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Autore: Anjulie    14/02/2006    2 recensioni
A volte si cerca nella vita qualcuno da amare e, a volte, non lo si cerca affatto ma capita... l'importante è che sia sempre l'altra metà del cielo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Dominic Monaghan, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII

Ecco qui che forse ce l’ho fatta. Onestamente non so’ ancora cosa sia successo ma pare che adesso si veda tutto. Perdonatemi per l’incapacità di base.

Ecco qui la fatidica decisione: finalmente mi sono decisa anch’io a postare, direte voi. Ebbene si, dopo tentennamenti vari, ecco qua, con uno sguardo pieno di particolare affetto anche a Dom e Selene. Un abbraccio affettuoso a tutte voi e ad maiora.

 

 

CAPITOLO VII

 

Forse non essere è esser senza che tu sia,

senza che tu vada tagliando il mezzogiorno

come un fiore azzurro, senza che tu cammini

più tardi per la nebbia e i mattoni

senza quella luce che tu rechi in mano che forse altri non vedrai dorata,

che forse nessuno seppe che cresceva

come l’origine rossa della rosa

senza che tu sia, infine, senza che venissi

brusca, eccitante, a conoscer la mia vita

raffica di roseto. frumento del vento.

e da allora sono perché tu sei

e da allora sei, sono e siamo, e per amore sarò. sarai. saremo.

(P.Neruda)

 

 

Lo stadio di Stanford Bridge con tutti i suoi quarantaquattromila posti era gremito di tifosi fino all’inverosimile per l’incontro della stagione tra il Manchester United e il Chelsea e, nonostante i biglietti in tribuna d’onore, Selene e Dom dovettero faticare non poco per superare la calca di gente assiepata contro le transenne in attesa di poter entrare e raggiungere il proprio posto.

Era questa la sorpresa che Dom aveva preparato per il loro insolito appuntamento: non la solita cenetta a lume di candela, né uno smaccato tentativo di seduzione che l’avrebbe fatta infuriare, ma una serata alternativa, passata ad urlare e a scatenarsi come matti. Selene si rilassò e, come Dom aveva previsto, accolse con entusiasmo la sua proposta di andare a vedere la partita.

Prima di scendere dal taxi la ragazza si avvolse attorno al collo la sciarpa con i colori del Manchester che Dom le aveva portato, ringraziandolo con un sorriso.

- Mi piace un sacco il calcio – affermò con energia, mentre superavano i cancelli diretti alla tribuna – Anche se mio padre non mi porta spesso allo stadio, in televisione non mi perdo una partita. -

Sedettero vicini e Dom porse a Selene una birra in attesa dell’inizio dell’incontro. Dopo pochi minuti si accorse che la ragazza non si era vantata a vuoto: Selene discuteva con competenza di fuorigioco e modulo quattro-quattro-tre, muovendo le mani con gesti rapidi a sottolineare la sua opinione. Lo ascoltava attentamente e poi gli proponeva le sue idee con passione da vera sportiva e genuino entusiasmo.

Quando il Manchester rifilò la doppietta al Chelsea dopo il pareggio nel secondo tempo fu per entrambi naturale abbracciarsi saltando di gioia. Si sciolsero dall’abbraccio ridendo come pazzi, riprendendo ad urlare all’indirizzo dei loro beniamini senza che alcun imbarazzo sciupasse quel gesto spontaneo di cameratesco entusiasmo.

Dom non si era mai divertito così tanto ad andare allo stadio con una ragazza. La maggior parte delle donne, oltre a trovare il calcio noioso, non ci capiva un’acca e le poche che in passato lo avevano accompagnato erano venute allo stadio solo per assecondarlo, con l’aria di un prigioniero sotto tortura. 

Selene, invece, si era scatenata come se si fosse dimenticata di lui, godendosi  lo spettacolo, le guance rosse e gli occhi brillanti per l’emozione.

Alla fine della partita, conclusasi con al vittoria del Manchester si ritrovarono seduti ad una tavola calda vicino allo stadio a mangiare hot-dogs e a bere birra rossa come due vecchi amici che si frequentassero da sempre. Selene aveva un’intelligenza brillante e la risposta sempre pronta e Dom non si annoiò affatto. Risero e si scambiarono battute, apprezzando la reciproca compagnia.

Certo, Selene era una bellezza fuori dal comune, dai lineamenti esotici e seducenti, ma Dom era abituato ad avere a che fare con donne anche molto più belle e sofisticate.

Ciò che lo incantava di lei era il mistero che Selene portava con sé.

In maniera straordinariamente camaleontica quella ragazza riusciva ad essere terribilmente sfacciata e pungente e risultare subito dopo quasi tenera e indifesa.

Il bianco e il nero. Positivo e negativo.

Un miscuglio troppo intrigante perché uno come Dominic Monaghan potesse rimanere indifferente.  

Dal canto suo Selene si rese conto di essere, per la prima volta dopo tanto tempo, a suo agio con un ragazzo. Dom era un vero buffone e la faceva ridere ma al contempo era capace di venirsene fuori con ragionamenti talmente articolati da farle dubitare di stare di fronte ad un mancato filosofo.

Fecero tardi senza neppure rendersene conto e, quando egli l’accompagnò al cancello della casa di Upper Brook Street, Selene si voltò per salutarlo. Con un sorriso birichino gli sfiorò una guancia con un bacio, stordendolo con la soffice morbidezza delle sue labbra e con il tocco carezzevole dei suoi capelli delicatamente profumati.

Dom rimase li come un allocco, incapace di reagire in qualche modo. La lingua gli si inceppò fino al punto che riuscì a balbettare solo un goffo saluto. un invito più esplicito, né una battuta sagace o provocatoria.

Accettò quel semplice bacio da Selene con la stesso straordinario piacere che avrebbe provato nel condividere con un’altra donna una notte di sesso sfrenato.

Raccolse e tenne stretta a sé quell’emozione.

Perché? Non lo sapeva.

Era la prima volta da molto tempo, e sicuramente da quando era diventato famoso, che una ragazza lo mandava in bianco ed era in assoluto la prima volta nella sua vita che fosse così assurdamente felice che lei lo avesse fatto.

 

Perché gli aveva risposto di si?

Se Ashton fosse stata onesta con se stessa avrebbe dovuto ammettere che la decisione di trasferirsi a casa di Orlando era stata presa più dietro l’onda dell’emozione che non con la testa. C’erano sicuramente vari fattori che avevano contribuito a portarla a fidarsi di lui e molto era dovuto al suo comportamento della sera in cui era venuto a cercarla all’Oratorio. Innanzi tutto lui si era slanciato fuori dal taxi accorrendo in suo soccorso come un paladino dei tempi antichi. L’aveva sorpresa, perché non si sarebbe mai aspettata un simile comportamento così generoso e altruista e questa nuova immagine di Orlando si era messa improvvisamente di traverso a modificare l’opinione non proprio lusinghiera che aveva di lui.

Poi c’era stata la frase di lui, quella che aveva continuato a ronzarle in testa per tutti quei giorni.

Devi semplicemente stabilire le tue priorità, fissarti una meta e poi fare di tutto per raggiungerla.

Possibile che lui avesse ragione? Non si stava, forse, nascondendo dietro a tutti i perché e però della sua vita invece di decidersi ad affrontare con decisione le situazioni che le si prospettavano davanti?

Sorretta da questo nuovo dubbio e dalla convinzione di volere essere parte attiva del proprio destino Ashton aveva trovato il coraggio di fare quello che solo poche settimane prima avrebbe ritenuto impensabile. Davanti alla prospettiva di essere relegata in un collegio per i successivi mesi e magari perdere quello per cui aveva lavorato si era bruscamente ribellata. Messe da parte la prudenza e il buon senso e davanti all’eventualità di vedere limitata la sua indipendenza, gli aveva detto di sì.

Poi, per la verità, c’era anche quell’altra questione. Ma questo non sarebbe riuscita ad ammetterlo con sincerità neppure con se stessa.

Si sentiva attratta da lui, stupidamente e insensatamente.

Proprio lei che si era sempre ritenuta una persona di solido buonsenso si era incapricciata di un attore!

Invece di pensare al suo futuro, come seriamente avrebbe dovuto fare, si era invischiata in quel groviglio di sensazioni e batticuore. Ma cosa aveva per la testa? Fare la scema con uno che l’avrebbe presa e rimpiazzata alla stessa velocità con cui si ordina il caffè al bar?

Più in basso di così proprio non poteva capitare.

Insomma roba da non crederci: tanto vale che andasse a fare il mestiere di Sandra!

Si vergognava tremendamente ma non poteva farci nulla. Era più forte di lei.

Il ricordo del suo bacio era materializzato al centro del suo petto e palpitava.

A distanza di così tanto tempo riusciva ad avvertire distintamente l’emozione sfrenata, intrecciata strettamente al piacere e alla paura.

Oh, certo! Orlando era arrogante, presuntuoso, sfacciato, polemico, irriverente e un sacco di altre cose non proprio ripetibili ma, per qualche strana incomprensibile ragione, l’aveva colpita. In una sola settimana la sua vita era stata stravolta e lei non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che provava da quando l’aveva conosciuto: essere al centro di un uragano, momentaneamente al sicuro, ma incapace di sapere quando la furia dell’elemento si sarebbe spostata, travolgendola tra le sue spire.

Da quando si era trasferita nel suo appartamento l’”uragano Orlando” sembrava essersi stranamente quietato ma a dire il vero quel trasferimento non era stato del tutto indolore. Nonostante padre Dowell, suor Mary e lei stessa la considerassero una situazione oltremodo temporanea, c’era stata una persona a rimanere profondamente turbata dalla sua scelta estemporanea.

Peter era rimasto sconvolto dalla sua decisione, peggio che se gli avesse comunicato di volersi rinchiudere in un convento per sempre. Prima era tornato alla carica con la sua proposta di matrimonio poi, al suo netto rifiuto, le aveva offerto la possibilità di trasferirsi da lui in attesa che si calmassero le acque. Al nuovo rifiuto di Ashton, Peter si era infuriato e non aveva voluto ascoltare ragioni.

Ashton si era impegnata per più di un’ora a spiegargli con gentilezza che un matrimonio fra loro era assolutamente fuori discussione e che non era innamorata di lui ma, dopo che Peter l’ebbe accusata di essersi lasciata affascinare da quel bellimbusto di un attore e di non vedere l’ora di scaldargli il letto, non ci vide più e gli intimò  bruscamente di farsi i fatti suoi e di lasciarla in pace.

Il fatto che lui avesse consapevolmente toccato un nervo scoperto e messo a nudo una sua debolezza non contribuì a renderla tranquilla. Se Peter aveva tratto quella conclusione, cosa stava combinando? Era forse impazzita?

Per quanto si scervellasse non riusciva a trovare una giustificazione sensata per le sue scelte e il suo comportamento tranne di essere assolutamente convinta di fare un pazzia e di volerla fare fino in fondo. 

Da quel momento l’amicizia tra Peter e Ashton subì uno strappo. Piccolo, forse, ma sicuramente irreparabile e, nonostante si frequentassero ancora per via della recita di inizio anno alla quale entrambi partecipavano nella veste di sceneggiatrice e regista, le loro conversazioni si limitavano ad uno stringato saluto e ad alcune brevi comunicazioni inerenti lo spettacolo.

Ashton sollevò un albero di cartapesta contro il fondale e prese a martellare alcuni chiodi su una tavella di legno davanti a sé per fissarla maggiormente al resto della struttura.

Si trovava nella sala teatrale del “Old Pickwick Theatre[i] dalle tre di dopopranzo, impegnata ad occuparsi dell’allestimento del fondale per la più bella rappresentazione teatrale de “La Bella e la Bestia” che tutti i finanziatori e i patroni dell’Oratorio avrebbero mai visto nella loro vita. O almeno così sperava. Alle sue spalle le prove si susseguivano incessanti, sotto lo sguardo insolitamente severo e puntiglioso del regista. Quel pomeriggio Peter si era lanciato in una serie di pedanti correzioni nei confronti di Sean Porter, il ragazzino dodicenne che impersonava il Principe-Bestia, accusandolo di non metterci sufficiente impegno nel muoversi e ruggire come un animale selvaggio.

Strinse le labbra all’ennesimo brusco rimprovero del regista ma, nonostante non ne approvasse i modi, in cuor suo sapeva che i rimproveri di Peter erano giusti. Se solo Sean ci avesse messo un po’ più di passione! Quel ruggito sembrava piuttosto il miagolio di un gattino malandato!

Riprese a martellare con maggiore impegno. Quella sera avrebbero finito tardi e Orlando si era offerto di passarla a prendere. Sarebbe stato il loro primo contatto umano da una settimana a questa parte.

Da poco meno di quindici giorni lei aveva assunto il ruolo di una governante a tutti gli effetti e si occupava dell’appartamento a Belgravia e del suo originale padrone come se non avesse mai fatto altro prima d’ora.

La convivenza non era risultata affatto traumatica come in principio aveva temuto. Orlando usciva spesso, a volte stava fuori anche per tutta la giornata e la sera rientrava ben oltre l’ora in cui Ashton solitamente andava a letto. Quando era a casa era indaffaratissimo. Il telefono e il cellulare

squillavano in continuazione e un paio di volte Ashton si era ritrovata anche a ricoprire il ruolo della segretaria-paravento, quando lui si ritirava nel suo studio a leggere il copione facendosi negare. 

Quando lei la mattina usciva per andare a scuola lui dormiva ancora. Gli preparava tutto l’occorrente per la colazione sul tavolo della cucina e poi via, di corsa al St. Dorothea! 

Si vedevano pochissimo e dopotutto andava bene così.

D’altronde che cosa avrebbe potuto dirgli? In che cosa una ragazza come lei avrebbe potuto interessare uno come Orlando? E soprattutto, era davvero certa di volerlo eventualmente scoprire?

Nella miriade delle insensatezze che a scuola Sandy Happleby le aveva riversato addosso sicuramente aveva centrato un punto: Orlando era bello, affascinante, corteggiato e famoso, in una parola lontano anni luce da una come lei.

Una delle tante sere in cui lui era uscito si era messa a rovistare nella sua imponente collezione di dvd e aveva scoperto alcuni film che lui aveva girato negli anni precedenti tra cui anche l’imponente trilogia de “Il Signore degli Anelli”.

La proporzione della sua notorietà l’aveva resa pienamente consapevole di come da sconosciuto ragazzo di una cittadina provinciale a nord di Londra Orlando fosse rapidamente asceso all’olimpo degli attori. Una stella nel firmamento di Hollywood. La mecca del cinema mondiale era stata generosa con lui ed egli in cambio l’aveva semplicemente conquistata.

Quella sera, però, lui sarebbe passato a prenderla. Anche se quella specie di appuntamento era privo di implicazioni di sorta non riusciva a non pensarci e aveva le farfalle nello stomaco per l’emozione.

Era più forte di lei. Più forte della prudenza e della lucidità che avrebbe dovuto avere.

Non Sandy Happleby, né un’altra ragazza, ma lei!

Quando il giorno prima l’aveva informato della sua intenzione di recarsi nel teatro dell’Oratorio, Orlando le era apparso impensierito e quando lo aveva avvertito della possibilità di fare tardi le aveva offerto senza esitazione un passaggio per tornare a casa.   

Ashton si tirò in piedi e afferrò un pezzo di compensato azzurro cielo, raffigurante una nuvola, per fissarlo su due staffe all’estremità del pannello. Lo sollevò e riuscì a reggerlo con entrambe le mani ma, quando si trattò di sollevarlo ad di sopra della propria testa per inserirlo nel supporto, il ferro dispettoso di girò di traverso, vanificando i suoi sforzi. Rimase li, respirando affannosamente per lo sforzo e, allo stesso tempo, impossibilitata a raddrizzare la staffa senza posare di nuovo la nuvola a terra e ricominciare tutto da capo. Fece un bel respiro e provò a sollevare la nuvola ancora un pochino ma i muscoli delle braccia di rifiutarono di collaborare. Stava per rinunciare e chiamare in aiuto Peter o qualcuno dei ragazzi quando, improvvisamente, il compensato divenne molto più leggero. La mano di un provvido collaboratore si tese da dietro le sue spalle e raddrizzò con destrezza il supporto. Orlando prese la nuvola dalle braccia doloranti di Ashton e la sollevò, collocandola alla giusta altezza senza apparente fatica.

Si volse a sorriderle e i suoi occhi incontrarono divertiti quelli meravigliati di lei.

- Adesso ti sei anche trasformata in un piccolo carpentiere. Continuerai sempre a sorprendermi, mia piccola Ashton? -

*****

La Land Rover scivolò con un rombo ovattato per le strade trafficate di Londra, fino ad imboccare l’arteria principale che l’avrebbe condotto dritto a St. Giles. Orlando strinse la leva del cambio, scalando marcia per l’ennesima volta di fronte ad un semaforo rosso. L’impianto stereo diffondeva nell’abitacolo una canzone dell’ultimo album dei Coldplay e la musica della band inglese sembrava aiutarlo a distendere i nervi tesi e a schiarirsi le idee.

Era reduce da un pomeriggio di stancanti discussioni insieme a Robin Baum, la sua agente, ma al termine delle tre successive riunioni con l’addetto stampa, i manager che si occupavano dell’organizzazione pratica dei suoi spostamenti e il direttore di produzione, erano riusciti a definire a puntino tutti suoi successivi impegni. Adesso Orlando sapeva dove avrebbe mangiato, dormito e recitato nei successivi tre mesi e la sua agenda si era riempita con una tabella di marcia degna di un atleta professionista che si stesse preparando per le Olimpiadi.

Tuttavia, invece di concentrarsi sui suoi appuntamenti, i suoi pensieri corsero liberi alla sua piccola governante.

Nonostante Ashton si occupasse della sua casa e vivesse sotto il suo stesso tetto, se si escludevano quattro chiacchiere veloci durante i loro sporadici e brevissimi incontri, si poteva dire che, dal giorno in cui lei si era trasferita a Belgravia, non avevano più avuto modo di parlare.

Il che stava a significare che lui non aveva fatto alcun passo avanti e i loro rapporti erano rimasti, per così dire, “al palo”. In preda ad una frustrante insofferenza per il protrarsi di quella situazione per lui inconsueta, aveva colto la palla al balzo e si era offerto di andarla a prendere presso la sala teatrale dove Ashton e i suoi amici dell’Oratorio preparavano quella che gli era parso di capire fosse la recita annuale di beneficenza.

Di fronte all’evidente piacere di lei alla sua proposta il suo amor proprio aveva subito una lucidata niente male e si era tutto ringalluzzito: peccato che non lo avesse fatto solo per altruismo.

Aveva ben chiaro il motivo per cui faceva tutto questo e l’inquietudine che lo rodeva.

Non era abituato ad accettare un rifiuto e dopotutto Ashton faceva parte della categoria delle donne. Quelle stesse creature che si accapigliavano quando lo riconoscevano per strada, che lo lusingavano e lo corteggiavano senza sosta. Era più bella, forse, e somigliantissima a Galatea, ma quando l’aveva incontrata faceva l’entraineuse ad una festa!

Nonostante le sue successive spiegazioni, Orlando non riusciva a togliersi di testa l’idea che lei non fosse proprio la santarellina che dichiarava di essere e che stesse giocando con lui “al rialzo”. Non era da escludere che la ragazza avesse capito che, sfruttando bene le sue carte, avrebbe potuto ottenere parecchio, ma quello che aveva trascurato di considerare era che lui era un maestro nelle schermaglie tra i due sessi.

Magari, aveva sbagliato l’approccio iniziale ma c’era tutto il tempo per un grande recupero!

Arrestò il Land Rover nel parcheggio davanti al piccolo teatro e si avviò verso le quinte passando da un’entrata secondaria.

La vide immediatamente, in mezzo al palco, davanti alla struttura delle scenografie, con una scatola di attrezzi da falegname aperta vicino alla caviglia destra. Aveva i capelli raccolti sotto un fazzoletto bianco che non riusciva a nasconderne il brillante colore e in mano reggeva un pezzo di legno dalla dubbia forma ovale che doveva pesare una quintale e sembrava decisamente in difficoltà.

Senza perdere tempo Orlando le sia avvicinò da dietro e afferrò dalle sue mani la sagoma di nuvola. Sistemando gli appositi sostegni la fissò senza fatica. Di fronte all’espressione sbalordita di Ashton non riuscì a trattenere una battuta che gli scappò spontanea 

- Adesso ti sei anche trasformata in un piccolo carpentiere. Continuerai sempre a sorprendermi, mia piccola Ashton? -

La vide sgranare quegli incredibili occhi azzurri per sorpresa e poi sorridergli, sbuffando piano

- Oh, ciao. Grazie, sei arrivato appena in tempo. Le nuvole non sembra, ma pesano! -

Orlando ricambiò il sorriso, intimamente sbalordito per lo sconcertante piacere che aveva provato nel vederla. Distolse lo sguardo e si guardò in giro con interesse – E’ meno peggio di quanto pensassi – constatò, spudoratamente sincero.

Ashton lo guardò storto – E’ il meglio di quanto ci possiamo permettere. – ribatté con un’ombra di sfida nella voce.

La bocca di Orlando si piegò in una smorfia e fece per ribattere ma le sue parole furono interrotte da uno strillo acuto

- No, no e no! -

Ashton e Orlando trasalirono e si voltarono all’unisono nella direzione da cui provenivano quelle urla esasperate.

Tutte le persone presenti in quel momento in teatro avevano interrotto le loro occupazioni e si erano girate in modo da vedere quello che stava succedendo e in particolar modo il motivo per cui il regista era sbottato così bruscamente

- Non puoi dire la battuta in questo modo! –

In mezzo al palcoscenico Peter O’Toole stava davanti ad un ragazzino appena adolescente con il copione della recita stretto in mano e le labbra arricciate da un profondo disappunto. – E’ tutto il pomeriggio che proviamo e non va ancora bene. Io ci rinuncio con te, Sean. - 

Ashton vide la faccia delusa del suo piccolo amico e fece un passo avanti

- Ma no, dai Peter non esagerare. Non va poi così male. L’anno scorso … -

- Sei fuori di testa? – Il dottore la interruppe, apostrofandola con durezza – Mancano meno di tre settimane e il nostro protagonista non riesce neppure a ruggire come la Bestia. Dici che non va male? E’ una tragedia! -

Nel silenzio irreale del teatro il viso del piccolo attore si fece paonazzo per la vergogna e Ashton ammutolì, intuendo perfettamente che quello sfogo gratuito ed esagerato nei confronti di Sean era, in realtà, rivolto a lei.

Orlando… Orlando, invece, si incazzò.

Quel tipo non aveva il diritto di mortificare così il ragazzino e, dopotutto, lui chi era? Stanley Kubrick?

- Senti un po’ – prese a dire, avanzando con aria decisa sul palcoscenico fino ad arrivare sotto le luci – Non mi sembra il caso di prendersela a questo modo. Se ha sbagliato può riprovare, non succede niente. -

Peter lo fissò con ostilità – E tu che ci fai qui? Il teatro non è aperto al pubblico e questo significa che anche le star di Hollywood devono rimanere fuori. – disse con asprezza.

Orlando riconobbe nell’irritato regista l’uomo che aveva interrotto lui ed Ashton nel chiostro dell’Oratorio alcune settimane prima e di fronte al quel tono sgarbato raccolse la provocazione a modo suo

- Buonasera a te – rispose con falsa cortesia intrisa di sarcasmo – E, per rispondere alla tua domanda, sono venuto a prendere Ashton – ribatté con maligna soddisfazione nel vedere l’altro trasalire leggermente – ma stai tranquillo che togliamo subito il disturbo. –

- Ma tu… tu sei Orlando Bloom! -

Orlando abbassò lo sguardo alla sua destra e incontrò il viso acceso dall’emozione del ragazzino che, quasi senza volere, aveva difeso e che, adesso, lo stava fissando con un’espressione di sconfinata ammirazione.

- Si, sono io. – ammise quasi a malincuore

Si vide ripagato da un sorriso beatamente adorante – Caspita, non posso crederci! Io ho visto tutto il “Signore degli Anelli”! – Poi prima che Orlando riuscisse a replicare adeguatamente e a dileguarsi, trascinando Ashton fuori da quella gabbia di matti, il ragazzino gli afferrò la mano – Tu potresti insegnarmi come fare la Bestia! – esclamò pieno di entusiasmo – Se non lo imparo da te vuol dire che devo rassegnarmi – disse scoccando un’occhiata avvilita a Peter.

Orlando aveva già iniziato a scuotere la testa. Ma stavamo scherzando? Lui insegnare ad un ragazzino ad interpretare una parte? Con tutto quello che aveva da fare?! E poi lui era venuto solo a prendere Ashton. No, no, no, proprio no.

Ma in proprio in momento vide l’espressione piena di aspettativa di Ashton e la smorfia di derisione che era prontamente comparsa sul volto di Peter. La combinazione delle due lo fece decidere in un nanosecondo.

- D’accordo. – si arrese, senza però un grammo di entusiasmo. Si tolse il pesante giaccone e si portò al centro del palcoscenico, intimamente compiaciuto dal sorriso luminoso che era comparso istantaneamente sul viso di Ashton e si voltò verso il pubblico, il viso sotto la luce calda dei riflettori.

- La battuta, per favore. – chiese rivolto a Peter.

Il dottore fece un sorriso tirato, quasi di scherno.

- Non ce ne sono. – rispose seccamente – Devi ruggire come la Bestia. Stavamo ripassando quello con Sean. Pensi che ti riuscirà difficile? – aggiunse sarcastico.

Pensava di vederlo battere in ritirata ma Orlando non fece una piega. Erano anni ormai che non faceva teatro ma i ricordi e l’emozione c’erano ancora tutti, gli stessi di quando aveva l’età di Sean e sua madre lo portava alle competizioni di poesia e lui si trovava a recitare Shakespeare davanti ad un pubblico di sconosciuti e di giurati. Allora era solo un ragazzino ma ricordava ancora l’ansia che si provava prima di entrare in scena e il fiotto di adrenalina che seguiva. Le assi scricchiolarono leggermente, quando spostò il suo peso da un piede all’altro. Orlando respirò lentamente l’odore delle tavole di legno e socchiuse gli occhi per un istante, inspirando lentamente.

Il cambiamento dei suoi lineamenti fu talmente repentino che tutti sussultarono. Le labbra si tesero sopra i denti e iniziò ad emettere dalla gola un suono roco e gutturale. I muscoli si tesero e l’attore si acquattò in posizione semieretta con la stessa elasticità di una belva pronta a balzare sulla preda.

Un ringhio sordo prese a formarsi nella sua gola e i suoi occhi fissarono Peter con lucente pericolosità, quasi stessero valutando se azzannarlo alla gola. Un lieve filo di bava colò sul mento a lato delle labbra ma Orlando non parve accorgersene mentre si avvicinava con movimenti fluidi, le mani protese ad artiglio. Gli si avventò contro con un ruggito spaventoso e anche l’impassibile dottor O’ Toole si lasciò sfuggire un grido nel tentativo di scrollarsi di dosso con uno spintone quel pazzo scatenato.

Orlando non fece resistenza e cadde pesantemente sull’assito. Iniziò a rotolarsi ringhiando come se fosse torturato da mille demoni interiori, il volto sfigurato da una smorfia feroce. Indossava una pesante maglia a girocollo verde militare sopra un paio di pantaloni con le tasche che da soli dovevano valere quanto Ashton aveva speso per l’affitto dell’intero teatro ma l’attore non se ne curò minimamente mentre strisciava, ruggendo, fino ai piedi di Ashton.

Sotto lo sguardo furibondo di Peter e quello imbarazzatissimo di Ashton prese a strofinarsi contro il suo polpaccio e le sue ginocchia, sfregandole il viso contro le cosce.

- Orlando! – Con le guance paonazze Ashton cercò di allontanargli la testa dalle sue gambe, affondando le mani nei folti riccioli bruni ma egli continuò insistente a cercare un contatto con pervicace ostinazione, emettendo un suono di gola che la fece rimanere interdetta.

L’intero teatro scoppio in una risata liberatoria quando tutti si accorsero che Orlando aveva iniziato a fare le fusa contro Ashton come un qualsiasi innocuo gattone. Tutti, tranne Peter, scoppiarono in un applauso.

L’attore si rialzò in piedi sotto lo sguardo caldo e ridente di Ashton e volse la sua attenzione al ragazzino che lo seguiva con occhi adoranti quasi a volersi imprimere bene nella mente ogni sfaccettatura della sua estemporanea esibizione. Gli arruffò i capelli con un gesto un tantino paterno.

- Non devi mai dimenticare che, anche in preda all’ira e alla disperazione, il Principe-Bestia ama Belle e non le farebbe mai del male. – lo istruì.

Sean annuì – Ci proverò. Mi impegnerò a fondo e vedrai che ci riuscirò. – esclamò convinto. Orlando gli sorrise e poi si rivolse verso la platea del piccolo teatro, producendosi in un profondo quanto esagerato inchino.

- Servo vostro signori e signore – salutò con voce stentorea – E adesso è arrivato il momento di lasciarvi. Buona serata a tutti. - Si voltò e prese il suo giaccone dalle mani di Ashton – Andiamo? -

Lei annuì – Devo solo finire… -

- Non ora. – Orlando la interruppe – Ti prego, sono distrutto e vorrei solo andare a casa. Mi sono esibito solo per un tuo sguardo e adesso chiedo alla mia governante un po’ del suo tempo e della sua compagnia. Non mi sembra una richiesta eccessiva, non trovi? – insistette gentilmente, abbassando la voce fino ad un sussurro fioco.

Ashton vide i lineamenti stanchi di lui stesi in un caldo sorriso e non trovò un valido motivo per rifiutare

- D’accordo, andiamo. – disse afferrando la propria giacca e avvolgendosi attorno al collo un pesante sciarpa.

Uscirono in fretta, salutando tutti, ma prima di richiudersi la porta alle spalle Orlando non poté fare a meno di scoccare un’occhiata sorniona al dottore, immobile vicino al riflettore a sinistra del palco. Fu contraccambiato da uno sguardo feroce e geloso.

Intimamente se ne compiacque.

Era indubbio che Peter O’Toole fosse interessato ad Ashton ma Orlando non aveva la minima intenzione di lasciare campo libero al giovane medico.

Ashton era Galatea e lui non avrebbe mai diviso il suo sogno con qualcun altro.

 



[i] Questo teatro non esiste a Londra perché ho preferito indicare un nome di pura fantasia. Il nome è il mio personale omaggio ad un libro che da ragazzina ho molto amato il celeberrimo “Il circolo Pickwick”.

  
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