~Sometimes
you have to be apart from people you love,
but that doesn't mean you love them any
less.
Sometimes it makes you love them even
more.~
When my world is falling apart,
when there is no light to
break up the dark
that's when I look at you.
When the waves are flooding
the shore and I
can't find my way home
anymore
that's when I look at you.
Capitolo
diciassette.
Lilian.
Con
le mani affondate nella tasche della giacca mi diressi verso casa.
Nella mia mente i pensieri vorticavano frenetici, giravano in
mulinelli, come
foglie autunnali carezzate dal vento. Immagini si susseguivano sulla
palpebra
del mio occhio, ogni qual volta le sbattevo. Vedevo conchiglie, Diane,
Cassie…
David. La sua immagine non faceva che mettermi in agitazione e, per
quanto
odiai doverlo ammettere, mi intimoriva.
Paura. Ma paura di cosa? Di sbagliare ancora? Di lasciarmi andare?
Dimostrare
che mio padre aveva ragione, che avrei accettato tutto questo e
continuato una
vita che non mi apparteneva? Ma, forse, era proprio questo il punto: il
mio
orgoglio. Quel maledettissimo orgoglio ereditato da mio padre. E in
quel
momento l’unica cosa che avrei davvero voluto scoprire era:
che ruolo avesse
David.
Per qualche inspiegabile motivo, la sua compagnia non mi era
dispiaciuta. Per
qualche assurdo motivo, in quella cucina, l’uno di fronte
all’altra, legati da
un cordoncino ed una conchiglia avevo la sensazione di conoscerlo da
anni…
anche se, in effetti, in parte era così. Tutto era diventato
facile. La sua
pelle calda sotto le mie dita, i suoi occhi sinceri e gentili, il suo
sorriso
cordiale. E l’irritazione, l’antipatia erano
svaniti, come non ci fossero mai
stati. E, per questo, ne ero terrorizzata.
Accettare tutto, a che costo? A che prezzo?
Scossi il capo, cercando di cancellare i numerosi pensieri e alzai gli
occhi al
cielo, alle nuvole azzurre e grigie, desiderosa di sgombrare la
mente… ma non
ci riuscii.
Sbuffai, irritata da me stessa, e, scuotendo il capo, mi morsi il
labbro inferiore
chiedendomi cosa sarebbe accaduto il girono seguente. Cosa sarebbe
accaduto a
scuola, cosa sarebbe accaduto a casa di David, come si sarebbe
comportato lui,
Diane.
Basta!, mi rimproverai.
Salii le scale della veranda e le assi del pavimento scricchiolarono
sotto il
mio passo leggero. Girai la maniglia ed entrai, sfilandomi la giacca e
poggiandola sul mobile a sinistra.
«Lily?»
«Sì, nonna, sono io.» risposi
dirigendomi in cucina. Sbirciai in salotto, non
c’era nessuno.
«Il nonno e papà?» chiesi poggiandomi
allo stipite della porta ed incrociando
le braccia al petto.
«Sono passati al supermarket.» rispose sorridendo.
Indicò la ciotola che teneva
stretta fra le braccia. «Vuoi assaggiare?»
Corrugai la fronte e mi sporsi appena in avanti.
«Cos’è?»
«Pastella al cioccolato.»
Mi morsi il labbro inferiore e mi avvicinai cautamente, con lo sguardo
della
nonna fisso sul mio viso. Esitai prima di affondare l’indice
nella pastella e
portarmelo alla bocca. Chiusi gli occhi, gustandone il sapore.
«Ti piace?» chiese in un risolino.
Aprii di scatto gli occhi ed esclamai:
«Sì!» poi affondai ancora il dito nella
pastella e mi nonna mi diede un buffetto sul dorso della mano.
«Fila via, signorina!» ridacchiò
prendendo una teglia.
Risi, sedendomi sul piano della cucina. Mia nonna, che reggeva la
ciotola con
un braccio, si voltò e guardarmi con espressione sorpresa.
«Cosa c’è?» chiesi confusa.
I suoi occhi scrutarono per attimi interminabili i miei, poi sorrise
scosse
piano il capo.
«Nulla.»
Sospirai. «Avanti, parla.»
Scosse il capo.
«Dai.»
Lei si voltò e rispose, titubante. «Sembri
felice.»
Quelle parole mi travolsero e mi sentii in colpa. Lei non aveva colpe.
Lei non
era responsabile di nulla. Le avevo fatto del male, l’avevo
ferita.
E, d’un tratto, non potei non chiedermi chi stessi
diventando. E il ricordo di
mia madre mi colpii in pieno viso, mozzandomi il respiro e lacerandomi
il
cuore. Lei non avrebbe mai voluto che mi comportassi così,
non avrebbe mai
voluto vedermi in quello stato, non avrebbe mai voluto che
mi… facessi del
male.
Feci una smorfia di dolore, piegandomi su me stessa, poggiandomi una
mano sul
ventre.
La nonna lasciò la ciotola e si avvicinò
preoccupata.
«Lily, cosa succede?» mormorò
spaventata, carezzandomi il capelli.
Alzai il capo e guardai i suoi occhi, così simili a quelli
della mamma, così
simili ai miei.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi e dovetti sbattere più
volte le palpebre
per cacciarle via.
«Lily…» gemette la nonna.
Perdonami, mamma.
«Ti voglio bene, nonna.» mormorai, lasciandola
senza fiato.
L’acqua
calda mi accarezzò il corpo, mi distese i nervi, mi
abbracciò e mi tenne
stretta per attimi interminabili. Mi massaggiò e mi distese
i muscoli. Mi
poggiai al muro, lasciandomi cadere fino a toccare il piano in
ceramica.
Strinsi al petto le ginocchia e lascia andare indietro la testa,
poggiandola al
muro.
Mi sentivo confusa, stralunata. I ricordi del pomeriggio sembravano
appartenere
ad una vita passata, ad un girono lontano. In quel momento tutto mi
parve
irreale, e mi chiesi se fosse davvero accaduto. A darmene conferma fu
il
battito del mio cuore, troppo veloce.
Sospirai e mi misi in piedi, liberando i capelli dagli ultimi residui
di
balsamo.
Chiusi il rubinetto e coprendomi con un accappatoio uscii dal bagno, ma
prima
di dirigermi in camera, mi avvicinai alla finestra nel corridoio,
quella che
dava sul mare ed osservai l’andirivieni delle onde, il loro
accarezzare la
sabbia, il loro essere assorbite dalla sabbia, troppo gelosa per
lasciarle
andare via. Poggiando i polpastrelli sul vetro freddo, osservai le
prime gocce
di pioggia infrangersi con delicatezza contro esso ed il cielo
tuonò in
lontananza. Mi chiesi cosa stesse facendo David… cercai di
eliminare il suo
pensiero dalla testa e, scuotendola, mi diressi in camera, chiudendomi
la porta
alle spalle.
Inserii nello stereo un vecchio CD di Frank Sinatra e mi stesi sul
letto,
lasciandomi cadere con un tonfo sordo.
«Cosa ti prende?» mormorai prendendomi il viso fra
le mani. «Cosa?»
Con movimento meccanici, persa con la mente nell’oceano,
pensando a quanto i
delfini fossero mammiferi straordinari, mi vestii, indossando una
vecchia tuta
grigia e mi asciugai i capelli.
Afferrai il libro di biologia e scesi le scale, lentamente.
«Ciao, tesoro.» disse mio padre, alzando gli occhi
dalla sua agenda.
«Ciao, Lily.» mi sorrise mio nonno, distogliendo lo
sguardo dalla TV.
Alzai una mano a mo’ di saluto e accennai un sorriso.
«Ciao, papà. Ciao,
nonno.» poi mi diressi in cucina, dove trovai la nonna
indaffarata ad
apparecchiare.
«Lascia che ti aiuti.» mormorai lasciando il libro
su una sedia e sorridendo
flebilmente.
«Grazie, cara.» mormorò baciandomi il
capo.
Così afferrai i piatti e le posate. Apparecchiamo insieme,
in religioso
silenzio, un silenzio che però non era opprimente, ma
naturale come l’acqua che
scorre in montagna. Non mi sentivo in dovere di parlare dopo
ciò che era
successo nel pomeriggio, anzi, era come se mi fossi in parte liberata
di un
peso invisibile, di cui ne ignoravo l’esistenza e la natura.
Cenammo ed, io, mi limitai ad ascoltare mio nonno organizzare con mio
padre la
prossima mattinata dedicata alla pesca, sorridendo di tanto in tanto.
«Perché non vieni anche tu, Marie?»
chiese il nonno.
Lei scosse il capo. «Devo andare in parrocchia sabato
mattina.»
«Oh, giusto, giusto.» annuì piano lui.
Mi portai alle labbra un pezzo di torta al cioccolato.
«E tu, Lily? Perché non vieni? Sono certo che a
tuo padre farebbe piacere.»
Mi bloccai, con il braccio a mezz’aria. Poggiai la forchetta
nel piatto.
Mi morsi il labbro inferiore, abbassando lo sguardo sul piatto.
«Non lo so.»
mormorai, ignorando la risposta celata nel mio cuore.
Mio nonno schiocco la lingua, per poi ridacchiare. «Le donne.
Sempre così
indaffarate.»
«Il mondo gira intorno a noi, caro.» sorrise la
nonna, carezzandomi il dorso
della mano. Quella scena carica d’amore mi lasciò
interdetta e mi intenerì.
Finimmo di cenare e mio padre aiutò la nonna a sparecchiare.
Io indossai una
giacca pesante e, afferrando il mio libro di biologia, uscii in
veranda,
sperando di riuscire a studiare qualcosa.
L’aria frizzante mi colpii in pieno viso, così
chiusi gli occhi e, lì, in
piedi, con il libro stretto fra le braccia, inspirai profondamente,
assaporando
quasi sulla lingua il sapore dell’acqua salata.
Mi sedetti sul dondolo, appeso al soffitto, nella parte destra della
veranda.
Mi portai le gambe al petto, coprendole con la coperta in lana che la
nonna
aveva portato quel pomeriggio, aprii il libro e cominciai a leggere.
Senza
accorgermi di Morfeo che piano aveva cominciato a salire le scale della
veranda.
Quando
mi svegliai, in un primo momento, non avevo idea di dove fossi. In un
paio di
secondi misi a fuoco e mi resi conto di essere in camera mia, sotto la
trapunta
blu.
Sbattei più volte le palpebre, mentre mi mettevo a sedere.
Fuori il sole non era ancora sorto, ma, sì, l’alba
era imminente. Guardai la
radiosveglia: segnava le sei del mattino.
Mi passai una mano sul viso, prima di sospirare e prendermi il capo fra
le
mani. La radiosveglia sarebbe suonata venti minuti dopo e di certo
rimettersi a
dormire avrebbe significato non risvegliarsi più.
Così, presi la decisione più
folle… e scesi dal letto. Mi resi conto di indossare i
calzini, ma non avevo
idea di come fossi finita nel mio letto. Non ricordavo cosa avessi
fatto la
sera precedente.
Mi sedetti sul bordo del letto, poggiando i piedi sul legno fresco. E
piano
ricordai tutto. Dovevo essermi addormentata in veranda e mio padre mi
aveva
sicuramente portata in camera, del resto era l’unico a
poterlo fare. Quel
pensiero mi strinse il cuore e per qualche irrazionale motivo mi si
inumidirono
gli occhi di lacrime. Ricacciandole indietro mi alzai in piedi e
indossando le
pantofole scesi in cucina, nella casa silenziosa. Il rumore dei miei
passi era
l’unico udibile, insieme a stridio dei gabbiani proveniente
dall’esterno. Mi
strinsi nella felpa della tuta e preparai il caffè. Mi
imburrai, inoltre, un
paio di fette di pane.
L’odore del caffè nero inondò la
cucina, così, dopo essermene versata un po’ in
una tazza, uscii in veranda e mi sedetti sui gradini. Osservando il
mare, i
gabbiani rincorrersi sulla sabbia, le canne ondeggiare al vento freddo
del
primo mattino, consumai la mia colazione.
In quel momento, mentre bevevo la mio ultimo sorso di
caffè, scorsi una
figura oltre le dune ed il mio cuore parve bloccarsi per la paura.
Trattenni il
respiro.
Era un uomo. Un ragazzo. Aveva i capelli scuri. Stava facendo jogging.
Voltò il
capo. Era David.
Sgranai sorpresa gli occhi e solo quando la testa prese a girarmi mi
resi conto
di trattenere ancora il respiro. Lui rallentò fino a
fermarsi in corrispondenza
di casa mia. Per diversi secondi, i suoi occhi rimasero nei miei, e non
mossi
un solo muscolo, incapace di farlo. Indossava una felpa nera e dei
pantaloni di
tuta grigio scuro.
Ed ora?, mi chiesi.
Piano lui si avvicinò, camminando sulla sabbia asciutta.
All’istante mi resi conto di non essere passata in bagno
prima di scendere. Mi
chiesi che aspetto avessi e in che condizioni fossero i miei capelli.
Ci
mancava solo lui che scherzava sul mio aspetto al mattino. Sospirai
piano,
rassegnata.
Mi passai velocemente una mano fra i capelli ondulati, cercando di
dargli un
ordine.
«Buongiorno.» disse in un sorriso. Aveva il fiatone
per la corsa.
«Buongiorno.» risposi con un filo di voce.
«Non sapevo facessi jogging.»
«Ogni Lunedì ed ogni
Giovedì.» disse. Vedendo che non parlavo,
continuò. «E tu?
Come mai in piedi?» chiese poggiandosi con una mano alla
ringhiera in legno.
«Mi sono svegliata presto.» risposi con voce
piatta. Mi alzai e mi voltai,
dirigendomi verso la porta. Ma prima che potessi aprirla chiusi gli
occhi,
chiedendomi che stessi facendo. Così, mi voltai, e lui era
ancora lì, confuso.
«Ho fatto il caffè. Ne vuoi un
po’?» chiesi, quasi lottando contro
l’irrazionale desiderio di risponderli con sarcasmo.
Sorrise. «Sì, grazie.»
Gli feci cenno col capo di seguirmi dentro e lui obbedii. Rivolta verso
la
cucina, dandogli la spalle, lo sentii chiudere la porta e accomodarsi
ad una
sedia. Gli riempii in caffè in una tazza e ne versai un
altro po’ nel mio. Mi sedetti
al tavolo, di fronte a lui.
«I tuoi capelli sono così ogni mattino?»
Sbuffai. «Sto cercando di essere gentile. Non farmene
pentire, Smith.»
Rise, sommessamente. «D’accordo,
Hemsworth.»
La casa era immersa nel silenzio e, dalla finestra della cucina, era
visibile
il sole che pian piano faceva capolino dall’orizzonte,
gettando fioca luce
nella cucina.
David si portò la tazza alle labbra, bevendo una lunga
sorsata di caffè. «E’
persino più buono del mio.» parlò.
«Oh, modesto.» risposi alzando un sopracciglio e
portandomi le ginocchia al
petto, poggiando i piedi sulla sedia.
Sorrise, bevendone ancora.
«E così fai jogging? Ti tieni in forma per la
miriade di spasimanti
–sicuramente dotate di infinita intelligenza?»
domandai con sarcasmo.
«Dio, sei sempre così antipatica?»
chiese stizzito. «Comunque no. Lo faccio
solo perché è liberatorio. E fa bene alla salute.
Dovresti farlo anche tu.»
annuii.
«Passo. Non fa per me.»
«Giusto. Tu non fai ciò che fa la gente comune,
vero?»
«Attento a ciò di dici, Smith.» ringhiai.
Lui alzò una mano in segno di resa.
«Scherzavo.»
«Sei impossibile.» ringhiai.
Per alcuni istanti nessuno dei due parlò. Così mi
alzai diretta al lavandino,
dove vi poggiai la tazza ormai vuota.
La sua voce ruppe il silenzio. «Mi spieghi una cosa,
Lily?» mi voltai e, solo
allora, mi resi conto di quanto mi fosse vicino. Distanziava di appena
un
mentreo da me.
«Come mai,» esordì posando la tazza nel
lavabo,«mi hai fatto entrare se ti sono
così antipatico?» chiese con voce calda e bassa. I
suoi occhi, resi neri dalla
poca luce, mi scrutarono con attenzione, forse in attesa di una
risposta che
non arrivò.
Il mio respirò accelerò.
Lui sorrise e schiocco la lingua, poi indietreggiò piano
fino alla porta. «Ci
vediamo più tardi, Lily.»
Uscii dalla cucina, riprendendo a correre sulla spiaggia. Seguii con lo
sguardo
la sua figura, l’osservai allontanarsi velocemente, rimanendo
lì, immobile,
senza parole.
Perché?, mi domandai.
Non seppi darmi risposta, ma, in realtà l’avevo
solo ignorata.
*
Eccomi
qui, finalmente.
Mi scuso per il
ritardo (ancora una volta), ma è difficile scrivere al
momento.
Il prossimo capitolo è quasi pronto, quindi, nei prossimi
giorni riuscirò a
postarlo.
Ringrazio di cuore
chi, comunque, continua a seguire questa storia.
Con immenso affetto,
Panda.