l'aspettavo affatto. Ma era sempre stato il suo classico comportamento, fare qualcosa e poi andare via. «Lo vedi che non ti interessa quello che provano gli altri?»
Lui inclinò la testa da un lato, assottigliando gli occhi. Qualche ciocca di capelli gocciolò sul materasso, e i suoi occhi in quel buio sembravano ancora più brillanti. «Non avrei fatto niente, se davvero non mi interessasse.» rispose lui. «Non sai quello che dici, Mutande-a-Pallini.»
«Vuoi dire che ti interessa sapere quello che provo io, adesso?» gli domandai, spalancando gli occhi, appena mi uscii la frase dalle labbra. Il fatto che dicessi le cose a ruota libera non era un buon segno. Lo vidi inarcare un sopracciglio, in attesa. Distolsi lo sguardo: non potevo dirglielo.
Lui mi posò una mano sulla testa. «È meglio così.» rispose lui, tirandosi su. «Sei proprio una sciocchina.»
«No, io...» tentai di fermarlo. Non sapevo come dirglielo, mi metteva a disagio, ma non volevo nemmeno che andasse via senza saperlo. Perché sarebbe tornato tutto come prima, lui sarebbe tornato ad ignorarmi e io a non sopportarlo.
«Lascia perdere.» mi consigliò avviandosi verso la porta. «Se non lo dici, va bene lo stesso.»
Mi alzai in piedi, con un coraggio che non credevo di avere. Sembrava che non gli interessasse, davvero i miei sentimenti contavano così poco per lui? «Davvero non ti importa sapere che sono innamorata di te?» gli domandai, quasi con sdegno. Lui si voltò verso di me, e lo vidi, sconvolto. Mi pentii subito di averlo detto. Abbassai lo sguardo, arrossendo.
Mi chiesi per un momento se fosse andato via senza far rumore: nella stanza c'era un silenzio assoluto, tanto che neanche lo sentivo respirare, ma quando spiai verso la sua direzione lo vidi ancora lì, in piedi, ma non riuscivo a vedere bene che espressione avesse.
«Sei davvero, davvero una sciocca.» lo sentii avvicinarsi e istintivamente tornai a fissarlo. Il cerotto con gli orsetti si staccò dalla sua guancia, e alzai un braccio per riattaccarlo. Lui, però, mi afferrò il polso, bloccandomi le parole in gola, e continuò a camminare fino a che non finii con la schiena contro il muro. Inclinò la testa da un lato e mi appiattii ancora di più contro la parete. Non avevo idea di che intenzioni avesse, e il suo sguardo mi faceva sentire strana. Non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto che si era avvicinato che già mi stava baciando. Non potevo muovermi, non potevo fare niente, chiusi gli occhi e lasciai che mi abbracciasse. Se non mi avesse tenuta lui, probabilmente sarei caduta a terra, le mie ginocchia si rifiutarono improvvisamente di sorreggermi.
Lo allontanai per riprendere fiato. «Non... non sparirai di nuovo, vero?»
Lo vidi sorridere. «Non vado da nessuna parte.» si allontanò da me e si guardò intorno con espressione critica. «A proposito, so che questa stanza è piccola, ma... non è che posso restare qui?»
«Eh?» raggelai. «Q-qui... come?»
Lo sentii ridacchiare. «Mi spiace deluderti, Mutande-a-Pallini, ma sono troppo stanco per quel genere di cose.» arrossii al suo sorriso malizioso. «È solo che non posso andare in giro così: oltre alla biancheria, hai anche i cerotti imbarazzanti.»
Mi trattenni dal dargli un colpo solo perché avevo sprecato tempo per curargli le ferite. Sospirai quando si sistemò comodamente nel mio letto.
«Lasciami un po' di spazio, maniaco.» lo spinsi più in là, suscitando delle rimostranze e dei commenti sulla mia gentilezza. Sorrisi. «Buonanotte.»

La mattina successiva, mi svegliai con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Qualcosa di troppo sul mio addome; per essere precisi, c'era un braccio di troppo. Subito dopo essermi svegliata, prima ancora di ricordarmi chi fossi e che cosa fosse successo la sera prima, sobbalzai e quasi gridai. E l'avrei sicuramente fatto se Natsume non mi avesse tappato la bocca in tempo.
«Non credevo di fare quest'effetto, la mattina appena sveglio.» osservò, mentre ancora la sua mano mi impediva di articolare decentemente un suono. «Non ti metterai ad urlare, vero?» mi rilassai improvvisamente e tentai di scuotere la testa, ma la sua presa ferrea mi creò qualche problema. «Brava bambina.» mi lasciò andare e ricominciai a mandare ossigeno al cervello.
«Beh...» cominciai, titubante, mentre vedevo curiosità nel suo sguardo. Non sapevo bene che domanda porre, o come porla, ma... cos'eravamo noi esattamente, arrivati a quel punto? «stai bene?» lui annuì, scompigliandosi i capelli scuotendo la testa. «E... e ora... che facciamo?»
«Potremmo, per esempio...» si avvicinò inaspettatamente a me, facendomi avvampare. «riprendere da dove avevamo lasciato ieri sera.» feci in un nanosecondo mente locale. Avevamo parlato molto, la sera prima, ma delle cose che ricordavo...
«Co-cos... non... credo... i-io...» balbettai, incoerentemente, indietreggiando sul materasso. Come prevedibile, anche se in quel momento non mi passava neanche per la testa, il materasso finì e io mi ritrovai col fondoschiena sul pavimento, mentre le mie gambe, per la parte sotto il ginocchio, erano ancora sul letto. Mugolai di dolore: il pavimento non era il materasso dei sogni. Che male! Era come se fossi stata travolta da uno schiacciasassi. Lo vidi ridere, e mi accorsi solo in quel momento che l'aveva fatto apposta a mettermi in imbarazzo. «Sei.. sei uno...»
«Oh, avanti...» parve lasciare la frase in sospeso, mentre inclinava la testa da un lato. Mi chiesi che stesse guardando, finché un ghigno poco rassicurante comparve sul suo volto. Quando mosse il braccio all'inizio non avevo realizzato che volesse fare. Lo capii troppo tardi, quando mi alzò la gonna. Tentai in tutti i modi di riabbassarla, ma dalla mia posizione non riuscivo a fare molto, o a spostarmi né muovermi. «Mutande-coi-koala... sono settimane che mi insulti, non credo che riusciresti a trovarne di nuovi.» mi riabbassò la gonna, come se niente fosse successo, mentre il mio fondoschiena ancora si lamentava per l'ingiusta batosta.
Mi prese per un braccio e mi tirò su, verso di sé e solo dopo che mi resi conto che la testa non era più sul pavimento ma attaccata al mio collo, mi accorsi che mi stava abbracciando.
«Natsume?» lo chiamai, stupita. Lui si limitò a stringere la presa, tutto quello che potevo fare era abbracciarlo anch'io. «Cosa c'è?» lui si staccò da me, e per poco non sobbalzai, di nuovo, quando i miei occhi incrociarono i suoi. Non potei fare a meno di sorridere imbarazzata.
Lui mi scostò gentilmente una ciocca di capelli dal viso. «Sei più carina quando sorridi.» la frase mi aveva lasciato letteralmente senza parole, anche se lui non mi aveva dato molte opportunità di rispondere, dato che si era alzato e se n'era andato. L'unica cosa che mi ritrovai a pensare era che fosse un tipo estremamente strano.”

Mi riscossi da quella specie di sogno per il continuo bussare alla porta. Mi passai una mano sull'occhio destro che ancora bruciava e aprii la porta. Mi ritrovai davanti la faccia annoiata di Hotaru. Mi appoggiai alla maniglia, e inclinai la testa da un lato, cercando di capire che ci facesse lì o se stessi semplicemente continuando a sognare.
«Non starai certo pensando di restare qui a deprimerti, vero?» mi domandò, incrociando le braccia al petto. Io scossi la testa, velocemente. «Perché sembra che tu stessi facendo proprio quello, a giudicare da come sei messa.» fece un cenno verso di me con la testa.
«Come... come sono messa?» mi guardai, e la sentii sospirare. Alzai di nuovo lo sguardo, ma lei si era già avviata per il corridoio. «Hotaru?»
«Ti aspetto giù.» mi informò, girandosi a guardarmi con sguardo vacuo. Il tono era di quelli che non ammetteva repliche, quindi mi limitai ad annuire, ricordandomi di sciacquarmi la faccia, per riprendere il contatto con la realtà.
«Dov'è che andiamo?» chiesi, arrivandole vicino. Lei mi gettò un'occhiata abbastanza infastidita, e poi mi indicò Sumire, proprio vicino a lei. Sbattei le palpebre, confusa. «Che... succede?»
«In realtà,» cominciò la mia migliore amica, incrociando di nuovo le braccia e battendo un piede a terra, un gesto inconfondibile di nervosismo, o meglio, la massima espressione di disappunto che ci si potesse aspettare da Hotaru. «avevo pensato di andare a Central Town, ma non so se sia una buona idea, ormai.»
«Perché no?» fu Sumire a parlare, con un tono pimpante che non le sentivo usare da tempo. «Mikan ha bisogno di distrarsi, è davvero un'ottima idea.» poi si voltò verso di me, sorridendomi. Mi venne spontaneo risponderle. «Tu che ne pensi? Non sarebbe bello andare a Central Town?»
Beh, io adoravo andare a Central Town. «Certo che sì.»
Sumire si voltò di nuovo verso Hotaru. «Visto?» mi prese per mano e mi trascinò verso la fermata. «E poi dobbiamo comprare anche qualche tutina.»
«Di che stai parlando?» volle sapere Hotaru, con uno sguardo che mi avrebbe fatto correre a nascondermi, se l'avesse rivolto a me.
«Oh, andiamo! Lo sa già tutta la scuola!» guardai Hotaru, in cerca di spiegazioni. Lei, semplicemente, sbuffò. «Ascolta, Mikan, non te la prendere, ma lo sapevamo tutti che... beh, prima o poi sarebbe potuto accadere, non è un dramma, certo... è per questo che siamo qui.»
«Ehm... eh?» fu tutto quello che fui in grado di articolare.
«Il bebè, Mikan.» scandì lei, allargando le braccia.
Corrugai la fronte. «Quale bebè?» all'improvviso, mi ricordai della faccenda del test, mi sembrava che fossero passati dei giorni. Ma il fratello di Hotaru aveva detto che non c'era niente di cui preoccuparsi.
«Lo capisco se non vuoi parlarne, ma dovresti cominciare a pensare al nome.» mi disse lei, prendendomi una mano e dandole delle pacche gentili. Fissai prima la mano e poi lei, indecisa, e forse con espressione dubbiosa. Avevo la sensazione che desiderasse che ci fosse un bambino più lei che io, e avevo la netta sensazione che non fosse così, una specie di certezza. Non sapevo perché, ma non ero affatto preoccupata da quel punto di vista. Lo ero stata un po' all'inizio, ma dopo il sogno, non sapevo perché, né come, era come se avessi la convinzione che non fosse assolutamente vero. «Preferiresti maschio o femmina?»
«Vogliamo smetterla con le scemenze?» l'intervento di Hotaru mi impedì di dare una risposta alla domanda. «Avrei una certa fretta, devo comprare delle cose, possiamo salire sull'autobus?» la sentii borbottare qualcosa sul fatto di essere stata una stupida per non essere andata a Central Town da sola. Mi sentii un po' in colpa, forse era per causa mia.
Arrivammo a Central Town in meno tempo di quanto mi aspettassi. Hotaru non era stata molto partecipativa nella discussione, continuava a controllare una lista, probabilmente delle cose che doveva comprare. Sumire, nel frattempo, aveva cominciato a parlare del vestito che aveva adocchiato da tempo e che non vedeva l'ora di indossare. Io ero l'unica che pensava al cibo, in quel momento. Central Town mi ispirava sempre verso i Fluffa-Puffa.
«Uh!» esclamò Sumire, balzando in piedi. «Siamo arrivate.» Hotaru alzò lo sguardo e poi si voltò a guardarmi.
«Se non trovi un modo per farla stare zitta, almeno falla parlare di cose intelligenti.» le rivolse un'occhiata mentre lei guardava il panorama estasiata. Era sempre così per tutti quando scendevamo a Central Town, non importava quante volte l'avessimo vista. «Sempre che ne sia capace.» mi nacque spontaneo un sorriso sulle labbra a vedere Sumire così contenta. L'unica cosa che vidi fare ad Hotaru fu scuotere la testa. «Lo dicevo che dovevo venire da sola.»
«Hotaru...» cercai di parlare per farle cambiare idea, ma lei scese dall'autobus e io e Sumire la seguimmo a ruota. «Dove andiamo prima?»
«Facciamo prima se ci dividiamo.» intervenne Hotaru, lanciando una rapida occhiata al suo taccuino. «Sumire perché non vai a comprare quel vestito, mentre io compro gli attrezzi che mi servono?»
Lei la guardò dubbiosa. «Non è una brutta idea, dopotutto, non voglio avere niente a che fare con quei noiosi affari.» mi sentivo un po' sull'orlo di un precipizio, oppure a un bivio. Con chi sarei dovuta andare? «Tu, Mikan?»
«Ehm...» non avevo pensato a niente da comprare, dato che non credevo che sarei tornata a Central Town tanto presto e non avevo neanche dei soldi con me, quindi non sarei potuta andare da nessuna parte, in ogni caso. «Io...» ma Hotaru già si era avviata per la sua strada. Guardai Sumire. Lei mi terrorizzava, non sapevo perché. Se poi, avesse dovuto tirare di nuovo fuori l'argomento del test di gravidanza, davvero non sapevo come avrei potuto risponderle. Non ci avevo pensato abbastanza per dire se avrei voluto di più un maschio o una femmina. Lei, al contrario, sembrava che avesse pensato a tutto quanto. «Credo che... credo che rimarrò qui ad aspettarvi, ecco... sono un po' stanca.»
Lei assunse un'aria comprensiva. «Giusto.» mi appoggiò una mano sulla spalla. «Non devi affaticarti. Stai qui e non muoverti. Sarò di ritorno tra pochissimo.»
Io annuii. «Vai tranquilla, non mi muoverò di un solo passo.» mi sedetti sulla panchina proprio lì vicino, e mi appoggiai allo schienale, all'ombra di un grosso ciliegio. Proprio di fronte a me c'era un negozio di dolciumi, ma decisi di non avvicinarmi, specialmente dopo che Hotaru mi aveva raccontato la storia delle carie che trapanano i denti delle persone che mangiano troppi dolci. Lei ne sapeva troppo su queste cose per potersi sbagliare, perciò era meglio tenersi lontano dalle tentazioni.
Mi stiracchiai, godendomi il leggero venticello non troppo freddo. «Mikan?» mi sentii chiamare e cercai in tutte le direzioni qualcuno che potesse avermi chiamato. «Sono qui.» mi comparve davanti il volto sorridente di Kisaki Kamiya. Da quando era arrivata nella nostra classe era diventata molto più socievole, specialmente dopo che era diventata il Presidente del Comitato Studentesco. «Che fai di bello?»
«Aspetto le mie amiche.» risposi, guardando con un po' di reticenza la busta che teneva in mano. Era evidente che fosse del negozio che mi ero appena ripromessa di non guardare. «E... e tu?» lei seguì il mio sguardo e corrugò la fronte.
«Commissioni di vario genere.» rispose, sedendosi vicino a me. «Il Preside delle Elementari mi ha mandato a comprare delle caramelle, dice che sono per ricompensare una persona speciale, ma...» si guardò intorno, furtiva e abbassò la voce, avvicinandosi a me, con una mano a pararle un lato della bocca «detto tra noi, secondo me vuole fare scorta.»
Sollevai entrambe le sopracciglia: davvero a volte si comportava come un bambino vero? «Scorta?» chiesi, infatti. «Per cosa?»
«Tra un paio di giorni parte per Londra, pensavo che volesse portarsi dietro qualcosina dal Giappone. A volte i bambini preferiscono mangiare le caramelle che conoscono piuttosto che altre.» io annuii, in effetti quando ero piccola anche io avevo le mie caramelle preferite. Non vedevo perché non potesse succedere anche a lui. «E poi ho comprato della carta. Una montagna di carta. Non hai idea di quanta se ne utilizzi durate le riunioni del Comitato. Bastano a stento per le firme e per i verbali.»
«Dev'essere un lavoro duro.» commentai, non sapendo che altro dire. Non ci conoscevamo molto bene, lei era sempre molto impegnata e negli ultimi tempi non riusciva neanche a venire a lezione.
«Già, ed è pure peggiorato, da quando arrivano scartoffie su scartoffie per il nuovo studente.» si lamentò, sospirando pesantemente. «Di solito dovrebbe occuparsene il Preside, ma ha da fare con i preparativi per la partenza, non c'è mai. Neanche alle riunioni della classe di Abilità.»
Mi feci curiosa. «Arriva un nuovo studente?» era raro che arrivasse ad anno inoltrato. Cioè, non quell'anno. Erano arrivati tanti bambini, in effetti. «Come mai tutti questi bambini?» forse lei era la persona giusta a cui chiederlo.
«Non è un bambino. Ha la nostra età.» mi spiegò lei, alzando la testa per guardare il cielo. «Non ricordo il suo nome, ma sembra carino. Le ragazze torneranno a sperare, dopo che ti è toccato il ragazzo più richiesto della scuola.» mi fece l'occhiolino e io arrossii.
«Non credo che si siano arrese solo perché stavamo insieme.» replicai, indecisa. Alcune ragazze provavano ad avvicinarlo lo stesso, in fondo.
«Hai scoraggiato tre quarti delle ragazze, fidati.» mi sorrise, dandomi una pacca sulla spalla. «Io sono arrivata qualche settimana prima che se ne andasse, perciò non posso dire di averlo conosciuto, ma alcune ragazze con cui avevo fatto amicizia, non facevano altro che parlarne. Non si sono mai azzardate ad avvicinarsi, però.»
«Per me?» domandai, incredula. Non sapevo niente di queste cose.
«È vero che non vi ho visti molto insieme, ma Mikan sono certa che hai notato come ti guardava.» il suo sorriso si addolcì. «Non molte ragazze possono vantare qualcuno che le guarda così. Ti ho invidiata parecchio.»
«Non ci credo...» affermai, a bocca aperta.
«Credici, perché è così.» mi diede una pacca sulla testa. «Adesso vado, che dobbiamo cominciare a stilare il programma per l'Alice Festival. Se arrivo tardi gli altri mi linciano. Mi ha fatto piacere chiacchierare un po' con te. Ci vediamo in classe, se ce la faccio ad arrivare.» la salutai con un gesto della mano, mentre correva per prendere l'autobus proprio nel momento in cui stava per partire.
«Chiacchierata illuminante?» Hotaru mi fece distogliere l'attenzione dal pulmino giallo. «Quella tipa è davvero, davvero strana.»
Mi ricordava qualcuno, se ci pensavo. Solo che non riuscivo davvero a ricordare chi.

Una settimana più tardi, mi diressi in infermeria. Hotaru mi aveva chiesto se volevo che lei venisse con me, e io avevo risposto che era meglio di no. Ero stata tranquilla per tutta la settimana, ma in quel momento sentivo una grossa agitazione alla bocca dello stomaco, la mia sicurezza scemava a ogni passo che facevo. Deglutii.
Passarono un paio di minuti prima che bussassi alla porta. «Avanti.» mi disse un indaffarato Subaru Imai. Mi affacciai per vedere che stesse succedendo.
«Po-posso?» lui mi fece un veloce cenno di entrare, e io lo feci, chiudendomi la porta alle spalle, mentre l'unico rumore che sentivo era il battere impazzito del mio cuore, come se mi stesse rimbombando nelle orecchie. «Ehm...»
«Aspetta un secondo, è svenuta una ragazza.» mi disse, sparendo dietro una tenda. «Siediti, comunque.» obbedii, cominciando a strofinare le mani l'una contro l'altra, come se si dovessero consumare per l'attesa. Ricomparve dopo un po' riponendo un contenitore di plastica con delle pastiglie in un armadietto. Si rivolse verso di me, con aria grave. «Dobbiamo parlare, Mikan, a lungo.»
Mi tirai su, in preda ad un giramento di testa, non so se per l'agitazione o per qualcos'altro. Cercai appoggio al tavolo, ma non ero davvero cosciente della reale distanza a cui mi trovavo così appoggiai la mano sul vuoto. Mi afferrò il fratello di Hotaru. «Mikan?» mi chiamò, mi appoggiai al muro, respirando affannosamente.
«Che cos'ho che non va?» chiesi, mentre sentivo l'impulso di chiudere gli occhi. Non sentii mai la risposta, scivolai di nuovo in uno stato di incoscienza in cui le immagini e i suoni si confondevano tra loro.

*****

Rieccomi dopo tempo interminabile XD. Come avrete potuto notare, le battute del professore di matematica sono un tributo al mio prof *.*, sono le sue frasi tipo, anche perché si scorda sempre il libro XD. Per il resto, finalmente siamo arrivati in fondo a capitolo 19, al ventesimo, il mongolino d'oro per l'autrice XD.
E ora passiamo ai ringraziamenti:

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