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Autore: InsertACasualUsernameHere    19/05/2011    4 recensioni
Buio. Gli occhi erano aperti, perché questo era l’ordine che gli aveva dettato il cervello. Eppure intorno riuscivo solo a vedere del buio, diverso rispetto a quando si chiudono gli occhi per riposare; diverso a quando non c’è più luce.[...]
“Sas’kè, sei pronto a morire?” annunciò schiacciando bruscamente la testa delle serpe, che sebbene si fosse agitata non era riuscita a fuggire.
In un momento mi furono ad un palmo, i loro volti velati di rancore e malinconia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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WITH A BLIND EYES --- CON OCCHI CIECHI



“Sono più forte di te, Sas’kè”

“Baka”
 
Buio. Gli occhi erano aperti, perché questo era l’ordine che gli aveva dettato il cervello. Eppure intorno riuscivo solo a vedere del buio, diverso rispetto a quando si chiudono gli occhi per riposare; diverso a quando non c’è più luce.
Era un buio più denso, che non lasciava intravedere neppure delle ombre o piccoli puntini luminosi.
Tastai ciò che mi circondava, rimanendo stupito nell’udire una voce familiare.
-Vedo che ti sei svegliato, tieni- com’era triste quella donna, non la ricordavo così. Mi porse quello che a tatto mi sembrò un bicchiere, bevvi e riscontrai un sapore amaro come di medicinale.
-Sono cieco, vero?- chissà se anche lei era riuscita a notare un live dispiacere nella mia voce. No, non era mai stata in grado di capire gli altri; troppo esuberante.
Sentì i brevi singulti e il lieve umido delle coperte, vicino alla mia mano. Poi udì i suoi passi, mente s’allontanava ancora piangente.
Feci scorrere la mano lungo il braccio finché non raggiunsi il collo, sentì una linea in rilievo, dura e dolorosa. Una ferita.
 
“Sappiamo entrambi che cosa succederà” sorrideva. Sembrava non aver notato la serpe nere che strisciava attorno ai suoi piedi.
“Sas’kè, sei pronto a morire?” annunciò schiacciando bruscamente la testa delle serpe, che sebbene si fosse agitata non era riuscita a fuggire.
“Naruto, non c’è tempo per le chiacchiere” lo rimproverò la donna che rideva, con un ghigno di sfida in volto e i capelli del medesimo colore dei fiori, di quel frutto del quale portava il nome.
In un momento mi furono ad un palmo, i loro volti velati di rancore e malinconia.
Erano migliorati, maturati. La loro forza mi stupì, non avrei mai immaginato che un giorno quel mocciosetto dai capelli biondi fosse stato in grado di tenermi testa in un combattimento. E mai avrei pensato che quella bambina noiosa fosse divenuta una donna astuta e portentosa.
 
-Coma stai oggi?- sebbene si notasse un lieve cambiamento, riconobbi anche la sua voce.
-Hatake- sussurrai, non credevo fosse ancora vivo. Non dopo quello che io stesso gli avevo fatto.
Il silenzio che aleggiava in quella stanza era come quel buio, che solo io vedevo.
-Credevano fossi morto- disse, sentivo il suo sguardo addosso. Lo credevo anche io, dopo ciò di cui l’avevo privato.
-Si può vivere anche senza- annunciò, come se avesse intuito i miei pensieri. Dubitavo che fosse serio, come poteva dire di riuscire a vivere anche senza quell’occhio che lo rendeva tanto speciale, o quel braccio con il quale reggeva sempre il suo libro?
Iniziò a ridere, ma era diverso, era malinconia quella che sentivo. Non era più il maestro Kakashi.
 
“Dovrete riuscire  a rubarmi questi campanelli, per poter superare la prova” disse, mentre sfilava dalla tasca il libro che leggeva solitamente.
“Come vedete sono solo due, difatti solo due di voi riusciranno a prenderli. Il terzo verrà legato ad un palo, senza poter mangiare” spiegò, mentre sfoglia le pagine del piccolo libro.
“Iniziamo” esordì, cominciando a leggere.
Sembrava sicuro che questa prova sarebbe stata facile, sembrava felice e fiero del team 7.
 
-Sasuke, ti auguro una buona guarigione- disse, quando riuscì a placare la sua risata nervosa. Udì il suono dei passi che s’allontanavano dalla stanza. Segno evidente che la ferita alla gamba non era profonda come credevo, evidentemente ero riuscito solo a rompergli qualche osso.
Durante quella battaglia l’avevo ridotto male, il maestro.
 
“Non sei degno di portare quell’occhio Hatake”
“All’ora prova a rubarmelo” rispose, trsite.
“Molto volentieri” risi.
 
Portai una mano al viso, sentii una piccola cicatrice sulla guancia destra.
Così breve, ma dolorosa. Tenni la mano sopra ad essa per lungo tempo. Era la sua cicatrice, quella che mi aveva in parte stupito ed in parte divertito.
 
Il vento le scompigliava i capelli rosa e quel ghigno perfido che s’ostinava a tenere, non le si addiceva.
Si slanciò verso di me, attesi il suo arrivo sollevando la katana.
Il suo viso ad un palmo dal mio, il suo kunai che mi sfiorò la guancia, la katana che sfiorò la sua.
Sangue misto a lacrime, le sporcarono la guancia sinistra. Veleno e sangue, sporcarono la mia.
Il verde smeraldo ed il rosso sangue, s’incontrarono. In quell’attimo capì quanto doloroso fosse per lei quel momento, ma non m’impietosì. Non chiesi alla mia mano di fermarsi quando la scaraventai al suolo, provocando un rumore d’ossa fratturate.
 
-La signorina Tsunade mi ha mandato a dirti di prepararti, tra poche ore sarai dimesso- la sua voce era diversa da prima, non tremava più. Ora sembra più dura, come se provasse odio nei miei confronti. Eppure mi sembrava di ricordare che anche lei fosse innamorata di me.
-Sei Ino, vero?- dissi, tanto per confermare il mio sospetto
-Si- un sussurro, quasi temesse pronunciare quelle due lettere.
-Verrò carcerato?- chiesi, senza nessuno interesse. Infondo avevo fatto si che non mi restasse più nulla in cui poter sperare, che non avessi più nessuno con cui poter continuare a vivere.
-Probabilmente si- la voce orgogliosa, di chi è fiero per la sentenza appena annunciata. Capì che l’amore che forse un tempo provava per me, il giorno in cui partì svanì assieme al mio ricordo.
Lasciò la stanza e rimasi solo.
Intuì che fosse una giornata di sole dai raggi che sentivo riscaldarmi la schiena. Mi sollevai a fatica, l’utilizzo delle gambe ancora c’era. Eppure credevo che grazie a quel colpo l’avessi perduto.
 
“Sas’kè siamo giunti alla fine” disse ansimante, era ricoperto di sangue e ferite. Il braccio destro ormai immobilizzato e le gambe deboli.
“Risparmia il fiato” gli consiglia, sebbene non fossi ridotto meglio di lui. Io riuscivo ancora a camminare.
Lo vidi preparare un rasengan, impastando quel poco di chakra che gli era rimasto. Si scaraventò contro di me e in un lampo mi fu alle spalle, mi colpi alla schiene. Poi sentì le gambe cedere, probabilmente era riuscito a lenire la spina dorsale.
Estrassi la katana e la rivestì di chakra, doveva essere il colpo finale. Ero pronto a affondargliela al petto.
Quando una sagoma rosa si piazzò davanti, cercando di parare il colpo. La vidi poggiarmi le mani al viso, mentre rideva mostrando la bocca impastata di sangue. Sentì le mani posarsi sui miei occhi ed il dolore lancinante di quei movimenti rapidi. Poi un tonfo, due, tre.
L’umido sotto di me e l’odore acre del sangue, furono l’ultima cosa che sentì prima di chiudere gli occhi; divenuti già bui.
 
Indossai i vestiti che sentì essere sopra il letto e mi sedetti su quest’ultimo.
-Se sei pronto andiamo- m’alzai e la sentì posarmi un braccio attorno alla vita. Odiavo quel contatto, ma non potevo staccarmi da lei. Sapevo che se l’avessi fatto, non sarei riuscito a muovere un passo.
Non sapevo dove ci stessimo dirigendo, ma intuì d’essere arrivato quando sentì una voce di donna chiamarmi per nome.
Sebbene fosse abile nel mascherare i propri sentimenti, quando mi chiamò riuscì a notare la tristezza e la rabbia impressi nella sua voce.
-Grazie Ino, ora me ne occuperò io- sentì il suo sguardo posarsi su di me –prima d’incarcerarti, desidero portarti in un luogo- disse, lasciando trapelare tutta la malinconia che il suo cuore sopportava.
Camminammo per qualche minuto, finche non giungemmo in un luogo in cui il vento soffiava forte e le voci che s’udivano erano solo singhiozzii.
-Dove siamo?- odiavo fare tutte quelle domande, ma l’impossibilità di vedere mi obbligava a ciò.
-Nel cimitero- rispose, secca e fredda –Ascolta bene le voci che senti- aggiunse poi, porgendomi qualcosa in mano. Dei fiori.
Restai in ascolto, cercando d’intuire di chi fosse quel pianto.
-Porterà il tuo nome e probabilmente adorerà anche lui il ramen- la voce strozzata dai singulti -Gli racconterò di te e del tuo valore. Sarà forte come te e fiero d’averti per padre- l’orgoglio che portavano quelle parole era lodevole -Sai, già adesso mi fa divenire matta. S’agita di continuo. Ti assomiglia molto, Naruto- rise lievemente, miscelando alle lacrime quel suono d’una risata fragorosa.
La riconobbi, Hinata Hyuga. Che piangeva sulla tomba del compagno, incinta d’un bambino che sarebbe stato sicuramente come lui.
-Quel ragazzo aveva ancora molte cose per le quali vivere- esordì Tsunade, celando la tristezza dietro al rancore.
Mi afferrò bruscamente per un braccio e mi condusse a quella che doveva essere, sino a prova contraria, una tomba.
-Non la vedi, non la puoi vedere, ma qui giace l’allieva migliore che io abbia mai avuto!- urlava, abbandonandosi alla rabbia e alle lacrime.
Titubante m’inginocchiai e tastai alla ricerca del freddo marmo. Quando lo trovai vi poggiai i fiori che mi erano stati dati e mi abbassai sino a toccare quella superficie liscia con la fronte.
L’avevo uccisa io, così come avevo ucciso Naruto. Li avevo uccisi allo stesso modo, nello stesso momento.
Avevo ucciso chi possedeva tutto, per ottenere una misera vendetta che non mi aveva dato nulla. Piuttosto m’aveva tolto quel poco che m’era rimasto.
Ero stato l’artefice della mia condanna, lo stolto che s’era ritrovato solo a causa d’un suo gesto.
 
“Resta Sasuke, oppure permettimi di venire con te” credeva fermamente in tutto ciò che diceva, era realmente disposta a tutto pur di potermi restare accanto.
E sebbene il tempo fosse passato, i suoi sentimenti non erano mutati. Me ne dette prova quando la rividi.
“Ho sempre avuto il rimorso di non averti potuto seguire, ma ora sono pronta” anche quel giorno, sebbene stesse mentendo e nella realtà desiderasse uccidermi, capì che non era cambiata.
Il suo stesso volermi uccidere ne era un segno. Voleva essere la salvatrice, liberarmi dalla condanna che io stesso m’ero affibbiato.
Anche quando posò le sue mani sul mio viso e vidi per l’ultima volta il suo sorriso, sporco di sangue. Capì  che era l’unica ad essermi rimasta accanto, assieme al Baka, per tutto questo tempo.
 
-Perdonami- sussurrai, mentre un liquido caldo m’inumidiva le guance. Lacrime. Non credevo d’essere ancora capace di piangere.
-Perondatemi- implorai.
Ero stato talmente stupido da lasciare che l’ira ed il dolore mi rendessero schiavo dell’odio e che quest’ultimo mi conducesse alla vendetta.
Ed ora mi ritrovavo ad essere maggiormente solo. Ero riuscito ad autodistruggermi magistralmente.
E per di più non avevo neppure ottenuto quella vendetta che tanto bramavo, ero solamente riuscito a scatenare un’inutile guerra.
L’unico sentimento in grado di mutare l’essere umano è il dolore profondo, ma paradossalmente è anche l’unico in grado di salvarlo a volte dall’oblio.
-Sasuke, dobbiamo andare- un’idea si fece strada nella mia mente, divenendo desiderio.
-Hokage, posso esprimere la mia ultima volontà?- domandai, temendo un possibile rifiuto.
-A tutti i giustiziati è concessa- la sua voce era serena, come se avesse intuito i miei pensieri.
-Desidero poter morire!- esclamai, sentendomi improvvisamente radioso
-Desiderio accordato- non volle sapere il motivo, sembrava già lo conoscesse. Si limitò ad accompagnarmi nuovamente in ospedale e somministrarmi un veleno che avrebbe avuto effetto in una manciata di minuti.
-Addio Sasuke- mi salutò ed intuì che stesse sorridendo
-Grazie Hokage- ero sollevato, sereno. Felice, come quando mi allenavo da bambino insieme ad Itachi.
 
“Sas’kè ti vedo informa” quella voce la riconobbi subito
“Sasuke, che bello rivederti” riconobbi anche quella, di voce.
“Baka, Sakura!” esclamai, sorridendo. Non avevo più un motivo per essere adirato.
“Benvenuto fratellino” mi sorrise, scompigliandomi i capelli come era solito fare quando ero un bambino.
Li vedevo, li potevo vedere tutti.
La cecità era scomparsa e mi permetteva di vedere il perdono dipinto sul volto delle persone alle quali più tenevo e che avevo maggior mente ferito.
Avevo sempre vissuto male la mia vita. La mia morte volevo viverla bene.

  
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