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Autore: castilla    06/05/2011    0 recensioni
un incontro casuale, iniziato nel modo meno ortodosso possibile, che cambia la tranquillità di una vita. si è disposti a cambiare tutto ciò di cui si è certi per questo o è meglio scappare, vivere un altro amore, certi di conservare il proprio io?
Proprio questo è il dubbio che nessuno mai vorrebbe affrontare, ma succede, a volte capita...e, quindi, in questo caso: cosa fareste?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[scusate se ho rimesso lo stesso capitolo, ma avendolo aggiunto durante il cambio di nick, mi si avvisava che ci potevano essere problemi col capitolo...per non incorrere in rischi, meglio rifare !]

 

Passai il pomeriggio alla mia scrivania tra una recensione da finire, un mal di testa da combattere e Hanna da fingere di ascoltare, come si poteva zittire la collega di rubrica rosa?

Solo a sera inoltrata, trovai strano che il mio cellulare non avesse ancora squillato una sola volta, rovistai nella borsa, la rovesciai sul tavolo, ma, oltre le solite cianfrusaglie, niente cellulare.

Io non perdo mai niente, com'era possibile?

Arrivata a casa, frugai ovunque ma senza risultato.

Afferrai il telefono di casa e provai a chiamarmi: squillava, era un fatto positivo, ma non in casa.

Dopo un paio di squilli, qualcuno rispose "Pronto?" era una voce maschile, magari un poliziotto che aveva ritrovato il mio cellulare oppure un cittadino responsabile.

"Salve, quello che ha in mano è il mio cellulare, credo di averlo perso questa mattina. Come possiamo ritrovarci così da riaverlo e sdebitarmi?"

"Che ne dice di domani sera a cena?" che assurda richiesta era, quella?

"Scusi, ma dove ha trovato il mio cellulare?"

"Nella stanza d'hotel dove mi ha abbandonato, questa mattina. L'ha lasciato sul comodino, ma non ha lasciato un biglietto"

"Biglietto?"

"Si, con qualche scusa"

"Ah, beh, non avevo carta e penna in quel momento con me" perché mi sto scusando? Non dovevo affatto lasciare un biglietto e avevo anche pagato la camera!

"Già, avevamo tutt'altro per la testa" sorvolai questo malizioso doppio senso.

"Che ne dice di evitare di incontrarci, può lasciare il mio cellulare ad una stazione di polizia"

"No, preferisco incontrarla da sobria, che ne dice della cena di domani sera?"

Io non volevo affatto uscire a cena con quel tizio.

"Non posso. Potremmo spostare l'appuntamento a domattina, verso le 8.30?"

Preferivo iniziare una giornata male, dato che poteva sempre migliorare; piuttosto che chiuderla in negativo.

"Mi dica dove e quando" era stato estremamente facile ottenere quello che volevo.

Gli indicai il nome di un'ottima caffetteria vicino al mio ufficio, così avrei anche fatto colazione prima di lavorare. Avevo, però, il terrore di non incontrarlo il giorno seguente, perché non ero brava con la fisionomia.

Quel mattino fui puntuale, non lo ero mai stata, sempre a causa di eventi esterni alla mia volontà, ovviamente.

Entrai nella caffetteria guardandomi attorno, c'era davvero molta gente e mi era impossibile poter affermare chi fosse il mio interlocutore del mistero in quel vociare.

"Rebecca, qui!"

Mi voltai di scatto al mio nome, l'urlo proveniva dal fondo della sala, dai tavolini. Mi diressi in quel punto, infilandomi tra le persone: passare sembrava un'impresa utopica.

Finalmente, trovai l'uomo che mi aveva chiamato e che mi stava sorridendo amichevole.

Non riconoscevo in lui alcun tratto fisico osservato precedentemente, ma forse perché ora era vestito in giacca e cravatta, mentre il mattino prima no.

Mi concentrai sul viso, l'unico elemento che non avevo mai visto di lui: i lineamenti erano dolci, non troppo marcati, la fronte ampia e serena, occhi grandi ed espressivi, di una particolare tonalità di verde, intensa e accesa anche in una giornata nuvolosa come quella. Labbra sottili e naso proporzionato chiudevano il quadro.

"Vuoi sederti?" lo guardati dubbiosa; no, non volevo sedermi: mi bastava riavere il cellulare e saltare persino la colazione. Perché questo? Perché ogni cellula del mio corpo gridava di scappare ora e subito.

Quell'uomo rispecchiava il canone dell' "attraente uomo d'ufficio", l'uomo con cui ogni segretaria o collega prende allegramente un caffè, ma mentre mescola il suo contenuto, fantastica tutt'altro. Se non si conosce il genere d'uomo appena descritto, dovrebbe essere un bene perché ci si è risparmiate figure incredibilmente imbarazzanti, scuse patetiche inventate sul momento, cotte infantili di cui ci si pente a vita; ma, dall'altro lato, proprio per questo è pericoloso, perché non si sa come comportarsi, quindi dovevo sentirmi una sorta di eroina nell'aver assimilato la lezione imparata in anni e anni di figure di merda e nell'esser diventata quasi allergica a questo genere maschile.

Sicuramente lui era consapevole dei feromoni che sprigionava nell'aria e ne approfittava, oh se lo faceva: ne ero assolutamente certa.

"No" semplice e conciso, ottima mossa!

"Allora, credo che il tuo cellulare l'abbia scordato in macchina" mi sorrise sogghignando, era perfido.

Mi sedetti sulla punta della sedia, pronta a scappare appena riottenuto il cellulare.

"Bene, cosa vuoi per colazione?" osservava il menù interessato, io non ne avevo bisogno.

"Caffè"

"Solo caffè? Capisco le diete o il mantenere la linea, ma mi sembra esagerato" lo fulminai con lo sguardo: non ho fatto e mai farò una dieta in vita mia.

"Perfetto, rimani qui" si alzò diretto al bancone, attesi 10 minuti buoni prima che tornasse con le ordinazioni.

"Quanto ti devo?" cercai di sbirciare lo scontrino, ma lo appallottolò in mano.

"Nulla, offro io"

"Se è un atto cavalleresco, rifiuto"

"Ieri hai pagato tu. Non ricordi che volevo sdebitarmi?" il verbo usato mi fece venire in mente un altro dettaglio.

"Come conosci il mio nome?"

"Ho fatto qualche ricerca su di te: hai firmato una ricevuta in hotel, non è stato difficile..." potevo solo immaginare quale "orribile" tortura avesse inferto all'addetta per ottenere quell'informazione.

"Sei uno stalker?" scoppiò a ridere

"No, assolutamente no"

"Uno psicopatico?"

"Ancora no"

"Uno pagato per uccidermi da qualche autore insoddisfatto delle mie recensioni?"

“Assolutamente no"

"Allora, sei solo strano" non ero affatto calma; insomma, sapere il nome di una persona al giorno d'oggi era pericoloso, soprattutto se il suddetto target non sapeva nulla della controparte.

"Non mi chiedi il mio nome?"

Sapeva leggere nel pensiero? Dovevo iniziare a preoccuparmi anche del paranormale?

"Non che mi interessi particolarmente, ma scommetto che se non te lo chiedessi, non rivedrei tanto in fretta il mio cellulare" sorrise sornione.

Eh, certo! Si divertiva come il gatto con il topo e prolungare l'agonia era tutto di guadagnato, dal suo punto di vista.

 “Posso sapere il tuo nome?”

“Manfred Wren”

“Straniero?”

“Sangue misto: mia madre era italiana, mio padre è inglese.”

“Ah, allora capisco il perché del nome”

“Davvero?” mi guardò interessato.

“Si,certo. È uno dei personaggi di Byron, una tragedia”

“Complimenti, in pochi lo notano. Forse, è per il suo lavoro?”

“Forse … Potrei riavere il mio cellulare?” mostrai la tazza vuota a sancire la fine del nostro tempo insieme, tempo che ritenevo sprecato inutilmente.

Pose sul tavolo l’oggetto, che saldamente afferrai tra le mani, mia alzai e salutai.

Non ero mai stata felice quanto in quel momento.

Il cellulare prese a squillare “Pronto?” era un numero nuovo.

“Sappi che non mi arrendo così facilmente, grazie per il caffè”

Se quello non era stalking, io ero lo stregatto di alice.

Cosa voleva da me? In fondo, eravamo due sconosciuti e, come tali, dovevamo restare; non sembrava dello stesso avviso, però.

  
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