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Autore: La Signora in Rosso    04/05/2011    7 recensioni
"...senza quel dannato pomeriggio non sarebbe incominciato nulla."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve mie care! Lo so, lo so, ci ho messo una vita per tirare fuori questo undicesimo capitolo, e vi devo le mie scuse. O forse magari non frega una mazza a nessuno u.u
Comunque mi dispiace, ma trovo sempre meno tempo per mettermi a scrivere (maledizione!) e il blocco continua imoerterrito a rovinarmi i piani. .-.-
Però l'impegno l'ho messo, così come l'amore, come sempre.
Ditemi se non vi piace, se invece vi piace, se fa schifo, se ha bisogno di essere cambiato, allungato, accorciato, qualsiasi cosa! :)
Un abbraccio, siate buone, e godetevi la lettura. ^^






Le piccole gocce che avevano appena macchiato le loro maglie leggere si erano ora trasformate in grosse sfere di acqua gelida che scendevano pesanti dal cielo ormai completamente nero.
Un vento arrabbiato le portava dritte contro il vetro della macchina in corsa, contro il tettuccio, rigando i finestrini con una trama intricata di perle che catturavano la luce artificiale dei fari.
Dentro all’abitacolo, Frank teneva le unghie piantate nella stoffa del sedile, a lato dei suoi fianchi: le braccia ed il collo tesi, guardava fisso davanti a sé, nervoso, la strada in realtà poco visibile.
Anche Gerard era nervoso: il temporale si era ingrossato sopra di loro tutt’ad un tratto e ora stava investendo con forza la sua piccola macchina, che temeva li avrebbe abbandonati lì, in mezzo al nulla. Temeva poi di uscire di strada, di fare un incidente, temeva per lui, temeva per Frank che percepiva spaventato sul sedile di fianco al suo. E non si permetteva mai di guardarlo, un po’ perché voleva stare attento alla guida, un po’ per non rivedere la sua stessa espressione, come di fronte ad uno specchio, sul volto dell’altro, cosa che lo avrebbe fatto spaventare ancora di più.
Il viaggio non finiva più: non si erano accorti all’andata di essersi allontanati così tanto.
E la lentezza della sua guida non contribuiva di certo a migliorare la situazione.
Silenzio, solo il rombo lamentoso del motore e la violenza della pioggia nelle orecchie.

- Frank…. È tutto ok? ….. No, scusa, non doveva suonare come una domanda. Era un’affermazione. È tutto ok. Adesso arriviamo a casa, manca poco. Non ti preoccupare. –

- Concentrati su quel fottuto volante, per piacere. Non pensare a come sto io. –

E non poteva dire altro. Non sapeva dire altro.
La nausea lo attanagliava, i lampi lo abbagliavano, i tuoni lo scuotevano esattamente come quando era piccolo.
Ma quella volta aveva sua madre al suo fianco, che calda e rassicurante lo coccolava tra le sue braccia, gli sussurrava parole dolci, confortanti. In quei momenti era protetto.
Ora era in una macchina sgangherata, non a casa, non con sua madre, ma con un ragazzo che conosceva a malapena e che non poteva aiutarlo in nessun modo senza farli uscire di strada come conseguenza.
E poi un pensiero leggero. Uno di quelli che le persone non producono volontariamente, ma che passa alla velocità della luce sotto i loro occhi e tal volta le sconvolge.
Frank aveva sfocata nella mente l’immagine di sé stesso, rannicchiato tra le braccia di Gerard sul divano di casa sua.
E in quel attimo non aveva sentito più nient’altro, né la pioggia, né i tuoni, né le sottili imprecazioni dell’altro ragazzo alla guida. Aveva sentito solo la sua mente lavorare frenetica per carpire quell’immagine, ricordarla, assaporarla in ogni dettaglio. E stranamente questo lo calmava.
Gerard vide con la coda dell’occhio le braccia del ragazzo rilassarsi un poco, fino a quando non si piegarono del tutto, docili, fino ad accostarsi morbide ai fianchi, le mani aperte sulle cosce. Era un cambiamento dovuto a cosa? Al fatto, che, forse ora si stagliava di fronte a loro il cartello di benvenuto della loro cittadina?
Ed era lui, lì, piegato dal vento e vagamente sinistro, con le lettere cubitali nere a salutarli ghignanti. Ma erano a casa, e questo era tutto ciò che contava.

- Ti accompagno a casa, allora…. Frank? Hey…. Cosa preferisci? –

Frank non si era accorto di aver ormai oltrepassato l’entrata della città e di essere di nuovo tra quelle strade, deserte, ma pur sempre familiari.
Non si era accorto di essere stato chiamato dall’altro, che ora, più tranquillo, lo guardava a tratti incuriosito.
No, lui era ancora là, sul suo divano, la pioggia chi invece di battere sui finestrini batteva sulle finestre chiuse di casa sua, il buio, le braccia intrecciate, quel senso di pace al centro del caos che impazzava fuori.

- ….. Scusa…. Cosa? –

- Ehm, ti ho chiesto se ti devo portare a casa tua… -

- Oh, sì… grazie. Sarebbe grandi… -

Un tonfo. Sul cofano.
Un ammasso di ghiaccio che scivolava piano di lato.

- Cazzo! Che roba era?? Grandine?? –

Nel frattempo dal nero del cielo cadevano massicci blocchi bianchi, grandi come uova o palline da tennis, che si rompevano urtando il suolo, che si scheggiavano colpendo la macchina.

- Cazzo Gerard, gira e parcheggia a casa mia. C’è un posto auto al coperto che dovrebbe essere libero…. –

- No, beh, vado a casa, non ti preoccupare, non mi farà mica poi tanti danni in più ad arrivare fino a casa… -

- Che cazzo, parcheggia lì sotto e basta! Io intanto tiro fuori le chiavi. –

Ed era già che armeggiava nelle tasche dei pantaloni, tirando poi fuori la mano vittorioso, la chiave stretta nel pugno.
E Gerard svoltò sotto casa sua e infilò la macchina nel posto auto che il ragazzo gli aveva appena indicato con un gesto.
Poi entrambi scesero di corsa per andare a ripararsi sotto al pergolo, la pioggia che schizzava sulle loro gambe, pezzi di ghiaccio che rimbalzavano fino ai loro piedi.

- Ehm, senti… non… non so neanche come chiedertelo… Ecco, mi faresti compagnia? Ti va di salire? Così aspetti che questo fottuto temporale smetta e sei all’asciutto, se non altro… -

Con una mano Gerard si scostò i capelli bagnati dal viso e lo guardò nella sua maglietta chiazzata d’acqua e i capelli incollati alle tempie, con le mani che, tremanti dal freddo, tentavano di infilare le chiavi nella toppa per poter aprire la grande porta a vetri.

- Grazie mille sai. Se ti fa piacere, rimango volentieri. –

Un sorriso imbarazzato da parte di uno, un’imprecazione da parte dell’altro.

- Che cazzo, non si vuole aprire! Ma fanculo sto freddo fottuto, mi scappano anche le chiavi dalle dita, tanto sono bagnate…. E dai! –

Il più grande lo prese per una spalla per farlo arretrare, gli rubò il mazzo al volo e inserì la chiave nella toppa; un paio di giri e la porta era aperta, che li invitava al caldo.

- Grazie. –

- Di niente. –

Entrarono e chiusero fuori quel freddo umido, intesi a non lasciarlo entrare.
Salirono con calma le scale, in silenzio, sempre uno di fianco all’altro, ma non più in simbiosi, ognuno per conto suo. Qualcosa stonava.
Una forza li teneva lontani, li respingeva, serrava loro le lingue tra i denti.
Imbarazzo.
Con ancora le chiavi in mano, Gerard si protese per aprire la casa, lasciando poi lo spazio per far entrare Frank prima di lui.
Che stava ora accendendo le luci soltanto per vedere l’interruttore premuto a vuoto. Il bulbo delle lampadine spento e inutile.

- Merda. È saltata. Cazzo. Aspetta che ti faccio un po’ di luce col telefono… non mi ero accorto della luce di sicurezza sulle scale… mi chiedo come mai qui non sia partita… ah sì… scusa…. Non l’ho ancora installata… deve essere in qualche scatola da qualche parte… mi dispiace. Vieni. Attento all’attaccapanni, ok… vieni, ti faccio trovare il divano, così ti siedi intanto che cerco una cazzo di torcia in giro… dovrei averne una… -

Nel frattempo aveva allungato una mano all’indietro e aveva afferrato nella sua quella di Gerard. Che aveva ricambiato la stretta e che si era lasciato condurre alla cieca verso il salotto, verso il divano, su di esso. E poi non aveva più lasciato quella mano.

- Aspetta… -

- No, devo trovare quella maledetta torcia, dovrei averla in cucina, in un armadietto… quello a sinistra in alto, o a destra in basso, non mi ricordo…. –

E Frank blaterava. Lo faceva perché non riusciva a tenere a freno la lingua, nervosa, e la testa continuava a sfornare parole, la mano congelata stretta nella mano dell’altro, che non lo lasciava, che lo cercava con gli occhi nel buio intanto che questi si abituavano lentamente.

- Possiamo stare al buio, no…? Non ci sono problemi. Tu… sei nervoso e… e semplicemente siediti un attimo. Abbiamo il cellulare, dopo andremo a cercare quella benedetta torcia. Adesso siediti. –

E dicendolo si era spostato di lato, facendogli posto, tirandolo verso quello spazio vuoto.

- Eh.. ok… mi siedo. Ehm, ci sono aspetta… ok. –

La maglietta bagnata sulla schiena aderiva alla pelle del divano, il respiro che continuava ad andare e venire, la tensione che aumentava, le mani ancora legate tra loro.
Se ne stavano così in silenzio, ascoltando il temporale che non smetteva, ascoltandosi.
E facendosi sempre più vicini. Piano le ginocchia arrivarono a sfiorarsi, costrette dai jeans bagnati, così come le spalle.

- Dove sei? –

Gerard si voltò, lo cercò con la mano libera pur sentendolo di fianco a sé.
Solo un sussurro in risposta.

- Qui. –

Una mano sul ginocchio dell’altro, Gerard si sporse, si voltò, quella mano che saliva fino al braccio, il collo, la mandibola dell’altro, fino ad aderire alla nuca.
L’altra che si liberava e, invece, aderiva al suo fianco, trascinandolo sopra di sé, facendolo sedere sulle proprie gambe.
Le ginocchia affondate nell’imbottitura del divano, Frank era ricurvo su Gerard, senza fiato, i brividi non provocati dal freddo che correvano lungo la sua spina dorsale.
Ogni tanto il chiarore di un lampo guizzava dalla finestra e li sorprendeva, faceva sì che Frank vedesse il volto dell’altro, che con gli occhi chiusi lo stringeva in vita.
Gerard non voleva vedere. Non voleva ritrovarsi davanti quella faccia pulita, quelle iridi così grandi e sconvolgenti, perché in fondo sapeva che si sarebbe vergognato del suo gesto.
Era sicuro di scorgere in quegli occhi una domanda acida che la bocca di Frank non avrebbe pronunciato. E lui si sarebbe dovuto ritrarre.
Invece voleva sentire il corpo dell’altro, la sua presenza su di sé, il suo peso, il suo profumo, la pelle nuda delle braccia ancora umide. Voleva assaporare l’atmosfera che, elettrica, li circondava e li avvolgeva. Voleva scorgere la bellezza di quel ragazzo senza vederlo, senza essere distratto da quel sorriso che amava già alla follia.
Era una follia.
Ma Frank non si toglieva alla sua presa, non si allontanava imbarazzato, anche se si sentiva ardere fino nel midollo di ogni osso dalla vergogna.
Con gesti imprecisi e titubanti, invece, avvicinava le sue mani alle grandi spalle del moro, fermandosi un attimo per poi scorrere fino al colletto della maglietta nera, la pelle delle sue dita contro la pelle di quel collo diafano; e poi scese, sentendo le clavicole sporgere sotto al suo tocco, proseguendo sul petto. Provocando un sospiro che, violento, uscì dalle labbra del ragazzo.

- Ehm… la torcia… vado a prendere la torcia.. io… -

Ma la sua voce si faceva sempre più flebile mentre le mani che in precedenza si trovavano sui suoi fianchi ora si spostavano sotto la maglietta, stringendo direttamente la pelle arricciata dai brividi del più piccolo.

- Mmmmmh…. –

- Erm, devo andare…. –

- Mmmh mmmh… -

- Il buio…. –

- …… - -

Siamo al buio, Gerard… Gerard… -

- Sssshhhhh…. –

Frank sentì l’aria uscire dalle labbra di Gerard direttamente sulle sue, tanto si era ripiegato su di lui.
E il più grande aveva ora incominciato ad esplorare tutta la sua schiena con la punta delle dita, piccoli petali rosa che si adagiavano sulla sua pelle.

- Ger… Gerard… -

Ma era inutile parlare. Entrambi lo volevano, ed entrambi se lo presero.
E quel bacio fu differente da tutti gli altri che si erano scambiato fino a quel momento, perché era vero, era desiderio puro che scaturiva dalle loro bocche avide, che si erano spalancate accogliendo la lingua dell’altro nel proprio antro, accarezzandola, torturandola di piacere.
E quell’unico bacio fu per Frank come una nottata intera si sesso, lo travolse, lo catturò e poi lo lasciò tremante. Ma non gli bastava. Come non bastava a Gerard che, eccitato, fece scorrere le labbra umide sul collo del più piccolo, facendolo gemere piano di soddisfazione, per poi riattaccarsi a quelle labbra infuocate e invitanti.
E le sue mani non riuscivano a stare ferme in un unico punto del corpo di Frank, ma scorrevano morbide sulle spalle, giù fino ai fianchi, sulla pancia, i movimenti stretti nella maglia aderente che si alzava ogni volta di più.
E poi tornò di colpo la luce.
Frank miagolò disturbato nella bocca dell’altro, continuando il bacio, continuando a stringere con forza le spalle del più grande tra le sue mani.
Ma qualcosa non andava. Si sentiva scoperto, visibile, attaccabile.
Con un rumore umido si staccò dall’altro aprendo gli occhi, allontanando le sue mani dal corpo di Gerard.

- Zitto. Non ti muovere. Spengo la luce e torno. –

E facendo cigolare le molle del divano spostò il sui peso in modo da poggiare i piedi a terra, guardandolo imbarazzato mentre si alzava e raggiungeva l’interruttore vicino alla porta.
Il buio si riappropriò della scena mentre lui aspettava di riabituare gli occhi per raggiungere il divano.
Colpì una scatola con un piede e il tavolino col ginocchio sentendo di sottofondo la risata roca dell’altro ragazzo che, seduto, lo aspettava.
E con un balzò gli ripiombò tra la braccia.

- Hey, cosa ridi?!? Non è mica divertente sai… -

- Cosa ti fa pensare che non sia divertente? –
Gli rispose con un ghigno, e quasi poteva sentirlo, nella voce.

- Il dolore atroce al ginocchio, ecco cosa me lo fa pensare… -
E Gerard poté percepire il broncio sulle labbra di Frank. E così mosse una mano lungo la gamba del ragazzo che aveva tra le braccia, scendendo piano sulla coscia e raggiungendo il ginocchio, accarezzandolo. Poi si avvicinò al suo orecchio.

- Ti fa male? Se tocco qui? –

- No, lì no. –
Un soffio di risposta.
Gerard proseguì accarezzando il retro del ginocchio, premendo le dita in un punto.

- E qui? –

- Mmmmh… direi di no… -

La mano risalì la gamba, appena soffermandosi sull’inguine per poi fermarsi sulla fibbia della cintura, sfiorando la pelle qualche centimetro sopra di essa.

- Beh, direi che non ti fa poi così male, allora…. –

Frank si avvicinò ad occhi chiusi al suo viso, mugugnando con il labbro inferiore stretto trai i denti.

- Non… è… vero…. Fa…. Mmh… male…. –

Ansimò mentre l’altro gli respirava sul collo, tracciando scie immaginarie con la punta del naso sottile.

- Posso fare qualcosa per renderlo meno doloroso? –

Frank non poteva credere a ciò che le sue orecchie stavano sentendo, la voce suadente e fumosa di Gerard che vibrava direttamente sulla sua giugulare.
E non poteva fare a meno di tremare sotto al tocco dell’altro, inarcare la schiena e stringergli i capelli alla base della nuca.
Il buio aveva ristabilito l’intimità che si era creata tra loro, racchiudendoli in un mondo parallelo tutto loro, in cui potevano essere chi volevano, come volevano, quando volevano.
E loro volevano essere Frank e Gerard, assieme, ora.
Un battito di cuore perso nel vuoto e il più piccolo si ritrovò a spingere l’altro, distendendolo sul divano, e contemporaneamente ad essere tirato giù sopra quel corpo.
Le labbra nuovamente saldate, le mani ovunque, un leggero mugugnare all’interno delle loro bocche. E a poco a poco i vestiti sembravano di troppo, risultavano pesanti, scomodi, impedivano loro i movimenti come una camicia di forza. Scorrendo dai fianchi in su Gerard lo liberò con un sorriso della maglietta gialla, accarezzando la pelle calda attorno ai capezzoli di Frank con il pollice.
Non era cosciente dei suoi gesti, semplicemente si fece trasportare dai sensi, come se i loro corpi fossero legati da un impalpabile filo che non li faceva mai allontanare.
E quindi come di riflesso il suo busto si alzò per fargli poggiare la bocca sul petto chiaro del più piccolo, baciandolo esattamente al centro, sullo sterno, lì dove sentiva l’aria entrare ed uscire mentre Frank respirava veloce.
Si staccò solo quando, docile, si fece togliere la maglietta a sua volta.
Ma sentiva che, sebbene il desiderio l’uno dell’altro fosse ormai visibile, qualcosa non andava.
Sentiva quei piccoli gesti che Frank faceva come trattenuti, e non dalla timidezza.
Frank non sapeva cosa fare. La sua prima volta con un uomo, appena pochi giorni dopo aver scoperto di essere gay, appena il primo giorno che parlava con Gerard.
Era troppo. Sarebbe stato troppo per chiunque.
Ma il suo cervello frenava poco le sue mani, mosse dalla voglia che aveva di sentire l’altro ragazzo veramente sotto di sé. Però li frenava.
Ed era così combattuto dentro di sé che si dimenticò di respirare.
Quando, tra i baci, Gerard non sentì più l’aria nei polmoni del più piccolo si staccò per guardarlo.
Non respirava.
Lo accarezzò sulla guancia.
Occhi chiusi, non respirava.

- Frank… io…. Respira per l’amor del cielo! –

Lentamente l’altro aprì gli occhi, fissandoli nei suoi, e nel buio poteva vederli luccicare.

- Io… scusa… non… non… -

- …. Cosa? Io… ho fatto qualcosa di sbagliato? –
La preoccupazione nella voce.

- No, no… tu… tu sei… perfetto. Io… sono io che non riesco… non posso. Scusa. –

E si alzò dal divano.
Allungò una mano alla ricerca della maglietta, la infilò coprendo il suo volto che – poteva sentirlo – brillava rosso dalla vergogna nel buio, e si diresse in cucina facendosi luce col cellulare trovato sotto la t-shirt. Lo lasciò lì, a petto nudo seduto sul suo divano, un’espressione interdetta scolpita sul viso.
Gerard si alzò a sua volta, si vestì e raggiunse l’interruttore della luce, premendolo con l’indice magro. Poi arrivò in cucina, e accese la luce cogliendo il più piccolo mezzo infilato in un armadio intento a cercare, disperato, la torcia.

- Ah.. è vero… era già tornata… -

Ma non si voltò verso il ragazzo in piedi.
Richiuse l’anta, si alzò e rimase a guardare il lavandino vuoto, il rubinetto che faceva scendere qualche goccia rumorosa che colpiva l’acciaio.
Gerard non voleva avvicinarsi a lui se l’altro non voleva, ma non trovava una maniera migliore per capire cosa stesse succedendo.
Voleva stringerlo forte, ma non era un desiderio dettato dai sensi, come prima. Voleva proteggerlo, esattamente come fa un padre o un fratello più grande.
Fece qualche passo in avanti, non suscitando nessuna reazione, così si spinse fino alle sue spalle, poggiando una mano su una di esse.

- Frank… io non so… non capisco… non voglio niente che tu non ti senta di fare… è stata colpa mia. È troppo presto per… per tutto questo. Ho corso troppo. Mi dispiace. Ma ti prego, guardami. –

Frank non poteva, il suo cervello gli diceva che non poteva.
Ma si girò comunque.
E rimase sorpreso dalla serietà che incontrò in quello sguardo, dalla sincerità profonda che gli stava trasmettendo, le scuse sciolte in quegli occhi lucidi, ci vide dentro loro due un attimo prima, la bellezza dei loro baci, lo stupore che aveva provato Gerard nel scoprire di desiderarlo così intensamente, la vergogna per tale desiderio, altre scuse, tante scuse.
Come poteva rimanere impassibile davanti ad un tale messaggio inviato unicamente con lo sguardo, senza parole insulse, frasi fatte unitili o gesti ripetuti sempre uguali?
Ma non poteva spiegare ciò che sentiva, ciò che provava, a parole.
E lo mise tutto nel suo sguardo, come aveva fatto Gerard, sperando di aiutarlo a comprenderlo, il messaggio, lui stesso.
In quegli occhi Gerard rivide i sentimenti che si erano battuti all’interno del cuore di Frank, lasciando dietro di sé una scia di caos. Vide lo stupore della prima sera, la rabbia, l’emicrania dovuta ai troppi pensieri, le notti insonni, la nausea, il sorriso che gli spuntava quando pensava a lui, Gerard stagliato sulla porta, la consapevolezza di non doverlo fare, il coraggio di voler scoprire sé stessi, là, al pub, nel posto sbagliato, il disgusto, la speranza, la fiducia in lui che lo portava via, le lacrime, tante lacrime, il biglietto, altre lacrime, la chiamata, e poi giallo. Il sole. L’immagine perfetta di loro due assieme. La voglia di baciarlo. La certezza di non saperlo fare.
E poi ecco, il momento in cui, a petto nudo mentre si lasciava baciare, quel pensiero che prendeva possesso della mente di Frank: era troppo. Era scosso. Era fragile e già mezzo incrinato.

- Scusa. Non sapevo… io… scusa. –

-Ma… non è colpa tua! No, non pensarlo minimamente… cazzo… sono solo io… che non so perché stia succedendo… -

- Ssssssh, va bene così… ho già capito. –

- Però… non andare via. –

Un abbraccio. Forte come il temporale di prima, lieve come la pioggerella che si adagiava sull’erba del giardino ora.






Vi ringrazio di essere arrivate alla fine. <3
Un abbraccio 
  
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