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Autore: mercutia    12/05/2011    1 recensioni
L'approdo su un'isola dagli strani poteri causa effetti "particolari" sulla ciurma di Rufy, risvegliando in loro sentimenti sepolti. Zoro e Nami in particolare vengono a trovarsi in una situazione difficile da equilibrare, sia per loro stessi che nei confronti dei loro compagni, di Sanji soprattutto.
Presi dalle difficoltà di un'attrazione forte quanto complicata, i ragazzi e i loro compagni si trovano prima intrappolati da una persona di cui si erano fidati, poi invischiati in un'avventura pericolosa per riavere la Going Merry e salvare un regno da un malvagio usurpatore.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prigionieri


Usop veniva trascinato da un soldato. Gli avevano legato le mani così strette che sentiva la pelle sotto le corde scorticarsi al minimo movimento. Dietro di lui non di molto poteva vedere Nami, legata allo stesso modo, procedere con lo sguardo rivolto alla strada su cui camminavano. Li avrebbero sbattuti in carcere: Usop immaginava le segrete di un castello angusto, popolate di gente sudicia e malvagia, lì ad aspettare solo l’arrivo di un nuovo “ospite” per compiere chissà quali crudeltà. Piangendo pregava i suoi secondini di lasciarlo libero, che non avrebbe dato nessun disturbo… il suo solito tentativo di intimorire il nemico parlando dei mille suoi uomini pronti a salvare la vita al loro prode capitano, era già sfumato tra le risate fragorose di quei soldati senza cuore, che lo invitavano a continuare a camminare a suon di calci nel sedere.
Con la coda dell’occhio osservava di tanto in tanto la sua compagna avanzare apparentemente tranquilla. Ora aveva alzato la testa e guardava avanti a sé senza mostrare la minima paura… come faceva? Lui che desiderava sopra ogni cosa diventare un uomo coraggioso se ne stava lì a frignare peggio di un moccioso, mentre la sua compagna, una donna, martoriata di lividi, tagli e fango molto più di lui, camminava con incedere addirittura spavaldo.
Raccogliendo ogni brandello di dignità e di coraggio, anche lui gonfiò d’aria il petto e alzò la testa, puntando gli occhi dritti davanti a sè, camminando verso quel posto che lo terrorizzava a morte, ma che avrebbe affrontato con la forza e la temerarietà che si conviene a un grande pirata… al degno figlio di Yasop!
Nami sentiva le lacrime spingere per uscire, ma non avrebbe dato a quegli sporchi aguzzini la soddisfazione di vederla sconfitta. Anche conciata così, col sangue che le usciva dalla varie ferite che aveva qua e là, il volto tanto zozzo da essere a malapena riconoscibile, continuava a pensare che la cosa più importante era tornare da Zoro, portarlo via e fuggire di lì insieme. Sembrava però un’impresa a dir poco impossibile scappare: il corteo che ora li accompagnava era forse formato da un migliaio di soldati, tutti armati fino ai denti… vederli tutti era impossibile sia per il numero spropositato, sia perché si perdevano nell’oscurità della notte.
Quell’uomo vestito di nero doveva essere Poi, non ci voleva un grande intuito per capirlo, aveva la perfidia scritta in faccia, a Nami faceva venire la pelle d’oca tanto gli ricordava Arlong. Se mai si fosse azzardato anche lui a toccarla anche solo con un dito gliel’avrebbe fatta pagare cara: aveva appena finito di leccarsi le profonde ferite delle angherie subite per troppi anni da quel maledetto uomo-pesce, quell’incubo non poteva ripetersi… temeva che non ne sarebbe più uscita.
Giunti alle mura del castello, i cuori di Nami e Usop sussultarono di irrequietudine, osservando ogni angolo immerso nel buio, alla disperata ricerca di qualsiasi cosa che potesse dare loro la speranza di poter fuggire, camminavano seguendo i loro carcerieri giù per scale poco illuminate. L’aria si faceva sempre più pesante e umida e infine giunsero in un lungo corridoio intriso dell’intenso odore di chiuso e di pece delle fiaccole accese. Numerosissime porte si susseguivano a vista d’occhio una accanto all’altra, tutte chiuse, tutte uguali, se non per i numeri posti sotto le feritoie. Il silenzio che regnava era impressionante, irreale, micidiale alle orecchie di chi giungeva lì e desiderava sapere cosa lo aspettava. A romperlo erano solo i passi dei soldati, che coi loro stivali producevano suoni sordi e ripetitivi.
Usop fu violentemente sbattuto dentro una delle prime celle. Un soldato ne aveva aperto all’improvviso la porta e altri due, slegate le manette, spinsero dentro il prigioniero che volò per tutta la lunghezza dell’angusta stanzetta. La porta si richiuse secca subito alle sue spalle, mentre lui veniva afferrato da una persona, che così gli impedì di sfracellarsi contro la parete o a terra.
Il tempo di riaversi dallo shock e si alzò, spaventato. Si mise in guardia pensando che sarebbe stato subito assalito dai “coinquilini”. Guardandosi intorno, appena i suoi occhi si furono abituati alla scarsissima luce che penetrava un po’ dalla finestrina a sbarre e un po’ dai pochi centimetri della feritoia della porta, vide che lì con lui c’erano altri cinque uomini: due molto anziani erano stesi su una branda, altri due di mezz’età erano in piedi (uno di loro era quello che lo aveva fermato in volo) e poi seduto in un angolo, a terra, c’era un ragazzo giovane, forse anche più di lui. A parte il ragazzino e uno dei due più vecchi, gli altri lo fissavano in silenzio. Usop sudava freddo, mantenendo la sua posizione di guardia
"Sono cintura nera di karate, di Kung Fu, di Aikido… non vi conviene avvicinarvi!" disse tremando come una foglia.
Nessuno replicò, ma anzi poco dopo, smisero tutti addirittura di prestargli attenzione e tornarono a dormire: in quattro dividevano due brande, il ragazzo sembrava dormire seduto lì a terra e anche il posto per Usop non poteva che essere il pavimento, visto che non c’era nient’altro su cui sdraiarsi o anche solo sedersi. Lo spazio vitale ridotto al minimo indispensabile avrebbe fatto angosciare anche uno che non soffrisse di claustrofobia.
Nami veniva ancora strattonata avanti, il dolore delle ferite iniziava a sentirsi acuto e ad esso si aggiungeva la stanchezza di quella lunghissima giornata, che si stava concludendo nel modo peggiore.
"Certo che Poi ha buon gusto!" commentò un soldato avvicinandosi a guardare bene la ragazza.
Lei non battè ciglio, ma continuò a camminare a testa alta. Il soldato allora le pulì un po’ dal fango e dal sangue il viso, poi, con la scusa di pulire più giù stoccazzò qua e là, fino a che lei, incapace di mantenere i nervi saldi un secondo di più, si fermò e, assestando a quel porco un calcio in uno stinco, lo fece cadere a terra. Stringendo di rabbia i denti, gli pestò la faccia girata di lato, spingendo col tacco sulla guancia
"Provaci adesso a mettermi le mani addosso, porco!"
Un altro soldato la tirò via, dandole un pugno allo stomaco. Nami incassò piegandosi sulle ginocchia per il dolore. Il soldato che aveva steso intanto si era rialzato e ora, avvicinandosi lentamente, le passò dietro, le prese le mani legate e strinse più forte il legaccio, facendole sanguinare i polsi. Scostandole i capelli con una mano, avvicinò le proprie labbra al collo della ragazza, sfiorandolo fino a salire all’orecchio, al quale sussurrò
"Spero che tu abbia salutato la luce del giorno oggi, perché non la vedrai mai più" Ridendo poi si avvicinò a uno degli altri soldati, gli disse qualcosa e questo prese a camminare via veloce.
Intanto la marcia verso la cella si era fermata, Nami era ancora inginocchiata a terra con una gran voglia di piangere, ma non avrebbe dato a quei vermi una tale soddisfazione e così reprimeva le lacrime, masticando rabbia e dolore.
Dopo un po’ il soldato che era stato mandato via tornò portando due grandi secchi. Il porco, senza mai smettere di ridere, ne prese e sollevò uno, portandolo sopra la testa di Nami: lo rovesciò, inondando la ragazza di acqua gelida.
"Non vorrai mica farti trovare dal nostro capitano tutta sporca!" poi si girò di nuovo verso quello che aveva portato i secchi
"Vanne a prendere ancora" e intanto sollevò anche l’altro secchio e lo svuotò addosso alla poverina, che intirizziva dal freddo.
Il porco le si avvicinò di nuovo
"Non mi dire che hai freddo!" Ora che già rivoli d’acqua le rigavano il volto, scendendo dai capelli fradici, Nami si permise di lasciar scappare qualche lacrima.
La doccia fredda si replicò varie volte, finchè i soldati non si furono divertiti abbastanza a vederla tremare e alla fine la fecero alzare per riprendere il cammino verso la sua cella. Alzandosi guardò negli occhi il soldato porco
"Grazie, una doccia ci voleva proprio" disse sorridendo.
La risposta fu un altro pugno piazzato allo stomaco
"Parli troppo!" e s’incamminarono lungo il corridoio, tirandosi dietro la ragazza che, dopo quel colpo, affannava il respiro.
Usop, dalla sua cella, sentendo la voce della sua compagna, si era affacciato alla feritoia, senza però riuscire a vedere niente, un po’ anche per colpa di quel maledetto nasone lungo che gli impediva di avvicinarsi bene alla fessura. Era rimasto tuttavia fermo ad ascoltare e lo stesso avevano fatto i suoi compagni di cella.
"Poverina" commentò a bassa voce uno di loro
"Cosa le stanno facendo?" chiese Usop
"Si divertono… lo scopo di tutti i detenuti è questo: far divertire Poi e i suoi scagnozzi"
Usop si riavvicinò alla porta, pronto a gridare qualcosa del tipo “lasciatela stare!”, ma un suo compagno lo fermò, intuendo per tempo le sue intenzioni
"Se la vuoi davvero aiutare non dire nulla: quando avranno giocato abbastanza smetteranno… tanto l’unico che ha diritto di farle qualcosa di veramente grave è solo Poi"
Usop allora si era accasciato lungo la porta e stringendo gli occhi era rimasto ad ascoltare le angherie subite dalla sua amica, sperando che finissero al più presto.
Finalmente un soldato aprì una porta e il porco calciò dentro la prigione Nami, facendola cadere a terra. I secondini tra le risate generali richiusero la porta e se ne andarono.
Senza nemmeno guardarsi intorno, ancora a terra semidistesa, la navigatrice diede finalmente libero sfogo alle lacrime. Singhiozzando si portò una mano al volto coprendosi gli occhi, mentre con l’altra graffiava il pavimento in un gesto che mostrava tutta la sua collera all’unica compagna di stanza che nel frattempo, seduta sulla sua branda, stava lì a guardare la nuova arrivata disperarsi.
"Ti conviene rassegnarti se non vuoi morire disidratata!" ironizzò quella dopo un po’ vedendo che Nami non smetteva di piangere.
La navigatrice si bloccò e, tra un singhiozzo e l’altro, cercò di fermare le lacrime, attirata da quella voce dal suono familiare proveniente dalle sue spalle. Si girò di scatto e, avvolta nella penombra, fece appena in tempo a scorgere una ragazza bionda che subito si voltò dall’altra parte e si stese sul letto dandole le spalle. Nami si alzò e le si avvicinò, cercando di guardarla bene in faccia dall’alto, ma quella sembrava proprio volersi nascondere.
"Ci conosciamo?" chiese la bella navigatrice
"No no" rispose l’altra soffocando la voce nelle coperte
"Dici?" insistette ancora la rossa.
L’altra annuì sempre senza mostrare il viso. Nami allora si allontanò per dirigersi verso l’altra branda, si tolse di dosso un po’ di quegli abiti bagnati e si avvolse tra le coperte cercando di asciugarsi e di scaldarsi. Osservando la nuca bionda dell’altra prigioniera cercava un modo per riuscire a vederla in faccia, mentre un dubbio assillante sulla sua identità le martellava la testa.

TO BE CONTINUED…

   
 
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