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Autore: Thiana    02/05/2011    5 recensioni
Un breve ritorno di Justin a Pittsburgh dopo aver lasciato Brian ed essere partito per New York.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Deborah 'Debbie' Jane Grassi Novotny, Justin Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Sono passati quattro anni dall'arrivo di Justin, quì a New York.-
Disse la voce di una donna, fasciata in un abito nero, pagato un occhio della testa. Ma, d'altronde, era la proprietaria di una delle più importanti gallerie di Londra.  
-E da quattro anni, arricchisce le mie tasche- rise.
-Con il suo talento naturale, la sua tenacia, l'amore per l'arte e.. sospetto l'amore per qualche bel ragazzone, Justin Taylor è uno dei più giovani artisti che hanno sconvolto New York, tutta l'America ed è arrivato a conquistare anche Europa e Australia.-
Un applauso scrosciante riempì la sala, animata da una personale del biondo ragazzo.
Salì sul palco, fece tornare il silenzio e sorrise.
Un raggio di sole.
-Vorrei ringraziare tutti i presenti, quelli che mi sostengono e aiutano.- Alzò un giornale, il cui titolo recitava: Justin Taylor: il nuovo Picasso, dicono alcuni.
-Anche a chi esagera un po'.- Fece ridacchiare i presenti.
-Ma più di tutti, devo ringraziare una mia cara amica, Lindsay Petersen e...- Alzò il calice con dello champagne -Un'altra persona a me cara, che come una volta mi ha detto 'è solo tempo'.-
Lasciò perplessi tutti gli invitati, tranne due donne. Una con i capelli scuri, che sorrise al suo migliore amico, che con il successo non era cambiato; e una donna bionda, con gli occhi lucidi. Quest'ultima gli si avvicinò e lo abbracciò, stampandogli un bacio a fior di labbra. -Complimenti. Questa mostra è fantastica e tu sei bellissimo.- Si allontanò, senza permettergli di rispondere.
-Justin!- Si avvicinò Leah, la donna vestita di nero. -Ho una proposta per te. Cosa ne pensi di tornare a Pittsburgh per una mostra? In fondo lì, è dove sei nato artisticamente, no?-
Il ragazzo sorrise, non sapendo cosa rispondere. Erano quattro anni che non tornava a casa, che non vedeva Molly, e che non vedeva lui. Lui che neanche una volta era venuto a trovarlo, nonostante si fosse trovato a New York per lavoro. Gli era addirittura stato conferito un premio per la miglior agenzia pubblicitaria degli Stati Uniti. Kinnetic, sorrise pensando al nome che proprio lui aveva pensato. E lo aveva fatto pensando a Brian, a cosa avesse potuto renderlo perfetto. Più di quanto non fosse già.
-Sarebbe un'idea grandiosa.- Prese un calice di champagne da un cameriere che passava di lì, e si dileguò rapidamente. Chi ha mai detto che il tempo sistema le cose?
Il viaggio in aereo era stato breve e neanche troppo pesante. Si avvicinò al rullo e prense la valigia con le sue iniziali incise. Era stato un regalo di sua medre Jennifer quando era partito per New York. Nessuno sapeva del suo ritorno a casa, solo Daphne e Lindsey.
Sarebbe stata una sorpresa anche per i media, aveva deciso di dare la notizia soltanto pochi giorni prima della mostra.
Era venerdì, e la mostra ci sarebbe stata la domenica della settimana seguente. Aveva dieci giorni per sistemare tutto, fare almeno quattro nuovi quadri e... risalutare tutti.
Guardò bene la suite dell'albergo dove avrebbe alloggiato. Non voleva disturbare sua madre e il suo fidanzato, che poi neanche sopportava. Sistemò le poche cose che si era portato, si fece una doccia e prese la macchina che aveva affittato.
Guidò fino a Liberty Avenue, bussando piano alla porta rossa. 
La donna, aprendo la porta, rimase a bocca aperta -Topino!- disse sorpresa e felice, con le lacrime agli occhi. Poi si fece seria in volto, -Era ora che venissi. Sono passati quattro anni.- Si girò e sorrise emozionata, facendogli segno di entrare. Gli preparò una cioccolata calda, ci mise la panna e i marshmallow.
-Cioccolata con palle d'angeli.- Si sedette accanto a lui, prendendogli la mano. -Mi sei mancato molto. E anche a Micheal e Ben. Hunter dice sempre che eri l'unico non vecchio.- Rise. -E anche a lui sei mancato molto.- Divenne dolce.
-Debbie...-
-Ok, ok. Lo sai com'è fatta la mia lingua, no?- 
-Justin Taylor!?- Una voce virile li sorprese alle spalle. Carl, con il giubotto ancora in mano, si fermò all'entrata della cucina. -Ragazzo, che piacere rivederti. Cosa ti danno da mangiare a New York!? Sei così magro. Oddio, sono diventato come Debbie!- Rise, si salutarono, poi andò al piano superiore per lasciare i due soli.
-Allora, l'hai già visto?- Justin scosse la testa. -Ma ora devo andare Debbie. Ci vediamo presto.- Le diede un bacio sulla guancia soffice, poi la strinse in un abbraccio. -Anche tu mi sei mancata, Debbie.-
Prese le sue cose ed uscì di nuovo, dirigendosi verso casa della madre. La salutò e ci parlò un po', sopportando anche il nuovo fidanzato-ragazzino.
Dalla madre, seppe anche una notizia che gli fece stringere lo stomaco.
Andò a prendere Molly a scuola, ci parlò un po' sentendo le novità, poi la riportò a casa con la promessa di andare a prenderla presto.
Guidò per circa venti minuti fuori da Pittsburgh, fermandosi davanti una casa enorme. Un castello.
Rimase così per quasi un'ora, poi scese dalla macchina e si avvicinò con passo fermo alla porta. Suonò il campanello e aspettò che la porta si aprisse.
Con addosso solo un paio di jeans aperti, a piedi nudi e con i capelli scompigliati, Brian Kinney aprì la porta.
Lo fissò, con un sorriserro sarcastico, poi si scosto per farlo entrare.
-E' esattamente come la ricordo.- Il cuore gli batteva a mille, come la prima volta.
-Anche tu!- rispose il più grande tra i due, continuando a sorridere. -A cosa devo questa visita?-
-Ti dispiace?-
-E a te?-
Il solito scambio di battutine tra i due spezzò il ghiaccio, come una cortina tra i due.
-Ciao, Brian.-
-Oh, e io che credevo che il 'ciao' fosse superato. Come mai il grande artista, Justin Taylor, 'il nuovo Picasso, dicono alcuni'- ripetè il titolo di molte riviste e giornali, -torna nella piccola, grigia e decisamente poco cool Pittsburgh?-
-Per una mostra,- sorrise il biondo, osservandolo -e tu sei invitato.- 
-Cosa ti fa pensare che io voglia venire?- La domanda, non trovò la sua risposta gemella.
Gli porse una busta da lettere, con incise due lettere. JT.
Come quello stupido aiutante di Furore.
Ripensò a Furore, da almeno due anni non usciva più. Aveva deciso con Michael che sarebbe stao meglio così. L'ultima avventura, dove il supereroe finalmente trovava l'amore, ma l'abbandonava per continuare il suo scopo. Proteggere Gayopolis.
Si fermò davanti il camino per scaldarsi le mani. Sembrava essere tornato il diciassettenne nel letto di Brian. Si voltò e vide che lui lo fissava.
-Come vanno le cose?- Chiese non sapendo cosa fare.
-Sai che non mi vanto dei miei successi.- Ghignò l'altro riempiendo due bicchieri con il burbon. Il biondo alzò le spalle, misurando il grande salone a passi lenti. Si fermò e gli si avvicinò, sfiorandogli poi i capelli.
-Alla tua età, dovresti tenerli meno selvaggi.- Sorride, illuminandosi il volto. -Alla mia età?- Brian scosse la testa, finendo il liquido ambrato nel bicchiere. Prese quello vuoto di Justin e andò a posarli in un'altra stanza.
Quandò tornò vide il biondo di spalle, intento ad osservare un disegno appeso al muro. Un disegno che aveva fatto anni prima, dopo una notte con Brian, che poi aveva comprato senza dire nulla all'amante.
Gli si avvicinò, posando le mani sulle spalle e sfilandogli la giacca di pelle nera. La prese e la lasciò cadere su un sofà lì accanto, respirò il profumo tracciando una linea con la punta del naso sul collo di Justin. 
-Non sei cambiato.- disse con voce roca, il più giovane. Si girò e passò una mano sui pettorali, scendendo poi a slacciargli la cinta.
Si spogliarono, baciandosi con passione. Entrambi, ripercorrendo il loro periodo insieme, sotto diversi punti di vista. 
Brian prese Justin dalle spalle, dirigendolo verso il sofà crema, sovrastandolo come sempre, ma il biondo si fermò e fece sdraiare Brian sul divano.
-Non sono più quel ragazzino inesperto e timoroso.- E, per una delle rarissime volte, fu Justin quello attivo.
Brian si addormentò sul divano, cingendo l'altro con un braccio. Dopo poco, Justin si alzò, e ritrasse l'uomo che amava da sempre, addormentato. Si rivestì e posò il foglio sul tavolino, in bella vista.
"E' solo tempo. Ti amo, ancora." Recitava il foglietto posato accanto il disegno.

-Sono passati quattro anni dall'arrivo di Justin, quì a New York.-
Disse la voce di una donna, fasciata in un abito nero, pagato un occhio della testa. Ma, d'altronde, era la proprietaria di una delle più importanti gallerie di Londra.  
-E da quattro anni, arricchisce le mie tasche- rise.
-Con il suo talento naturale, la sua tenacia, l'amore per l'arte e.. sospetto l'amore per qualche bel ragazzone, Justin Taylor è uno dei più giovani artisti che hanno sconvolto New York, tutta l'America ed è arrivato a conquistare anche Europa e Australia.-
Un applauso scrosciante riempì la sala, animata da una personale del biondo ragazzo. Salì sul palco, fece tornare il silenzio e sorrise.Un raggio di sole.
-Vorrei ringraziare tutti i presenti, quelli che mi sostengono e aiutano.- Alzò un giornale, il cui titolo recitava: Justin Taylor: il nuovo Picasso, dicono alcuni.
-Anche a chi esagera un po'.- Fece ridacchiare i presenti.
-Ma più di tutti, devo ringraziare una mia cara amica, Lindsay Petersen e...- Alzò il calice con dello champagne
-Un'altra persona a me cara, che come una volta mi ha detto 'è solo tempo'.- Lasciò perplessi tutti gli invitati, tranne due donne. Una con i capelli scuri, che sorrise al suo migliore amico, che con il successo non era cambiato; e una donna bionda, con gli occhi lucidi. Quest'ultima gli si avvicinò e lo abbracciò, stampandogli un bacio a fior di labbra. -Complimenti. Questa mostra è fantastica e tu sei bellissimo.- Si allontanò, senza permettergli di rispondere.
-Justin!- Si avvicinò Leah, la donna vestita di nero. -Ho una proposta per te. Cosa ne pensi di tornare a Pittsburgh per una mostra? In fondo lì, è dove sei nato artisticamente, no?-
Il ragazzo sorrise, non sapendo cosa rispondere. Erano quattro anni che non tornava a casa, che non vedeva Molly, e che non vedeva lui. Lui che neanche una volta era venuto a trovarlo, nonostante si fosse trovato a New York per lavoro. Gli era addirittura stato conferito un premio per la miglior agenzia pubblicitaria degli Stati Uniti. Kinnetic, sorrise pensando al nome che proprio lui aveva pensato. E lo aveva fatto pensando a Brian, a cosa avesse potuto renderlo perfetto. Più di quanto non fosse già.
-Sarebbe un'idea grandiosa.- Prese un calice di champagne da un cameriere che passava di lì, e si dileguò rapidamente. Chi ha mai detto che il tempo sistema le cose?

Il viaggio in aereo era stato breve e neanche troppo pesante. Si avvicinò al rullo e prense la valigia con le sue iniziali incise. Era stato un regalo di sua medre Jennifer quando era partito per New York. Nessuno sapeva del suo ritorno a casa, solo Daphne e Lindsey.Sarebbe stata una sorpresa anche per i media, aveva deciso di dare la notizia soltanto pochi giorni prima della mostra. Era venerdì, e la mostra ci sarebbe stata la domenica della settimana seguente. Aveva dieci giorni per sistemare tutto, fare almeno quattro nuovi quadri e... risalutare tutti. Guardò bene la suite dell'albergo dove avrebbe alloggiato. Non voleva disturbare sua madre e il suo fidanzato, che poi neanche sopportava. Sistemò le poche cose che si era portato, si fece una doccia e prese la macchina che aveva affittato. Guidò fino a Liberty Avenue, bussando piano alla porta rossa. 
La donna, aprendo la porta, rimase a bocca aperta -Topino!- disse sorpresa e felice, con le lacrime agli occhi. Poi si fece seria in volto, -Era ora che venissi. Sono passati quattro anni.- Si girò e sorrise emozionata, facendogli segno di entrare. Gli preparò una cioccolata calda, ci mise la panna e i marshmallow.
-Cioccolata con palle d'angeli.- Si sedette accanto a lui, prendendogli la mano. -Mi sei mancato molto. E anche a Micheal e Ben. Hunter dice sempre che eri l'unico non vecchio.- Rise. -E anche a lui sei mancato molto.- Divenne dolce.
-Debbie...-
-Ok, ok. Lo sai com'è fatta la mia lingua, no?- 
-Justin Taylor!?- Una voce virile li sorprese alle spalle. Carl, con il giubotto ancora in mano, si fermò all'entrata della cucina. -Ragazzo, che piacere rivederti. Cosa ti danno da mangiare a New York!? Sei così magro. Oddio, sono diventato come Debbie!- Rise, si salutarono, poi andò al piano superiore per lasciare i due soli.
-Allora, l'hai già visto?- Justin scosse la testa.
-Ma ora devo andare Debbie. Ci vediamo presto.- Le diede un bacio sulla guancia soffice, poi la strinse in un abbraccio. -Anche tu mi sei mancata, Debbie.-
Prese le sue cose ed uscì di nuovo, dirigendosi verso casa della madre. La salutò e ci parlò un po', sopportando anche il nuovo fidanzato-ragazzino. Dalla madre, seppe anche una notizia che gli fece stringere lo stomaco.
Andò a prendere Molly a scuola, ci parlò un po' sentendo le novità, poi la riportò a casa con la promessa di andare a prenderla presto. Guidò per circa venti minuti fuori da Pittsburgh, fermandosi davanti una casa enorme. Un castello.
Rimase così per quasi un'ora, poi scese dalla macchina e si avvicinò con passo fermo alla porta. Suonò il campanello e aspettò che la porta si aprisse. Con addosso solo un paio di jeans aperti, a piedi nudi e con i capelli scompigliati, Brian Kinney aprì la porta. Lo fissò, con un sorriserro sarcastico, poi si scosto per farlo entrare.
-E' esattamente come la ricordo.- Il cuore gli batteva a mille, come la prima volta.
-Anche tu!- rispose il più grande tra i due, continuando a sorridere. -A cosa devo questa visita?-
-Ti dispiace?-
-E a te?- Il solito scambio di battutine tra i due spezzò il ghiaccio, come una cortina tra i due.
-Ciao, Brian.-
-Oh, e io che credevo che il 'ciao' fosse superato. Come mai il grande artista, Justin Taylor, 'il nuovo Picasso, dicono alcuni'- ripetè il titolo di molte riviste e giornali, -torna nella piccola, grigia e decisamente poco cool Pittsburgh?-
-Per una mostra,- sorrise il biondo, osservandolo -e tu sei invitato.- 
-Cosa ti fa pensare che io voglia venire?- La domanda, non trovò la sua risposta gemella. Gli porse una busta da lettere, con incise due lettere.
JT.
Come quello stupido aiutante di Furore. Ripensò a Furore, da almeno due anni non usciva più. Aveva deciso con Michael che sarebbe stao meglio così. L'ultima avventura, dove il supereroe finalmente trovava l'amore, ma l'abbandonava per continuare il suo scopo. Proteggere Gayopolis.
Si fermò davanti il camino per scaldarsi le mani. Sembrava essere tornato il diciassettenne nel letto di Brian. Si voltò e vide che lui lo fissava. -Come vanno le cose?- Chiese non sapendo cosa fare.
-Sai che non mi vanto dei miei successi.- Ghignò l'altro riempiendo due bicchieri con il burbon. Il biondo alzò le spalle, misurando il grande salone a passi lenti. Si fermò e gli si avvicinò, sfiorandogli poi i capelli. -Alla tua età, dovresti tenerli meno selvaggi.- Sorrise, illuminandosi il volto.
-Alla mia età?- Brian scosse la testa, finendo il liquido ambrato nel bicchiere. Prese quello vuoto di Justin e andò a posarli in un'altra stanza. Quandò tornò vide il biondo di spalle, intento ad osservare un disegno appeso al muro. Un disegno che aveva fatto anni prima, dopo una notte con Brian, che poi aveva comprato senza dire nulla all'amante. Gli si avvicinò, posando le mani sulle spalle e sfilandogli la giacca di pelle nera. La prese e la lasciò cadere su un sofà lì accanto, respirò il profumo tracciando una linea con la punta del naso sul collo di Justin. 
-Non sei cambiato.- disse con voce roca, il più giovane. Si girò e passò una mano sui pettorali, scendendo poi a slacciargli la cinta. Si spogliarono, baciandosi con passione. Entrambi, ripercorrendo il loro periodo insieme, sotto diversi punti di vista. 
Brian prese Justin dalle spalle, dirigendolo verso il sofà crema, sovrastandolo come sempre, ma il biondo si fermò e fece sdraiare Brian sul divano.-Non sono più quel ragazzino inesperto e timoroso.- E, per una delle rarissime volte, fu Justin quello attivo.
Brian si addormentò sul divano, cingendo l'altro con un braccio. Dopo poco, Justin si alzò, e ritrasse l'uomo che amava da sempre, addormentato. Si rivestì e posò il foglio sul tavolino, in bella vista.
"E' solo tempo. Ti amo, ancora." Recitava il foglietto posato accanto il disegno.

   
 
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