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Autore: Mary15389    30/04/2011    5 recensioni
Uno strano incontro può cambiare la vita di una giovane italiana appena sbarcata a Washington?
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My life has just begun CAP32 CAPITOLO 32

Avevamo consegnato Thomas Duster alla polizia locale. L’avrebbero messo in prigione e poi processato. Il nostro lavoro era finito. Dopo aver ritirato tutto il necessario al dipartimento, ci avviammo per ripartire con il jet. Durante il viaggio verso la pista, il cielo si stava scurendo. Era già sera e avremmo passato parte della notte in volo.
Salimmo sull’aereo e ci sistemammo, ognuno su un sedile.
“Come sei arrivata fin qui?” mi chiese riscuotendomi dai miei pensieri Morgan.
“Ho preso un aereo di linea all’aeroporto di Washington...” non avrei aggiunto altro sul come avessi realmente convinto l’impiegata a farmi salire sull’aereo. “Ma voi come avete capito che avreste trovato Duster alla tomba dei suoi genitori?”
“La nostra informatica di Quantico facendo ricerche ha scoperto che la tomba della famiglia Duster si trovava proprio a Salem, dove era stato visto dirigersi il nostro uomo...” mi spiegò Rossi. E non riuscii a trattenere un sorriso al pensiero che con la mia telefonata a Garcia avessi dato l’idea anche a loro su dove andare. Almeno Penelope non mi aveva tradito.
“E tu come hai capito che sarebbe stato lì?” domandò ora l’agente Prentiss.
“Ho ricordato quello che mi aveva detto prima di abbandonarmi nel capanno. E ho capito che per lui chiudere la partita voleva dire portare a termine quello che non aveva avuto il coraggio di fare quando invece era fuggito. Uccidersi. E che se era andato in Oregon, voleva farlo dove tutto era cominciato...” sospirai ripensando al mio carnefice piangere davanti alla tomba dei genitori.
“Hai avuto un sangue freddo straordinario. Voglio dire, disarmata, nelle tue condizioni, ragionare con lui in quel modo.” Il sorriso di JJ era sincero.
“Non volevo fare l’eroina, non è da me, semplicemente avendo vissuto la prigionia con lui e avendogli parlato prima di quel momento, credevo di poter usare le parole giuste per convincerlo a non fare sciocchezze.”
“E così è stato...” aggiunse l’agente Hotchner. Non era più così ostile come agli inizi. Avevo apprezzato il suo gesto di permettermi di ammanettare io l’assassino, l’avevo visto come un suo voler riappacificare i rapporti tra di noi. Di certo non avevamo cominciato bene. Ma potevamo migliorare.
Il silenzio di Spencer mi turbava invece. Mi guardava parlare con gli altri, ma da quando mi ero risvegliata all’ospedale non mi aveva detto nulla.
“Sarai stanca...” disse lasciandomi senza parole, “forse è meglio che ci riposiamo tutti...”
“Ottima idea!” gli sorrise di rimando JJ. E tutti si alzarono per trovare il posto dove dormire. La luce della cabina del jet si abbassò.
Io andai ad occupare il sedile accanto all’ingresso. Alla mia sinistra Emily e di fronte a lei Morgan. Ai due capi del tavolino Rossi e Hotch. Mentre JJ occupava la poltrona di fronte a me.
Io non potevo staccare gli occhi da Spencer, sdraiato sul lungo divanetto dalla parte opposta a dove mi trovavo io, sul fondo.
In breve tempo erano tutti addormentati. Io non riuscivo a prendere sonno, colpevoli i dolori e le emozioni della giornata. Impiegavo il tempo guardando dormire Reid. Era meraviglioso. Sdraiato sul fianco, mi rivolgeva il suo viso illuminato dalla penombra del veicolo. I capelli scompigliati, l’espressione rilassata e sognante. Sarei rimasta così per tutta la vita. Si muoveva ogni tanto, lamentandosi lievemente per i suoi sogni. Non riuscivo ancora a credere di aver baciato una creatura così bella. Con gli occhi accarezzavo le forme del suo corpo coperte da una giacca usata come lenzuolo.
Poi mi rivolsi verso il finestrino a guardare il paesaggio illuminato delle città che sorvolavamo. Mi stavo rilassando, ma di prendere sonno non se ne parlava proprio. Non avevo più dubbi sul mio lavoro. Lo sentivo mio, mi realizzava, nonostante i suoi pericoli. E ogni singola persona su quel jet era qualcuno per cui valeva la pena rischiare e morire. Non mi sarei potuta augurare nulla di meglio.
“Non riesci a dormire?” una voce interruppe i miei pensieri. Scossi il capo senza nemmeno voltarmi, non avevo dubbi su chi si trattasse.
“Tu invece dormivi profondamente fino a qualche secondo fa...” adesso permettevo ai miei occhi di incontrare i suoi. Era sempre di fianco, ma si era sollevato su un braccio per guardarmi meglio. E stava arrossendo.
“C’è qualcosa che non va?” mi chiese preoccupato.
“No...” mi alzai lentamente per non svegliare i nostri colleghi e mi diressi verso di lui sorpassando JJ e Emily, ognuna sdraiata su un diverso sedile accanto e di fronte a me, Rossi con la testa appoggiata al tavolino, Hotchner seduto sempre composto anche nel sonno. E Morgan che si era addormentato con le cuffie alle orecchie. Raggiunsi il dottor Reid che mi guardava con lieve panico.
“Posso?” gli feci cenno di liberarmi un po’ di spazio accanto a lui per sedermi.
“Ma certo...” si agitò per spostarsi insieme alla coperta improvvisata, che puntualmente cadde a terra per darmi la prova dell’imbarazzo che provava. Mi sedetti e nel farlo mi si scoprirono alcune delle bende che mi erano rimaste dall’ospedale.
“Hai proprio esagerato oggi,” mi rimproverò con dolcezza, “ti fanno male?” indicò con la testa le mie ferite.
“Mentirei se ti dicessi di no, ma posso sopportarlo.” Silenzio di nuovo. Alzai le gambe sul sedile cercando una posizione più comoda. Sotto lo sguardo vigile di Spencer.
“Ho fatto qualcosa che non dovevo?” chiesi improvvisamente.
“Perché?” si sbalordì.
“Non so perché, ho come l’impressione che mi eviti...mi dispiace comunque. Qualsiasi cosa abbia fatto è stato involontario.” Poggiai delicatamente la mia testa sulla sua spalla. Si irrigidì lievemente ma poi lo sentii rilassarsi.
“Non hai fatto niente che non dovevi. Scusami tu se ti ho dato un’impressione sbagliata...” trasferì quindi la giacca su di me per impedirmi di prendere freddo. Chiusi gli occhi. Quel ragazzo aveva sempre un ottimo influsso su di me.
“Nicole...”
“Che c’è?” mormorai nella mia rilassatezza.
“Quando...quando ti ho trovato nel capanno di Duster, tu...tu parlavi.” Non ricordavo nulla di tutto questo.
“Non ricordo di aver parlato. E cosa dicevo?” il controllo delle mie funzioni mi veniva sempre più difficile.
“Tu...” non riuscì a continuare. “Tu chiamavi il mio nome...” alla fine pronunciò tutto d’un fiato.
Prima ancora che potessi rispondergli qualcosa, il sonno mi colse.
  
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