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Autore: elrohir    08/02/2006    2 recensioni
Elladan ha sposato la sorella di Legolas e si è trasferito a Mirkwood, dove vive una vita felice, turbata solo dalla dolorosa nostalgia del gemello. Ma quando Elrohir gli fa finalmente visita, porta con se ricordi e sentimenti conturbanti.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elladan, Elrohir, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mio fratello, di miele e di mare

Mio fratello, di miele e di mare

Amavo mia moglie per quella comprensione. Ecco in cosa è diversa da Roh, pensai, ecco in cosa davvero è unica. Ecco in cosa mi completa realmente, più di quel che Roh, con la sua gelosia che è anche mia, potrà mai fare. Lei mi lascia libero. Di scegliere, di amare, di crescere e sbagliare. Lei non mi tiene tra le sue braccia, mi permette di guardare il mondo. Di guardare il mio gemello. Anche se sa che gli occhi con cui lo faccio non sono quelli di un fratello, ma di un amante. Roh mi assomiglia troppo per permettermi questa libertà di scelta, pensai. Di nuovo, non sapevo quanto in realtà stessi sbagliando.

Nimeithel mi disse la stessa cosa l’ultima sera del soggiorno di Elrohir a Mirkwood. Stavamo coricati nel nostro grande letto, lei posava la testa sul mio petto, io facevo scorrere le dita tra i suoi capelli di grano. Ma non era a lei che pensavo. Sentivo il cuore trafitto da spine ghiacciate, mentre la mia mente vuota, deserta della presenza familiare mi ricordava che presto, troppo presto, non avrei più avuto occasioni di riparare ai miei errori. Che presto sarei di nuovo tornato a spiare quegli occhi paurosi attraverso la distanza dello specchio, senza poter allungare la mano e toccarli. Che forse, non avrei mai più potuto farlo.

Perché con gelida paura sapevo che, quando Elrohir se ne fosse andato, non sarebbe più tornato. E io non ero sicuro di avere abbastanza coraggio per andarlo a cercare, per combattere il muro di silenzio improvvisamente comparso tra noi.

La voce di Nimeithel suonò dolce, tranquilla. –Vai da lui.

-Cosa?

-Hai capito benissimo. Vai da lui. Non permetterti di perderlo. Non lasciarlo scappare. Fermalo, parlagli, chiarisciti. Digli che l’ami. Solo, non lasciarlo andare via così. Non lasciare che il suo cuore si chiuda.

Camminando per i corridoi oscuri, cercando a tentoni la strada per la stanza di mio fratello, quella stanza in cui non avevo mai messo piede, in tutti i mesi che lui era rimasto qui, cercai di immaginare la sua accoglienza. Non mi avrebbe lasciato entrare, probabilmente. Non mi parlava dall’episodio del bacio, mi guardava a malapena. E c’erano buone probabilità che fosse con Taro, al momento. In fondo, era la loro ultima notte insieme, entrambi mi avrebbero odiato per averla rovinata. Ma non mi importava. Ero suo fratello, avevo più diritti io su di lui che mille amanti occasionali. Anche se avevo rinunciato a quei diritti quando per la prima volta avevo rifiutato il suo bacio.

Come mi ero pentito, di quell’azione. Avrei dovuto pensarci prima, evitare di destare la gelida collera del mio gemellino. Anche se non ero più sicuro si trattasse solo di collera. All’inizio era così, lo sentivo chiaramente, ogni volta che il suo tocco fiammeggiava nella mia testa. Ma adesso qualcosa era cambiato. Adesso il suo viso era marmo inespressivo, e quando riuscivo a scuotere quella superficie di maschera, scorgevo emozioni confuse, sentimenti violenti, che mi sconcertavano. Dolore, solitudine, sofferenza. Tristezza. Elrohir chiudeva sempre il contatto prima che potessi capire davvero. Ma il bacio di quella notte non lasciava dubbi: mio fratello era sempre lì, era sempre Roh. Il mio cavaliere. Anche se non sopportava più che lo chiamassi così.

Restava in ogni caso da trovare un modo per convincerlo a farmi entrare, e possibilmente a sbattere fuori Taro. Ma questo era meno importante: io sarei andato avanti per la mia strada, comunque. Se non si fosse tolto dai piedi, peggio per lui: avremmo gareggiato per Roh. Avevo abbastanza fiducia in me stesso e in quel che dividevo un tempo con mio fratello per confidare che, alla fine, avrebbe scelto me. E io avrei impiegato tutte le armi a mia disposizione per vincere quella battaglia, per riottenere il cuore di mio fratello. Avrei fatto del mio meglio per sedurre Elrohir.

Sedurre Elrohir… l’idea mi fece sorridere. Ma in fondo, perché no? L’avevo fatto già una volta, potevo riuscirci di nuovo.

Tuttavia, davanti a quella porta esitai, incerto.

Presi un respiro profondo, e tamburellai le dita sul legno. Nessuna risposta. Riprovai. Niente.

Tesi l’orecchio, aspettando rumori equivoci. Ma la stanza era immersa nel silenzio.

Decisi di rischiare, e aprii la porta.

Elrohir mi guardò sconvolto. –Elladan?- chiese, e sembrava incapace di credere che io fossi lì.

Mi fermai sulla soglia, il respiro mozzato.

Era solo. Non avrei dovuto lottare con Taro. Ma, Valar, quanto era bello…

Aveva i capelli sciolti, sparsi sul cuscino. Gli scivolarono come seta sulle spalle, mentre si sollevava su un gomito a guardarmi.

Era nudo, non fosse stato per un paio di pantaloni leggeri. Non potei evitare di far scorrere lo sguardo sui muscoli perfettamente scolpiti del suo petto, e lo vidi arrossire. Si mosse, a disagio, allungandosi per afferrare il lenzuolo. Si coprì, ma questo non servì a mettere distanza tra noi due.

I suoi occhi erano paurosamente enormi. Mi davano le vertigini.

-Cosa ci fai qui?- chiese, le guance ancora rosate. Io non mi decidevo a muovere un passo. –Domani partirai.- dissi, come se fosse una risposta. Lui annuì, voltando la testa. –Non vedo per quale motivo dovrei restare.

"Perché io morirò nel vederti andar via" avrei gridato, e invece dissi solo –Legolas verrà con te?

Scosse il capo. –No, deve restare per un po’ qui. Mi raggiungerà a Imladris in estate.

Imladris… Casa mia. Tutto quel che avevo sempre considerato casa, tutto quel che Mirkwood non sarebbe mai stata, neanche se avessi trascorso lì il resto della mia vita. Un porto calmo dove approdare in tempesta. Valle nascosta di pino e di muschio. Profumo di miele, e di mare. Il biondo Glorfindel e il bruno Erestor, con le dita intrecciate. Le loro urla con i volti in fiamme dopo un nostro scherzo. Mio padre dagli sguardi dolenti, il gemello perduto addormentato negli occhi. Casa. Il lago della mia prima volta. La luna d’argento che illuminava i cristalli. Casa.

Mio fratello. Casa. Mio fratello. Casa.

Elrohir.

Mi riscossi, e lo guardai. Aspettava, quieto, che rispondessi. Che gli dicessi che non volevo se ne andasse. Ma non ne ero capace.

Posso entrare? Chiesi invece, e lo sentii ridere. Che domanda stupida, Elladan. Sei già entrato!

Posso… posso avvicinarmi allora?

Trattenne il fiato, senza guardami. Poi, gli occhi fissi sul lenzuolo che lo velava, annuì.

Sedetti sul letto al suo fianco, e d’istinto gli presi la mano. Trasalì, poi però la strinse.

Mi rannicchiai al suo fianco e posai la testa sul suo petto. Lui si irrigidì, sorpreso. –Dan. Cosa stai facendo?

Ti prego fratellino, solo per questa notte mettiamo da parte l’odio e il rancore. Solo per questa notte lasciati stringere, perché la solitudine minaccia di inghiottirmi…

Già una notte abbiamo finto che le cose fossero diverse, e abbiamo solo peggiorato tutto, lo sai, Elladan. Ripose. Ma non sembrava arrabbiato. Sentii le lacrime invadermi gli occhi.

Ma questa volta è diverso, Roh. Questa volta è l’ultima volta. L’ultima volta, prima che l’intera Arda ci divida di nuovo.

Si morse il labbro, e capii che anche lui si sforzava di non piangere. Timido, esitante, fece scivolare una mano tra i miei capelli. Chiusi gli occhi, concentrandomi sul suo respiro.

Quanto lo amavo. Quanto mi era mancato.

Eravamo rimasti così, l’ultima notte prima che partissi per Mirkwood, per la mia nuova vita. Senza la forza di fare altro, neanche l’amore. Semplicemente, avevamo lasciato che il respiro dell’altro ci cullasse, che il battito del cuore di ognuno si adeguasse a quello gemello, rallentando il corso del sangue, fermandolo quasi. Avevamo sperato che si fermasse, sperato che i Valar mettessero fine al crudele supplizio. Non era accaduto. E all’alba, il terrore della separazione si trasformò in frenesia, e noi ci unimmo in un amplesso feroce, sfrenato, dolente. Rabbioso. Dopo restammo sgomenti a fissarci, incapaci di credere a quel che avevamo fatto. Nessun piacere era derivato da quell’accoppiamento animale. Per la prima volta, nessuno dei due aveva fatto caso ai bisogni dell’altro. E nemmeno ai propri. Spaventati di quella nuova dimensione, cercammo il conforto delle carezze, e così ci ritrovammo. A specchiarci l’uno negli occhi dell’altro. A scioglierci in quei baci lunghi, bagnati. A fotografare ogni sguardo, ogni gesto, ogni inarcamento dell’altro sotto il tocco gemello, per portarlo nel petto, per serbarlo nel cuore. Di quella notte, ho ricordi accecanti, di sole e di luna. Di sangue.

Sentii il respiro di Elrohir farsi affannoso, e la sua voce spezzarsi –Cosa fai Dan?

Mi accorsi di tenere la mano posata sul suo grembo, e che le mie dita avevano cominciato a giocare con i lacci dei suoi pantaloni. –Scusa fratello, forza dell’abitudine.

Ma qualcosa era cambiato. Avevo notato il rigonfiamento vicino alla mia mano, all’inguine, nonostante lui facesse il possibile per nasconderlo. Fu difficile soffocare il sorriso, mentre mi accorgevo che l’obiettivo era più raggiungibile di quanto sperassi.

Il battito del nostro cuore aveva perso la regolarità, e sapevo che se avessi alzato lo sguardo avrei rivisto l’Elrohir che conoscevo, con gli occhi accesi e le labbra socchiuse. Ma non lo feci. La seduzione era un gioco di tattica, sempre, e mio fratello conosceva troppo bene le regole per lasciarsi ingannare da trucchi grossolani. Dovevo misurare ogni gesto, ogni sguardo, ogni inflessione della voce. Cominciare da lontano, ritardare il più possibile il momento in cui avrei reso manifeste le mie intenzioni.

Non avrei permesso alla fretta di rovinare ogni cosa.

-Pensavo di trovare Taro, quando sono arrivato.

Un respiro trattenuto. Rilassati Roh pensai Non c’è niente che tu possa fare per evitare quel che sta scritto nel nostro sangue.

-Non avevo voglia di vederlo. Avevo bisogno di dormire questa notte. Domani sarà un lungo viaggio.- spiegò. Io annuii, senza guardarlo. –Hai ragione. Elrohir, forse è meglio che vada, allora… -feci per alzarmi. Non che ne avessi la minima intenzione, sia chiaro. Ma…

-NO!- quasi urlò mio fratello, e trattenni di nuovo il sorriso, lasciandomi ricadere sul suo petto. –Come vuoi.- mormorai, mentre lui mi accarezzava nervoso i capelli. –Tu puoi restare, Elladan. Mi rilassa averti vicino. E poi, mi mancherai quando sarò di nuovo a Imladris, nonostante tutto. Là, ogni cosa ricorda quel che eravamo. Ci sono troppe memorie, nelle foglie degli alberi.- una confessione che gli era costata molto, lo sapevo.

-Anche tu mi mancherai, fratellino.- dissi. E anche qui, ogni cosa ricorda te, melethron pensai, con una punta di tristezza.

La situazione era notevolmente migliorata, rispetto all’inizio. Ma restammo muti, concentrati l’uno sull’altro. E il battito del cuore di Roh smentiva quel che aveva detto: la mia presenza aveva molti effetti su di lui, parecchi anche contraddittori, ma certo non quello di rilassarlo.

-Fratello, posso farti una domanda? Perché hai detto a Nim di noi?

Si mosse fulmineo, e per un attimo credetti di averlo perso. Avevo fatto un passo falso, in quella difficile danza, e lui sarebbe scappato, mi avrebbe cacciato fuori dalla sua stanza, non mi avrebbe mai più permesso di avvicinarmi.

Invece, scivolò verso il basso, per avere il viso alla stessa altezza del mio. Occhi negli occhi, i volti a pochi centimetri di distanza, guardai il mio specchio. Che infine parlò. –Te l’ha detto lei?

Annuii, lento, per non spezzare la simmetria. Lui aveva le lacrime agli occhi. –Scusami. Non avrei voluto farlo. Mi è scappato, e non sono riuscito a rimangiarmelo. È impossibile mentirle. Capisco la tua rabbia, Dan, capisco tutto quel che vorresti farmi…

Quel che vorrei fare, Rohir-nin, è fermare questo fiume in piena con un bacio pensai, ma sapevo che sarebbe stato prematuro. Così, la voce ferma… -Non sono arrabbiato.

Lui si fermò. Gli occhi si riempirono di lacrime. –Shhh, fratellino, non piangere… va tutto bene, davvero.- dissi, attirandolo a me. Lui nascose il viso contro il mio petto e soffocò i singhiozzi.

Si lasciò cadere sul letto, dopo, e io rimasi a guardarlo, sollevato su un gomito. Era la creatura più bella che avessi mai visto. Non riuscivo più a resistere, dovevo trovare un modo per avvicinare quei nostri mondi. Così, come avevo già fatto una volta nella mia vita, mi chinai su di lui. –Ti voglio bene, Roh.

Lui mi guardò stupito. Felice, mi parve, anche se in un certo modo doloroso. È la stessa frase che dicesti…

Sì, è la stessa

Tutto era cominciato così, con quella frase. Come allora, posai un bacio sulla sua pelle calda e salata. Sentii il gusto delle sue lacrime nella mia bocca. Non gli baciai le labbra. Continuai invece a sfiorare la pelle delle guance, degli zigomi, delle sopracciglia, della fronte, della mascella. Lo coprii tutto di baci teneri, timidi. Solo quando lo sentii rilassato sotto il mio tocco, posai le labbra sulle sue. All’inizio fu un bacio casto, fraterno, che lo fece sorridere. Ma quando con la lingua scivolai nella sua bocca, aprì gli occhi. Mi interruppi.

-El…

-Un bacio, Roh, è solo un bacio. Che male c’è?

Lui scosse la testa, incerto, ma i suoi occhi enormi mi rispondevano il contrario. Ripresi quel che stavo facendo. E lui non mi fermò. Fu uno dei baci più lunghi della nostra storia. E uno dei più lenti. Languido. Un tempo adoravamo baciarci in quel modo, era come se nel lento divampare della passione rivivessimo l’evolversi del nostro amore.

Scivolai sull’orecchio, gli morsi il lobo. Giocai con la punta sottile, e lui sospirò. Scesi sul petto, lo morsi leggermente. Il suo collo lungo e bianco, flessuoso, intonava un canto di sirena, ma mi costrinsi a non guardarlo. Dovetti combattere il desiderio di baciargli la gola, sapendo che l’avrei sentito gemere, e che si sarebbe inarcato, spingendosi contro di me. Temevo che il piacere sarebbe stato troppo forte, l’avrebbe svegliato.

Ma infine non resistetti più. Chiusi la bocca sulla pelle candida, sulle ossa delicate della trachea, fragili come quelle di un uccellino, e sulla vena palpitante di forza, di vita. Sorrisi, sentendo la sua schiena inarcarsi, e la voce era roca mentre senza staccare le labbra sussurravo –Non sai da quanto tempo sognavo questo momento.

Sapevo che sarebbe successo. Non mi avrebbe lasciato andare fino in fondo senza protestare. Ma nonostante questo, rimpiansi di aver parlato, quando sentii che apriva gli occhi, e cercava di scostarsi. Non glielo permisi.

-No Roh, questa volta non scappi. Questa volta parliamo. E non mi importa se c’è Taro che aspetta o il mondo che crolla. Non mi importa di niente.

-D’accordo. Parliamo. Ma sposta le mani, e vedi di stare fermo. Non rispondo di me, altrimenti.- sibilò, guardandomi con aria cattiva.

Ubbidii, e tolsi le mani dal suo petto. Però gliele chiusi sui polsi, bloccando ogni sua possibilità di fuga mentre mi coricavo su di lui. –E cosa faresti?

Lui deglutì. Al contatto con suo corpo, la mia erezione aumentò, e mi accorsi che a lui era successa la stessa cosa. –Lo sai, El. Non farmelo dire.

Sempre stringendogli i polsi, abbassai la testa sul suo collo, e ripresi a baciarlo. –E cosa ti fa pensare che io voglia che tu resista?- mormorai, mordendolo.

Lui trattenne un gemito, e chiuse gli occhi. –Basta El, basta ti prego, basta non lo sopporto, è terribile…

-No, fratellino. Non è terribile. Si chiama piacere.

Il suo sguardo era duro, e per un attimo non seppi sostenerlo. –El, so come si chiama. Non sono più l’elfetto sprovveduto cui dovevi insegnare tutto sull’amore. Adesso so cose che tu probabilmente neanche immagini.

-E allora mostramele, mio cavaliere. Avanti, cosa aspetti?- lo sfidai. Quando cercò di divincolarsi, ripresi a baciargli il collo.

-No, El. Fermo. D’accordo. Volevi parlare, parliamo. Davvero. Ma smettila, ti prego.

Lo osservai. Non riuscivo a capire. –Perché ti comporti così, Roh? Perché rifiuti qualcosa che desideri così tanto? Ci deve essere una ragione, melethron.

-Non chiamarmi così! Hai ragione, un motivo c’è. Si chiama Nimeithel. Si, proprio tua moglie, che strano, pensavo non ti ricordassi di lei… Sei sposato Dan! Questo è il motivo! Sposato, legato, innegabilmente di altri, non più mio! Quando sono arrivato, non ci pensavo. La tua accoglienza calorosa non mi ha turbato, eri sempre il solito, perché avrebbe dovuto sembrarmi strano? Ma poi, nella radura… quando sei scappato…. Quando mi hai rifiutato… ho capito di chi era la colpa. Sua. Di Nimeithel. Tua moglie. Lei, cui eri stato donato, davanti al mondo intero. Lei. L’ho odiata. E mi sono detto d’accordo, facciamo il suo gioco. Vedremo chi sceglierà, alla fine. Se lei o me. Vedremo. Lo farò impazzire dal desiderio, e non gli darò quel che vuole finchè non mi implorerà di farlo.

-Ti ho implorato più di una volta, e mai mi hai accontentato.

Roh annuì. –Lo so. Ma vedi, questo lo pensavo prima di incontrarla. Ma appena l’ho vista, ti ho capito. L’ho vista così bella, così dolce, così perfetta, e ho capito di non avere speranze. Mi sono accorto di quanto fosse fragile, ho sentito il bisogno di proteggerla, lei e il vostro amore. Perché mi sono accorto di quanto fosse precario, di quanto io potessi facilmente spezzare quel delicato equilibrio. Ho capito che passato il primo shock, tu mi saresti venuto a cercare, perché conosco il tuo corpo, so le sue debolezze, e tu non sei mai stato capace di tenergli testa. Mi avresti di nuovo desiderato, e io avrei dovuto impedirti di compiere azioni che poi, quando io fossi partito, avresti rimpianto. Così, giurai a me stesso che mai ti avrei permesso di tradire Nimeithel.

Lo guardai sconvolto. Il suo viso era pallido, e serio. Mi ricordò quello di mia moglie, seduta sul letto, che mi spingeva da lui. Improvvisamente, sentii il bisogno di piangere. La voce tremava, mentre chiedevo, ancora incredulo –Hai fatto tutto questo per Nimeithel?

Lui scosse la testa. –No. L’ho fatto per te, idiota. Per voi. Per il vostro amore.

Io lo guardai negli occhi. –A lei non importa, Roh. Si fida di me. Sa che la amo lo stesso, anche se sogno te. Sa che la amo lo stesso, anche se è per te che i miei occhi ardono. Lo sa e non le importa. Mi ha mandato lei, qui. E sa benissimo cosa stiamo facendo…

Ripresi a baciarlo, ma ancora una volta si divincolò. Io mi rialzai, ormai vicino all’esasperazione. –Lo fai apposta? Ti stai vendicando di quel giorno nella radura? Perché se è così ti chiedo scusa…

Lui scosse la testa. Sembrava ansioso di continuare a parlare. Disposto a tutto, pur di impedirmi di amarlo. –Nessuna vendetta- disse, la voce calma. E gli occhi erano tristi.

-Se è un altro dei tuoi scrupoli di coscienza, me ne frego, Roh. Lo vogliamo tutti e due, smettila di negare…

-Qui ti sbagli, Dan! Non lo vogliamo tutti e due! Non lo vuole nessuno dei due, in realtà. I nostri corpi sì, lo ammetto, e questo non cambierà mai. È come una maledizione, una punizione per l’amore incestuoso che un tempo dividevamo. Ma tu, Dan, tu non lo vuoi davvero. Adesso non riesci a capirlo perché il tuo corpo grida più forte, il desiderio pulsa nelle orecchie e batte e urla e si dispera perché vuole toccarmi, ma non è quello che vuoi. Non quello che vuole il tuo cuore. Perché il tuo cuore non è più mio. Ha smesso di esserlo nel momento in cui Nim me l’ha rubato, quando tu l’hai donato a lei, davanti a tutto il mondo. Ed io… non sopporto che quel che tra noi ha vibrato si riduca a mero piacere. Non posso tollerare che tu mi prenda per bisogno. Può essere eccitante con gli altri, può essere una vittoria costringere uomini assennati alla follia, renderli schiavi della lussuria, può essere inebriante un simile potere sugli altri, ma non su te. Non lo sopporto! Non sopporto l’idea che per te sia solo piacere fisico, liberazione, il mio corpo un trofeo da appendere nella sala dei tuoi sogni più oscuri, non ho la forza per farlo, sarebbe troppo doloroso. Troppo umiliante. E questi cieli, che hanno visto l’unione di un cavaliere e una stella, quelle stelle che mi hanno invidiato per quel che dividevo con te, non devono vedere il nostro sogno degradato. Mi rifiuto! E anche se non sono più il tuo amore, il tuo meleth, sono pur sempre tuo amico. Tuo fratello. Il tuo gemello. Un tempo dividevamo la stessa anima, ora le mie decisioni non contano più niente per te? Andrai avanti lo stesso, sottomettendo la mia volontà al richiamo dei nostri corpi, senza curarti del mio dolore? Lo farai, mio dolce Elladan? Oppure, in memoria di quel che c’è stato, lascerai quei due ragazzi da soli presso il lago, una notte d’estate, ad amarsi, senza obbligarli a vedere quel che li aspetta nel futuro? Rispondimi gwanur, rispondimi, stella che ormai mi è sfuggita. Rispondimi, ti prego, perché non potrò mai sopportare il tuo silenzio.

Lo lasciai quasi andare, talmente ero sconvolto dalle sue parole. Ma rinsaldai la stretta un attimo prima che scappasse, e lo costrinsi a guardarmi negli occhi.

-Non posso credere che tu creda a quello che hai detto. Forse siamo davvero cambiati, ci siamo davvero allontanati, perché leggi in me parole distorte, e sentimenti oscuri, che mai mi apparterranno. Guardami, Roh. E permettimi di baciarti. Dimmi, dopo, come puoi credere a quel che hai detto con così vibrante dolore.

Lo baciai senza lasciargli il tempo di rispondere. Quando mi scostai, ansimavamo entrambi. E i suoi occhi lucidi erano ancora più scuri. La mia voce roca –Non potrei mai smettere di amarti, mio Roh. Non potrei mai, neanche se tutti i Valar mi obbligassero a scegliere. Ti amo più della mia stessa vita, e nessun’altra persona sulla faccia di Arda potrà prendere il tuo posto. Non intendo forzarti, non intendo obbligarti a un amore che non senti più di condividere. Ma non posso sopportare che tu creda che ti abbia scordato.

Lui annuì, poi si tese verso di me. Chiusi gli occhi, sperando con tutte le mie forze di averlo convinto. Ma le sue labbra si posarono sulla mia guancia, con leggerezza lieve.

-Voglio crederti, gwanur. Ma non posso farlo lo stesso.

Annuii, e feci per alzarmi. Sentii il panico nella sua voce. –Dove vai?

Lo guardai. –Penso sia chiaro. La mia presenza non è più benvenuta.

Lui si morse il labbro. –Domani partirò. Non ci sarà un’altra occasione.- tirò un respiro profondo. –Vorrei che non te ne andassi. Che per questa volta restassi qui. Che dormissimo insieme, come un tempo. Mi farebbe stare meglio, forse.

Io mi chinai su di lui. –Dormi allora, mio piccolo Roh. Domani il viaggio sarà lungo, e pericoloso. Devi essere riposato per affrontarlo. Dormi. Io rimarrò qui.

-E veglierai sul mio sonno?- chiese lui scherzoso, ma con gli occhi lucidi. Io annuii, serio.

-Sempre, fratellino. Sempre- gli posai le labbra sulla fronte. Lui mi strinse la mano, attirandomi al suo fianco. –Stringimi.- mormorò, posando la testa sul mio petto.

Fuori, la luna sorrise, e ci bagnò di argento.

 

   
 
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