Non ero molto sicura di pubblicare questa fic originale, soprattutto perchè è
molto difficile cimentarsi con personaggi non noti al grande pubblico!! Una cosa è scrivere
una fic su Harry Potter, Aragon e Tsubasa, una cosa è scrivere di un pinco-pallinno qualsiasi.
Ancor più difficile, almeno per me,
tentare di scrivere una storia sentimentale, visto che mi viene continuamente
rimproverato di non essere per niente "romantica". Però scrivere è anche una sfida, per cui
ho deciso di provare... sperando che non venga fuori un disastro totale.
Spero, comunque, che la storia piaccia a qualcuno!!
Speriamo bene.
Vorrei infine sottolineare che questa storia è frutto della mia
fantasia e che ogni riferimento a fatti o eventi reali è puramente casuale!!!
Buona lettura a tutti
UN PATTO D'AMORE
CapI-Prologo: "Anita e Amelia"
Erano anni che non ci pensavo, ma ora
stringendo fra le braccia il mio piccolo Massimiliano, nato quattro mesi fa, ho
di nuovo ripensato alla mia storia con Adriano.
Sono passati vent’anni; eppure ogni ricordo
legato a lui è ancora vivido nella mia mente, proprio come il primo giorno; ma
prima che il tempo rimuova i particolari e attenui le sfumature, ho deciso di
annotare gli avvenimenti che hanno accompagnato gran parte della mia vita.
Adriano è stato il mio primo amore.
La nostra storia è cominciata prima ancora che noi
nascessimo. Le nostre vite erano indissolubilmente legate da un filo
invisibile; un filo che aveva legato in principio l’infanzia delle nostre
mamme.
*
Anita e Amalia erano indivisibili da
bambine. Giocavano spesso insieme e crescendo si erano legate l’una all’altra
ancora più tenacemente. Forse era stata la loro triste infanzia ad unirle in
un’amicizia da favola, spesso giudicata, come diceva la nonna, “poco normale”;
ma la nonna apparteneva ad una generazione in cui l’amicizia non aveva valore.
Dolore e miseria avevano segnato tutta la sua vita,
trasformandola in una donna arida e incapace di donare amore ai suoi figli e
all’uomo che aveva sposato. Lei e mio nonno si erano sposati solo perché la
nonna era rimasta incinta dopo alcune notti di sesso arrancato!! A diciassette
anni si ritrovarono a giocare ai genitori; ma mio nonno non l’amava, non
l’aveva mai amata, e qualche anno dopo aveva trovato, tra le braccia di
un'altra donna, quell’amore che lei non riusciva a donargli. Questo, in ogni
modo, non lo aveva trattenuto dal compiere i suoi doveri coniugali.
Alla fine di un gioco azzardato si era ritrovato con due
famiglie e undici figli.
Undici infelici.
Mia madre, Anita, era la terza figlia, nata
all’interno del sacro vincolo del matrimonio. Questo avrebbe dovuto rendere la
sua infanzia meno dura…ma non fu così!!! Mio nonno era, comunque agli occhi
della società di quel tempo, un uomo corrotto dal vizio. E poiché un’antica
legge affermava che le colpe dei genitori ricadranno sui figli…anche la sua
numerosa prole fu considerata, dai benpensanti dell’epoca, corrotta dal vizio.
Pertanto mia madre e i suoi numerosi fratelli trascorsero la loro infanzia
affogati nella misera ed emarginati dalla società!!
Ho spesso pensato che la miseria li avrebbe
imbruttiti, se non si fossero amati, come ben poche persone sono capaci di
fare. Ma mia madre e i suoi fratelli erano ammantati da una luce abbagliante,
che solo chi conosce le tenebre più nere può scorgere e bramare.
La loro situazione era ancor più aggravata
da un drammatico e precario status familiare. Mio nonno era un uomo debole e
non brillava certo in acume, per cui aveva ben pensato di far vivere le “sue”
famiglie nel medesimo quartiere. Ciò aveva reso la vita difficile a mia nonna,
la quale ebbe, ogni giorno della sua vita, per ben sessant’anni, davanti agli
occhi il tradimento del marito. Questo l’aveva resa ancora più arida e
arrabbiata e…soprattutto alcolizzata!!
“Avrebbe sempre potuto lasciarlo” ripeteva
spesso mia madre
“Erano tempi in cui lasciarlo, sarebbe
stato più peccaminoso che accettare il compromesso” replicavo, cercando di
giustificare la nonna.
Ho cercato di giustificarla per anni, ma
mia madre non ha mai capito o semplicemente non voleva farlo, altrimenti non
avrebbe più legittimato l’odio nei confronti di sua madre innanzi alla sua
ragione e al suo cuore, lacerato da un sentimento aberrante. Non vidi versare
una sola lacrima sul volto della mamma quando la nonna morì!!
L’odio che provava per la madre, era solo
paragonabile all’amore che nutriva per il padre. Mio nonno era stato un vero
disastro come padre e come marito, tuttavia agli occhi di mia madre, quell’uomo
era scevro da colpe.
Un padre assente, che aveva condannato, lei
e i suoi fratelli, ad una vita di miseria!!
Nonostante lo stato di indigenza in cui
versavano, avendo il nonno un impiego fisso, non avevano mai potuto usufruire
dei sussidi familiari stanziati dallo stato.
Al danno si era aggiunta la beffa!!
Tenuto conto della drammatica condizione economica in cui
imperversava la sua famiglia, mia madre all’età di dodici anni, smise di essere
una ragazzina per diventare una donna; decise, dunque, di andare a lavorare per
non morire di fame.
In quella solitudine e nella fabbrica di
guanti in cui lavorava, un giorno ormai lontanissimo, mia madre ritrovò la sua
migliore amica, Amalia.
“Amalia era una ragazzina rachitica, ma col
volto di un angelo”; erano queste le parole che la mia mamma usava quando da
bambina, mi raccontava del suo incontro con l’amica.
Ho ascoltato questo racconto un numero
infinito volte e lo ho riconsiderato da diverse prospettive. Potrei raccontare
con estrema novizia di particolari ogni attimo della loro vita, ma questa
sarebbe un’altra storia; anche se, per meglio comprendere le radici della mia
storia e le ragioni delle mie scelte, è necessario conoscere parte della loro
vita.
Il padre di Amalia aveva violentato sua
madre quando aveva quattordici anni. I genitori della ragazzina, avevano preteso
un matrimonio riparatore; per cui sua madre aveva dovuto sposare un uomo più
vecchio di lei di quasi dieci anni e che non avrebbe mai potuto amare. Amalia
raccontava spesso ad Anita delle lacrime che la madre versava di notte, quando
pensava che la figlia non potesse ascoltarla.
Per quanto possa sembrare assurdo, a quei tempi le
donne avevano davvero ben poca voce in capitolo e il fatto che una ragazzina
venisse violentata tutte le sere era una minuzia, l’uomo aveva delle esigenze
che la donna aveva il dovere di soddisfare. Alla fine dopo dieci anni di botte,
suo padre le aveva abbandonate per una donna più consenziente. L’incubo
familiare era finito, ma era cominciato quello sociale.
Ed anche Amalia, a soli dieci anni, si era
ritrovata affogata nella povertà ed emarginata dalla società!!
Amalia era l’unica persona con cui mia
madre fosse riuscita ad aprirsi. Ho spesso ringraziato, in silenzio, zia Amalia
per essere stata così vicina a mia madre; per non averle permesso di perdersi
nel dolore e nell’emarginazione in cui la società l’aveva relegata.
"Ci siamo aggrappate l’una all’altra” mi ha
spesso ripetuto zia Amalia “Ma è stata lei ha salvare me. Per quanto possa
sembrarti strano, la sua allegria mi ha strappato dal buio in cui ero immersa.
Tua madre è forte, molto più forte di quanto tu possa immaginare”
Alcuni anni dopo, quando ormai Anita aveva
quindici anni e Amalia diciassette, erano talmente legate l’una all’altra che
mia madre, persa nei suoi sogni di eterna bambina, aveva tentato di dare la sua
amica in sposa a tutti i suoi fratelli.
Amalia era bellissima. Il suo corpo era ben
modellato ed il suo volto era diafano e liscio come quelli di una raffinata
bambola di porcellana, grandi occhi azzurri e lunghissimi capelli biondo cenere
completavano quel capolavoro divino; ma per quanto Amalia fosse bella, zio
Giovanni e zio Salvatore, i fratelli più grandi della mamma, avevano già le
loro fidanzate e zio Peppino era troppo giovane per lei. Dopo qualche mese mia
madre, tenuto conto dei vistosi fallimenti nell’attuazione del suo strampalato
progetto, sembrò averci rinunciato, con grande gioia di tutti, Amalia compresa.
Ma per mia madre la resa era, ed è tutt’oggi, solo una parola di quattro
lettere; quindi ritornò nuovamente alla carica con un’altra delle sue strambe
idee…fidanzarsi con due fratelli!!
Dopo qualche mese era riuscita, non si sa
in quale modo, a realizzare il suo ennesimo sconclusionato piano. Ma mentre la
storia tra Anita e Luca, il ragazzino brufoloso che poi sarebbe diventato mio
padre, proseguiva senza intoppi; quella tra Ettore e Amalia andava malissimo. I
due ragazzi non riuscirono a trovare alcun punto d’incontro, Ettore era un
libertino di prima risma; il suo comportamento contrastava notevolmente con la
rigidità di Amalia. Dopo quindici giorni di liti, si lasciarono in malo modo.
Anita era davvero avvilita, non voleva
lasciare Luca, ma non poteva abbandonare il progetto di legare la sua vita ad
Amalia, con un vincolo di parentela, che per lei era diventato un’ossessione.
In lacrime andò da Amalia a raccontare,
come ormai accadeva da anni, le sue perplessità e dopo alcuni minuti l’amica,
per calmare i suoi singulti, aveva fatto una proposta che fu subito accolta con
estremo entusiasmo da mia madre
“Un giorno, forse, potrebbero sposarsi i
nostri figli?”
Quella proposta principiò a tessere quel
filo invisibile che avrebbe legato la mia vita a quella di Adriano.
Amalia, due anni dopo quella promessa,
sposò Vincenzo. Era stato un frettoloso matrimonio riparatore; quella rigida
donna di ghiaccio era rimasta incinta di Maria.
A mia madre non piaceva molto il marito
dell’amica, ciò che era accaduto era simile a quanto accaduto alla nonna, e
forse in cuor suo temeva che Amalia avrebbe subito la stessa infelice sorte, ma
nonostante le sue paure, Vincenzo, a modo suo, era un gran brav’uomo, e non le
avrebbe fatto mai mancare nulla, soprattutto l‘amore.
A volte credo che a mia madre non sarebbe
piaciuto nessun uomo che si fosse avvicinato all’amica!!
Con la nascita di Maria, Amalia lasciò il
lavoro, e mia madre dopo cinque anni si ritrovò da sola a rifinire guanti su un
lungo bancone di legno; sempre più spesso a fissare forbici, metri, spagnolette
di cotone policromi e pezzi di stoffa di vario colore.
Anche se tutte le sere si rifugiava
nell’accogliente casa dell’amica, sentiva che le cose erano in qualche modo
mutate; in principio il suo cuore ne soffrì enormemente, ma col tempo e la
maturità capì che la loro amicizia aveva solo cambiato veste. Col tempo erano
diventate più tenere e più complici. La loro amicizia era cresciuta con loro,
diventando adulta.
Dopo otto anni nacque Adriano. L’anno
seguente mia madre e mio padre, dopo dieci anni di fidanzamento, convolarono a
giuste nozze. Nove mesi più tardi mia madre diede alla luce, quasi senza
accorgersene, una bambina spelacchiata di tre chili e trecento grammi, a cui avrebbe dato il nome di "Marika". Era
felicissima, nonostante il disappunto di mio padre che avrebbe preferito un
maschio. Anche se non l’ha mai confessato, credo che lei abbia pregato che
nascesse una femmina, durante l’intero periodo di gestazione. Voleva mantenere
la sua promessa.
Mia madre, dopo il matrimonio, per mantenere la propria
autonomia finanziaria, aveva continuato a lavorare, forse proprio per questo
non si era resa conto di oltrepassare la misura; in quattro anni avevano generato quattro figli.
Inoltre mio padre voleva un maschio a tutti i costi e a volte credo che se non fosse nato mio fratello
Salvo, dopo ben tre femmine, sarebbero andati avanti ad
oltranza!!
Tre femmine…forse Dio aveva davvero ascoltato le preghiere disperate
di mia madre. Anche se, le due amiche avevano già scelto me, come “favorita” e
per gli anni successivi avrebbero cercato di legare i nostri cuori in maniera
maldestra e infantile.
Il lavoro assorbiva totalmente mia madre per cui altri si
occupavano di allevare i frutti del suo amore; io fui affidata a zia Amalia.
E anche dopo che la prole dei miei genitori
era arrivata a quota sei, costringendo mia madre a lasciare il lavoro, spesso
restavo a dormire da zia Amalia, per stare vicino ad Adriano.
Ricordo che da bambina lo seguivo come un
cane. Mi piacerebbe dire che lui era dolce e gentile con me, ma mentirei.
Spesso mi picchiava, soprattutto quando zia Amalia non vedeva, mi rubava le
figurine dei calciatori, mi mentiva e mi spaventava con storie orribili e una
volta, quando avevo quattro anni, ha cercato di annegarmi. Lui ha sempre
affermato che voleva farmi lo shampoo, ma su questa storia ho sempre avuto
dubbi!! Secondo me, voleva davvero annegarmi!!
Crescendo diventammo più che amici, ma meno
di fratelli. Una storia tra di noi era tutt’altro che concepibile.
La cosa credo, analizzandola a posteriori,
era cagionata da due fattori fondamentali, che mia madre e zia Amalia, non
avevano preventivato e cioè che io, crescendo insieme con lui, sarei diventata
una specie di maschiaccio, che collezionava figurine dei calciatori, che
giocava a pallone, che si arrampicava sugli alberi e si rotolava sul selciato
delle strade asfaltate; e che lui sarebbe diventato il mio migliore amico.
Probabilmente il mio comportamento poco
femminile, era legato non solo alla vicinanza di Adriano, ma era cagionato
anche dall’invidia che nutrivo nei confronti del rapporto che mio padre aveva
con mio fratello-principe-ereditario Salvo e con i miei fratelli. Mio padre, è
stato un buon padre e ci ha cresciuti in maniera esemplare, ha sempre cercato
di trattare tutti noi equamente, ma c’erano delle piccole differenze che solo i
bambini riescono a scorgere tra le righe, le carezze e le parole; parole che mi
ferivano e mi facevano reagire in quel modo assurdo. Alla fine senza
accorgermene mi ero trasformata in un ragazzino.
Nonostante tutto, mia madre da inguaribile
ottimista, non perdeva le speranze!! E poi eravamo ancora troppo piccoli per
parlare di fidanzamenti o matrimonio. Lei era felice che noi avessimo legato
tanto.
La mia mamma non poteva nemmeno immaginare
quanto fosse stato difficile per me ritagliarmi un posto nella vita di Adriano.
Avevo pianto un milione di lacrime per
entrare a far parte del suo gruppo.
“Siamo solo maschi” mi disse cercando di
convincermi
“Anch’io sono un maschio” replicai tra le
lacrime
“Marika, ieri hai giocato alla moglie e…stiravi!!”
reiterò sarcastico
“Ieri abbiamo giocato a marito e moglie e
ho stirato le tue camicie” obiettai
“I maschi non piangono” disse asciutto
Mi nettai il volto con il bordo della
maglietta, mi soffiai il naso, sempre sul medesimo bordo; lo fissai per qualche
secondo.
“Andiamo” mi disse voltandomi le spalle
Lo seguii come un cagnolino, come ormai
facevo da anni.
Arrivammo davanti ad un edificio diroccato.
I ragazzi del quartiere erano soliti chiamarlo, “La casa dei Drogati”.
Era un vecchio edificio costruito alla fine
degli anni settanta, che avrebbe dovuto ospitare una scuola media. L’edificio
che a quei tempi costituiva la scuola media inferiore del quartiere, era una
specie d’appartamento che consisteva di diverse stanze, tenuta in condizione
precarie. Prendendo in considerazione le difficoltà sofferte da insegnati e
studenti, la regione aveva, ben pensato, di donare una scuola media ai poveri
ragazzi diseredati di un quartiere in miseria. Però, fortuna volle che nell’80
il sud, la Campania in particolare, fosse scosso da un terribile terremoto, che
fece danni ingenti e circa tremila morti. Gli sfollati occuparono tutto ciò che
aveva quattro mura, tra cui la scuola che doveva essere dei loro figli. Quando
agli sfollati furono attribuite le case popolari, ciò che si lasciarono dietro
fu un disastro che non venne più assestato e che in seguito fu il covo di
ragazzi infelici che cercavano in un ago e in una manciata di polverina bianca
la risoluzione a tutti i loro problemi.
Quando giunsi davanti alla scuola ebbi
paura!!
“Perché s’incontravano là?” pensai
fra me intimorita
Adriano mi spinse avanti dicendo
“Lei fa parte del gruppo”
Vidi i loro volti perplessi. Sapevo cosa stavano pensando
prima ancora che lo esternassero.
“E’ troppo piccola” disse un ragazzino con
i capelli castani e arruffati
“E forse non ti sei accorto che è femmina”
sentenziò un ragazzo moro e grassoccio con i pantaloni corti
Non sapevo che fare. Adriano afferrò il
pallone e tenendolo sotto braccio, mi presentò ai suoi amici.
I membri del gruppo erano: Giovanni, detto
Vanni, un ragazzino della mia stessa età, circa nove anni, dai biondi capelli
sottili e lunghi, legati da dietro con un codino (inusuale per quei tempi),
magro come un chiodo e bianco come un cencio. Poi c’era Umberto, il ragazzino
grassoccio che mi aveva offeso chiamandomi femmina. Alessandro, un ragazzo alto
con capelli ed occhi castani, che conoscevo benissimo, in quanto vicino di casa
di Adriano e suo compagno di scuola. Antonio, detto Tonino, aveva capelli
corvini incollati al cranio, spessi occhiali, che nascondevano brillanti occhi
verdi ed era piuttosto minuto, nonostante fosse più grande di me di un anno. Da
bambino Tonino era davvero il prototipo del secchione, ma in seguito il suo
aspetto fisico migliorò notevolmente, e quel ragazzino striminzito si trasformò
nel prototipo del principe azzurro. E infine, Adriano con i capelli biondo
cenere e gli occhi azzurri, era così simile a sua madre, da far quasi spavento.
Adriano lanciò il pallone all’interno della
scuola
“Vallo a prendere” disse secco
Avevo paura, ma soprattutto ero arrabbiata.
Ero più che sicura, che nessuno di loro avesse eseguito una prova di “coraggio”
per entrare a far parte del gruppo; ma io ero “femmina” e il fatto che dicessi
di essere forte e coraggiosa, non era sufficiente.
Per anni mi chiesi se Adriano avesse
lanciato quel pallone per darmi un’opportunità o solo per allontanarmi da lui.
Lui sapeva benissimo che ero terrorizzata da quella scuola distrutta!! I nostri
genitori ci avevano sempre messo in guardia da quel posto.
Senza esitare scavalcai le transenne.
C’erano solo cocci e siringhe. Come ho fatto a non beccarmi una malattia…non ne
ho assolutamente idea!!! Ero agile; saltai da un coccio all’altro. Dopo alcuni
minuti avevo già ritrovato il pallone, lo afferrai, ma mentre m’incamminavo
verso l’uscita, la mia attenzione fu attirata da un mesto miagolio. Mi avvicinai
circospetta ad un anfratto tra i rottami e trovai un batuffolo di pelo
raggrinzito. Era l’essere più tenero che avessi mai visto; il suo pelo, nero e
bianco, era morbidissimo. Mi chinai, appoggiai il pallone al suolo e presi il
gattino. Era talmente piccolo che riuscivo a tenerlo nelle mie manine da
bambina, senza alcuna difficoltà. Il suo respiro era pesante e sembrava
soffrire. Rimasi lì in quella posizione per una mezz’oretta. Avevo paura di
andarmene, volevo stare lì e…riscaldarlo. Poi la voce di Adriano mi ridestò da
quello strano torpore
“Ero preoccupato, stupida. CHE COSA STAI
FACENDO? VUOI CHE LA MAMMA MI SGRIDI!!!”
Mi girai senza parlare, mostrandogli il
gattino.
Prese il pallone e uscimmo da quel
postaccio portando il micetto con noi. Lo avevamo salvato!!!
Il gattino fu accolto da tutti con
entusiasmo e…anch’io!! Avevo superato brillantemente la prova e oltre al
pallone, avevo portato anche una magnifica mascotte. Decidemmo di adottarlo e
di chiamarlo Pallino. Purtroppo quel magnifico gattino era praticamente in
agonia quando lo trovai e cinque giorni dopo morì; anzi Adriano lo trovò morto
nella scatola di cartone che avevo messo vicino al suo letto. Avevamo impiegato
un tempo infinito a convincere zia Amalia a tenere Pallino, dopo un po’ di urla
e pianti io e Loredana, la sorella più piccola di Adriano,
riuscimmo a convincerla. Adriano lo aveva tenuto sempre
con sé in quei cinque giorni. Lo aveva allattato ed assistito. Il veterinario
ci aveva detto che non c’era nulla da fare, ma nessuno di noi aveva ancora la
consapevolezza della morte. Eravamo ancora troppo giovani per capire che, per
quanto si possa desiderare una cosa non sempre è possibile ottenerla.
La mattina dopo, quando Adriano mi mostrò
il corpo freddo del gattino, rimasi impietrita innanzi alla morte. Mi sentivo
ferita e non riuscivo a capirne le ragioni. Ero arrabbiata e non sapevo come
reagire. Stringevo quel corpo inerme e dentro il mio cuore pregavo, sperando
che Dio gli restituisse la vita. Ero intontita; ricordo ben poco di ciò che
accadde quel giorno. Di quegli istanti rammento solo il corpo freddo di Pallino
e il caldo abbraccio di Adriano. Senza accorgermene il calore di Adriano aveva
cominciato a scaldare il mio cuore di bambina.
**
Da quel giorno passarono molti altri
giorni…mesi…anni. Avevo vissuto i primi quattordici anni della mia vita come un
maschio. I miei nuovi amici, nonostante, i loro dileggi e il loro continuo
rammentarmi che ero “sempre” una femmina, resero quella parentesi della mia
vita leggera e gioviale. Ricordo ancora con estrema tenerezza quell’inusitato
periodo, fatto di sbucciature, cicatrici, scazzottate, partite di pallone e
scambi di figurine. Non ebbi mai paura di cadere o di farmi male o di sporcarmi
il vestitino della festa, e questa cosa mi rese molto più libera di qualsiasi
ragazzina della mia età, anche se avrei pagato con gli interessi quel
privilegio.
Ero contenta di essere un maschio, tanto
contenta che quando mi vennero le mestruazioni piansi per un giorno intero; non
avrei più potuto nascondere che ero una ragazza. Alla fine mi rassegnai e mi
adattai alla nuova condizione in cui imperversava il mio corpo. Un corpo di
bambina che stava lentamente trasformandosi in quello di una giovane donna;
anche se continuavo a desiderare e a ribadire a tutti di essere trattata come un
maschio! Ma le cose cominciavano inesorabilmente a
cambiare…stavamo crescendo!!
Senza alcun preavviso i miei amici,
cominciarono ad apprezzare le ragazze; col tempo quello divenne il loro unico argomento di
conversazione!!! Il tema ragazze, non destava assolutamente i miei interessi.
Seppur cresciuta come un maschio, in mezzo ai maschi, restavo pur sempre una
femmina. Alle medie fungevo spesso da raccordo tra i miei amici e le ragazzine
della mia classe o del quartiere, ma col tempo le cose mutarono radicalmente.
Ero assolutamente intollerante sull’argomento ragazze; quegli apprezzamenti,
nei confronti di altre ragazzine, m’infastidivano. Ero arrabbiata e gelosa!!
Arrabbiata, perché quelle stupide oche mi “sfruttavano” per arrivare ai miei
amici e perché quegli idioti, che avrebbero dovuto essere i miei amici, lo
permettevano senza fare una grinza; ero gelosa perché si stavano allontanando
da me!!
La cosa fu lenta e graduale, e Marco rese
quel cambiamento ancora più tangibile!!!
Il gruppo in quegli anni si era arricchito di
tre nuovi membri. Pallino2, il gattino che Vanni mi aveva regalato due
mesi dopo la morte di Pallino; Nicola, il fratello minore di Umberto; e Marco.
Marco…io odiavo Marco!!! Odiavo i suoi capelli castani, i suoi occhi verdi, i suoi vestiti,
i suoi occhiali, la sua motocicletta, la sua voce...io odiavo tutto ciò
che apparteneva a Marco!!
Per una ragazzina
e forse anche per un adulto, “odio” è una parola piuttosto grossa, ma è l’unica
parola che possa racchiudere in se quel sentimento di raccapriccio e ostilità
che provavo e a volte sento ancora pulsare dentro il mio animo, nei confronti
di quel demone mascherato da messaggero divino. Marco era cattivo!! Ma purtroppo
era grande, aveva diciassette anni, ed era un leader. Divenne il nuovo capo del
gruppo. Adriano era troppo imbelle per poter reggere il confronto, e senza
rendersi conto passò lo scettro a quell’idiota. Le idee di Marco non solo, non
erano in linea con il mio modo di pensare, ma non lo erano assolutamente con
nessuno di loro. Aveva idee inconcepibili e contraddittorie su lavoro,
genitori, donne, sesso, preti, droga, fumo, aborto, politica, scuola; per non
parlare del modo in cui trattava Pallino e gli animali in genere!! Inoltre il suo atteggiamento sciovinista e
spaccone era intollerante per una persona dal forte temperamento come il mio. Passai gran parte della mia adolescenza a
litigare con o per Marco.
Eppure, in
barba alla mia strenua opposizione, lui entrò a far parte del gruppo, senza
affrontare alcuna prova di “coraggio”.
Col trascorrere degli anni e l’arrivo di
Marco acquisimmo nuove abitudini, cominciammo a riunirci, quasi sempre a casa
di zia Amalia oppure a casa di Alessandro; e ad uscire di sera. Le nostre uscite,
anzi le mie uscite, erano relegate a fasce orarie molto ristrette. Dalle sei
alle nove. I ragazzi, alle nove precise mi riconsegnavano a mio padre, a zia
Amalia o alla nonna e riuscivano, rincasando a tarda notte.
“Dove andate?” chiesi una volta ad Adriano
Ero talmente curiosa di sapere cosa
potessero fare quando io non c’ero, che quella sera aspettai che ritornasse a
casa. Avevo sonno ed ero stanca.
“Giriamo” replicò voltandomi le spalle
“Si…ma dove andate? Cosa fate?” insistetti
sbadigliando
Si avvicinò e scompigliandomi i capelli mi
augurò la buonanotte.
Le cose stavano davvero cambiando.
Crescendo le differenze tra noi si erano amplificate a dismisura. Spesso
disertavo le riunioni!! Per quanto lo desiderassi non ero un maschio e,
purtroppo, non mi sentivo nemmeno una ragazza!!! Non avevo molte amiche; avevo
una scarsissima considerazione delle ragazze che consideravo “oche giulive e
piagnucolose”. Ma nonostante l’accrescersi delle differenze, loro erano i miei
migliori e unici amici.
L’arrivo di Marco e il mio nuovo
atteggiamento, avevano portato ad una sorta di ridimensionamento dei ruoli
all’interno del gruppo. Io e Nicola eravamo isolati e relegati a ruoli minori.
Preparare da mangiare e ascoltare. Alle riunioni ormai si parlava solo di donne
e sesso e poiché io ero una femmina e Nicola era un bambino di undici anni,
quegli argomenti erano poco adatti alle nostre candide orecchie.
In quegli anni imparai ad origliare. Questo
in seguito divenne il mio peggior difetto; mi capitava spesso di avere capogiri
davanti ad una porta, dietro la quale parlava qualcuno; ciò non era proprio una
cosa di cui andarne fiera, ma era il modo migliore per scoprire cose che
altrimenti non avrei mai saputo. Così seppi dell’esistenza di una certa Grazia
e del perché non piacevo ai ragazzi.
Era un noiosissimo pomeriggio di fine
marzo. L’aria cominciava ad essere frizzante. Finalmente l’inverno aveva
lasciato spazio ad una mite primavera. Eravamo rimasti a casa di Adriano. Per
tentare di riempire la mia giornata, avevo preparato una brocca di the al
limone. Quando entrai in salone calò il silenzio e allora capii che la mia
presenza non era gradita. Appoggiai la brocca sul tavolo di vetro, che era
vicino ai divani.
Sentii i loro sguardi su di me.
“Vado in cucina a preparare da mangiare per
Pallino” comunicai con voce sommessa “Poi vado con Lori a fare spesa!!”
Uscii.
Arrivata in cucina avvertii una terribile
sensazione di isolamento. Nicola era raffreddato, perciò non poteva farmi
compagnia, come sempre. Odiavo la solitudine!! Alla fine, mi feci coraggio e
decisi di andare in salone
“Chi se ne frega; se hanno problemi
possono anche andarsene!!” pensai irritata
A passo svelto arrivai alla porta; la voce melliflua di
Marco fermò la mia mano, ancora appoggiata alla maniglia.
“Sta crescendo; Vanni”
“E’ una bambina” replicò l’amico risoluto
Di chi parlavano?
“Perché non cambiamo argomento?” aggiunse
Tonino
“Perché?” cominciò Marco “Non capisco il
vostro atteggiamento nei confronti di Marika. Ha quattordici anni, la stessa età
della ragazza con cui esci tu, Amico. E’ molto carina e ha un bel
culetto”
Parlavano di me!!…e del mio culetto!!
“Smettila” ribatté Umberto disgustato
Appoggiai l’occhio al buco della chiave. La
visuale era molto ristretta. Vedevo Tonino sul divano beje, con le gambe
incrociate…le scarpe sfioravano appena il tessuto in pelle del sofà; se zia
Amalia lo avesse visto, Tonino avrebbe passato il resto della sua vita a
pulirlo con la lingua. Il viso del ragazzo era rosso e furente!!
“Dai, Umberto, non credi che abbia un bel
culetto?”
“Il suo…non è questo il problema!!! Lei è…”
“Una ragazza” lo interruppe Marco
canzonatorio
“Dobbiamo proteggerla anche da te?” chiese
Vanni
Proteggerla?
“Proteggerla? Non credo sia giusto per
nessuno, soprattutto per lei. E poi non potete tenere lontani i ragazzi, per
sempre!! E forse lei non vuole essere protetta”
Tenere lontani i ragazzi?…per sempre?
“A lei non interessano i ragazzi!!” replicò
Adriano
“Chi te l’ha detto?” domandò Marco scettico
Già!!
Adriano non ribatté. Il silenzio calò come
un masso.
“A lei interessano i ragazzi, come a tutte
le ragazze normali” continuò Marco fendendo il silenzio “E il vostro
comportamento è assurdo!! Lasciate che decida lei con chi stare!!”
“E dovrebbe stare con te?” chiese Adriano
divertito
“Perché no!! Oppure la vuoi per te?”
“Io e Marika siamo come fratello e sorella”
Fratello e sorella…perché quelle due parole
mi trapassavano il cuore…lasciandolo sanguinante.
“Davvero?”
“Si”
“Allora perché non le hai detto di Grazia”
Grazia?
“Perché non so come la prenderebbe. Lo sai
quanto le nostre madri ci tengano che io e lei ci sposiamo…un giorno,
naturalmente. Ci hanno fatto una ‘capa tanta’. Noi due non abbiamo mai parlato
di questa storia. Io non so cosa sente…e non vorrei ferirla!!”
Grazia? Ferirla?
La sua voce malinconica mi ferì!! Tornai in
cucina domandandomi per la prima volta
Cosa sento per lui?
Non mi ero mai posto questa domanda…era
scontato che un giorno sarei diventata sua moglie. Ma non mi ero mai soffermata
a pensare che avrei dovuto anche amarlo!!
Ma lo amavo?
Forse a quattordici anni parlare d’amore
era un po’ irragionevole, non avevo mai pensato all’amore, eppure in
quel momento pensai che volevo Adriano. E per un istante, mi passò davanti agli
occhi come un film, il tempo trascorso con lui. Le sue battutine acide; il suo
continuo prendermi in giro per la mia altezza, anzi per la mia bassezza; il suo
sorriso da eterno bambino; le sue lacrime, mostrate solo a me, per la morte di
sua nonna; quei magnifici occhi turchesi nei quali riuscivo quasi a riflettermi
come in un lago di montagna. Ma soprattutto ciò che più di ogni altro pensiero
si faceva spazio con forza, tra quelle immagini, era lui che si prendeva i miei
rimproveri e le mie botte, lui che mi stringeva forte dopo la morte di Pallino;
lui che in quegli anni era sempre stato pronto a proteggermi…lui, il mio
principe, il mio campione, lui…il mio Adriano!!!
Allora sentii il mio volto attaccaticcio.
Posando la mano sul viso e poi intorno agli occhi mi accorsi che stavo
piangendo!! La voce triste di Adriano mi risuonava nella mente come una eco.
“…Io non so cosa sente…e non vorrei
ferirla!!”
Qualsiasi cosa sentissi per lui, non potevo
costringerlo ad amarmi…e per la prima volta nella mia vita, presi una decisione
adulta.
Scelsi, combattendo contro ogni mia
cellula, di non dirgli nulla di Grazia e di non rivelargli i miei sentimenti.
Non volevo ferirlo…perché in barba a ciò che mostrava a tutti, lui era
sensibile e dolce!!
Ma la storia del proteggerla…quella decisi
di approfondirla!!
NdA: la storia si svolgerà in quattro capitoli... per cui già nel primo
ho lasciato una serie di indizi che serviranno a comprendere meglio la dinamica della storia.
Nonostante sia esclusivamente un racconto su base "romantica", ci saranno negli
ultimi capitoli, una serie di colpi di scena, che cominciano a nascere già in queste pagine!!
Grazie per l'attenzione... alla prossima settimana.
Lella80