Ecco
qui che forse ce l’ho fatta. Onestamente non so’ ancora cosa sia successo ma pare che adesso si veda
tutto. Perdonatemi per l’incapacità di base.
Ecco
qui la fatidica decisione: finalmente mi sono decisa anch’io a postare, direte
voi. Ebbene si, dopo tentennamenti vari, ecco qua, con uno
sguardo pieno di particolare affetto anche a Dom e
Selene. Un abbraccio affettuoso a tutte voi e ad maiora.
CAPITOLO VII
Forse non essere è esser
senza che tu sia,
senza che tu vada tagliando il mezzogiorno
come un fiore azzurro, senza che tu cammini
più tardi per la nebbia e i mattoni
senza quella luce che tu rechi in mano che forse altri non
vedrai dorata,
che forse nessuno seppe che cresceva
come l’origine rossa della rosa
senza che tu sia, infine, senza che venissi
brusca, eccitante, a conoscer la mia vita
raffica di roseto. frumento del
vento.
e da allora sono perché tu sei
e da allora sei, sono e siamo, e per amore sarò. sarai.
saremo.
(P.Neruda)
Lo stadio di Stanford
Bridge con tutti i suoi quarantaquattromila posti era
gremito di tifosi fino all’inverosimile per l’incontro della stagione tra il
Manchester United e il Chelsea
e, nonostante i biglietti in tribuna d’onore, Selene e Dom
dovettero faticare non poco per superare la calca di gente assiepata contro le
transenne in attesa di poter entrare e raggiungere il proprio posto.
Era questa la sorpresa che Dom aveva preparato per il loro insolito appuntamento: non
la solita cenetta a lume di candela, né uno smaccato tentativo di seduzione che
l’avrebbe fatta infuriare, ma una serata alternativa, passata ad urlare e a
scatenarsi come matti. Selene si rilassò e, come Dom
aveva previsto, accolse con entusiasmo la sua proposta di andare a vedere la
partita.
Prima di scendere dal taxi la ragazza
si avvolse attorno al collo la sciarpa con i colori del
Manchester che Dom le aveva portato,
ringraziandolo con un sorriso.
- Mi piace un sacco
il calcio – affermò con energia, mentre superavano i cancelli diretti
alla tribuna – Anche se mio padre non mi porta spesso allo stadio, in
televisione non mi perdo una partita. -
Sedettero vicini e Dom porse a Selene una birra in
attesa dell’inizio dell’incontro. Dopo pochi minuti si accorse che la ragazza
non si era vantata a vuoto: Selene discuteva con competenza di fuorigioco e
modulo quattro-quattro-tre, muovendo le mani con
gesti rapidi a sottolineare la sua opinione. Lo
ascoltava attentamente e poi gli proponeva le sue idee con passione da vera
sportiva e genuino entusiasmo.
Quando il
Manchester rifilò la doppietta al Chelsea dopo
il pareggio nel secondo tempo fu per entrambi naturale abbracciarsi saltando di
gioia. Si sciolsero dall’abbraccio ridendo come pazzi, riprendendo ad urlare
all’indirizzo dei loro beniamini senza che alcun imbarazzo sciupasse quel gesto
spontaneo di cameratesco entusiasmo.
Dom non si era mai divertito così tanto
ad andare allo stadio con una ragazza. La maggior parte delle donne, oltre a
trovare il calcio noioso, non ci capiva un’acca e le poche che in passato lo
avevano accompagnato erano venute allo stadio solo per assecondarlo, con l’aria
di un prigioniero sotto tortura.
Selene, invece, si era scatenata come
se si fosse dimenticata di lui, godendosi
lo spettacolo, le guance rosse e gli occhi brillanti
per l’emozione.
Alla fine della partita, conclusasi con al vittoria del Manchester si ritrovarono
seduti ad una tavola calda vicino allo stadio a mangiare hot-dogs
e a bere birra rossa come due vecchi amici che si frequentassero da sempre.
Selene aveva un’intelligenza brillante e la risposta sempre pronta e Dom non si annoiò affatto. Risero e si scambiarono battute,
apprezzando la reciproca compagnia.
Certo, Selene era una bellezza fuori dal comune, dai lineamenti esotici e seducenti, ma Dom era abituato ad avere a che fare con donne anche molto
più belle e sofisticate.
Ciò che lo incantava di lei era il
mistero che Selene portava con sé.
In maniera straordinariamente
camaleontica quella ragazza riusciva ad essere terribilmente sfacciata e
pungente e risultare subito dopo quasi tenera e
indifesa.
Il bianco e il nero. Positivo e negativo.
Un miscuglio troppo intrigante perché
uno come Dominic Monaghan potesse rimanere indifferente.
Dal canto suo Selene si rese conto di
essere, per la prima volta dopo tanto tempo, a suo agio con un ragazzo. Dom era un vero buffone e la faceva ridere ma al contempo
era capace di venirsene fuori con ragionamenti talmente articolati da farle
dubitare di stare di fronte ad un mancato filosofo.
Fecero tardi senza neppure rendersene
conto e, quando egli l’accompagnò al cancello della casa di Upper
Brook Street, Selene si voltò per salutarlo. Con un
sorriso birichino gli sfiorò una guancia con un bacio, stordendolo con la
soffice morbidezza delle sue labbra e con il tocco carezzevole dei suoi capelli
delicatamente profumati.
Dom rimase li
come un allocco, incapace di reagire in qualche modo. La lingua gli si inceppò fino al punto che riuscì a balbettare solo un
goffo saluto. Né un invito più esplicito, né una
battuta sagace o provocatoria.
Accettò quel semplice bacio da Selene
con la stesso straordinario piacere che avrebbe
provato nel condividere con un’altra donna una notte di sesso sfrenato.
Raccolse e tenne stretta a sé quell’emozione.
Perché? Non lo sapeva.
Era la prima volta da molto tempo, e
sicuramente da quando era diventato famoso, che una ragazza lo mandava in
bianco ed era in assoluto la prima volta nella sua vita che fosse così
assurdamente felice che lei lo avesse fatto.
Perché gli aveva risposto di si?
Se Ashton fosse stata onesta con se stessa avrebbe dovuto ammettere
che la decisione di trasferirsi a casa di Orlando era stata presa più dietro
l’onda dell’emozione che non con la testa. C’erano sicuramente vari fattori che
avevano contribuito a portarla a fidarsi di lui e molto era
dovuto al suo comportamento della sera in cui era venuto a cercarla
all’Oratorio. Innanzi tutto lui si era slanciato fuori dal
taxi accorrendo in suo soccorso come un paladino dei tempi antichi. L’aveva
sorpresa, perché non si sarebbe mai aspettata un simile
comportamento così generoso e altruista e questa nuova immagine di
Orlando si era messa improvvisamente di traverso a modificare l’opinione non
proprio lusinghiera che aveva di lui.
Poi c’era stata la frase
di lui, quella che aveva continuato a ronzarle in testa per tutti quei
giorni.
Devi semplicemente stabilire le tue
priorità, fissarti una meta e poi fare di tutto per raggiungerla.
Possibile che lui avesse ragione? Non
si stava, forse, nascondendo dietro a tutti i perché e però della sua vita
invece di decidersi ad affrontare con decisione le situazioni che le si prospettavano davanti?
Sorretta da questo nuovo dubbio e
dalla convinzione di volere essere parte attiva del proprio destino Ashton aveva trovato il coraggio di fare quello che solo
poche settimane prima avrebbe ritenuto impensabile. Davanti alla prospettiva di
essere relegata in un collegio per i successivi mesi e magari perdere quello per cui aveva lavorato si era bruscamente ribellata. Messe
da parte la prudenza e il buon senso e davanti all’eventualità di vedere
limitata la sua indipendenza, gli aveva detto di sì.
Poi, per la verità, c’era anche quell’altra questione. Ma questo non sarebbe riuscita ad ammetterlo con sincerità neppure con se stessa.
Si sentiva attratta
da lui, stupidamente e insensatamente.
Proprio lei che si era sempre
ritenuta una persona di solido buonsenso si era
incapricciata di un attore!
Invece di pensare
al suo futuro, come seriamente avrebbe dovuto fare, si era invischiata in quel
groviglio di sensazioni e batticuore. Ma cosa aveva per la testa? Fare
la scema con uno che l’avrebbe presa e rimpiazzata alla stessa velocità con cui
si ordina il caffè al bar?
Più in basso di così proprio non
poteva capitare.
Insomma roba da non crederci: tanto
vale che andasse a fare il mestiere di Sandra!
Si vergognava tremendamente ma non
poteva farci nulla. Era più forte di lei.
Il ricordo del suo bacio era
materializzato al centro del suo petto e palpitava.
A distanza di così tanto tempo
riusciva ad avvertire distintamente l’emozione sfrenata, intrecciata strettamente
al piacere e alla paura.
Oh, certo! Orlando era arrogante,
presuntuoso, sfacciato, polemico, irriverente e un sacco di altre
cose non proprio ripetibili ma, per qualche strana incomprensibile ragione,
l’aveva colpita. In una sola settimana la sua vita era stata stravolta e lei
non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che provava da quando l’aveva
conosciuto: essere al centro di un uragano, momentaneamente al sicuro, ma
incapace di sapere quando la furia dell’elemento si sarebbe spostata, travolgendola
tra le sue spire.
Da quando si era trasferita nel suo
appartamento l’”uragano Orlando” sembrava essersi
stranamente quietato ma a dire il vero quel trasferimento non era stato del
tutto indolore. Nonostante padre Dowell,
suor Mary e lei stessa la considerassero una situazione oltremodo temporanea,
c’era stata una persona a rimanere profondamente turbata dalla sua scelta
estemporanea.
Peter era rimasto sconvolto dalla sua
decisione, peggio che se gli avesse comunicato di
volersi rinchiudere in un convento per sempre. Prima era tornato alla carica
con la sua proposta di matrimonio poi, al suo netto rifiuto, le aveva offerto
la possibilità di trasferirsi da lui in attesa che si
calmassero le acque. Al nuovo rifiuto di Ashton, Peter si era infuriato e
non aveva voluto ascoltare ragioni.
Ashton si era impegnata per più di un’ora a
spiegargli con gentilezza che un matrimonio fra loro era assolutamente fuori
discussione e che non era innamorata di lui ma, dopo che Peter
l’ebbe accusata di essersi lasciata affascinare da quel bellimbusto di un
attore e di non vedere l’ora di scaldargli il letto, non ci vide
più e gli intimò bruscamente di farsi i
fatti suoi e di lasciarla in pace.
Il fatto che lui avesse
consapevolmente toccato un nervo scoperto e messo a nudo una sua debolezza non contribuì a renderla tranquilla. Se Peter aveva tratto quella
conclusione, cosa stava combinando? Era forse impazzita?
Per quanto si scervellasse
non riusciva a trovare una giustificazione sensata per le sue scelte e il suo
comportamento tranne di essere assolutamente convinta di fare un pazzia e di
volerla fare fino in fondo.
Da quel momento l’amicizia tra Peter e Ashton subì uno strappo.
Piccolo, forse, ma sicuramente irreparabile e, nonostante si frequentassero
ancora per via della recita di inizio anno alla quale
entrambi partecipavano nella veste di sceneggiatrice e regista, le loro
conversazioni si limitavano ad uno stringato saluto e ad alcune brevi
comunicazioni inerenti lo spettacolo.
Ashton sollevò un albero di cartapesta
contro il fondale e prese a martellare alcuni chiodi su una tavella di legno
davanti a sé per fissarla maggiormente al resto della struttura.
Si trovava nella sala teatrale del
“Old Pickwick Theatre”[i] dalle
tre di dopopranzo, impegnata ad occuparsi dell’allestimento del fondale per la
più bella rappresentazione teatrale de “La Bella e la Bestia” che tutti i
finanziatori e i patroni dell’Oratorio avrebbero mai visto nella loro vita. O almeno così sperava. Alle sue spalle le prove si
susseguivano incessanti, sotto lo sguardo insolitamente severo e puntiglioso
del regista. Quel pomeriggio Peter si era lanciato in
una serie di pedanti correzioni nei confronti di Sean
Porter, il ragazzino dodicenne che impersonava il
Principe-Bestia, accusandolo di non metterci sufficiente impegno nel muoversi e
ruggire come un animale selvaggio.
Strinse le labbra all’ennesimo brusco
rimprovero del regista ma, nonostante non ne approvasse
i modi, in cuor suo sapeva che i rimproveri di Peter
erano giusti. Se solo Sean
ci avesse messo un po’ più di passione! Quel ruggito sembrava piuttosto il
miagolio di un gattino malandato!
Riprese a martellare con maggiore
impegno. Quella sera avrebbero finito tardi e Orlando si era
offerto di passarla a prendere. Sarebbe stato il loro primo contatto
umano da una settimana a questa parte.
Da poco meno di quindici giorni lei
aveva assunto il ruolo di una governante a tutti gli effetti e si occupava
dell’appartamento a Belgravia e del suo originale
padrone come se non avesse mai fatto altro prima d’ora.
La convivenza non era risultata affatto traumatica come in principio aveva temuto.
Orlando usciva spesso, a volte stava fuori anche per tutta la giornata e la
sera rientrava ben oltre l’ora in cui Ashton
solitamente andava a letto. Quando era a casa era
indaffaratissimo. Il telefono e il cellulare
squillavano in continuazione e un paio di volte Ashton si era ritrovata anche a ricoprire il ruolo della
segretaria-paravento, quando lui si ritirava nel suo studio a leggere il
copione facendosi negare.
Quando lei la mattina usciva per
andare a scuola lui dormiva ancora. Gli preparava
tutto l’occorrente per la colazione sul tavolo della cucina e poi via, di corsa
al St. Dorothea!
Si vedevano pochissimo e dopotutto
andava bene così.
D’altronde che cosa avrebbe potuto
dirgli? In che cosa una ragazza come lei avrebbe potuto interessare uno come
Orlando? E soprattutto, era davvero certa di volerlo
eventualmente scoprire?
Nella miriade delle insensatezze che
a scuola Sandy Happleby le aveva riversato addosso sicuramente aveva centrato un punto:
Orlando era bello, affascinante, corteggiato e famoso, in una parola lontano
anni luce da una come lei.
Una delle tante sere in cui lui era
uscito si era messa a rovistare nella sua imponente collezione di dvd e aveva scoperto alcuni film che lui aveva girato negli
anni precedenti tra cui anche l’imponente trilogia de “Il Signore degli
Anelli”.
La proporzione della sua notorietà
l’aveva resa pienamente consapevole di come da sconosciuto ragazzo di una
cittadina provinciale a nord di Londra Orlando fosse
rapidamente asceso all’olimpo degli attori. Una stella nel firmamento di
Hollywood. La mecca del cinema mondiale era stata generosa
con lui ed egli in cambio l’aveva semplicemente conquistata.
Quella sera, però, lui sarebbe
passato a prenderla. Anche se quella specie di appuntamento
era privo di implicazioni di sorta non riusciva a non pensarci e aveva
le farfalle nello stomaco per l’emozione.
Era più forte di lei. Più forte della prudenza e della lucidità che avrebbe dovuto
avere.
Non Sandy Happleby, né un’altra ragazza, ma lei!
Quando il giorno prima l’aveva informato
della sua intenzione di recarsi nel teatro dell’Oratorio, Orlando le era
apparso impensierito e quando lo aveva avvertito della possibilità di fare
tardi le aveva offerto senza esitazione un passaggio per tornare a casa.
Ashton si tirò in piedi e afferrò un pezzo
di compensato azzurro cielo, raffigurante una nuvola, per fissarlo su due
staffe all’estremità del pannello. Lo sollevò e riuscì a reggerlo con entrambe
le mani ma, quando si trattò di sollevarlo ad di sopra
della propria testa per inserirlo nel supporto, il ferro dispettoso di girò di
traverso, vanificando i suoi sforzi. Rimase li, respirando affannosamente per
lo sforzo e, allo stesso tempo, impossibilitata a raddrizzare la staffa senza
posare di nuovo la nuvola a terra e ricominciare tutto da capo. Fece un bel
respiro e provò a sollevare la nuvola ancora un pochino ma i muscoli delle
braccia di rifiutarono di collaborare. Stava per
rinunciare e chiamare in aiuto Peter o qualcuno dei
ragazzi quando, improvvisamente, il compensato divenne molto più leggero. La
mano di un provvido collaboratore si tese da dietro le sue spalle e raddrizzò
con destrezza il supporto. Orlando prese la nuvola dalle braccia doloranti di Ashton e la sollevò,
collocandola alla giusta altezza senza apparente fatica.
Si volse a sorriderle e i suoi occhi
incontrarono divertiti quelli meravigliati di lei.
- Adesso ti sei anche trasformata in
un piccolo carpentiere. Continuerai sempre a sorprendermi, mia piccola Ashton? -
*****
La Land Rover
scivolò con un rombo ovattato per le strade trafficate di Londra, fino ad
imboccare l’arteria principale che l’avrebbe condotto dritto a St. Giles. Orlando strinse la
leva del cambio, scalando marcia per l’ennesima volta di fronte ad un semaforo
rosso. L’impianto stereo diffondeva nell’abitacolo una canzone dell’ultimo
album dei Coldplay e la musica della band inglese
sembrava aiutarlo a distendere i nervi tesi e a schiarirsi le idee.
Era reduce da un pomeriggio di
stancanti discussioni insieme a Robin Baum, la sua agente, ma al termine delle tre successive
riunioni con l’addetto stampa, i manager che si
occupavano dell’organizzazione pratica dei suoi spostamenti e il direttore di
produzione, erano riusciti a definire a puntino tutti suoi successivi impegni.
Adesso Orlando sapeva dove avrebbe mangiato, dormito e recitato nei successivi
tre mesi e la sua agenda si era riempita con una tabella di marcia degna di un
atleta professionista che si stesse preparando per le Olimpiadi.
Tuttavia, invece di concentrarsi sui suoi
appuntamenti, i suoi pensieri corsero liberi alla sua piccola governante.
Nonostante Ashton
si occupasse della sua casa e vivesse sotto il suo
stesso tetto, se si escludevano quattro chiacchiere veloci durante i loro
sporadici e brevissimi incontri, si poteva dire che, dal giorno in cui lei si
era trasferita a Belgravia, non avevano più avuto
modo di parlare.
Il che stava a
significare che lui non aveva fatto alcun passo avanti e i loro rapporti
erano rimasti, per così dire, “al palo”. In preda ad una frustrante
insofferenza per il protrarsi di quella situazione per lui inconsueta, aveva
colto la palla al balzo e si era offerto di andarla a prendere presso la sala
teatrale dove Ashton e i suoi amici dell’Oratorio
preparavano quella che gli era parso di capire fosse la recita annuale di
beneficenza.
Di fronte all’evidente piacere di lei
alla sua proposta il suo amor proprio aveva subito una lucidata niente male e
si era tutto ringalluzzito: peccato che non lo avesse fatto solo per altruismo.
Aveva ben chiaro il motivo per cui faceva tutto questo e l’inquietudine che lo rodeva.
Non era abituato ad accettare un
rifiuto e dopotutto Ashton faceva parte della
categoria delle donne. Quelle stesse creature che si accapigliavano quando lo
riconoscevano per strada, che lo lusingavano e lo
corteggiavano senza sosta. Era più bella, forse, e somigliantissima a Galatea,
ma quando l’aveva incontrata faceva l’entraineuse
ad una festa!
Nonostante le sue successive
spiegazioni, Orlando non riusciva a togliersi di testa l’idea che lei non fosse proprio la santarellina che dichiarava di
essere e che stesse giocando con lui “al rialzo”. Non era da escludere che la
ragazza avesse capito che, sfruttando bene le sue carte, avrebbe potuto
ottenere parecchio, ma quello che aveva trascurato di
considerare era che lui era un maestro nelle schermaglie tra i due sessi.
Magari, aveva sbagliato l’approccio
iniziale ma c’era tutto il tempo per un grande
recupero!
Arrestò il Land Rover
nel parcheggio davanti al piccolo teatro e si avviò verso le quinte passando da
un’entrata secondaria.
La vide immediatamente, in mezzo al
palco, davanti alla struttura delle scenografie, con una scatola di attrezzi da falegname aperta vicino alla caviglia destra.
Aveva i capelli raccolti sotto un fazzoletto bianco che non riusciva a
nasconderne il brillante colore e in mano reggeva un pezzo di legno dalla
dubbia forma ovale che doveva pesare una quintale e
sembrava decisamente in difficoltà.
Senza perdere tempo Orlando le sia avvicinò da dietro e afferrò dalle sue mani la sagoma di
nuvola. Sistemando gli appositi sostegni la fissò
senza fatica. Di fronte all’espressione sbalordita di Ashton non riuscì a trattenere una battuta che gli scappò
spontanea
- Adesso ti sei anche trasformata in
un piccolo carpentiere. Continuerai sempre a sorprendermi, mia piccola Ashton? -
La vide sgranare quegli incredibili
occhi azzurri per sorpresa e poi sorridergli, sbuffando piano
- Oh, ciao. Grazie, sei arrivato
appena in tempo. Le nuvole non sembra, ma pesano! -
Orlando ricambiò il sorriso,
intimamente sbalordito per lo sconcertante piacere che aveva provato nel
vederla. Distolse lo sguardo e si guardò in giro con interesse – E’ meno peggio di quanto pensassi – constatò, spudoratamente
sincero.
Ashton lo guardò storto – E’ il meglio di quanto ci possiamo permettere. – ribatté con
un’ombra di sfida nella voce.
La bocca di Orlando
si piegò in una smorfia e fece per ribattere ma le sue parole furono interrotte
da uno strillo acuto
- No, no e no! -
Ashton e
Orlando trasalirono e si voltarono all’unisono nella direzione da cui
provenivano quelle urla esasperate.
Tutte le persone presenti in quel
momento in teatro avevano interrotto le loro occupazioni e si erano girate in
modo da vedere quello che stava succedendo e in particolar modo il motivo per cui il regista era sbottato così bruscamente
- Non puoi dire la battuta in questo
modo! –
In mezzo al palcoscenico Peter O’Toole stava davanti ad un ragazzino appena adolescente con il
copione della recita stretto in mano e le labbra arricciate da un profondo
disappunto. – E’ tutto il pomeriggio che proviamo e non va ancora bene. Io ci
rinuncio con te, Sean. -
Ashton vide la faccia delusa del suo
piccolo amico e fece un passo avanti
- Ma no, dai
Peter non esagerare. Non va poi così male. L’anno
scorso … -
- Sei fuori di
testa? – Il dottore la interruppe, apostrofandola con durezza – Mancano meno di tre settimane e il nostro protagonista non
riesce neppure a ruggire come la Bestia. Dici che non va male? E’ una tragedia!
-
Nel silenzio irreale del teatro il
viso del piccolo attore si fece paonazzo per la vergogna e Ashton
ammutolì, intuendo perfettamente che quello sfogo gratuito ed esagerato nei
confronti di Sean era, in realtà, rivolto a lei.
Orlando… Orlando, invece, si incazzò.
Quel tipo non aveva il diritto di
mortificare così il ragazzino e, dopotutto, lui chi era? Stanley
Kubrick?
- Senti un po’ – prese a dire,
avanzando con aria decisa sul palcoscenico fino ad arrivare sotto le luci – Non
mi sembra il caso di prendersela a questo modo. Se ha sbagliato può riprovare, non succede niente. -
Peter lo fissò con ostilità – E tu che ci fai qui? Il teatro non è aperto al pubblico e questo
significa che anche le star di Hollywood devono rimanere fuori. – disse con
asprezza.
Orlando riconobbe nell’irritato
regista l’uomo che aveva interrotto lui ed Ashton nel
chiostro dell’Oratorio alcune settimane prima e di fronte al quel tono sgarbato
raccolse la provocazione a modo suo
- Buonasera a te – rispose con falsa
cortesia intrisa di sarcasmo – E, per rispondere alla tua domanda, sono venuto
a prendere Ashton – ribatté con maligna soddisfazione
nel vedere l’altro trasalire leggermente – ma stai
tranquillo che togliamo subito il disturbo. –
- Ma tu… tu
sei Orlando Bloom! -
Orlando abbassò lo sguardo alla sua
destra e incontrò il viso acceso dall’emozione del ragazzino che, quasi senza
volere, aveva difeso e che, adesso, lo stava fissando con un’espressione di
sconfinata ammirazione.
- Si, sono io. – ammise quasi a
malincuore
Si vide ripagato da
un sorriso beatamente adorante – Caspita, non posso crederci! Io ho
visto tutto il “Signore degli Anelli”! – Poi prima che Orlando riuscisse a
replicare adeguatamente e a dileguarsi, trascinando Ashton
fuori da quella gabbia di matti, il ragazzino gli
afferrò la mano – Tu potresti insegnarmi come fare la Bestia! – esclamò pieno di entusiasmo – Se non lo imparo da te vuol dire che devo
rassegnarmi – disse scoccando un’occhiata avvilita a Peter.
Orlando aveva già iniziato a scuotere
la testa. Ma stavamo scherzando? Lui insegnare ad un
ragazzino ad interpretare una parte? Con tutto quello che aveva da fare?! E poi lui era venuto solo a prendere Ashton.
No, no, no, proprio no.
Ma in proprio in momento vide
l’espressione piena di aspettativa di Ashton e la smorfia di derisione che era prontamente
comparsa sul volto di Peter. La combinazione delle
due lo fece decidere in un nanosecondo.
- D’accordo. – si arrese, senza però
un grammo di entusiasmo. Si tolse il pesante giaccone
e si portò al centro del palcoscenico, intimamente compiaciuto dal sorriso
luminoso che era comparso istantaneamente sul viso di Ashton e si voltò verso il pubblico, il viso sotto la luce
calda dei riflettori.
- La battuta, per favore. – chiese rivolto a Peter.
Il dottore fece un sorriso tirato,
quasi di scherno.
- Non ce ne sono. – rispose seccamente – Devi ruggire come la Bestia. Stavamo
ripassando quello con Sean. Pensi che ti riuscirà
difficile? – aggiunse sarcastico.
Pensava di vederlo battere in
ritirata ma Orlando non fece una piega. Erano anni ormai che non faceva teatro
ma i ricordi e l’emozione c’erano ancora tutti, gli stessi di quando aveva
l’età di Sean e sua madre lo portava alle
competizioni di poesia e lui si trovava a recitare Shakespeare
davanti ad un pubblico di sconosciuti e di giurati. Allora era solo un
ragazzino ma ricordava ancora l’ansia che si provava prima di entrare in scena
e il fiotto di adrenalina che seguiva. Le assi
scricchiolarono leggermente, quando spostò il suo peso da un piede all’altro.
Orlando respirò lentamente l’odore delle tavole di legno e socchiuse gli occhi
per un istante, inspirando lentamente.
Il cambiamento dei suoi lineamenti fu
talmente repentino che tutti sussultarono. Le labbra si tesero sopra i denti e
iniziò ad emettere dalla gola un suono roco e gutturale. I muscoli si tesero e
l’attore si acquattò in posizione semieretta con la stessa elasticità di una
belva pronta a balzare sulla preda.
Un ringhio sordo prese a formarsi
nella sua gola e i suoi occhi fissarono Peter con
lucente pericolosità, quasi stessero valutando se
azzannarlo alla gola. Un lieve filo di bava colò sul mento a lato delle labbra
ma Orlando non parve accorgersene mentre si avvicinava con movimenti fluidi, le
mani protese ad artiglio. Gli si avventò contro con un ruggito spaventoso e
anche l’impassibile dottor O’ Toole si lasciò sfuggire un grido
nel tentativo di scrollarsi di dosso con uno spintone quel pazzo scatenato.
Orlando non fece resistenza e cadde
pesantemente sull’assito. Iniziò a rotolarsi ringhiando come se fosse torturato
da mille demoni interiori, il volto sfigurato da una smorfia feroce. Indossava
una pesante maglia a girocollo verde militare sopra un paio di pantaloni con le
tasche che da soli dovevano valere quanto Ashton
aveva speso per l’affitto dell’intero teatro ma l’attore non se ne curò
minimamente mentre strisciava, ruggendo, fino ai piedi di Ashton.
Sotto lo sguardo furibondo di Peter e quello imbarazzatissimo di Ashton prese a strofinarsi
contro il suo polpaccio e le sue ginocchia, sfregandole il viso contro le
cosce.
- Orlando! – Con le guance paonazze Ashton cercò di allontanargli la testa dalle sue gambe,
affondando le mani nei folti riccioli bruni ma egli continuò insistente a
cercare un contatto con pervicace ostinazione, emettendo un suono di gola che
la fece rimanere interdetta.
L’intero teatro
scoppio in una risata liberatoria quando tutti si accorsero che Orlando aveva
iniziato a fare le fusa contro Ashton come un
qualsiasi innocuo gattone. Tutti, tranne Peter,
scoppiarono in un applauso.
L’attore si rialzò in piedi sotto lo
sguardo caldo e ridente di Ashton
e volse la sua attenzione al ragazzino che lo seguiva con occhi adoranti quasi
a volersi imprimere bene nella mente ogni sfaccettatura della sua estemporanea
esibizione. Gli arruffò i capelli con un gesto un tantino paterno.
- Non devi mai dimenticare che, anche
in preda all’ira e alla disperazione, il Principe-Bestia ama Belle e non le
farebbe mai del male. – lo istruì.
Sean annuì – Ci proverò.
Mi impegnerò a fondo e vedrai che ci riuscirò. –
esclamò convinto. Orlando gli sorrise e poi si rivolse
verso la platea del piccolo teatro, producendosi in un profondo quanto
esagerato inchino.
- Servo vostro
signori e signore – salutò con voce stentorea – E adesso è arrivato il
momento di lasciarvi. Buona serata a tutti. - Si voltò e prese il suo giaccone
dalle mani di Ashton –
Andiamo? -
Lei annuì – Devo
solo finire… -
- Non ora. – Orlando la interruppe –
Ti prego, sono distrutto e vorrei solo andare a casa.
Mi sono esibito solo per un tuo sguardo e adesso chiedo alla mia governante un
po’ del suo tempo e della sua compagnia. Non mi sembra una
richiesta eccessiva, non trovi? – insistette gentilmente, abbassando la
voce fino ad un sussurro fioco.
Ashton vide i lineamenti stanchi di lui
stesi in un caldo sorriso e non trovò un valido motivo per rifiutare
- D’accordo, andiamo. – disse
afferrando la propria giacca e avvolgendosi attorno al collo un
pesante sciarpa.
Uscirono in fretta, salutando tutti,
ma prima di richiudersi la porta alle spalle Orlando non poté fare a meno di
scoccare un’occhiata sorniona al dottore, immobile vicino al riflettore a
sinistra del palco. Fu contraccambiato da uno sguardo feroce e geloso.
Intimamente se ne compiacque.
Era indubbio che Peter
O’Toole fosse
interessato ad Ashton ma Orlando non aveva la minima
intenzione di lasciare campo libero al giovane medico.
Ashton era Galatea e lui non avrebbe mai diviso il suo sogno con qualcun altro.
[i] Questo teatro non esiste a Londra perché ho preferito indicare un nome di pura fantasia. Il nome è il mio personale omaggio ad un libro che da ragazzina ho molto amato il celeberrimo “Il circolo Pickwick”.