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Autore: Fede_Wanderer    07/05/2011    2 recensioni
America, 1998.
Nick Glennie-Smith e Lebo M. lavorano alla colonna sonora del Re Leone II; ma ogni grande lavoro, si sa, è composto anche da momenti di crisi, di stanchezza, di nervosismo, e questo è uno di essi.
Poi, però, qualcosa cambia - e cambia grazie ad un sogno, come nella migliore tradizione della Walt Disney Company.
Ma poi, pian piano, la gente, intorno a lui svaniva; così di colpo, capisci? Svaniva, come se fosse stata risucchiata dal tempo. E così, infine, è rimasto solo lui, in quella città vuota. Una figura quasi stampata, disegnata con l’inchiostro, sui cartelloni dell’America. E sai, era come se non potesse sparire. Come se non ne fosse in grado. Come se continuasse a vivere, più forte di quei colori accecanti. [...] Walt è ancora qui, è dentro di noi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertenza: Nick Glennie-Smith è colui che si occupò della musica del Re Leone II, tredici anni fa.
Lebo M. è un membro della troupe che si occupò della colonna sonora del primo Re Leone; in seguito, al tempo del secondo film, diventa collaboratore di Nick, ed autore effettivo della canzone di cui tratta la storia: He Lives In You.

America, 1998
.
E’ giugno, ed è l’estate più calda da anni ed anni.
Nei giardini, i bambini giocano con l’acqua, tentando di dare refrigerio ad una città asfissiata.
Ma nel cuore della città - che batte a malapena, tra quei palazzi colossali che sembrano in procinto di schiacciarsi l’uno contro l’altro - l’atmosfera è ben diversa.
"Dio, quanto cazzo odio lavorare al lunedì".
Un uomo si passa tra le mani un pacchetto vuoto di sigarette, utilizzandolo come fosse uno sfogo contro ogni stress.
"Oh, avanti! Centinaia di persone vorrebbero il tuo impiego, e tu te ne lamenti".
Accanto a lui, un secondo uomo, dal volto segnato dall’esperienza, ma gioviale, gli dà una pacca sulla spalla.
"Ma non è il lavoro in sè, è il lunedì! E anche quella cazzo di macchinetta del caffè rotta, e il capo che non può pretendere che col caldo che fa mi vengano le idee. Cristo".
Getta a terra il pacchetto, prendendo a ticchettare nervosamente sul tavolo.
"Forza, pigliati il mio, di caffè, e buttati al lavoro...” replica l’altro, sostituendo all’espressione affabile uno sguardo duro, preciso.
“Dobbiamo scriverle queste canzoni, okay? Io ho due-tre bozze, ma senza la supervisione di tutti e la tua in particolare…" conclude, con l’ombra di un sorriso beffardo.
Uno sbuffo esasperato, dall’altra parte del tavolo.
"Ma perchè proprio io? Santo cielo, Nick".
Nick Glennie-Smith alza le spalle, ridendo, con quei suoi tre denti mancanti e quei suoi pochi capelli chiari scossi dalla totale assenza di vento, e quel suo suono allegro, capace di contenere tutto il sole del mondo.
 "Perchè sei tu che hai scritto i capolavori, nel film precedente. Ecco perchè. E ora fammi il piacere di ascoltarmi. Ho due-tre bozze, come ti dicevo, ma non é quello il punto; cioè, lo è – ma non ora.
Il punto, ora, è che ho un'idea".
Ed indica un punto nel vuoto, come se l’idea fosse lì, percepibile, su quel muro pieno di fotografie.
"Spara..." borbotta il compagno – ma ora c’è una vena d’attenzione; s’appoggia al tavolo col gomito, lascia ricadere l’altra mano, più rilassato, ora che qualcosa è sotto un certo controllo.
"Ho fatto un sogno, questa notte" esordisce l’amico, con un luccichio negli occhi.
"Ah, be';” lo interrompe l’uomo, prendendolo in giro: “Il solito sognatore, tu".
Nick sorride, pacifico. "È quello che ci si aspetta da un membro della Walt Disney Company, o erro?"
L’altro lo liquida con un gesto della mano. "Sì, va be'; vai pure avanti".
"Ho fatto un sogno, questa notte. Ho sognato un ragazzo. È vissuto tanti, tanti anni fa. Lo so perché l’ho riconosciuto; ma prima ancora che lo riconoscessi, be’, si capiva che apparteneva al passato: era in bianco e nero, lui; bianco e nero, su uno sfondo di colori accesi ed accecanti. I colori di una New York attuale, forse quasi futura. E girava per le strade, questa figura bianca e nera, e salutava i bambini, e parlava loro nel linguaggio muto che hanno i bambini; e salutava i ragazzi, e parlava loro con simboli nascosti; e salutava le madri, e parlava loro con suoni lontani; e salutava gli anziani bevitori, nei marciapiedi, sull’orlo della notte, e parlava loro con sogni che a loro non erano più concessi.  Ma poi, pian piano, la gente, intorno a lui svaniva; così di colpo, capisci? Svaniva, come se fosse stata risucchiata dal tempo. E così, infine, è rimasto solo lui, in quella città vuota. Una figura quasi stampata, disegnata con l’inchiostro, sui cartelloni dell’America. E sai, era come se non potesse sparire. Come se non ne fosse in grado. Come se continuasse a vivere, più forte di quei colori accecanti.
E quel ragazzo… quel ragazzo lo vediamo in ogni fotografia, Lebo; ogni giorno.”
Alza lo sguardo al muro di fronte a sé, dove una foto scattata molti anni prima ritrae un uomo, sorridente, che espone un suo folle progetto, riguardo ad un certo topo, o qualcosa di simile.
“Walt…” sospira Nick, con un sorriso.
L’altro uomo si concede un sorriso a sua volta, toccato. "...E’ commovente, sì” osserva, “Ma l'idea?".
"È questa!” esclama l’amico, piantando le mani sul legno.  “Walt-- lui non scompare; lui è qui, è qui, è accanto a noi!". Il collega sbuffa, scuotendo la testa.
"Non vorrei toccare il tuo animo sensibile, ma il fatto che Walt compaia nei tuoi sogni non ci aiuta a creare una canzone decente".
Nick gli rivolge uno sguardo di sfida. "E io invece vorrei toccare il tuo schifoso cuore materialista: non capisci? Ho la canzone! È tutta qui: lui è vicino a-- no, no, lui è dentro di noi! Guarda; guarda, guarda, ho i versi. Ho i pochi versi che ho scritto per lui, al risveglio.
Tanto lo so che è questo che ti interessa". Tira fuori dalla borsa un pezzo di carta, sul quale, con una grafia tremolante, eppure, a suo modo, immensamente forte, ci sono scritte poche parole.
‘He lives in you, he lives in me, he watches over everything we see; into the water, into the truth, in your reflection, he lives in you’.
“Sai…” mormora Lebo, questa volta con uno scintillio negli occhi, così simile a quello dell’amico.
“Forse so come contestualizzarla. Grazie, Nick”.
E, oltre i palazzi dell’America, il sole splende un po’ di meno, e in una nuvola finalmente portatrice di acqua, si intravede un volto che da tanti, tanti anni vive nei sussurri dei cuori.

   
 
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