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Autore: Sybelle    09/09/2010    5 recensioni
Lui era un vampiro. Sarebbe sempre stato tale: bello e perfetto per l’eternità.
…E lei?
Lei sarebbe lentamente cresciuta, cambiata.
Sarebbe diventata ancora più debole, il suo cervello si sarebbe rattrappito prima o poi, la sua pelle si sarebbe infiacchita…
Sarebbe diventata….vecchia.
E forse sarebbe anche diventata noiosa.
Forse sarebbe diventata brutta.
Ed allora avrebbe perso Armand.


Buona lettura a tutti voi =) Sybelle
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ebbene, questa è la nuova Starless Night. La vecchia l'ho appena cancellata da EFP.
I contenuti non cambiano, fondamentalmente. Cambia lo stile, cambia la profondità; ci saranno nuove prospettive, nuovi significati: spero di rendere questa storia più bella, più fluida.
Ringrazio tutti coloro che rimarranno al mio fianco, seguendola nuovamente.
E ringrazio tutti coloro che vorranno leggerla ora per la prima volta.
Ci vediamo a fine capitolo!

Gioco di Sguardi

Le luci psichedeliche della sala da ballo accecavano i giovani ballerini, annebbiando le loro menti e rendendo ancora più invitanti i drink ristoratori, freschi e rigorosamente alcolici; accaldati, ragazzi e ragazze si accalcavano intorno al bancone dell'angolo bar, esibendo il biglietto che permetteva loro di ottenere un drink gratis.
Altri, che già avevano sfruttato l'occasione, esibivano invece banconote d'ogni tipo.
Tra questi, particolarmente convinta sembrava una ragazza, già piuttosto ubriaca.
Era bella, molto: la pelle dorata era liscia e priva d'imperfezioni, mentre gli occhi verdi brillavano svegli; era frizzante, era viva. E voleva bere!
Dietro di lei, un'altra ragazza: meno bella, più comune.
Questa ragazza era seccata, nervosa, e di certo non si stava divertendo.
"Diana!" Chiamò.
La bionda (perchè la bella ragazza assetata portava un corto caschetto spettinato e biondissimo) la ignorò, o forse non la sentì: "Ehi bel giovane, da questa parte, una vodka lemon!! Ehiiii!"
La sua amica sospirò, irritata, e questa volta prese l'altra per un braccio, portandola via con energia: "Diana, ascoltami! Dobbiamo andare, è tardi!"
"Ma Micol, io devo rimorchiare!!" Protestò l'altra, dimenandosi.
Micol la guardò perplessa, incapace di proferire parola: "Sono... Sono le quattro di notte, sei impazzita?!?!?! Domani dobbiamo andare all'Università, ed io vorrei dormire!"
Diana sembrò pensosa, incerta sul da farsi; poi, esibendo un grandissimo sorriso, disse solo: "Allora prendimi!"
Sfuggì all'amica e corse via, lasciandola lì, sbigottita.
Micol non poteva di certo definirsi una cattiva ragazza, anzi: la pazienza era una delle sue virtù; ma in quel momento desiderava solamente prendere il collo di Diana e stritolarlo, come si fa coi polli.
La pista era affollata, buia, e la massa danzante era informe ed omogenea: trovare Diana lì dentro avrebbe richiesto troppo tempo, ed una dose di pazienza extra che lei non possedeva; per fortuna quel posto (il Prince, discoteca piuttosto affermata) constava anche di un secondo piano, dal quale era possibile vedere la pista sottostante.
Evitando pozze di alcool, bicchieri rotti, gente ubriaca e ragazzini dallo sguardo vacuo, riuscì a raggiungere il piano superiore: un ragazzo la guardò malizioso, ma lei non lo considerò nemmeno.
Diana era sempre alla costante ricerca di un ragazzo, e si sentiva persa senza: inutile, vuota.
E Micol questo non lo sopportava. Micol non sopportava l'idea che una donna si sentisse incompleta senza un uomo; a Micol non piaceva che una donna cercasse un uomo per un motivo del genere.
La giovane aveva avuto storie, in passato: storielle adolescenziali, nulla di importante; ed ora poteva affermare senza alcun dubbio di stare molto bene da sola.
Finalmente vide la propria amica: quella sciagurata si scatenava -dando spettacolo- al centro di un gruppetto di ragazzi; sospirò, sfinita: il giorno dopo gliel'avrebbe fatta pagare, oh sì.
Il suo sguardo viaggiò veloce lungo l'intero locale, e senza motivo si soffermò sul bancone del bar. E fu strano, a quel punto, ritrovarsi ad affrontare un insistente sguardo ambrato.

*

Si trovava al Prince più per caso che per voglia: non amava le luci al neon, né quella musica caotica e quello scatenato modo di ballare, così sgraziato e spesso volgare.
Ricordava con nostalgia gli eleganti balli dell'Ottocento, le allegre fiere medievali e la musica sicura e tonante del giovane Mozart.
Nei secoli tanti aspetti della vita erano mutati inesorabilmente: un tempo i giovani non si divertivano di certo a quel modo; né, tantomeno, ragazzi e ragazze si conciavano così pur di piacere.
Da quando era entrato aveva già notato parecchie coppie appartarsi, senza mai essersi viste o conosciute prima; e il dialogo, il valore dell’animo umano? Dove finivano in quello sfavillante secolo?
Si era sentito un po’ solo, forse. Da tanto non abbracciava una persona amata!
Che fosse stata la solitudine a spingerlo lì? Sia ragazze che ragazzi gli si erano avvicinati, ma nessuno di loro avrebbe mai potuto colmare quel vuoto; li aveva attratti involontariamente, e liberarsene era diventato quasi seccante.
Odiava i propri poteri. Il naturale fascino era di certo un’arma vincente quando si trovava a caccia, affamato: purtroppo era una lama a doppio taglio, che lo vedeva oggetto d’innumerevoli attenzioni da parte dei mortali, accecati dalla sua bellezza.
Ma come spiegare loro che ciò che più desiderava era essere amato per la propria anima?
Voleva una compagna –od un compagno- che avesse occhi non solo per i suoi pregi, ma anche per i suoi difetti.
Rise, ed il suo candido sorriso sbalordì e ammaliò le persone più vicine.
Davvero voleva tornare ad amare? E chi? Non conosceva vampiri e vampire interessanti, e legarsi ad un umano sarebbe stata solo un’inutile seccatura.
Eppure … I suoi sensi erano all’erta.
Troverai la persona giusta!, dicevano.
ORA!
E allora si era voltato, come faceva da due ore a quella parte, verso l’entrata; infatti erano appena arrivate due ragazze.
La prima era bellissima: fisico formoso e tonico, sguardo seducente, sorriso da ragazzina e capelli biondo sole.
Indossava un minivestito verde scuro che risaltava la pelle abbronzata, e si muoveva a suo agio sui tacchi di tredici centimetri, evitando le persone e facendosi strada.
Lesse un solo, chiaro messaggio nei suoi pensieri: trovare un bellissimo ragazzo.
Sorrise, ridendo di quella smania d’apparire; era così giovane, così ingenua…! Quanti anni? Diciannove, poco meno!
Era giunta al Prince con la propria migliore amica; si prese il tempo di osservarla.
Era più alta e più asciutta della bionda, ma i suoi muscoli erano anche più allenati (nuoto, palestra… boxe? Possibile?).
I capelli, legati in una treccia ordinata, erano lunghi e castani, mentre gli occhi (vigili, come se avesse voluto mantenere il controllo sull’intera sala), contornati da un filo di matita nera, erano di un castano più chiaro.
Indossava vestiti più economici e meno appariscenti di quelli dell’amica, e sul viso pallido si delineava di tanto in tanto un sorriso corrucciato.
Non era bella ed attraente quanto l’altra ragazza, eppure rimase soggiogato da quel viso e da quel corpo: la trovava meravigliosa.
Effettivamente, a voler essere sinceri, lui trovava del bello in ogni cosa (anche nella più abominevole); poche volte, però, rimaneva a bocca aperta.
Quella ragazza lo incuriosiva: vedeva qualcosa di totalmente diverso in lei.
La osservò, carpendo dai discorsi con l’amica –che lui sentiva perfettamente, solo concentrandosi sulle loro bocche- e dai pensieri di entrambe sprazzi della loro vita e della loro personalità.
La bionda si chiamava Diana, aveva diciotto anni e, come aveva immaginato, stava disperatamente cercando un principe azzurro (o lillà, blu, magenta… insomma, le bastava che fosse un uomo e respirasse); era una ragazza dal cipiglio deciso e dall’ubriacatura veloce, come poté presto constatare.
L’altra… L’altra era Micol.
Subito pensò che in ebraico significava “colei che regna”.
Oh, ed aveva una personalità degna di una regina! Diciannove anni, pochi soldi in tasca e tanta praticità: aveva la testa sulle spalle.
Vide nei suoi pensieri la rabbia nei confronti dell’amica, che l’aveva costretta ad uscire; vide nei suoi pensieri le sue idee sull’amore (come la comprendeva!); e vide, cosa più importante, la scuola che frequentava.
Si perse nell’ammirarla, così leggiadra e sicura di sé, e sorrise compiaciuto quando anche lei notò la sua presenza.

*
Ricambiò lo sguardo, ma notando che il misterioso osservatore non si decideva a distogliere gli occhi da lei, non tardò a voltarsi per prima, mentre il suo animo oscillava tra l’irritazione e l’imbarazzo.
Scese di corsa le scale, inciampando più volte sui corpi esausti di ragazzi che il giorno dopo non si sarebbero ricordati di niente, e quando arrivò alla pista la percorse in tutta la sua lunghezza, arrivando subito dall’amica.
Quella, sbronza, ballava (o meglio, si dimenava) come una forsennata e ammiccava maliziosamente in direzione di chiunque le capitasse a tiro.
Le prese il polso, tirandola verso di sé: “Forza Diana, dì ciao al tuo amichetto, dobbiamo andare!”
La bionda obbedì di buon grado, agitando la mano e salutando tutti con voce cantilenante, mentre si allontanava sospinta dalla bruna, che agguerrita si apriva la via verso l’uscita.
Lottò ed arrancò, ma alla fine riuscì a guadagnare la porta: una volta fuori respirò a fondo la fresca aria notturna, sollevata.
Si incamminò verso la strada, dove una navetta le avrebbe riportate vicino a casa; indossò la giacca, costringendo l’amica a fare lo stesso.
“Ehi Micol, chi è quel tizio tutto alto con la torcia?” Esclamò ad un certo punto Diana, sgranando gli occhi ed indicando un punto imprecisato dietro la sua schiena.
La ragazza, stupita, si voltò a guardare, scoprendo che la sua cara compagna ubriaca non riusciva più a distinguere una persona da un lampione; sospirò, amareggiata, chiedendosi perché proprio a lei fosse capitata una migliore amica del genere.
Prima di distogliere lo sguardo, però, notò un particolare ben più sorprendente: lo stesso individuo di prima era appoggiato a quello stesso palo della luce e seguitava ad osservarla.
Era giovane, era vecchio? Impossibile a dirsi. Poteva avere qualunque età.
L’ovale del viso –pallidissimo, ma probabilmente era solo un effetto dovuto al lampione ed alla notte- era circondato da lunghi capelli scuri; alla luce del lampione le sembrarono rossi, o comunque ramati, ma non ne era certa.
Lo guardò per poco meno di un istante, ma le parve bellissimo. Non c’era nulla di stonato in quella presenza, che sembrava quasi fondersi con l’ambiente circostante.
Lui schiuse la bocca, forse per parlare, ma la navetta arrivò proprio in quell’istante e Micol non esitò a salirci sopra, trascinando con sé l’amica mezza addormentata.

*
La vide allontanarsi, con l’animo in tumulto.
Cosa voleva dirle, prima? Perché voleva parlarle?
Prese dalla tasca dei pantaloni un registratore, che accese: “Non so cos’abbia Micol Hale di diverso da tutte le altre, anzi, si direbbe una normalissima ragazzina. Sono tormentato: seguirla o lasciarla andare? Ora che non è più qui, questa notte mi appare insignificante.”

*
“Diana!! Diana, Diana, DIANA! Svegliati!”
Una forza sconosciuta la strappò a forza dalla dolce dimensione onirica in cui era piombata, costringendola ben presto ad aprire gli occhi..
Scoprì così che la forza sconosciuta non era altro che Micol, che urlava come un’ossessa, maledicendola ogni quattro parole.
“Mic, piantala! Ho un gran mal di testa, lasciami dormire!” Mugugnò con la voce impastata dal sonno, stiracchiandosi e sbadigliando.
La ragazza perse completamente la testa: “CALMARMI?? Io dovrei calmarmi??? Tra un’ora abbiamo lezione!”
Diana rimase un momento in silenzio, come imbambolata, poi si rianimò di colpo: “NON CE LA FAREMO MAI!”
Balzò giù dal letto e quando si trovò davanti allo specchio si spaventò nel vedere il viso pallido ed il trucco rovinato: “Oh cielo!”
Seguì l’apocalisse: vestiti dovunque, libri ammucchiati nelle borse senza un ordine logico e, naturalmente, urla isteriche provenienti da entrambe.
Micol incolpava Diana di essere una testarda alcolizzata che non dava retta a nessuno, mentre Diana, dal canto suo, accusava Micol di non essere stata abbastanza convincente la sera prima. Rimandarono comunque i battibecchi, così da poter risparmiare tempo, e riuscirono a salire sul metrò giusto in tempo per arrivare in orario alle lezioni.
Una volta a bordo nulla impedì alle due di litigare in santa pace, finchè non trovarono il giusto compromesso e non si stancarono di discutere.
Diana non voleva assolutamente fare cattiva impressione durante le prime lezioni e proprio per questo pregava con tutte le forze che arrivassero in tempo; Micol, intanto, per distrarsi un attimo si mise ad osservare i passeggeri, immaginandosi le loro vite ed i loro caratteri.
E quasi le venne un colpo, quando notò un viso improvvisamente familiare...!
Se ne stava lì, elegantemente seduto con le mani in grembo, a scrutarla; a sua volta era osservato da tutti i passeggeri lì attorno, ma non sembrava curarsene. Inutile dire che il principale motivo di tanto interesse da parte dei presenti era la sua innata bellezza, perfetta in maniera quasi agghiacciante.
Non sorrideva, ma non sembrava per questo serio o cattivo: piuttosto le sembrò assorto.
I suoi occhi presentavano dolci riflessi caramellati, mentre l’oro ed il castano si fondevano in un unico colore.
L’ultima cosa che ebbe modo di notare, prima di scendere velocemente dal mezzo, fu che i suoi capelli all’ombra apparivano neri.

*
Aveva commesso l’ennesimo errore seguendola? Probabilmente sì.
Era sembrata così spaventata! Eppure, nonostante l’evidente spavento, non era scappata; aveva ancora una volta affrontato i suoi occhi, osservandolo attentamente.
Era una donna forte, lo percepiva; ma era ancora tanto giovane...!
Basta, doveva evitarla. Non doveva più cercarla, né doveva continuare ad atterrirla con la sua presenza; doveva placare quella voglia, quella fame di vederla.
Scese in una fermata a caso, allontanandosi subito dalla calca di gente che affollava la stazione.
“Cuore mio, cuore mio, smettila di palpitare!” Bisbigliò a se stesso, domandandosi il motivo per cui il proprio avvizzito organo aveva improvvisamente ripreso a battere tanto intensamente.
Era lei? Era l’umana a renderlo...umano?
“Dunque anche un vecchio vampiro come me può ricadere sempre negli stessi errori?” Si chiese, mentre l’aria carezzava dolcemente (o era forse forte quel vento? Quasi non lo sentiva!) il suo corpo.
Prese nuovamente il registratore, che accese con aria distratta: “Sento il bisogno di donarle qualcosa. Mi sembra povera economicamente; io invece sono ricco e solo. Potrei renderla la mia regina, potrei farla felice. Ma non può funzionare ed io mi sento soccombere già. Perché le do tanto peso? L’ho solo vista. Non ha nulla che altre donne ed altri uomini possano invidiarle.”
Sospirò, ripercorrendo il profilo di quel bel viso con la mente: sentì l’impulso di rivederlo ancora e ancora, per il resto della sua esistenza.
Lei non ha importanza per me, si disse, ma il suo stesso viso lo tradì sorridendo appena.
Portò ancora alle labbra il piccolo apparecchio elettronico: “Credo che questo sia ciò che gli uomini chiamano colpo di fulmine. Che gli dei mi proteggano.”
Lo spense, rimettendolo in tasca.
Ad est c’era il centro cittadino, a nord la campagna, ad ovest la sua villa, a sud l’Università.
Corse più veloce del vento, per arrivare pochi secondi dopo.
Così vecchio e così sciocco!, si disse.
Troppo tardi, ormai era dentro.

Fine primo capitolo

Che dire? =)
Aspetto pareri!
Ah, per chi non avesse seguito la storia da prima e non lo sapesse: non vuole in alcun modo essere un plagio di Twilight.
È solo una storia che volevo scrivere da tempo.
Lasciatemi un commento, se il capitolo vi è piaciuto.
Sybelle

Un disegno di...DIANA.
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