Presentazioni
Non che
fosse una tipa
particolarmente paranoica, ma
stranamente la prima ed unica ipotesi che era riuscita a immaginare era
quella
dello stalking.
Si diede della stupida: come
poteva subito pensare al peggio?
Esistevano le coincidenze, fino a
prova contraria; poteva persino essersi sbagliata, no?
Magari lui non la stava fissando
come credeva!
No, fuori questione. Il suo
cervello razionale si ribellò alle casualità
della vita, preferendo ad esse il
sospetto.
Micol del resto sognava di
diventare una famosa detective, l’intuito di certo non le
mancava.
Scese dal treno, dunque, immersa
nei pensieri più cupi, ringraziando il cielo nel constatare
che quell’individuo
non fosse sceso con loro.
“Micol...? Micol...? MICOL!”
Sussultò, mentre Diana le passava
una mano davanti agli occhi, cercando invano di attirare la sua
attenzione.
“Ci stai pensando anche tu eh?”
Esordì la ragazza, esibendo un gongolante sorriso malizioso.
“Pensando a cosa?” Chiese
distratta, tentando di comprendere l’eccitazione
dell’amica, pur non giungendo
a grandi risultati.
Diana parve sognante, se non
addirittura estasiata, nel rispondere: “Ma a LUI!
Non vorrai mica farmi credere di non averlo notato?!”
Domandò
dunque stizzita, come se Micol avesse compiuto così uno
scandaloso crimine.
Rimase sul vago, senza incrociare
il suo sguardo: “Forse, ma spiegati meglio.”
La bionda non se lo fece ripetere
due volte e subito si dilungò in un’appassionata
descrizione: “Era davanti a
noi, indossava una maglia nera, bellissima,
e dei pantaloni scuri a sigaretta, divini!
Aveva i capelli scuri e lunghi, veramente lunghi
–ma come sembravano
curati!-, la pelle bianca e perfetta e gli occhi... Oh, ma non hai
visto come
ci guardava?!”
Micol si ritrovò a pensare,
piuttosto egoisticamente, che Diana non centrasse niente:
provò una sorta di
odio verso l’amica, che riteneva di essere stata guardata da
quel tale.
Ebbe l’impulso di dirle che no,
non guardava tutte e due, che lui guardava lei. Lei soltanto.
Ma si sentì immediatamente
stupida ed infantile, e si limitò ad annuire col capo.
“L’ho visto ieri al Prince,
comunque.” Aggiunse, giusto per non sembrare troppo fredda.
“DAVVERO? Ma allora è del posto!”
Esultò Diana, esibendo un enorme sorriso.
“Sai Micol...”, disse subito
dopo, aggrappandosi al braccio dell’amica,
“...Credo di aver visto la mia anima
gemella!”
“Non esagerare, dai...!” Commentò
con un vago sorrisetto poco convinto, cercando di apparire tranquilla.
Non
dire cazzate!
Quanto
avrebbe voluto
urlarglielo!
“Signora,
mi scusi, non vorrei interromperla
mentre svolge il suo prezioso lavoro. Mi vedo d’altronde
costretto a chiederle
l’ubicazione dell’aula quattro. Sarebbe possibile
forse?”
La signora delle pulizie credeva
ormai di aver visto praticamente tutto, in cinquantotto anni di vita e
trenta
di onorata carriera; ma mai, mai aveva
visto un giovane –o forse era un uomo?- così
galante, ben educato e ... sexy.
Avvampò come una ragazzina,
balbettando inebetita la risposta.
“Lei è stata davvero gentile. La
ringrazio per la cortese informazione.” Dopo averla
abbagliata con un sorriso
perfetto –ed averla messa in totale imbarazzo-, si diresse
nella direzione
indicatagli.
Trovò immediatamente l’aula, vi
entrò e si sedette in un posto a caso; la classe era
costituita da sessantadue
membri, dunque era piuttosto piccola, e la maggioranza di questi era
maschile.
La sua ricerca sarebbe stata
rapida.
Ed eccola là, infatti, la
preziosa Micol!
Qualche banco più in basso vide
infatti una lunga chioma castana, le cui lisce ciocche terminavano in
piccoli
boccoli ordinati. Micol sorrideva divertita all’amica, che le
sedeva proprio
affianco.
Le due stavano controllando l’una
gli appunti dell’altra, divertendosi forse nel notare le
incongruenze e gli
errori dovuti alla distrazione.
Sentì l’impulso selvaggio di
richiamare la sua attenzione.
Che pensiero stupido ed
infantile!
Si prese il tempo di ammirarla;
notò che il suo viso era un po’ allungato e che la
sua pelle era liscia e
pulita; non si truccava molto e non era una che badava troppo
all’apparenza ed
alla bellezza.
Diana, l’amica bionda, al
contrario sembrava attentissima al proprio aspetto, pur non volendo
apparire
una ragazza facile o, ancora peggio, di cattivo gusto.
Vederle nella loro quotidianità
gli fece un certo effetto: erano entrambe sorridenti e rilassate,
ragazzine
giovani e semplici.
Per esempio Diana la sera prima
gli era sembrata vanitosa e oca,
usando il gergo moderno, mentre in classe appariva simpatica e gioviale.
Micol gli sembrò più coerente:
una persona pacata che sapeva sia adattarsi che prendere in mano la
situazione.
Il suo sorriso era così dolce!
Ma non poteva perdersi in certe
sciocchezze da mortali: il professore era entrato.
Così, mentre l’uomo aggiustava la
sua cartellina ed i suoi oggetti personali, lei, come era
già successo altre
tre volte dal giorno prima, si girò ed incrociò
il suo sguardo.
Allo spavento seguirono la rabbia
e l’indignazione, a loro volta seguite dal sospetto; non
scappò dai suoi occhi,
anzi, li affrontò con rara determinazione.
In quei pochi secondi
combatterono fieramente.
Chi avrebbe distolto lo sguardo?
*
Per tutta la vita aveva lottato
contro i pregiudizi altrui, così quando sentiva un paio
d’occhi su di sé subito
avvertiva un nuovo giudizio; la irritava.
Non poteva comunque giungere a
conclusioni affrettate: doveva scoprire se davvero la stessero
guardando.
Si girò e per l’ennesima volta si
trovò ad incrociare lo sguardo magnetico del tizio
affascinante.
Il cuore ebbe un sussulto. Paura.
Chi era? Non l’aveva mai visto prima: né a
lezione, né in città, né in
discoteca... Eppure dalla sera prima era diventato onnipresente.
E continuava a fissarla con quei
suoi occhi splendidi, come a volerla intimorire!
No, non era mai esistito che
Micol Hale, la spavalda, avesse avuto paura di qualcuno, e non sarebbe
successo
mai; nemmeno se ad atterrirla era quell’inquietante ed
attraente ragazzo
(uomo?).
Avrebbe ricambiato lo sguardo ed
avrebbe messo in ginocchio quel miserabile figlio di ...!
L’avrebbe costretto a distogliere
quegli occhi maledettamente sexy da lei; lui le sembrò
sorpreso, ma pronto
comunque a vincere la sfida che gli lanciava.
Il docente li interruppe sul
nascere, iniziando a parlare: “Buongiorno. Vi sarà
di certo giunta voce di un
accordo tra la nostra facoltà e la polizia;
l’accordo ora è ufficiale.
Comprende in particolare gli studenti dell’ultimo anno, ma
è probabile che
anche voi veniate coinvolti; il progetto consiste nella
compartecipazione lavorativa,
così noi della facoltà di criminologia potremo
partecipare alle indagini e
contribuire virtualmente ad esse. Potrete, nelle ore apposite di
lezione,
formulare ipotesi, alibi, accuse, moventi e quant’altro sia
utile ad
un’indagine.”
Il professore attese che la
classe manifestasse i propri sentimenti a riguardo, per poi cominciare
la
lezione.
Micol era sempre stata una
“secchiona”: i suoi appunti erano oggetto di
contese e di ammirazione.
Quel giorno non riuscì a scrivere
niente.
Quella
facoltà sembrava davvero
interessante: l’impulso di diventare uno studente si fece
sempre più forte...
No! Non poteva!
Cosa stava facendo? Era
impazzito?! Diventare studente sarebbe stato il primo passo verso la
socializzazione con gli umani, e questo avrebbe anche portato ad
incontri
sempre più ravvicinati con la ragazza.
Voleva conoscerla, voleva
parlarle. DANNAZIONE!
Stupido,
stupido, stupido! Non innamorarti! Perché non impari dal tuo
passato? Perché
non impari a diffidare?
Si
sentì preda di una sofferenza
che da tempo aveva dimenticato.
Seguirla o non seguirla?
Presentarsi o sparire?
Avrebbe tanto desiderato che lei
si voltasse di nuovo, per bearsi ancora dell’autunno dei suoi
occhi!
Con i suoi poteri avrebbe
tranquillamente potuto entrare nella sua mente e manipolarla fino a
farla
voltare, certo, ma non era ciò che voleva; lui voleva che
lei lo notasse per ciò
che era, per un moto volontario.
Sentiva il bisogno che lei
provasse per lui l’interesse che lui provava per lei.
Capì che non poteva lasciarla
andare così.
Posso
almeno provare a conoscerla.
Così,
finite le lezioni, andò
spontaneamente da lei e dalla sua amica.
Lei arretrò leggermente, schiva,
avvertendo forse un segnale di pericolo.
Era splendida.
Ora che la luce del giorno lo
illuminava –sebbene le nuvole grigie attutissero
l’effetto dei raggi solari-
poteva vederlo per come era veramente: non aveva rughe, imperfezioni o
brutti
lineamenti.
Il suo viso era pallido ma non
per questo sembrava malato, anzi, sembrava piuttosto in forma.
Era giovane ma definirlo giovane
era comunque sbagliato. Era strano.
Indossava un dolcevita nero,
jeans scuri e una cintura firmata (Valentino... Non era un famoso
stilista
italiano?); le scarpe erano semplici Adidas bianche con le strisce
nere. Il
look era sportivo ed informale, ma l’effetto finale, su di
lui, mozzava il
fiato.
I capelli non erano né neri, come
Diana sosteneva, né rossi, come credeva lei. Erano
indubbiamente scuri, castani
forse, ma dai riflessi si capiva che non erano castani; quando la luce
li
colpiva assumevano riflessi ramati, al contrario, se rimanevano
all’ombra, i
riflessi diventavano violacei.
Un colore parecchio insolito,
insomma, come i suoi occhi.
Improvvisamente si sentì
tremendamente banale con il suo semplice castano.
Prima di poter fare qualcosa,
Diana era già partita all’attacco: una simile
occasione non andava sprecata!
“Ciao, sono Diana Rowen! Sei
nuovo?” Coronò l’esuberanza con un
sorriso abbagliante.
Lui sembrò divertito; rispose con
voce garbata e tranquilla: “Piacere Diana Rowen.
Sì, effettivamente sono nuovo,
e non conosco ancora nessuno.”
Diana rimase affascinata dal
timbro profondo ed ammaliante dell’uomo, ma non perse
comunque tempo: “Come ti
chiami?”
Micol notò che, curiosamente,
venne preso da un rapido attacco di panico: solo per un istante i suoi
occhi
apparvero persi e incerti.
Si riprese molto velocemente: “Io
sono Armand De Lincourt.”
“Sei francese?” Domandò Diana,
colpita dalla singolarità del nome.
Pensò che tutto in quella persona
era estremamente inusuale:
l’aspetto,
i modi, il nome...
“Sì.” Rispose sorridendo, ed il
panico che per un momento lo aveva assalito si era già
vaporizzato.
Spostò lo sguardo su di lei: “E
lei come si chiama, madame?”
Avvampò, pur non volendolo, e
nessun broncio, nessuna diffidenza poté impedirle di
rispondere: “Micol Hale.”
*
In più si accorse di un fatto
singolare: mentre Diana, come tutti, rimaneva immediatamente sedotta da
lui,
Micol resisteva stoicamente, impedendosi di cedere.
Le sorrise, sperando che
cogliesse il suo invito a lasciarsi andare: fu inutile.
“Sono davvero felice di avervi
conosciute; in classe mi sentivo spaesato e solo.”
Aveva subito capito il carattere
della ragazza bionda e quindi sapeva perfettamente che lei avrebbe
subito
cercato di farlo sentire meno solo.
“Beh, hai già fatto un giro per
la città?” Incalzò lei, attendendo
fremente la risposta.
“No.” Rispose semplicemente,
aspettando che lei lo invitasse.
“Allora che ne pensi di venire
con me e Micol? Ci divertiamo!”
Micol non sembrò affatto
entusiasta, ma lui non poteva permettersi di rifiutare:
“D’accordo.”
*
Diana aveva
esagerato questa
volta. Invitare, senza consultarla, un emerito sconosciuto per
un’improvvisata
uscita a tre era l’azione più sconsiderata che
avesse mai fatto!
Che poi l’emerito sconosciuto
fosse un dio incarnato non era una scusante.
Il pretesto?
“Ti prego Mic, aiutami a
conquistarlo! Mi piace da impazzire!”
Cosa non si fa per gli amici...
“Armand, ma quanti anni hai?
Scusa se te lo chiedo, ma sembri più grande di noi... Non si
direbbe che hai
appena cominciato l’Università!”
Micol alzò gli occhi al cielo:
tipico di Diana esordire con domande patetiche.
Infatti lui rise, una risata così
dolce da stupirla: “Infatti io sono un
po’ più grande di voi, ho ventiquattro
anni. Comunque vorrei farti notare
che l’Università si può iniziare a
qualunque età.”
Diana arrossì, annuendo
impercettibilmente.
Riuscì a superare la brutta
figura in pochi minuti, intrattenendo il suo nuovo
“amore” con infinite
chiacchiere sugli argomenti più disparati; Micol li
osservava ad un passo di
distanza, studiando silenziosamente il bel -bellissimo, divino,
sensuale!- francese.
C’era qualcosa che non le
quadrava: l’idea dello stalking si fece ancora strada nella
sua mente.
Cercò di non pensarci.
Diana si fermò improvvisamente,
stupendo entrambi; iniziò a cercare qualcosa nella borsa,
finchè non ne tirò
fuori un foglietto stropicciato.
“Un promemoria.” Spiegò
frettolosamente, aprendolo.
In effetti Diana scriveva sempre
su un foglio le cose che temeva di scordarsi; purtroppo poi si
dimenticava del
foglio, così si era sempre da capo.
“Ecco cosa dovevo prendere! Mi
ero scordata di aver finito i soldi nel cellulare! Mi aspettate un
attimo
mentre vado a ricaricarlo? Ci metto un secondo!”
Esclamò tutto d’un fiato,
indicando un tabacchi poco distante.
Trovò stupido avere l’affanno per
una questione così semplice; Diana davvero si sentiva
così in soggezione con
Armand?
Lui al contrario sembrava
estremamente a suo agio: “Vai pure, noi non ci muoveremo
d’un passo.”
Rincuorata, corse subito al
negozio.
Lei ed Armand si ritrovarono
improvvisamente soli, in una piazzetta poco frequentata in un angolo
della
città incredibilmente tranquillo; la pace fuori e
l’inferno dentro.
Sentiva un disagio che non
riusciva a spiegarsi: paura, ansia, agitazione, sospetto... Cosa poteva
essere?
“Puoi avvicinarti sai?” Le
sorrise lui, educatamente sarcastico.
“Sto bene dove sto, grazie.”
Rispose il più freddamente possibile, senza incrociare il
suo sguardo. Non
sembrava un pervertito, però...
Fidarsi è bene, non fidarsi...
Non si sarebbe avvicinata dunque,
anche se a chiederglielo era stato un fotomodello dalla voce intrigante
e dai
modi di un gentleman! Non avrebbe fatto la figura della stupida!
Lui reagì in modo bizzarro:
sembrò rattristato ed un po’ deluso, come se lei
avesse rifiutato una proposta
galante. Lo guardò appena, giusto in tempo per notare il suo
cambio
d’espressione: la tristezza era stata sostituita da uno
sguardo assorto e
meditabondo, come incantato.
Parlò, e la sua voce fu talmente
bassa che dovette persino sforzarsi per sentirlo: “Sei
stata creata dagli angeli...”
Non poteva crederci: davvero
l’aveva detto?
“C-cosa? Come hai detto?”
Impacciata e presa alla sprovvista, non ricevette risposta.
Diana tornò, riprendendo subito a
ridere ed a scherzare intimorita con il francese.
Lui da parte sua le sorrideva
garbatamente dandole corda, e lanciò solo
un’ultima occhiata in sua direzione.
Lei era una statua: non poteva
esserselo immaginato; aveva davvero pronunciato quelle parole.
Si sentì stordita.
Ricominciando a camminare dietro
di loro, si concentrò sulla sua voce, notando che il tono
era leggermente
diverso: sembrava spontaneo, sincero e divertito, ma si
sentì abbastanza sicura
di poter affermare che quello che stava chiacchierando con Diana non
era il
vero Armand.
Il vero Armand era quello che le
aveva appena detto, con l’aria di un uomo che osserva la cosa
più bella di
questo mondo, che quella cosa più bella era lei.
Fine
secondo capitolo
Sono tanto felice di vedere che
questo remake ha riscosso successo!
Spero che il capitolo, per quanto
esiguo, vi sia piaciuto! ^^
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