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Autore: Sybelle    29/04/2011    1 recensioni
Lui era un vampiro. Sarebbe sempre stato tale: bello e perfetto per l’eternità.
…E lei?
Lei sarebbe lentamente cresciuta, cambiata.
Sarebbe diventata ancora più debole, il suo cervello si sarebbe rattrappito prima o poi, la sua pelle si sarebbe infiacchita…
Sarebbe diventata….vecchia.
E forse sarebbe anche diventata noiosa.
Forse sarebbe diventata brutta.
Ed allora avrebbe perso Armand.


Buona lettura a tutti voi =) Sybelle
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terzo capitolo: Posso esserti amico?

Rifletteva, turbato, sulle conseguenze delle sue azioni.
Si era presentato da un giorno all’altro nella vita di due ragazze mortali, seguendole e, forse, perseguitandole. Si era impossessato a forza della fiducia di una facendo leva sul proprio fascino, così da poter avvicinare l’altra. Quale doveva essere la sua prossima mossa? Aveva poche scelte: poteva sparire dalla loro vita per sempre, oppure poteva cercare di mostrarsi per quello che era, ovvero un ragazzo dalle migliori intenzioni.
Ma in fondo era davvero così?
Prese il quadernino su cui appuntava i propri stati d’animo ed intinse la piuma d’oca nel calamaio, per poi scrivere con foga i pensieri del momento.
Io sono una creatura meschina. Cerco di convincermi della bontà dei miei intenti, ma tutto in me è pericolo e bugia. Io sogno la vita di un ragazzo, ma sono un vampiro. Lo sono sempre stato e mai sarò mortale.
Il mio comportamento in fondo lo dimostra: ho usato il mio fascino per giocare con i sentimenti di Diana, e deridendo la sua sensibilità con la mia ipocrisia conto di fare breccia nel cuore di Micol.
Micol... Il mio arido cuore sussulta. Di amore? Che sia?
Ripose il pennino con un sospiro rassegnato.
Erano passate due settimane dal suo azzardato esordio...
Avrebbe dovuto resistere all’impulso di presentarsi, avrebbe dovuto lasciarla andare da subito, da quella sera al Prince; non avrebbe dovuto farsi coinvolgere da se stesso.
Doveva rassegnarsi: nessuno lo poteva più amare. Lui era un reietto dell’umanità, uno scarto demoniaco...
Vampiro, già... Ma al di fuori della letteratura cosa significava esserlo? Nulla di romantico e romanzato esisteva nella sua condizione: lui era un dannato, solo e perduto.
Micol non doveva stare con lui, perché l’avrebbe corrotta per sempre.
E poi cosa voleva fare? Fingersi umano? Per quanto tempo avrebbe funzionato la farsa? Un anno, forse due...
In più, non aveva né identità né patria. Armand de Lincourt... Come gli era saltato in mente di dire quel nome? Avrebbe potuto dirne mille altri: Alex, Arthur, Anthony, Adrian... Un nome americano e normale, sarebbe stato così facile! Ed invece era andato a pescarsi l’identità più insolita e straniera che poteva esistere: si era scelto la vita del francese antiquato. Era caduto in un errore da principiante, da vero stupido: la prima regola era adeguarsi al luogo, alla società ed al secolo.
Armand de Lincourt era stata la sua identità alla corte di Marie Antoinette; era quasi inconcepibile che utilizzasse quel nome in un’università americana del ventunesimo secolo.
Eppure, nonostante tutte le sue stranezze, Diana Rowen era caduta nella trappola senza pensarci due volte: era una ragazzina ingenua ed innamorata; carina, ma scontata.
D’altra parte esserne amico era la via più veloce per arrivare a Micol. Micol, a cui erano rivolti tutti i suoi pensieri.
Infatti, per quanto la compagnia di Diana risultasse piacevole e travolgente, una parte di lui era sempre, costantemente rivolta a lei. Continuava a tormentarsi: la paura che un giovane mortale potesse vederla con gli stessi occhi con cui la vedeva lui lo faceva impallidire di gelosia.
Del resto non credeva possibile che nessuno avesse ancora notato la luce che emanava la dolce ragazza...
O forse era una luce che vedeva soltanto lui?
L’infatuazione mi fa pensare cose ridicole e sdolcinate, si disse.
Comunque fortuna voleva che Diana passasse ogni minuto disponibile con lui, dunque, volente o nolente, anche Micol doveva sempre essere nei paraggi.
Ah, senza parlargli ovviamente.
“Innamorati di me anche tu...” Sussurrò ancor prima di potersene avvedere. Sobbalzò: ma cosa gli veniva in mente?!
“MALEDIZIONE!” Urlò, gettando a terra la sedia intarsiata dalla quale si era alzato.
Osservò con orrore le sue stesse mani violente, rattristandosi: “Io sono un mostro... Micol, devi scappare da me. Accorgitene, cacciami dalla tua vita! Convinci Diana, fai qualunque cosa sia in tuo potere per liberarti di me!”
Ma cosa ciarlava a fare? Stava solo dando aria alla bocca ed ai buoni propositi: lui sapeva bene che non si sarebbe lasciato rifiutare e che non se ne sarebbe andato mai da quella città.
La verità era che lui la desiderava ardentemente: desiderava quel sorriso, quei capelli morbidi, quella pelle elastica, quegli occhi luminosi. Desiderava amare quel carattere cocciuto, forte e delicato, desiderava baciare quelle labbra sottili e quelle guance colorate.
Perso com’era in quei pensieri estatici, non si accorse di non avere mai pensato al sangue della giovane; non si accorse della sottile differenza tra desiderio carnale e desiderio spirituale.
Non se ne accorse, ma in fondo già lo sapeva.

*

La osservava sempre. Ovunque. A lezione, quando rideva e scherzava (falsamente tra l’altro) con Diana, quando uscivano, quando mangiavano, sempre. E lei iniziava veramente ad averne paura...
Secondo Diana Armand era una persona simpatica, affabile ed incredibilmente colta, uno spettacolo d’uomo, un cavaliere di corte, un supereroe Marvel; Diana non faceva che ripetere ogni giorno quanto fosse figo, maturo, attraente, sexy, accattivante, sorprendente, talentuoso, eccetera eccetera eccetera.
Lei invece aveva sempre quella brutta sensazione che lui non fosse quello che diceva di essere.
Non le piaceva il modo in cui era comparso nelle loro vite e non le piaceva il modo in cui vi si era infiltrato nel quotidiano; trovava strano il suo nome ed ancora più strani i suoi modi.
Sentiva un campanello d’allarme trillare come impazzito e le pareva quasi di vedervi sopra una scritta: “DANGER.”
L’avviso lampeggiava senza sosta, mentre le lettere infuocate ardevano di rinnovata fiamma quando Armand compariva dal nulla e le salutava.
Lei non lo conosceva, non sapeva praticamente niente di lui. Lui raccontava tante storie a Diana, ma lei non si fidava; diceva di essere piuttosto agiato (ed il simbolo dei dollari per un istante era brillato negli occhi verdi e affascinati di Diana), di aver viaggiato molto e di essere vissuto anche in Inghilterra (e per questo, a suo dire, non aveva un accento caratteristico). Aveva raccontato tante belle favolette sulla nebbia di Londra, sull’affollamento di Parigi e via dicendo...
Micol doveva ammettere che sentirlo parlare era piuttosto stimolante: riusciva sempre a parlare di argomenti intelligenti senza apparire noioso o arrogante.
Ma non voleva farsi irretire; aveva cercato di fare notare a Diana le stranezze del bell’arrivato, ma l’amica era cieca e sorda. Se ne era follemente innamorata e non l’avrebbe lasciato andare per niente al mondo.
Micol sbuffava e si arrabbiava, non capendo la testardaggine di quell’infatuazione: certo, Armand di sicuro era affascinante, cortese, bellissimo e... sexy, va bene, ma possibile che soltanto lei vedesse la tenebra della menzogna?
Eppure... Dovette ammettere che, sotto tutta quella tenebra, sperava anche lei di trovare la luce.

*

Dall’alto della sua venerazione per Micol nulla gli impediva di vedere Diana come una brava persona, simpatica e ricca di vita, così si preoccupò quando, all’Università, la trovò pallida e apatica.
“Diana stai bene? Sembra che tu abbia la febbre.” Le disse accostandosi, come a volerla scrutare più da vicino.
La ragazza si portò una mano alla fronte, appoggiandosi stancamente al banco; i suoi movimenti apparivano lenti e appesantiti.
“Ho un po’ di nausea questa mattina. Non preoccuparti, passerà.” Biascicò, scompigliandosi i capelli e scostando la frangia, come se la infastidisse.
Micol le porse un bicchiere d’acqua (che era appena andata a prendere): “Non dovevi venire, te l’avevo detto! Perché non sei rimasta a letto?”
“Micol ha ragione, non è salutare per te stare qui: dovresti riposarti e prendere un medicinale.” Aggiunse immediatamente Armand, suscitando l’approvazione (e lo sdegno, perché aveva osato chiamarla per nome) di Micol.
“Andiamo ragazzi, sto bene! Okay? Siete gentili a preoccuparvi, ma non ho assolutamente la febbre!” Si lamentò infastidita la malata, bevendo subito dopo un lungo sorso d’acqua.
Armand comprese un nuovo aspetto della sua improbabile amica: non accettava di avere bisogno di aiuto. Gli sembrò del tutto simile a quei bambini capricciosi che fingono di stare bene pur di non andare dal dottore.
“Non essere stupida, sei bollente ed io ti riporto a casa! Il professore è in ritardo, non se ne accorgerà!” Insistette l’altra, indossando subito la giacca e prendendo entrambi gli zaini.
“Mic, non insister-!” Diana dovette trattenere un conato di vomito troppo palese per essere ignorato.
Armand comprese allora che quello era il momento giusto per passare del tempo con Micol e guadagnare la sua fiducia; non perse tempo: “Vi accompagno in macchina, così non dovrà starsene in metropolitana.”
Micol sorrise sarcastica: “Primo: no, grazie! Secondo: con quale macchina, il tuo bolide invisibile? Eri in treno oggi, proprio come noi! Se vuoi renderti utile preoccupati di spiegare al signor Gilmore la nostra assenza, nel caso lo chiedesse. Okay?”
“Colpito e affondato.” Ammise con un sorriso.
Diana tentò di calmarli, ponendosi in mezzo con fare pacificante: “Non agitatevi, va bene? Armand, sei carinissimo a preoccuparti per me, ma sono nelle mani sicure di Micol.”
Sorrise ancora: “Lo so.” Disse soltanto.
Poi aggiunse: “Però voglio comunque accompagnarvi. Ho la macchina.”
Micol provò a ribattere, ma lui aveva già condotto Diana fuori e la giovane non poté che seguirli.
Armand sospirò: ipnotizzare col pensiero, a distanza di chilometri, un venditore d’automobili e costringerlo a portargli un auto lì nel parcheggio era piuttosto semplice, per lui. Spiegarlo a Micol, purtroppo, lo era molto meno.

*

Il viaggio fu un incessante e perpetuo interessamento alle condizioni di Diana, che più veniva “coccolata” più s’innervosiva; a meno di cinque minuti da casa arrivò ad urlare un irato “BASTA”, e così sia Armand che Micol si decisero a rimanere in silenzio.
Se Diana non fosse stata febbricitante avrebbe amato quelle attenzioni che le riservavano l’uomo che adorava e l’amica più cara che aveva; in quel momento, però, il sangue le fluiva rovente nelle vene e la rendeva molto più suscettibile e lunatica.
Voleva solo starsene per i fatti suoi e dormire. Così fu: la portarono nell’appartamento, la lasciarono in camera e le portarono giusto il necessario affinché potesse cavarsela da sola; avrebbero voluto rimanere in casa con lei ma Diana li cacciò, minacciandoli di esporsi volontariamente al freddo per aggravarsi ulteriormente, se fossero rimasti.
Così, seppur a malincuore, Micol aveva richiuso la porta di casa dietro sé, senza poter ignorare il magnetico sguardo di Armand sul suo profilo.
Perché si comportava così quel ragazzo?! Tutta quella farsa dell’amico preoccupato, della macchina e del voler restare a tutti i costi...
Ma forse non era una farsa, forse lui era innamorato di Diana.
Innamorato. Sentì il desiderio di picchiarlo, ma si trattenne; oh, non perché non ne avesse il coraggio...!
Avrebbe potuto tranquillamente dargli qualche bel pugno! Non erano le conseguenze a spaventarla, bensì le cause: perché il pensiero che a lui piacesse Diana la infastidiva?
Lei non era di certo innamorata, non era di certo gelosa! Il fascino di Armand non l’aveva ancora conquistata, no? No?
“Vuoi che ti porti da qualche parte, visto che Diana non ti vuole a casa per un po’?” Domandò pacatamente l’oggetto dei suoi pensieri, come tastando il terreno delle sue possibili reazioni.
“Con la tua macchina rubata? No, grazie.”
Sperò di avere smorzato ogni tentativo del suo interlocutore, ma così non fu; anzi, gli diede l’occasione di intavolare un discorso.
“Non l’ho rubata, te lo giuro.” La sua voce era così calma e bassa da sembrare quasi un sussurro.
“Sì certo, non ne dubito! Infatti, sebbene tu sia venuto in treno con noi e non ti sia mai staccato da noi, sei riuscito a procurarti una macchina con le chiavi già attaccate. Normale, no? Perché dovrei dubitare della tua onestà?” Rispose acida, complimentandosi con se stessa per la feroce ironia.
Lui rimase zitto.
“Dove l’hai presa?” Domandò allora seria, scrutandolo furente.
“Ne sono dispiaciuto Micol, davvero, ma non posso dirtelo.” Mormorò lui; nel dirlo abbassò gli occhi, proclamandosi colpevole.
Ma colpevole di cosa? Micol si pentì di averlo aggredito; non aveva riflettuto abbastanza ed aveva parlato d’impulso, come le succedeva quando non comprendeva qualcosa.
Si passò una mano tra i capelli, sbuffando per scaricare la tensione: “Senti, io non so più cosa pensare. Davvero. Prima ci segui, poi ti ritroviamo all’Università, poi mi dici quelle cose strane ed adesso aiuti Diana che sta male.”
Armand ascoltò quello sfogo in religioso silenzio, seguendo i movimenti della ragazza con impercettibili movimenti della testa.
Infine Micol esplose: “Ma si può sapere cosa vuoi da n... cosa vuoi da me?”
 “Voglio esserti amico.”
Ed in quel momento tra i due il più umano era lui.

*

Probabilmente la sua risposta l’aveva incuriosita, perché accettò di seguirlo fino al bar più vicino, il “Melody Coffee”. Era un bar spazioso e gradevole, con un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Una volta trovato il tavolo fece per prepararle la sedia, con galanteria, ma lei fu più rapida e si sedette immediatamente, sfidandolo con la sua indifferenza.
Lei mi piace.
Non si scoraggiò; le si sedette di fronte, chiedendole cosa voleva ordinare; lei in tutta risposta chiamò il cameriere e dettò direttamente a lui il suo ordine: una fetta di crostata ed un the.
Armand sorrise sconsolato di quella cocciutaggine.
Lei mi piace.
“Continuerai ad ignorarmi o parleremo? Pensavo volessimo chiarire.” Più che una constatazione fu quasi una proposta di pacificazione.
Micol cedette (come resistere a quegli occhi luminosi?): “E va bene... Se vuoi parlare ti ascolto.”
Lo disse in un sospiro, facendo trasparire noncuranza; dentro, al contrario, bruciava di sentimenti. Armand capì che quei sentimenti non erano per forza benevoli.
“Innanzitutto-“ Il cameriere portò il vassoio con la crostata e la bevanda calda, così Armand dovette interrompersi sin da subito; quando il giovane gli chiese se anche lui desiderasse qualcosa, sorrise e disse che no, lui non aveva fame.
Micol lo invitò a continuare il discorso, mentre si adoperava contemporaneamente a fare colazione.
“Innanzitutto mi voglio scusare. Credo di averti spaventata.”
Micol rise freddamente: “Tu non mi fai paura. Sei soltanto seccante.”
Il vampiro spalancò gli occhi, accennando un sorriso sorpreso: “Seccante? È questo che provi nei miei confronti?”
Era una domanda retorica a cui Micol non rispose.
“Mi voglio scusare, allora, per essere stato seccante...” Sapeva perfettamente che Micol aveva paura di lui, lo percepiva; ma non voleva contraddirla.
“Tu ci hai perseguitate.” Intervenne lei, senza troppi giri di parole. Non le piaceva tergiversare.
“E’ vero.” Ammise lui. Micol allora lo guardò negli occhi, non nascondendo la propria costernazione.
“Mi prendi in giro?” Chiese, non sapendo se ridere o se arrabbiarsi.
“No. Io vi ho seguite da quella sera in poi, è vero, l’ho fatto. Volevo rivedervi; non ho molti amici e raramente provo sentimenti forti e benevoli verso qualcuno.”
Micol rimase un momento in silenzio, con le labbra appena dischiuse e gli occhi persi nel vuoto.
“Ti sei innamorato di Diana?”
Armand rispose con un sorriso sereno: “No.”

*

Il cuore batté dieci volte più rapidamente, il cervello divenne leggero e quasi impercettibile.
Non osò porre la stessa domanda con diverso soggetto.
Insistette su Diana, si sforzò di concentrare ogni sua domanda su di lei: “Eppure ti comporti come se lo fossi!”
La voce le uscì stridula e si maledisse aspramente per questo.
“Io provo grande tenerezza nei suoi confronti. È una ragazza simpatica e vitale, mi fa piacere starle accanto.”
A Micol sembrò che ne parlasse come si parla di una bambina. Le sembrò che Armand non considerasse Diana sul suo stesso piano.
“Fammi capire... Ti sei iscritto alla nostra facoltà soltanto per rivederci?”
Soltanto per rivedermi?
Sorrise enigmatico: “Chi lo sa...!”
“Tu sei pazzo!”
L’espressione di Armand cambiò, ma Micol non riuscì a capirne il motivo.
“Oh, sì.” Rispose soltanto, pensando a qualcosa che lei non poté cogliere.
Per un po’ nessuno dei due seppe più cosa dire; rimasero dunque assorti ognuno in qualcosa, Micol nel cibo (che aveva ormai finito) e Armand nell’ambiente circostante.
La ragazza notò che lui aveva la sorprendente capacità di guardare tutto con estrema cura; riusciva a notare quei dettagli insignificanti, come le cuciture dei vestiti o quei particolari effetti ottici dovuti ai raggi del sole.
Era un ragazzo scrupoloso e attento, sempre ben curato e sorridente. Ah, ed era anche notevolmente pazzo ed incosciente. Sembrava buono, ma alle volte il suo sguardo assumeva un che di spaventoso; non era una persona decifrabile. Quando credeva di aver capito il suo carattere, ecco che lui faceva qualcosa di inaspettato, cambiando le carte in tavola.
Decise di rompere il silenzio: “E così sei francese, Armand de Lincourt.”
Lui si voltò verso di lei con rinnovato interesse, inglobandola nel proprio sguardo: “Sì può dire che io lo sia.”
“Tu non sai essere chiaro, vero?” Lo schernì lei.
“L’hai notato?” Sorrise di rimando lui (e quasi sembrò timido).
Micol si accigliò: “Difficile non notarlo. Non dici mai le cose come stanno: usi perifrasi, stai sul vago, giri intorno ai concetti... Sembra che tu non voglia che qualcuno ti conosca davvero.”
Armand colse l’occasione: “E tu vuoi conoscermi davvero?” Sorrise.
Lei arrossì, impercettibilmente ma inevitabilmente.
“Beh, in fondo non sei male. Sei ... interessante.” Ammise, abbassando lo sguardo.
“Interessante quanto un caso psichiatrico, suppongo.” Incalzò lui, facendola ridere.
Ebbene sì, Micol rise. Per la prima volta gli diede una chance.
E lui rise insieme a lei.
Risero tanto, risero a lungo, timidamente; spesso lo fecero quasi senza motivo. Felici entrambi, ognuno per motivi diversi.
O forse, in fondo, entrambi per lo stesso.

Fine capitolo 3

Perdonerete mai il ritardo? Sono stati mesi complicati e caotici. Il capitolo è corto, tranquillo, normale.
Spero soltanto che i cinque minuti che si impiegano a leggerlo siano stati piacevoli. ^^
Vi mando un abbraccio, cari lettori!

Sybelle

Ah... vi ringrazio, ovviamente, per le recensioni. Mi hanno fatto un gran piacere! <3
Ad Aphrodite: Micol in fondo è un personaggio un po’ idealizzato. Non è perfetta, ma idealizzata sì. Diana, al contrario, è il ritratto di molte ragazze superficiali ma anche simpatiche di oggi. Io non farei MAI amicizia con Diana. Micol è guardinga, sospettosa... Non timida, ma solitaria sì. Armand, come si vedrà, non è decifrabile perché non ha carattere. È una cosa che farò dire chiaramente, in futuro, ad un personaggio: Armand, nonostante la sua “veneranda” età, non è mai riuscito a formarsi un suo carattere. È collerico ma buono, passionale ma controllato, saggio ma incosciente. Credo che già si veda: lui non è in pace con se stesso, non si conosce ancora. Per questo scrive i propri pensieri, per auto-analizzarsi.


   
 
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