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Autore: nightswimming    15/05/2011    6 recensioni
Matt fu quasi certo di aver riconosciuto il mittente della chiamata sin dai primi squilli: sembravano le trombe dell’Apocalisse.
- Pronto. – rispose, dopo una minuscola esitazione.
- Che cazzo significa. –
- Br- -
- Che cazzo significa?! –
Matt prese lentamente fiato. Il respiro gli si stava già accelerando per il nervosismo.
- E’ l’invito al mio matrimonio. Credevo fosse ovvio. – ribatté, duro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brian quel giorno era nettamente di cattivo umore: qualcosa di istintivo e oscuro, come un brutto presentimento, lo rendeva terribilmente scontroso.
Intabarrato nel cappotto nero e munito degli occhiali da sole di ordinanza, aveva percorso strascicando i piedi quei pochi metri che lo separavano dal bar in cui faceva sempre colazione; e lì, sorseggiando il suo caffè, aveva testardamente mantenuto un silenzio funereo che i gestori del posto avevano definito tra loro “preoccupante”, dato che di solito il signor Molko era sempre “così loquace e cortese”.
Quando la cameriera si era fatta avanti per ritirare la tazza vuota, Brian le aveva abbaiato contro che non aveva ancora finito e di non mettergli fretta, Cristo santissimo!
La ragazza aveva annuito ferita e se n’era ritornata dietro al bancone con la coda fra le gambe. Per fortuna, si era consolata fra sé e sé aggiustandosi la coda con un gesto veloce, quella mattina la programmazione della radio era assolutamente fantastica: uno speciale sui Muse, la sua band preferita, con annessa rotazione non stop dei loro più grandi successi.
Si sporse oltre la macchinetta del caffè e rivolse uno sguardo beffardo munito di linguaccia a quell’omino sprofondato nel bavero del cappotto: vide che le sue mani si erano strette nervosamente intorno alla tazza ormai di sicuro vuota, e che un tic inquietante al labbro inferiore tradiva una rabbia furiosa e a stretto contenuta.
Ma poi partì Resistance, la sua canzone preferita, e la ragazza non pensò più a Brian per tutta la mattinata – anzi, per evitarsi scocciature, mandò un altro cameriere a ritirare i soldi e le tazze.
 
*
 
Brian, sebbene lunatico e, quando voleva, persino maleducato con il prossimo, non era tuttavia solito a manifestazioni di fastidio così plateali: ma quella mattina si era alzato con la luna storta e il fatto che anche l’amato bar sotto casa l’avesse tradito, riempiendogli le orecchie di polpettoni romantico-progressive made in Bellamy, l’aveva reso una furia.
Quando Matthew aveva cominciato a domandarsi sviolinando se i suoi e i segreti di chissà chi – di sicuro non lui – sarebbero rimasti al sicuro quella notte, gli era venuto da vomitare; quando poi quell’essere odioso aveva attaccato a squittire, dopo un autentico plagio dei Queen sotto forma di coretto melenso, che l’amore era la loro resistenza (tua e di chi? Di chi?!) si era trattenuto a stento dal frantumare la tazzina fra le dita come un ramoscello secco.
- Signore… -
- Eh. –
- Tutto bene? –
- Sì. No. No, per niente. –
- Che… -
- Un consiglio da amico: cambiate stazione radio. Vedrete quanti clienti più soddisfatti – io, per cominciare. – disse cupo, abbandonando il tavolo.
 
*
 
Tornando a casa aveva ritirato la posta con un sospiro insofferente. Quel giorno il solito ammasso di raccomandate e bollette pesava ancora più del solito, quasi a volergli infliggere un ulteriore seccatura. Una delle buste poi, grande, grossa e color crema, aveva il pomposo aspetto di una comunicazione ufficiale.
Che orrore, si disse, lanciando il tutto su una poltrona lontana il più possibile. Che orrore.
Chiamò Stefan e gli chiese se voleva venire a pranzo da lui; quel giorno sapeva che non ce l’avrebbe fatta a rimanere da solo. L’amico gli rispose prevedibilmente con uno dei suoi affettuosi e pacificanti sì.
Brian sorrise e si mise ad attendere il suo arrivo sdraiato mollemente sul divano, fumando una sigaretta dopo l’altra.
 
*
 
Stefan non era un semplice bassista, ne era sempre stato assolutamente certo: era un angelo. Si era presentato sorridente alla sua porta con due sacchetti colmi di birra e cibo indiano, per evitargli la noia di cucinare – e poi lui lo sapeva, che l’indiano era il suo preferito. Non come quello stronzo che aveva continuato a portare a casa cinese per anni come se niente fosse, infischiandosene di-
- Bri. –
Brian aveva alzato lo sguardo su Stefan con un mugugno interrogativo. Lo svedese lo stava fissando con due occhi un po’ troppo seri per uno dei loro soliti pranzi fra amici.
Non stava forse per…
- Come stai? –
E invece sì.
- Stef, sono un uomo che vive da solo, non un malato terminale. Non c’è bisogno di quel tono strappalacrime. Mi andava solo un po’ di compagnia! – scherzò, facendogli strada verso la cucina.  Stefan lo seguì con passi che Brian non esitò a definire premurosi.
 
*
 
Brian ricordava di qualcuno che una volta lo aveva ammonito sul male che faceva guardare la tv durante i pasti, specialmente i telegiornali e i dibattiti politici. Le brutte notizie favorivano malori e turbamenti, lo aveva seriamente redarguito quel qualcuno.
Brian, almeno quel giorno, avrebbe tanto voluto avergli dato ascolto.
Stefan sbiancò alla vista di quella famigliare chioma bionda e tentò subito di cambiare canale, ma il telecomando gli venne prontamente sfilato da sotto le dita. Brian alzò il volume quasi al massimo: la cucina si riempì della trillante voce di Kate Hudson, che sullo schermo spiccava bluvestita e rotonda come una palla da biliardo.
- Bri… - cominciò Stefan, implorante.
- Sssh! – lo zittì brusco l’altro, la bocca semi-aperta e gli occhi fissi sullo schermo.
- …Perché ti vuoi fare del male… -
- Nessun male. Voglio solo sentire cosa starnazza questa gallina ripiena. –
Al momento, a quanto pare, la Hudson – a cui dovevano star fischiando le orecchie in maniera fastidiosa - stava facendo sognanti profezie sul sesso del nascituro.
- Tsk. Poco cambia se è maschio o femmina: di sicuro viene fuori brutto come la fame. – pontificò Brian, infilzando con fare assassino un involtino di verdure.
- Brian…! – boccheggiò Stefan, allibito.
- Lei non è abbastanza bella per raddrizzare i difetti estetici di Matt. – proseguì l’altro, impassibile, per niente toccato dallo sdegno di Stefan. - Lo sgorbietto sarà già fortunato se riesce a prendersi i suoi occhi, che sono l’unica cosa salvabile in quel mucchio d’ossa. Per il resto non c’è nulla da fare. –
Stefan era stupefatto.
- Brian, sei di un’ipocrisia a dir poco… -
Ma qualcosa aveva avuto il potere di ammutolirei due, attaccati al televisore come se ne andasse delle loro stesse vite: qualcosa che, a occhio e croce, doveva valere un bel mucchio di carati, e che la giovane donna aveva portato all’attenzione di tutti con la nonchalance di una materna carezza al pancione.
- Non… E’… -
Stefan lo vide sbarrare gli occhi e far cadere rumorosamente la forchetta nel piatto, lo stupore che gli aveva irrigidito i lineamenti. Poi, con un raptus improvviso, Brian si precipitò giù dalla sedia e corse in ingresso, rispuntandone poco dopo con una busta tra le mani. La strappò in pochi, frenetici gesti e si mise a scorrerla riga dopo riga con occhi velocissimi e increduli.
Stefan gli si fece accanto, preoccupato. Brian ora guardava con aria testarda fuori dalla finestra. La lettera penzolava inerte dalla mano appoggiata distrattamente sul fianco.
- Bri. –
Sentì un suono gracchiante uscirgli a fatica dalle labbra: era una risatina.
- E’ vero. – sussurrò, piegando la testa all’indietro con una smorfia.
- Cosa? –
Brian gli porse la lettera tenendola fra due dita come se fosse infetta. A Stef bastò leggere le prime parole per capire.
Era l’invito al matrimonio.
 
*
 
Matt fu quasi certo di aver riconosciuto il mittente della chiamata sin dai primi squilli: sembravano le trombe dell’Apocalisse.
- Pronto. – rispose, dopo una minuscola esitazione.
- Che cazzo significa.
- Br- -
- Che cazzo significa?!
Matt prese lentamente fiato. Il respiro gli si stava già accelerando per il nervosismo.
- E’ l’invito al mio matrimonio. Credevo fosse ovvio. – ribatté, duro.
- Questo lo vedo, stronzo, so leggere. La domanda è perché a me. –
- Se tu avessi risposto alle mie telefonate… -
- Perché cazzo a me, Matthew! –
Matt si sedette. Era da quando si erano lasciati che non si parlavano. Il solo suono della sua voce aveva il potere di sconvolgerlo.
- Era l’unico modo di risentirti. Sapevo che la cosa ti avrebbe fatto incazzare… -
Sentì che esplodeva in una delle sue risatine sprezzanti, dolorosamente famigliari.
- E infatti i critici hanno sempre avuto ragione: sei un maledetto genio! Chi infatti non avrebbe potuto incazzarsi ricevendo l’invito al matrimonio del proprio ex - ex che l’ha lasciato da un giorno all’altro senza uno straccio di motivo per un attricetta che, tra le altre cose, ha avuto il buon gusto di ingravidare dopo pochi mesi? Quel che si dice una reazione prevedibile!... –
Matt digrignò i denti, reprimendo un sospiro frustrato.
- Non ti permetto di parlare così di Kate. – scandì a chiare lettere, cercando di dimostrarsi autoritario – e non riuscendoci, evidentemente, perché tutto quello che riuscì a provocare fu un’altra risata a denti stretti.
- Ah, io non ho niente contro di lei. La compiango, piuttosto. Sposarti… Per caso l’hai drogata, prima di farle la proposta? –
Matt cominciò ad arrabbiarsi sul serio.
- Ti potrà sembrare strano, ma era entusiasta! – ribatté, acido. Brian cadde un breve silenzio, un silenzio che a Matt diede l’impressione di dovergli costare carissimo.
- La cosa orrenda è che non mi sembra affatto strano. –
- … -
- … -
- Bri… -
- Non me lo merito, Matt. E non me lo meritavo un anno fa. –
Come tutte le volte che era turbato, la voce gli era diventata di ghiaccio. Matt cercò di radunare tutto il suo coraggio.
- Non l’ho fatto per ferirti, Brian. Credimi. –
- Non mi riesce più tanto facile. –
- Tu hai ignorato tutti i miei messaggi, le mie chiamate, i miei tentativi di rivederti e scusarmi. Hai fatto terra bruciata. E io non sapevo più dove sbattere la testa. –
- Tu mi hai lasciato e io ho reagito di conseguenza. Fine della storia. Questo non giustifica in alcun modo il tuo gesto. –
- Brian- -
- E’ stata la cosa più di cattivo gusto che io abbia mai… -
Matt perse la pazienza.
- Due settimane dopo che ti ho lasciato, - cominciò, la voce che gli tremava, - due settimane dopo aver commesso quell’orribile sbaglio e averci subito ripensato, ti sei già fatto vedere in giro con un altro. Questo non è cattivo gusto, forse? Io strisciavo davanti alla tua porta e tu mi sputtanavi pubblicamente. –
- Ah! Quindi sarebbe stata colpa mia, se ho capito bene. Mmmh. –
- Non ho detto che è stata colpa tua! Io –
- E’ vero, l’ho fatto appositamente per farti soffrire. – lo interruppe Brian, in tono prepotente. - Per farti stare male un decimo di quanto stavo male io. L’ho lasciato dopo nemmeno un mese. –
- … -
- Mi avevi spezzato il cuore. –
Matt si strofinò gli occhi con una mano. Qualcosa di molto simile alla nausea gli aveva svuotato completamente lo stomaco.
- Io credevo… - disse, con un filo di voce.
- Lo so quello che credevi. E’ per questo che ho fatto quello che ho fatto. –
Matt sentì la testa cominciare a girargli.
- Tu hai mandato a monte la possibilità di tornare insieme per… per… - tentò, incredulo.
- Per cosa, Matthew? –
- Per orgoglio, Cristo! – sbottò Matthew, la voce che gli tremava per la rabbia.
- Da quando amare sé stessi più di uno stronzo vigliacco si chiama orgoglio? Credevo che il nome giusto fosse legittima autostima! –
- Beh, invecchia solo come un cane insieme alla tua legittima autostima, vediamo come saprà tenerti compagnia! –
Gli sembrò di averlo sentito trattenere il respiro.
- Non ce l’avrei mai fatta ad invecchiare con te. – sussurrò infine Brian, incerto persino delle sue stesse parole.
Matt gli mise giù il telefono mordendosi un labbro per la voglia repressa di mettergli le mani al collo. Per fargli cosa, non lo sapeva nemmeno lui.
 
*
 
Brian richiamò dopo nemmeno cinque minuti.
- Sentimi bene, bastardo: sono io che semmai riattacco a te, e non il contrario, visto che tu sei lo stronzo. E ripensandoci bene… Ci vengo, al tuo maledetto matrimonio. –
Matt digrignò i denti, prevedendo una perfidia imminente.
- Ah sì? –
- Sì, ma al posto del riso porto da lanciare dei mattoni! –
Non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una risatina amara.
- Non c’è un cazzo da ridere, Matt. – gli ringhiò l’altro nella cornetta. Matt scosse la testa.
- Lo so, Brian. Ma che ci posso fare? Tutta questa situazione è ridicola. Non ci sentiamo da mesi, non ci siamo nemmeno fatti gli auguri di compleanno, e ora io sto qui ad ascoltare le tue battutine venefiche sul mio matrimonio con Kate. Converrai che è paradossale. –
- Qui di paradossale c’è solo il fatto che io non ti abbia ancora coperto di insulti, come ti meriti. –
- Veramente l’hai fatto. –
- Davvero? – chiese, provocatorio.
- “Stronzo” e “bastardo” non mi sembrano paroline da innamorato. –
- E’ solo l’antipasto. Il dessert sarà alla stricnina. –
- Non vedo l’ora. –
- A Gaia l’hai mandato l’invito, stronzo bastardo? –
- No. –
- Ah, a lei no e a me sì. Che onore, sono commosso. –
- Credevo che l’avrebbe presa male. –
- Perché io invece sto ballando di gioia. –
- Brian, Gaia è una donna. –
- Osservazione acuta, Matt. –
- E anche Kate è una donna. –
- Sono letteralmente abbacinato dalla tua attenzione per i dettagli. –
- Capisci bene che è diverso. –
- Non capisco un cazzo, invece. –
- Gaia può entrare in competizione – anche se non lo farà: penso di starle piuttosto indifferente, ora come ora. Al massimo augurerà mentalmente a Kate di inciampare nello strascico. Tu invece sei… diverso. In tutti i sensi. –
Sentì che esitava.
- Perché? – chiese infine, sprezzante ma terribilmente curioso.
- Non avrai mai speranze di entrare in competizione con Kate. –
Brian restò in silenzio, un silenzio tetro come quello di un cimitero. Poi, calmissimo, gelido, sussurrò:
- Vai a farti fottere. –
- Non c’è storia, fra voi due. –
- Che figlio di puttana… -
- Non c’è perché lei è esclusivamente una tua creatura. –
Brian prese fiato per dire qualcosa, ma si interruppe, come se ci avesse ripensato all’ultimo momento.
- Che… Che intendi dire? – chiese poi, con finto scetticismo.
- Che se ora la sposo e aspetto un figlio da lei è solo colpa tua. Ti sarebbe bastato schioccare le dita, e io sarei tornato da te in un secondo. Non l’hai fatto: hai preferito guardarmi annegare nei sensi di colpa. Buon per te. Ma non ti stupire se ho cercato conforto in altri lidi. –
- Tu mi hai lasciato. – ripeté Brian, testardo. E Matt perse la pazienza.
- Sì, Cristo, ma solo perché ero confuso! Volevo solo prendermi un po’ di tempo per schiarirmi le idee! –
- Che cosa…?! –
- Con Gaia era appena finita e già mi ritrovavo completamente coinvolto in qualcosa che non aveva cercato, e che era meraviglioso. E’ accaduto tutto troppo in fretta, mi hai preso alla sprovvista: ma che colpa ne ho io? –
- E io?! –
- Non è stata colpa tua, te l’ho già detto! –
- Mi hai accusato di essere stato lì a guardare mentre ti contorcevi per il dolore di avermi perso! –
- Non puoi negarlo! –
- Sono un essere umano anch’io, sai, Matt?! Anch’io soffro, cazzo! Che cosa ti aspettavi? Che ti avrei riaccolto con lo champagne in una mano e dei cioccolatini nell’altra? –
- Pensavo che mi fossi più attaccato. Che non mi avresti dimenticato così presto. –
- Così non è stato, infatti. –
- Però me l’hai fatto credere! –
Brian emise uno sbuffo quasi annoiato.
- Era mio diritto vendicarmi. – disse, in un tono che voleva sembrare ovvio.
E Matt decise che non intendeva più curarsi di ciò che gli usciva di bocca.
- La vendetta non è un diritto nei paesi civilizzati. –
Brian fu di parola. Un secondo dopo gli aveva già sbattuto il telefono in faccia.
 
*
 
Stefan guardò allibito il telefono ricominciare a squillare.
- E’ancora lui? – chiese, confuso. – Ma a che gioco state giocando? -
Brian gli lanciò uno sguardo furtivo. Sembrava raggiante, e terribilmente spaventato.
- Non l’ho mai capito a che gioco giochiamo, Stef. So solo che credevo di averlo perso, questo gioco, e che la partita fosse finita, ma a quanto pare non è così. – Gli sorrise. – Pur con un’evidente invasione di campo e falli di ogni genere e sorta. –
Si guardarono in silenzio. Brian continuava a lanciare rapide occhiate al cellulare.
- Cosa intendi fare? – gli domandò Stef, reprimendo un sospiro rassegnato. Brian fece spallucce.
- Per ora, - disse, allungando la mano verso il telefono che tremava sul tavolo, - rispondergli. –
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: Dio mio, è un Harmony XDDD Che vergogna. Però è stato divertente scriverla e inoltre, visto che io solitamente ragiono per gruppi a tema, deduco che con la tragicommedia sul matrimonio di noi-sappiamo-chi ho finalmente concluso la *musichetta di Star Wars* TRILOGIA DI KATE, composta altresì da Playing The Game, This Mess We’re In e Hero. Son cose.
Non mi guardate così, io sono felice per poco. Davvero.
Su questi due d’altronde ho poco o niente da dire. Sono abbastanza patetici, credo, e per una volta l’infantilismo è stato equamente distribuito *ride malefica* Io in primis non ho dato preferenze a nessuno, insomma. Eppure in qualche modo li ho trovati teneri. Sbandati, quindi meritevoli di una qualche forma di affetto.
Mi sembra piuttosto che ci sia un divario troppo forte tra il dialogo demenziale e quel poco di introspezione depressa che ho concesso ai due signori. Non mi pare per niente realistica, insomma, ma devo dire che per stavolta me ne frego :D e mi concedo un po’ di scrittura di evasione. Spero almeno che sia riuscita in qualche modo divertente.
Tantissimi grazie e baci a tutti :******
   
 
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