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Autore: RaffaLella    17/02/2006    1 recensioni
...ma purtroppo ci sono amori, così immensi e radicati, che ti restano dentro fino alla fine dei giorni; amori che ti riscaldano nelle notti di solitudine; amori che ti accompagnano all’altare; amori che si ritrovano in ogni volto. Questi amori ti lasciano libera, solo quando ti spezzano il cuore
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non ero molto sicura di pubblicare questa fic originale, soprattutto perchè è molto difficile cimentarsi con personaggi non noti al grande pubblico!! Una cosa è scrivere una fic su Harry Potter, Aragon e Tsubasa, una cosa è scrivere di un pinco-pallinno qualsiasi. Ancor più difficile, almeno per me, tentare di scrivere una storia sentimentale, visto che mi viene continuamente rimproverato di non essere per niente "romantica". Però scrivere è anche una sfida, per cui ho deciso di provare... sperando che non venga fuori un disastro totale.
Spero, comunque, che la storia piaccia a qualcuno!!

Speriamo bene.

Vorrei infine sottolineare che questa storia è frutto della mia fantasia e che ogni riferimento a fatti o eventi reali è puramente casuale!!!

Buona lettura a tutti

UN PATTO D'AMORE

CapI-Prologo: "Anita e Amelia"

Erano anni che non ci pensavo, ma ora stringendo fra le braccia il mio piccolo Massimiliano, nato quattro mesi fa, ho di nuovo ripensato alla mia storia con Adriano.
Sono passati vent’anni; eppure ogni ricordo legato a lui è ancora vivido nella mia mente, proprio come il primo giorno; ma prima che il tempo rimuova i particolari e attenui le sfumature, ho deciso di annotare gli avvenimenti che hanno accompagnato gran parte della mia vita.
Adriano è stato il mio primo amore.
La nostra storia è cominciata prima ancora che noi nascessimo. Le nostre vite erano indissolubilmente legate da un filo invisibile; un filo che aveva legato in principio l’infanzia delle nostre mamme.

*

Anita e Amalia erano indivisibili da bambine. Giocavano spesso insieme e crescendo si erano legate l’una all’altra ancora più tenacemente. Forse era stata la loro triste infanzia ad unirle in un’amicizia da favola, spesso giudicata, come diceva la nonna, “poco normale”; ma la nonna apparteneva ad una generazione in cui l’amicizia non aveva valore.
Dolore e miseria avevano segnato tutta la sua vita, trasformandola in una donna arida e incapace di donare amore ai suoi figli e all’uomo che aveva sposato. Lei e mio nonno si erano sposati solo perché la nonna era rimasta incinta dopo alcune notti di sesso arrancato!! A diciassette anni si ritrovarono a giocare ai genitori; ma mio nonno non l’amava, non l’aveva mai amata, e qualche anno dopo aveva trovato, tra le braccia di un'altra donna, quell’amore che lei non riusciva a donargli. Questo, in ogni modo, non lo aveva trattenuto dal compiere i suoi doveri coniugali.
Alla fine di un gioco azzardato si era ritrovato con due famiglie e undici figli.
Undici infelici.
Mia madre, Anita, era la terza figlia, nata all’interno del sacro vincolo del matrimonio. Questo avrebbe dovuto rendere la sua infanzia meno dura…ma non fu così!!! Mio nonno era, comunque agli occhi della società di quel tempo, un uomo corrotto dal vizio. E poiché un’antica legge affermava che le colpe dei genitori ricadranno sui figli…anche la sua numerosa prole fu considerata, dai benpensanti dell’epoca, corrotta dal vizio. Pertanto mia madre e i suoi numerosi fratelli trascorsero la loro infanzia affogati nella misera ed emarginati dalla società!!
Ho spesso pensato che la miseria li avrebbe imbruttiti, se non si fossero amati, come ben poche persone sono capaci di fare. Ma mia madre e i suoi fratelli erano ammantati da una luce abbagliante, che solo chi conosce le tenebre più nere può scorgere e bramare.
La loro situazione era ancor più aggravata da un drammatico e precario status familiare. Mio nonno era un uomo debole e non brillava certo in acume, per cui aveva ben pensato di far vivere le “sue” famiglie nel medesimo quartiere. Ciò aveva reso la vita difficile a mia nonna, la quale ebbe, ogni giorno della sua vita, per ben sessant’anni, davanti agli occhi il tradimento del marito. Questo l’aveva resa ancora più arida e arrabbiata e…soprattutto alcolizzata!!

“Avrebbe sempre potuto lasciarlo” ripeteva spesso mia madre

“Erano tempi in cui lasciarlo, sarebbe stato più peccaminoso che accettare il compromesso” replicavo, cercando di giustificare la nonna.

Ho cercato di giustificarla per anni, ma mia madre non ha mai capito o semplicemente non voleva farlo, altrimenti non avrebbe più legittimato l’odio nei confronti di sua madre innanzi alla sua ragione e al suo cuore, lacerato da un sentimento aberrante. Non vidi versare una sola lacrima sul volto della mamma quando la nonna morì!!
L’odio che provava per la madre, era solo paragonabile all’amore che nutriva per il padre. Mio nonno era stato un vero disastro come padre e come marito, tuttavia agli occhi di mia madre, quell’uomo era scevro da colpe.
Un padre assente, che aveva condannato, lei e i suoi fratelli, ad una vita di miseria!!
Nonostante lo stato di indigenza in cui versavano, avendo il nonno un impiego fisso, non avevano mai potuto usufruire dei sussidi familiari stanziati dallo stato.
Al danno si era aggiunta la beffa!!
Tenuto conto della drammatica condizione economica in cui imperversava la sua famiglia, mia madre all’età di dodici anni, smise di essere una ragazzina per diventare una donna; decise, dunque, di andare a lavorare per non morire di fame.
In quella solitudine e nella fabbrica di guanti in cui lavorava, un giorno ormai lontanissimo, mia madre ritrovò la sua migliore amica, Amalia.

“Amalia era una ragazzina rachitica, ma col volto di un angelo”; erano queste le parole che la mia mamma usava quando da bambina, mi raccontava del suo incontro con l’amica.

Ho ascoltato questo racconto un numero infinito volte e lo ho riconsiderato da diverse prospettive. Potrei raccontare con estrema novizia di particolari ogni attimo della loro vita, ma questa sarebbe un’altra storia; anche se, per meglio comprendere le radici della mia storia e le ragioni delle mie scelte, è necessario conoscere parte della loro vita.
Il padre di Amalia aveva violentato sua madre quando aveva quattordici anni. I genitori della ragazzina, avevano preteso un matrimonio riparatore; per cui sua madre aveva dovuto sposare un uomo più vecchio di lei di quasi dieci anni e che non avrebbe mai potuto amare. Amalia raccontava spesso ad Anita delle lacrime che la madre versava di notte, quando pensava che la figlia non potesse ascoltarla.
Per quanto possa sembrare assurdo, a quei tempi le donne avevano davvero ben poca voce in capitolo e il fatto che una ragazzina venisse violentata tutte le sere era una minuzia, l’uomo aveva delle esigenze che la donna aveva il dovere di soddisfare. Alla fine dopo dieci anni di botte, suo padre le aveva abbandonate per una donna più consenziente. L’incubo familiare era finito, ma era cominciato quello sociale.
Ed anche Amalia, a soli dieci anni, si era ritrovata affogata nella povertà ed emarginata dalla società!!
Amalia era l’unica persona con cui mia madre fosse riuscita ad aprirsi. Ho spesso ringraziato, in silenzio, zia Amalia per essere stata così vicina a mia madre; per non averle permesso di perdersi nel dolore e nell’emarginazione in cui la società l’aveva relegata.

"Ci siamo aggrappate l’una all’altra” mi ha spesso ripetuto zia Amalia “Ma è stata lei ha salvare me. Per quanto possa sembrarti strano, la sua allegria mi ha strappato dal buio in cui ero immersa. Tua madre è forte, molto più forte di quanto tu possa immaginare”

Alcuni anni dopo, quando ormai Anita aveva quindici anni e Amalia diciassette, erano talmente legate l’una all’altra che mia madre, persa nei suoi sogni di eterna bambina, aveva tentato di dare la sua amica in sposa a tutti i suoi fratelli.
Amalia era bellissima. Il suo corpo era ben modellato ed il suo volto era diafano e liscio come quelli di una raffinata bambola di porcellana, grandi occhi azzurri e lunghissimi capelli biondo cenere completavano quel capolavoro divino; ma per quanto Amalia fosse bella, zio Giovanni e zio Salvatore, i fratelli più grandi della mamma, avevano già le loro fidanzate e zio Peppino era troppo giovane per lei. Dopo qualche mese mia madre, tenuto conto dei vistosi fallimenti nell’attuazione del suo strampalato progetto, sembrò averci rinunciato, con grande gioia di tutti, Amalia compresa. Ma per mia madre la resa era, ed è tutt’oggi, solo una parola di quattro lettere; quindi ritornò nuovamente alla carica con un’altra delle sue strambe idee…fidanzarsi con due fratelli!!
Dopo qualche mese era riuscita, non si sa in quale modo, a realizzare il suo ennesimo sconclusionato piano. Ma mentre la storia tra Anita e Luca, il ragazzino brufoloso che poi sarebbe diventato mio padre, proseguiva senza intoppi; quella tra Ettore e Amalia andava malissimo. I due ragazzi non riuscirono a trovare alcun punto d’incontro, Ettore era un libertino di prima risma; il suo comportamento contrastava notevolmente con la rigidità di Amalia. Dopo quindici giorni di liti, si lasciarono in malo modo.
Anita era davvero avvilita, non voleva lasciare Luca, ma non poteva abbandonare il progetto di legare la sua vita ad Amalia, con un vincolo di parentela, che per lei era diventato un’ossessione.
In lacrime andò da Amalia a raccontare, come ormai accadeva da anni, le sue perplessità e dopo alcuni minuti l’amica, per calmare i suoi singulti, aveva fatto una proposta che fu subito accolta con estremo entusiasmo da mia madre

“Un giorno, forse, potrebbero sposarsi i nostri figli?”

Quella proposta principiò a tessere quel filo invisibile che avrebbe legato la mia vita a quella di Adriano.
Amalia, due anni dopo quella promessa, sposò Vincenzo. Era stato un frettoloso matrimonio riparatore; quella rigida donna di ghiaccio era rimasta incinta di Maria.
A mia madre non piaceva molto il marito dell’amica, ciò che era accaduto era simile a quanto accaduto alla nonna, e forse in cuor suo temeva che Amalia avrebbe subito la stessa infelice sorte, ma nonostante le sue paure, Vincenzo, a modo suo, era un gran brav’uomo, e non le avrebbe fatto mai mancare nulla, soprattutto l‘amore.
A volte credo che a mia madre non sarebbe piaciuto nessun uomo che si fosse avvicinato all’amica!!
Con la nascita di Maria, Amalia lasciò il lavoro, e mia madre dopo cinque anni si ritrovò da sola a rifinire guanti su un lungo bancone di legno; sempre più spesso a fissare forbici, metri, spagnolette di cotone policromi e pezzi di stoffa di vario colore.
Anche se tutte le sere si rifugiava nell’accogliente casa dell’amica, sentiva che le cose erano in qualche modo mutate; in principio il suo cuore ne soffrì enormemente, ma col tempo e la maturità capì che la loro amicizia aveva solo cambiato veste. Col tempo erano diventate più tenere e più complici. La loro amicizia era cresciuta con loro, diventando adulta.
Dopo otto anni nacque Adriano. L’anno seguente mia madre e mio padre, dopo dieci anni di fidanzamento, convolarono a giuste nozze. Nove mesi più tardi mia madre diede alla luce, quasi senza accorgersene, una bambina spelacchiata di tre chili e trecento grammi, a cui avrebbe dato il nome di "Marika". Era felicissima, nonostante il disappunto di mio padre che avrebbe preferito un maschio. Anche se non l’ha mai confessato, credo che lei abbia pregato che nascesse una femmina, durante l’intero periodo di gestazione. Voleva mantenere la sua promessa.
Mia madre, dopo il matrimonio, per mantenere la propria autonomia finanziaria, aveva continuato a lavorare, forse proprio per questo non si era resa conto di oltrepassare la misura; in quattro anni avevano generato quattro figli. Inoltre mio padre voleva un maschio a tutti i costi e a volte credo che se non fosse nato mio fratello Salvo, dopo ben tre femmine, sarebbero andati avanti ad oltranza!!
Tre femmine…forse Dio aveva davvero ascoltato le preghiere disperate di mia madre. Anche se, le due amiche avevano già scelto me, come “favorita” e per gli anni successivi avrebbero cercato di legare i nostri cuori in maniera maldestra e infantile.
Il lavoro assorbiva totalmente mia madre per cui altri si occupavano di allevare i frutti del suo amore; io fui affidata a zia Amalia. E anche dopo che la prole dei miei genitori era arrivata a quota sei, costringendo mia madre a lasciare il lavoro, spesso restavo a dormire da zia Amalia, per stare vicino ad Adriano.

Ricordo che da bambina lo seguivo come un cane. Mi piacerebbe dire che lui era dolce e gentile con me, ma mentirei. Spesso mi picchiava, soprattutto quando zia Amalia non vedeva, mi rubava le figurine dei calciatori, mi mentiva e mi spaventava con storie orribili e una volta, quando avevo quattro anni, ha cercato di annegarmi. Lui ha sempre affermato che voleva farmi lo shampoo, ma su questa storia ho sempre avuto dubbi!! Secondo me, voleva davvero annegarmi!!
Crescendo diventammo più che amici, ma meno di fratelli. Una storia tra di noi era tutt’altro che concepibile.
La cosa credo, analizzandola a posteriori, era cagionata da due fattori fondamentali, che mia madre e zia Amalia, non avevano preventivato e cioè che io, crescendo insieme con lui, sarei diventata una specie di maschiaccio, che collezionava figurine dei calciatori, che giocava a pallone, che si arrampicava sugli alberi e si rotolava sul selciato delle strade asfaltate; e che lui sarebbe diventato il mio migliore amico.
Probabilmente il mio comportamento poco femminile, era legato non solo alla vicinanza di Adriano, ma era cagionato anche dall’invidia che nutrivo nei confronti del rapporto che mio padre aveva con mio fratello-principe-ereditario Salvo e con i miei fratelli. Mio padre, è stato un buon padre e ci ha cresciuti in maniera esemplare, ha sempre cercato di trattare tutti noi equamente, ma c’erano delle piccole differenze che solo i bambini riescono a scorgere tra le righe, le carezze e le parole; parole che mi ferivano e mi facevano reagire in quel modo assurdo. Alla fine senza accorgermene mi ero trasformata in un ragazzino.
Nonostante tutto, mia madre da inguaribile ottimista, non perdeva le speranze!! E poi eravamo ancora troppo piccoli per parlare di fidanzamenti o matrimonio. Lei era felice che noi avessimo legato tanto.
La mia mamma non poteva nemmeno immaginare quanto fosse stato difficile per me ritagliarmi un posto nella vita di Adriano.
Avevo pianto un milione di lacrime per entrare a far parte del suo gruppo.

“Siamo solo maschi” mi disse cercando di convincermi

“Anch’io sono un maschio” replicai tra le lacrime

“Marika, ieri hai giocato alla moglie e…stiravi!!” reiterò sarcastico

“Ieri abbiamo giocato a marito e moglie e ho stirato le tue camicie” obiettai

“I maschi non piangono” disse asciutto

Mi nettai il volto con il bordo della maglietta, mi soffiai il naso, sempre sul medesimo bordo; lo fissai per qualche secondo.

“Andiamo” mi disse voltandomi le spalle

Lo seguii come un cagnolino, come ormai facevo da anni.

Arrivammo davanti ad un edificio diroccato. I ragazzi del quartiere erano soliti chiamarlo, “La casa dei Drogati”.
Era un vecchio edificio costruito alla fine degli anni settanta, che avrebbe dovuto ospitare una scuola media. L’edificio che a quei tempi costituiva la scuola media inferiore del quartiere, era una specie d’appartamento che consisteva di diverse stanze, tenuta in condizione precarie. Prendendo in considerazione le difficoltà sofferte da insegnati e studenti, la regione aveva, ben pensato, di donare una scuola media ai poveri ragazzi diseredati di un quartiere in miseria. Però, fortuna volle che nell’80 il sud, la Campania in particolare, fosse scosso da un terribile terremoto, che fece danni ingenti e circa tremila morti. Gli sfollati occuparono tutto ciò che aveva quattro mura, tra cui la scuola che doveva essere dei loro figli. Quando agli sfollati furono attribuite le case popolari, ciò che si lasciarono dietro fu un disastro che non venne più assestato e che in seguito fu il covo di ragazzi infelici che cercavano in un ago e in una manciata di polverina bianca la risoluzione a tutti i loro problemi.
Quando giunsi davanti alla scuola ebbi paura!!

Perché s’incontravano là?” pensai fra me intimorita

Adriano mi spinse avanti dicendo
“Lei fa parte del gruppo”

Vidi i loro volti perplessi. Sapevo cosa stavano pensando prima ancora che lo esternassero.

“E’ troppo piccola” disse un ragazzino con i capelli castani e arruffati

“E forse non ti sei accorto che è femmina” sentenziò un ragazzo moro e grassoccio con i pantaloni corti

Non sapevo che fare. Adriano afferrò il pallone e tenendolo sotto braccio, mi presentò ai suoi amici.
I membri del gruppo erano: Giovanni, detto Vanni, un ragazzino della mia stessa età, circa nove anni, dai biondi capelli sottili e lunghi, legati da dietro con un codino (inusuale per quei tempi), magro come un chiodo e bianco come un cencio. Poi c’era Umberto, il ragazzino grassoccio che mi aveva offeso chiamandomi femmina. Alessandro, un ragazzo alto con capelli ed occhi castani, che conoscevo benissimo, in quanto vicino di casa di Adriano e suo compagno di scuola. Antonio, detto Tonino, aveva capelli corvini incollati al cranio, spessi occhiali, che nascondevano brillanti occhi verdi ed era piuttosto minuto, nonostante fosse più grande di me di un anno. Da bambino Tonino era davvero il prototipo del secchione, ma in seguito il suo aspetto fisico migliorò notevolmente, e quel ragazzino striminzito si trasformò nel prototipo del principe azzurro. E infine, Adriano con i capelli biondo cenere e gli occhi azzurri, era così simile a sua madre, da far quasi spavento.
Adriano lanciò il pallone all’interno della scuola

“Vallo a prendere” disse secco

Avevo paura, ma soprattutto ero arrabbiata. Ero più che sicura, che nessuno di loro avesse eseguito una prova di “coraggio” per entrare a far parte del gruppo; ma io ero “femmina” e il fatto che dicessi di essere forte e coraggiosa, non era sufficiente.
Per anni mi chiesi se Adriano avesse lanciato quel pallone per darmi un’opportunità o solo per allontanarmi da lui. Lui sapeva benissimo che ero terrorizzata da quella scuola distrutta!! I nostri genitori ci avevano sempre messo in guardia da quel posto.
Senza esitare scavalcai le transenne. C’erano solo cocci e siringhe. Come ho fatto a non beccarmi una malattia…non ne ho assolutamente idea!!! Ero agile; saltai da un coccio all’altro. Dopo alcuni minuti avevo già ritrovato il pallone, lo afferrai, ma mentre m’incamminavo verso l’uscita, la mia attenzione fu attirata da un mesto miagolio. Mi avvicinai circospetta ad un anfratto tra i rottami e trovai un batuffolo di pelo raggrinzito. Era l’essere più tenero che avessi mai visto; il suo pelo, nero e bianco, era morbidissimo. Mi chinai, appoggiai il pallone al suolo e presi il gattino. Era talmente piccolo che riuscivo a tenerlo nelle mie manine da bambina, senza alcuna difficoltà. Il suo respiro era pesante e sembrava soffrire. Rimasi lì in quella posizione per una mezz’oretta. Avevo paura di andarmene, volevo stare lì e…riscaldarlo. Poi la voce di Adriano mi ridestò da quello strano torpore

“Ero preoccupato, stupida. CHE COSA STAI FACENDO? VUOI CHE LA MAMMA MI SGRIDI!!!”

Mi girai senza parlare, mostrandogli il gattino.
Prese il pallone e uscimmo da quel postaccio portando il micetto con noi. Lo avevamo salvato!!!
Il gattino fu accolto da tutti con entusiasmo e…anch’io!! Avevo superato brillantemente la prova e oltre al pallone, avevo portato anche una magnifica mascotte. Decidemmo di adottarlo e di chiamarlo Pallino. Purtroppo quel magnifico gattino era praticamente in agonia quando lo trovai e cinque giorni dopo morì; anzi Adriano lo trovò morto nella scatola di cartone che avevo messo vicino al suo letto. Avevamo impiegato un tempo infinito a convincere zia Amalia a tenere Pallino, dopo un po’ di urla e pianti io e Loredana, la sorella più piccola di Adriano, riuscimmo a convincerla. Adriano lo aveva tenuto sempre con sé in quei cinque giorni. Lo aveva allattato ed assistito. Il veterinario ci aveva detto che non c’era nulla da fare, ma nessuno di noi aveva ancora la consapevolezza della morte. Eravamo ancora troppo giovani per capire che, per quanto si possa desiderare una cosa non sempre è possibile ottenerla.
La mattina dopo, quando Adriano mi mostrò il corpo freddo del gattino, rimasi impietrita innanzi alla morte. Mi sentivo ferita e non riuscivo a capirne le ragioni. Ero arrabbiata e non sapevo come reagire. Stringevo quel corpo inerme e dentro il mio cuore pregavo, sperando che Dio gli restituisse la vita. Ero intontita; ricordo ben poco di ciò che accadde quel giorno. Di quegli istanti rammento solo il corpo freddo di Pallino e il caldo abbraccio di Adriano. Senza accorgermene il calore di Adriano aveva cominciato a scaldare il mio cuore di bambina.

**

Da quel giorno passarono molti altri giorni…mesi…anni. Avevo vissuto i primi quattordici anni della mia vita come un maschio. I miei nuovi amici, nonostante, i loro dileggi e il loro continuo rammentarmi che ero “sempre” una femmina, resero quella parentesi della mia vita leggera e gioviale. Ricordo ancora con estrema tenerezza quell’inusitato periodo, fatto di sbucciature, cicatrici, scazzottate, partite di pallone e scambi di figurine. Non ebbi mai paura di cadere o di farmi male o di sporcarmi il vestitino della festa, e questa cosa mi rese molto più libera di qualsiasi ragazzina della mia età, anche se avrei pagato con gli interessi quel privilegio.
Ero contenta di essere un maschio, tanto contenta che quando mi vennero le mestruazioni piansi per un giorno intero; non avrei più potuto nascondere che ero una ragazza. Alla fine mi rassegnai e mi adattai alla nuova condizione in cui imperversava il mio corpo. Un corpo di bambina che stava lentamente trasformandosi in quello di una giovane donna; anche se continuavo a desiderare e a ribadire a tutti di essere trattata come un maschio! Ma le cose cominciavano inesorabilmente a cambiare…stavamo crescendo!!
Senza alcun preavviso i miei amici, cominciarono ad apprezzare le ragazze; col tempo quello divenne il loro unico argomento di conversazione!!! Il tema ragazze, non destava assolutamente i miei interessi. Seppur cresciuta come un maschio, in mezzo ai maschi, restavo pur sempre una femmina. Alle medie fungevo spesso da raccordo tra i miei amici e le ragazzine della mia classe o del quartiere, ma col tempo le cose mutarono radicalmente. Ero assolutamente intollerante sull’argomento ragazze; quegli apprezzamenti, nei confronti di altre ragazzine, m’infastidivano. Ero arrabbiata e gelosa!! Arrabbiata, perché quelle stupide oche mi “sfruttavano” per arrivare ai miei amici e perché quegli idioti, che avrebbero dovuto essere i miei amici, lo permettevano senza fare una grinza; ero gelosa perché si stavano allontanando da me!!
La cosa fu lenta e graduale, e Marco rese quel cambiamento ancora più tangibile!!!

Il gruppo in quegli anni si era arricchito di tre nuovi membri. Pallino2, il gattino che Vanni mi aveva regalato due mesi dopo la morte di Pallino; Nicola, il fratello minore di Umberto; e Marco.
Marco…io odiavo Marco!!! Odiavo i suoi capelli castani, i suoi occhi verdi, i suoi vestiti, i suoi occhiali, la sua motocicletta, la sua voce...io odiavo tutto ciò che apparteneva a Marco!!
Per una ragazzina e forse anche per un adulto, “odio” è una parola piuttosto grossa, ma è l’unica parola che possa racchiudere in se quel sentimento di raccapriccio e ostilità che provavo e a volte sento ancora pulsare dentro il mio animo, nei confronti di quel demone mascherato da messaggero divino. Marco era cattivo!! Ma purtroppo era grande, aveva diciassette anni, ed era un leader. Divenne il nuovo capo del gruppo. Adriano era troppo imbelle per poter reggere il confronto, e senza rendersi conto passò lo scettro a quell’idiota. Le idee di Marco non solo, non erano in linea con il mio modo di pensare, ma non lo erano assolutamente con nessuno di loro. Aveva idee inconcepibili e contraddittorie su lavoro, genitori, donne, sesso, preti, droga, fumo, aborto, politica, scuola; per non parlare del modo in cui trattava Pallino e gli animali in genere!! Inoltre il suo atteggiamento sciovinista e spaccone era intollerante per una persona dal forte temperamento come il mio. Passai gran parte della mia adolescenza a litigare con o per Marco.
Eppure, in barba alla mia strenua opposizione, lui entrò a far parte del gruppo, senza affrontare alcuna prova di “coraggio”.
Col trascorrere degli anni e l’arrivo di Marco acquisimmo nuove abitudini, cominciammo a riunirci, quasi sempre a casa di zia Amalia oppure a casa di Alessandro; e ad uscire di sera. Le nostre uscite, anzi le mie uscite, erano relegate a fasce orarie molto ristrette. Dalle sei alle nove. I ragazzi, alle nove precise mi riconsegnavano a mio padre, a zia Amalia o alla nonna e riuscivano, rincasando a tarda notte.

“Dove andate?” chiesi una volta ad Adriano

Ero talmente curiosa di sapere cosa potessero fare quando io non c’ero, che quella sera aspettai che ritornasse a casa. Avevo sonno ed ero stanca.

“Giriamo” replicò voltandomi le spalle

“Si…ma dove andate? Cosa fate?” insistetti sbadigliando

Si avvicinò e scompigliandomi i capelli mi augurò la buonanotte.

Le cose stavano davvero cambiando. Crescendo le differenze tra noi si erano amplificate a dismisura. Spesso disertavo le riunioni!! Per quanto lo desiderassi non ero un maschio e, purtroppo, non mi sentivo nemmeno una ragazza!!! Non avevo molte amiche; avevo una scarsissima considerazione delle ragazze che consideravo “oche giulive e piagnucolose”. Ma nonostante l’accrescersi delle differenze, loro erano i miei migliori e unici amici.
L’arrivo di Marco e il mio nuovo atteggiamento, avevano portato ad una sorta di ridimensionamento dei ruoli all’interno del gruppo. Io e Nicola eravamo isolati e relegati a ruoli minori. Preparare da mangiare e ascoltare. Alle riunioni ormai si parlava solo di donne e sesso e poiché io ero una femmina e Nicola era un bambino di undici anni, quegli argomenti erano poco adatti alle nostre candide orecchie.
In quegli anni imparai ad origliare. Questo in seguito divenne il mio peggior difetto; mi capitava spesso di avere capogiri davanti ad una porta, dietro la quale parlava qualcuno; ciò non era proprio una cosa di cui andarne fiera, ma era il modo migliore per scoprire cose che altrimenti non avrei mai saputo. Così seppi dell’esistenza di una certa Grazia e del perché non piacevo ai ragazzi.
Era un noiosissimo pomeriggio di fine marzo. L’aria cominciava ad essere frizzante. Finalmente l’inverno aveva lasciato spazio ad una mite primavera. Eravamo rimasti a casa di Adriano. Per tentare di riempire la mia giornata, avevo preparato una brocca di the al limone. Quando entrai in salone calò il silenzio e allora capii che la mia presenza non era gradita. Appoggiai la brocca sul tavolo di vetro, che era vicino ai divani.
Sentii i loro sguardi su di me.

“Vado in cucina a preparare da mangiare per Pallino” comunicai con voce sommessa “Poi vado con Lori a fare spesa!!”

Uscii.
Arrivata in cucina avvertii una terribile sensazione di isolamento. Nicola era raffreddato, perciò non poteva farmi compagnia, come sempre. Odiavo la solitudine!! Alla fine, mi feci coraggio e decisi di andare in salone

Chi se ne frega; se hanno problemi possono anche andarsene!!” pensai irritata

A passo svelto arrivai alla porta; la voce melliflua di Marco fermò la mia mano, ancora appoggiata alla maniglia.

“Sta crescendo; Vanni”

“E’ una bambina” replicò l’amico risoluto

Di chi parlavano?

“Perché non cambiamo argomento?” aggiunse Tonino

“Perché?” cominciò Marco “Non capisco il vostro atteggiamento nei confronti di Marika. Ha quattordici anni, la stessa età della ragazza con cui esci tu, Amico. E’ molto carina e ha un bel culetto”

Parlavano di me!!…e del mio culetto!!

“Smettila” ribatté Umberto disgustato

Appoggiai l’occhio al buco della chiave. La visuale era molto ristretta. Vedevo Tonino sul divano beje, con le gambe incrociate…le scarpe sfioravano appena il tessuto in pelle del sofà; se zia Amalia lo avesse visto, Tonino avrebbe passato il resto della sua vita a pulirlo con la lingua. Il viso del ragazzo era rosso e furente!!

“Dai, Umberto, non credi che abbia un bel culetto?”

“Il suo…non è questo il problema!!! Lei è…”

“Una ragazza” lo interruppe Marco canzonatorio

“Dobbiamo proteggerla anche da te?” chiese Vanni

Proteggerla?

“Proteggerla? Non credo sia giusto per nessuno, soprattutto per lei. E poi non potete tenere lontani i ragazzi, per sempre!! E forse lei non vuole essere protetta”

Tenere lontani i ragazzi?…per sempre?

“A lei non interessano i ragazzi!!” replicò Adriano

“Chi te l’ha detto?” domandò Marco scettico

Già!!

Adriano non ribatté. Il silenzio calò come un masso.

“A lei interessano i ragazzi, come a tutte le ragazze normali” continuò Marco fendendo il silenzio “E il vostro comportamento è assurdo!! Lasciate che decida lei con chi stare!!”

“E dovrebbe stare con te?” chiese Adriano divertito

“Perché no!! Oppure la vuoi per te?”

“Io e Marika siamo come fratello e sorella”

Fratello e sorella…perché quelle due parole mi trapassavano il cuore…lasciandolo sanguinante.

“Davvero?”

“Si”

“Allora perché non le hai detto di Grazia”

Grazia?

“Perché non so come la prenderebbe. Lo sai quanto le nostre madri ci tengano che io e lei ci sposiamo…un giorno, naturalmente. Ci hanno fatto una ‘capa tanta’. Noi due non abbiamo mai parlato di questa storia. Io non so cosa sente…e non vorrei ferirla!!”

Grazia? Ferirla?

La sua voce malinconica mi ferì!! Tornai in cucina domandandomi per la prima volta

Cosa sento per lui?

Non mi ero mai posto questa domanda…era scontato che un giorno sarei diventata sua moglie. Ma non mi ero mai soffermata a pensare che avrei dovuto anche amarlo!!
Ma lo amavo?
Forse a quattordici anni parlare d’amore era un po’ irragionevole, non avevo mai pensato all’amore, eppure in quel momento pensai che volevo Adriano. E per un istante, mi passò davanti agli occhi come un film, il tempo trascorso con lui. Le sue battutine acide; il suo continuo prendermi in giro per la mia altezza, anzi per la mia bassezza; il suo sorriso da eterno bambino; le sue lacrime, mostrate solo a me, per la morte di sua nonna; quei magnifici occhi turchesi nei quali riuscivo quasi a riflettermi come in un lago di montagna. Ma soprattutto ciò che più di ogni altro pensiero si faceva spazio con forza, tra quelle immagini, era lui che si prendeva i miei rimproveri e le mie botte, lui che mi stringeva forte dopo la morte di Pallino; lui che in quegli anni era sempre stato pronto a proteggermi…lui, il mio principe, il mio campione, lui…il mio Adriano!!!
Allora sentii il mio volto attaccaticcio. Posando la mano sul viso e poi intorno agli occhi mi accorsi che stavo piangendo!! La voce triste di Adriano mi risuonava nella mente come una eco.

…Io non so cosa sente…e non vorrei ferirla!!

Qualsiasi cosa sentissi per lui, non potevo costringerlo ad amarmi…e per la prima volta nella mia vita, presi una decisione adulta.
Scelsi, combattendo contro ogni mia cellula, di non dirgli nulla di Grazia e di non rivelargli i miei sentimenti. Non volevo ferirlo…perché in barba a ciò che mostrava a tutti, lui era sensibile e dolce!!
Ma la storia del proteggerla…quella decisi di approfondirla!!


NdA: la storia si svolgerà in quattro capitoli... per cui già nel primo ho lasciato una serie di indizi che serviranno a comprendere meglio la dinamica della storia. Nonostante sia esclusivamente un racconto su base "romantica", ci saranno negli ultimi capitoli, una serie di colpi di scena, che cominciano a nascere già in queste pagine!!
Grazie per l'attenzione... alla prossima settimana.
Lella80

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