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Autore: Curly and Dangerous    11/02/2006    2 recensioni
ok, inizio della storia. devo avvisarvi che per...ehm.... incompetenze tecniche(ma prima o poi ce la farò!)è solo una piccola parte del primo capitolo che avevo gia scritto. quindi spero non vi annoierete troppo, e comunque fatemelo sapere. kisses
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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1. “Essere normali, o essere speciali? Essere d’accordo, o non esserlo affatto? Guardiamo in basso ad occhi chiusi, non c’è nulla di cui stupirsi… Ma, chissà! Potremmo guardare in cielo E scorgere un corvo bianco……” Punto, aveva finito. Era tutto quello che aveva da dire. Non era molto, lo sapeva. Anzi, era davvero poco…...Guardò l’orologio: mancavano un’ora e cinquantacinque minuti alla fine del tempo messo a loro disposizione e lei ci aveva impiegato esattamente cinque minuti. Non male, no? Ma la Grouwnaz non l’avrebbe pensata allo stesso modo…. Razzista com’era verso tutti coloro che non corrispondevano al suo ideale di persona normale, aveva goduto nel dare quel tema: “Definite coloro che, per aspetti fisici o caratteriali, non rientrano nella norma”. Che traccia assurda! Guardò nuovamente l’orologio: erano passati altri cinque minuti. Si mise a pensare….. La Grouwnaz non correggeva subito i temi; era troppo occupata ad osservare le facce degli studenti, contorte nello sforzo di dare un senso a quel tema. Ma con lei non c’era ancora riuscita…. Guardò per la terza volta l’orologio: erano passati altri cinque minuti. Poteva rimanere lì, a pensare o a riempire il foglio che aveva davanti. Ma perché perdere tempo?. ‘Basta!’Si alzò e consegnò il foglio. Nessuno l’aveva notata e la Grouwnaz non sembrava meravigliata più di tanto. Uscì dall’aula. ‘Ah’, un sospiro di sollievo. Sapeva, però, che non l’avrebbe passata tanto liscia: il padre l’avrebbe guardata, amareggiato e deluso; e la matrigna……o beh, in quel caso valeva la pena combinare guai. Già se l’immaginava, la sua faccia da ebete preoccupata e la sua voce mielosa con cui le avrebbe detto: “Lucry, oh Lucry!”. Cominciò a correre, direzione: la sala da ballo. Quell’ultimo pensiero l’aveva a dir poco inorridita; aveva bisogno di riprendersi. Entrò nella sala, si piazzò di fronte al grande specchio che ricopriva la parete centrale e chiuse gli occhi.“Lucrezia” disse. Era quello il suo nome, un nome particolare proprio come lei. Un nome strano per la maggior parte delle persone, un nome orribile per la sua matrigna. Così quasi tutti, zii, parenti e conoscenti la chiamavano Lucry, un nome orribile per lei. Non poteva sopportare una simile storpiatura a quel nome, quel bellissimo nome che invocava l’immagine di una donna bella, incantevole e gentile: sua madre. Così era scesa ad un compromesso…. Aprì gli occhi e li chiuse di scatto. “Liss”disse. Era quello l’unico nomignolo che riusciva ad accettare. Aprì definitivamente gli occhi e lasciò che il suo cervello ricevesse la sua immagine riflessa. Lasciò che anche la sua mente la ricevesse e si guardò con un interesse che non si era mai dedicata prima. ‘Mmm’…..non era poi così male. I suoi capelli ricci e neri erano sempre indomabili,come quelli di suo padre; ma i suoi occhi erano azzurri e limpidi, come quelli di sua madre. Inoltre aveva la pelle bianchissima e delle gambe troppo lunghe e snelle per la sua età: diciassette anni e un metro e settantacinque di altezza non erano numeri molto consueti tra le collegiali sue coetanee. A pensarci bene, non rientrava nella norma. Ma le dispiaceva? Non proprio, o comunque doveva pensarci…. Andò negli spogliatoi adiacenti alla sala per cambiarsi: portava sempre con sé il necessario per le ore di danza. Rientrò nella sala. Le sue scarpette producevano un bel suono caldo sul legno del pavimento. Non potendo utilizzare il pianoforte si diresse verso l’impianto stereo e diede un’occhiata ai cd che aveva a disposizione: Mozart, Beethoven, Bach, Chopin. Avrebbe preferito poter usare il pianoforte e danzare su quelle sinfonie suonate da abili mani, ma si poteva accontentare. Mise una melodia a caso, si guardò allo specchio e cominciò a ballare. Un passò dopo l’altro,leggera, precisa; un salto, un volteggio, un altro salto e poi giù: una spaccata perfetta. Si guardò allo specchio, un po’ accaldata: era una spaccata davvero buona, forse troppo. Doveva cambiare…. Ritornò all’impianto stereo, cercò tra i cd qualcos’altro: tutte sinfonie. Uff ,pensò. Le piaceva la musica classica, ma ora non era quello che voleva. Frugò nel suo zainetto ma trovò i soliti vecchi cd di sempre, o quasi…. Cos’è questo?, si chiese. Aveva tra le mani un cd senza nome, in una custodia del tutto priva di indicazioni o etichette. Non sembrava uno dei suoi ma decise di provarlo. Lo mise nello stereo: una voce limpida cominciò a cantare, accompagnata da dolci e delicate note. Incantata da questa soave melodia ritornò a frugare nel suo zaino ed estrasse una delle cose a cui teneva di più: la palla di sua madre, l’attrezzo ginnico che, come lei, preferiva e con il quale aveva dimostrato, per la prima volta quando aveva cinque anni, di avere lo stesso talento della madre. Prese la palla e si posizionò al centro della sala. La guardò: era stupenda, di un nero intenso, completo e profondo. Bella e semplice. Ci giocherellò con la punta delle dita, la fece roteare lungo le braccia come faceva sempre e cominciò a muoversi o , come le diceva sempre sua madre quando era piccola, ad esprimersi. La musica ignota cambiò, il ritmo divenne più veloce, aggressivo, martellante: questo cambiamento la faceva ansimare violentemente, ma non si fermò. Anche le parole cambiarono; e la voce, da delicata quale era divenne roca e profonda. “Un angelo disperato, accasciato su un’altura; un angelo depravato, cacciato dalla Luna. Un cuore che ha peccato, circondato da passionali mura; quel cuore è stato ucciso, da un’entità più pura.” Che parole strazianti e stupende,pensò Liss. Non aveva mai ballato così intensamente e non pensava l’avrebbe mai fatto; ma quella musica era così trascinante da farle perdere la cognizione del tempo. Come svegliata da un bel sogno istintivamente guardò l’orologio: era troppo condizionata da quelle lancette che segnavano il trascorrere delle ore e che la informavano che il tempo a sua disposizione era finito. La sua matrigna la stava aspettando…. Nella fretta lasciò lì il suo nuovo e misterioso cd, mentre le note che ancora risuonavano ben presto non riuscirono a raggiungere più le sue orecchie…. “Basta –urlò –non ne posso più!”. Salì in camera sua, sbattendo le porte,e si gettò sul letto. Era successo ancora una volta . Ancora una volta era stato umiliato . Ancora una volta decine di sguardi lo avevano deriso, decine di bocche avevano bisbigliato alle sue spalle e ancora una volta non era passato inosservato. Ma perché? Se lo chiedeva ogni dannatissima volta che succedevano queste cose, senza mai saper rispondere. Si alzò di scatto, tirò un pugno contro la parete: si fece male, ma non importava. Si guardò allo specchio: “Cosa aveva di diverso?”. Si analizzò intensamente per cercare di capire cosa non andava, ma in un primo momento non trovò nulla di male. Era alto, forte e scattante. Giocava a basket quindi i suoi muscoli erano ben sviluppati, ma non troppo. Aveva la pelle nera come tutti i ragazzi nella sua scuola e, come la maggior parte di essi portava i capelli acconciati in tante ciocche arrotolate che imitavano un po’ le capigliature dei rasta. Non era particolarmente bello, ma di sé apprezzava in particolare gli zigomi alti, la bocca perfettamente simmetrica e ben definita e il pizzetto, che ostentava quasi con orgoglio. Allora cos’è che non andava?. Per un atto l’aveva quasi dimenticato, ma ben presto vide i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi grigi. Una lacrima li bagnò. Era per questo che tutti lo guardavano, bisbigliando alle sue spalle; era per questo che tutti lo additavano e lo conoscevano come “il ragazzo dagli occhi di ghiaccio”. Per quegli occhi, simili a pietre preziose tra la terra,ora viveva nel vecchio ranch fuori città di suo zio, un luogo sicuro per fuggire dalla realtà aspra di tutti i giorni, ma anche una prigione il cui custode era la solitudine, accompagnata dai continui impegni che il fratello di sua madre affrontava ogni giorno. Era per quelli che suo padre non lo aveva riconosciuto, e sua madre si era tolta la vita, avendo dato alla luce un figlio non voluto: Sirius. “Basta!” gridò nuovamente:non poteva continuare così. Tirò un pugno allo specchio, distruggendolo. Si tagliò, del sangue cominciò a scorrere lungo un dito ma non importava. Si fiondò sul letto, tastò il pavimento sotto di esso ed estrasse il basso. La musica era come lui: speciale. La musica non lo avrebbe deriso, umiliato , schernito. La musica l’avrebbe calmato. Si mise accovacciato in un angolo e cominciò a suonare. Amava quello strumento, adorava il suono che produceva. Fece vibrare le corde, premette i tasti e le note cominciarono a riempire la stanza, la sua mente, i suoi pensieri. Note calde e profonde, toccanti, quasi sensuali: una sensazione sublime. Poi le note furono messe in ordine e dal basso uscì una melodia ben definita: cominciò a cantare. La sua voce era limpida e penetrante, la canzone che aveva scritto bella e struggente: “Un angelo disperato, accasciato su un’altura, un angelo depravato, cacciato dalla Luna. Un cuore che ha peccato, circondato da passionali mura; quel cuore è stato ucciso, da un’entità più pura.” Era soddisfatto delle parole che aveva scritto, gli piaceva la musica che aveva composto. L’ aveva addirittura registrata. Non per farla ascoltare a qualcuno, era chiaro….solo per conservarla nel caso un giorno l’avesse dimenticata. Solo per questo motivo. D’altra parte sarebbe stato troppo imbarazzante farla ascoltare a qualcuno…. Ora che ci ripensava quel disco andava riascoltato, c’erano un paio di passaggi da sistemare. Posò lo strumento e si mise a frugare nello zaino, inutilmente. Il cd non c’era e non sapeva dov’era finito. Eppure era sicuro di averlo riposto lì. D’altronde non lo avrebbe mai lasciati in giro ne tanto meno dimenticato da qualche parte. Frugò di nuovo nello zaino: una macchia rossastra l’aveva sporcato. Si guardò la mano: la ferita che non aveva curato si stava infettando. “Merda” non riuscì ad evitare di dire.
  
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