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Autore: Curly and Dangerous    20/02/2006    0 recensioni
ok, inizio della storia. devo avvisarvi che per...ehm.... incompetenze tecniche(ma prima o poi ce la farò!)è solo una piccola parte del primo capitolo che avevo gia scritto. quindi spero non vi annoierete troppo, e comunque fatemelo sapere. kisses
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Guardò l’orologio. Era in ritardo di due minuti ma se avesse corso, se le sue gambe fossero state più veloci, ce l’avrebbe fatta. Prese per il bosco: il sentiero era più difficoltoso per la sua bicicletta ma non poteva prendere la strada, per quanto secondaria che fosse. Non si era cambiata ed aveva ancora il tulle, gli scaldamuscoli e le scarpette con i nastri ormai sciolti, per i quali poteva rischiare di cadere da un momento all’altro. Tutto rigorosamente in nero. Anche per questo era “diversa”. Tutte le sue compagne volteggiavano su candide scarpette, tulle dai colori pastello e nastrini rosa…..ma a lei non andava affatto. Si sentiva ridicola, vestita di bianco e rosa, come una bomboniera. Voleva essere diversa, unica…. E tra i bianchi era l’unico cigno nero.
Diede un’altra occhiata all’orologio. Segnava che aveva perso altri preziosi minuti: l’odiò come non mai, pur essendo solo un oggetto; e pensò di sbarazzarsene, prima o poi. Continuò a pedalare, ormai allo stremo delle forze. Raggiunse il cuore del bosco e girò a destra; scese per un breve pendio….la casa era vicina. Una manciata di minuti e la vide: pedalò più forte che poté. Raggiunse il cancello e lo aprì con un calcio, abbandonando a terra la bici: poi corse verso l’ingresso, se pur con una certa cautela. La sua matrigna non l’aspettava minacciosa sulla porta, il che era, oltre che insolito, a dir poco straordinario. Prese allora la sua copia delle chiavi ed aprì, cacciando dentro solo la testa ricciuta. Nessuna presenza, amica o nemica, si mostrò. Entrò e si guardò in torno ma tutto era in ordine. Allora si diresse verso lo studio del padre: se qualcuno voleva lasciare un avviso, lasciava sempre un biglietto lì. Scrutò la scrivania di noce intarsiato ma nulla attirò la sua attenzione: ogni cosa era posta nel solito, austero ordine di suo padre.
'Mah',pensò. Era insolito che la casa fosse vuota a quell’ ora, ma non impossibile. Il padre era al lavoro, e la matrigna probabilmente era da qualche amica per uno scambio di opinioni poco obbiettive su nessuno in particolare, ma su tutti in genere. Si rilassò e decise di concedersi una doccia rigeneratrice. Una scala la separava dalla sua camera e dal suo obbiettivo, ma non fece in tempo a salirla. Al terzo gradino il telefono squillò.

Si asciugò la mano: il sangue non usciva più. Bene,pensò. Avrebbe fasciato il dito così da non avere problemi con le corde del basso ne tanto meno con il basket. Si tranquillizzò.
Ma si sentiva ancora affranto per quanto era successo, e fasciare quel dolore non sarebbe stato possibile. Allora che fare? Doveva continuare ad andare a scuola, certo, non poteva rifiutarsi; ma ogni giorno era destinato a diventare sempre più straziante per lui. Sapeva di non passare inosservato così come era pienamente consapevole che ogni giorno qualcuno avrebbe ipotizzato sul colore dei suoi occhi, o che qualcuna ipocritamente avrebbe finto di trovarlo affascinante per attirare l’interesse di ragazzi gelosi. L’odio che provava per queste persone era particolarmente profondo, a dispetto della loro considerazione.
“Stupide galline saltanti- esclamò, senza cercare di trattenersi- con i vostri altrettanto stupidi bambocci gonfiati”. Anche lui giocava a basket. Anche lui sudava in campo, scartava gli avversari, agile, scattante, preciso, e raggiungeva la meta e saltava e schiacciava e colpiva e segnava! Ma non era acclamato. Nessuna ovazione per Sirius, il “ragazzo dagli occhi di ghiaccio”. Invidia? Forse,pensò. Non gli dispiaceva avere una ragazza, ma non voleva certo una di quelle majorette ululanti…. Stava già pensando alle fattezze della sua ragazza modello quando lo squillo del telefono interruppe, fortunatamente, le sue fantasie.

“Qui Lucrezia Thornton. Chi parla?”disse Liss, la cornetta in mano.
“ Pronto, chi è?” risposerò dall’altro capo. Liss si chiese se aveva sentito bene. Dall’altra parte qualcuno le aveva porto la stessa domanda, come se stesse ricevendo lui stesso la telefonata. Era forse uno scherzo?.Non ne era del tutto sicura. La persona dall’altro capo aveva una voce sicura e ferma, come convinta di rispondere al telefono. O aveva a che fare con un bravo attore?. Cercò di capire chi fosse, ma non ci riuscì. Aveva sentito una voce maschile e roca, ma giovane. Probabilmente un ragazzo ma non era mai capitato che un ragazzo la chiamasse, prima d’ora…. La risposta comunque arrivò inaspettatamente dall’apparecchio opposto.
“Allora, si può sapere con chi è?”. Chiunque aveva parlato si stava spazientendo.
“Sirius, sono tornato” sentì, ma impaurita riattaccò subito.

“Sirius, sono tornato!”.
Sirus si voltò di scatto, abbandonando al suolo la cornetta. Qualcuno, dalla voce molto familiare stava rientrando, finalmente….
“Zio Chris, sei tornato!” esultò. Suo zio, il fratello di sua madre, l’unico a cui non importava il colore dei suoi occhi ne il perché della sua nascita, l’unico che non aveva avuto la codardia di abbandonarlo, era finalmente tornato a casa.
“Ehilà, quanto entusiasmo!”rispose lui, abbracciandolo. I suoi occhi ancora giovani, nonostante la sua età adulta, sorridevano più che mai.
“Per forza- rispose Sirius giustificando, un po’ imbarazzato, il suo affetto- non ci sei mai!a proposito, come mai a casa così presto? Avevi parlato di un mese, anche due; e invece ti ripresenti a casa solo dopo due settimane. Qualcosa non va?”.
“Ma tu non eri contento di vedermi? –lo rimproverò Chris, fintamente offeso- comunque, niente di grave. I miei impegni hanno richiesto meno tempo del previsto, così sono tornato a casa prima. Perciò prendi di corsa la giacca: stasera si festeggia.” E detto questo si diresse in garage, a scaldare la vecchia auto, rimasta ferma troppo a lungo.
Sirius lo guardò allontanarsi sprizzante energia da tutti i pori. Non era molto convinto, ma ora che lo zio era lì non voleva rovinare l’evento con un interrogatorio. Le spiegazioni e avrebbe lasciate al giorno dopo. Prese la giacca e uscì di casa, finalmente felice per qualcosa.

“Che scherzo idiota!”esclamò Liss. Aveva sentito qualcuno che urlava e, istintivamente, aveva riattaccato. Cercava quindi di dare una spiegazione a quanto successo sperando, al tempo stesso, di giustificare la sua paura. Ma non era proprio sicura si fosse trattato di una burla telefonica. Come aveva intuito prima, la persona dall’altro capo del telefono sembrava aver semplicemente risposto ad una chiamata, così come aveva fatto lei. Lo dimostrava il fatto che improvvisamente qualcuno aveva gridato. Non che divertirsi alle spalle degli altri fosse il suo passatempo preferito, certo; ma non era difficile intuire che, se qualcuno aveva davvero avuto l’intenzione di prendersi gioco di lei, certamente prevedeva di avere il massimo silenzio per non lasciare eventuali indicazioni a suo sfavore. Mentre, dall’altro lato nessuno si era preoccupato di tenere la voce bassa, anzi. Che cosa, poi, aveva sentito, non lo ricordava con precisione. Qualcosa del tipo Sono tornato o era 'Sono a casa, Sirius?'.
“Sirius!” disse, quasi urlando. Perché non ci aveva pensato prima? La persona dall’altro capo del telefono si chiamava Sirius!. Ma questo non l’aiutava. Non conosceva nessuno con quel nome ne, tanto meno qualcuno che, a giudicare dalla voce, doveva essere abbastanza giovane. Aveva almeno bisogno del cognome per rintracciarlo, senza contare che poteva aver chiamato da chissà dove. O forse l’avrebbe rintracciata lui. Se non ricordava male, aveva pronunciato il cognome della casa rispondendo al telefono, come si conviene. Maledisse per una volta la sua buona educazione: l’idea che lui potesse rintracciarla le metteva addosso una certa agitazione.
Però, che strano,pensò. Non aveva mai pronunciato il suo nome di battesimo rispondendo al telefono. In realtà non lo aveva mai pronunciato in presenza di estranei, in vita sua. Abituata com’era a sentirsi chiamare ‘Lucry’, faceva già tanta fatica ad imporre il diminutivo che lei aveva scelto. Farsi chiamare ‘Lucrezia’, poi, era un’impresa a dir poco impossibile.
Il suono del campanello di casa la distolse bruscamente da questi pensieri, annunciando che qualcuno era rientrato. Sperava fosse suo padre ma, a giudicare dall’insistenza, doveva essere la matrigna.
Con un sospiro molto profondo andò ad aprire la porta mentre senza rendersi conto cercava di non dimenticare quel nome.

Inserì la chiave nella serratura e aprì la porta: erano le due di notte e solo ora stava rientrando da una lunga serata passata in un locale con lo zio. Avevano festeggiato alla grande. Soprattutto Chris, che ora dormiva felicemente ubriaco. Aveva bevuto così tanto da costringere il nipote a guidare fino a casa. E il lavoro non era finito lì.
Se lo prese in spalla e lo portò in camera sua, per farlo riposare bene. Era troppo tardi per preparare un altro letto, e lui poteva benissimo dormire sul divano: era il minimo che poteva fare, per ringraziarlo della serata. Prese una coperta e guadagnò il salotto, ma nel buio della sala quasi si ammazzava. Qualcosa lasciata per terra l’aveva fatto inciampare e si era salvato solo grazie alla posizione provvidenziale del divano. Trovò a tastoni l’interruttore della luce e lo accese: a terra c’era la cornetta del telefono.
Se ne era dimenticato, ma ora ricordava perfettamente quanto successo: il telefono aveva squillato e lui aveva risposto, ma anche dall’altra parte qualcuno aveva chiesto chi fosse. Una voce femminile, lo ricordava bene, aveva chiesto con garbo chi c’era al telefono.
Afferrò la cornetta abbandonata e l‘accostò all’ orecchio, senza motivo apparente. Come minimo chiunque fosse aveva chiuso da un bel po’. Riagganciò.
Si sdraiò sul divano e cominciò a pensare. Era sicuro di aver udito una voce femminile per di più giovanile…probabilmente era una sua coetanea.
Dava quasi per scontato, inoltre, di aver sentito il suo nome e il suo cognome anche se al momento non lo rammentava. Si sforzò di ricordare ma il sonno prese il sopravvento.
“Lucrezia”sussurrò mentre le palpebre si facevano pesanti.

  
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